Dimagrisci con la Tisanoreica

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Dimagrisci con la Tisanoreica

                                       Dedico questo libro a tutti coloro
                                      che hanno sostenuto e sostengono
                                        gli studi sulla Dieta Tisanoreica
                                e a tutti quelli che credono nella ricerca
                                                   italiana a tutti i livelli,
                                            dal ricercatore alla segretaria

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Introduzione

                                            Non riesco a sopportare quelli che
                                            non prendono seriamente il cibo.
                                                                Oscar Wilde

               La cura del benessere fisico, che indubbiamente ha un
               riscontro in quello psicologico e conseguenze esteti-
               che positive, è il mio principale interesse: un’autentica
               vocazione. E mi ritengo fortunato per aver potuto fare
               della mia passione un lavoro. In un mondo dominato
               dall’immagine, è innegabile che un aspetto gradevole
               faciliti ogni tipo di affermazione umana e professionale.
               E non sto parlando di pura apparenza. Intendo dire che
               un buon rapporto tra corpo e anima favorisce la sere-
               nità interiore, che poi aiuta a essere attraenti. Una linea
               impeccabile dà quel senso di armonia spirituale che è
               l’essenza della vera bellezza. Una persona che conside-
               ra lo specchio un “nemico” tende a chiudersi in se stes-
               sa, soffocando le sue qualità e rischiando più di ogni al-
               tra la depressione, il male oscuro della nostra epoca. Ho
               avuto esperienza diretta di questo problema in casa, da
               bambino, vedendo i profondi disagi di mio padre che
               soffriva di obesità. Fu proprio immedesimandomi in
               quello che definisco senza mezzi termini il “dramma
               di essere grassi”, con conseguenti danni alla salute, che
               incominciai a desiderare un mondo in cui tutti fossero
               in forma e contenti, in una rivisitazione tutta persona-
               le del finale delle favole.

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                  A realizzare la mia aspirazione mi aiutò la tradizione
               di famiglia di cui sono, con orgoglio, il depositario. Mi
               sono stati tramandati i segreti della Decottopia, ovve-
               ro la Terapia delle dieci erbe che è alla base della Dieta
               Tisanoreica, e su questi ho impostato la mia attività di
               imprenditore, divulgatore e promotore della ricerca
               scientifica.
                  La Tisanoreica, in pratica, è un regime alimentare
               disintossicante, del fisico e dello spirito. E una volta
               raggiunta l’armonia interiore di cui parlavo, posso ga-
               rantire che ci si ama di più. Di conseguenza, si ha una
               maggiore cura di se stessi e si sorride. Non dimenti-
               chiamo mai l’importanza del sorriso, che aiuta ad af-
               frontare qualche inevitabile sacrificio a tavola. Con la
               Tisanoreica non si soffre la fame, perché i cibi che pre-
               vede saziano senza appesantire. E sono gustosi, ele-
               mento fondamentale perché le vecchie diete, fatte di
               un uovo sodo con qualche foglia di insalata scondita,
               non giovano certo al buonumore.
                  Non vorrei che la gente, vedendomi spesso in com-
               pagnia di personaggi famosi della politica e dello spet-
               tacolo, pensasse che questo rivoluzionario modo di
               dimagrire sia riservato ai vip. Se è vero che molte ce-
               lebrità l’hanno sperimentata con successo, è altrettan-
               to vero che la Tisanoreica è una dieta “democratica”,
               in quanto è diffusa in ogni strato sociale. La soddisfa-
               zione di aiutare tante persone a perdere peso, per me
               è più importante del profitto. Sono convinto che una
               professione abbia successo solo se tiene in considera-
               zione anche l’aspetto umano.
                  Dietro la Dieta Tisanoreica ci sono mille storie a lieto
               fine che mi riempiono la vita e a volte mi commuovo-
               no. Come quella di una donna ammalata di fibrosi ci-
               stica che mi ha raccontato di sentirsi molto meglio e
               di aver acquisito una maggiore mobilità. A quel pun-

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Introduzione   11

               to, per la prima volta, ho pensato di essere riuscito a
               realizzare il mio sogno di migliorare l’esistenza di al-
               tre persone.
                  Non pretendo di essere un guru dell’alimentazione
               come qualcuno mi ha definito, ma piuttosto un ami-
               co competente che può aiutarvi a dimagrire, a vantag-
               gio anche della vostra salute. E senza riprendere i chi-
               li smaltiti appena conclusa la dieta.
                  Perciò ho ideato un modo di dimagrire, in salute,
               attraverso gustose ricette. Buon appetito, quindi, con
               la Tisanoreica… e anche buona vita! La qualità della
               vostra, vivendo magri e contenti, migliorerà. E questa
               non è una favola.
                                                        Gianluca Mech

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                                Segreti di famiglia

               Impiegherei troppo tempo a raccontare la storia dei
               miei antenati fin dalle origini. Posso dire, riassumen-
               dola nelle sue linee essenziali, che l’odierna denomi-
               nazione della mia azienda risale al 1911, abbracciando
               però una tradizione familiare precedente e ininterrotta
               di circa cinquecento anni. La nostra attività erboristi-
               ca cominciò con i Bonardo, nelle Langhe piemontesi,
               poi la mia bisnonna Giuseppina sposò Marcello Bale-
               stra e si trasferì in Veneto. Lei girava con i suoi estratti
               d’erbe per assistere i malati di “spagnola”, l’epidemia
               influenzale della Grande Guerra, mentre suo marito
               era al fronte. Da sola preparava i suoi prodotti, cari-
               cava il carro, e li andava a vendere in giro, accompa-
               gnata da Adelaide, la più grande dei suoi dodici figli,
               mia nonna. All’epoca i preparati si conservavano den-
               tro mastelli senza coperchio; nella parte superiore si
               creava una muffa protettiva così quando Giuseppina
               riusciva a vendere qualcosa, spostava la muffa, pren-
               deva i triti d’erbe, li metteva in una bottiglia (erano
               tutte diverse per tipo e grandezza) e la chiudeva con
               un tappo di sughero, che ai tempi era quasi un lusso.
               La zona delle Alpi visibile da Cittadella, nell’Alta Pa-
               dovana, era teatro di feroci cannoneggiamenti lungo

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               la linea del fronte e, a detta di mia nonna, sembrava
               un immenso ferro di cavallo infuocato. L’aver trova-
               to sul suo carro un soldato inglese ubriaco convinse,
               per lo spavento, la famiglia a trasferirsi a Montagna-
               na, una trentina di chilometri più a sud, dove il con-
               flitto sembrava davvero lontano.
                  In Occidente tra la fine dell’800 e gli inizi del ’900,
               a seguito della scoperta dei principi attivi dei medi-
               cinali, la medicina tradizionale venne quasi comple-
               tamente abbandonata. Sebbene il mio bisnonno non
               fosse il depositario diretto della Decottopia, ebbe
               un’idea formidabile, che permise alla nostra attivi-
               tà erboristica di sopravvivere e cioè quella di vende-
               re l’Estratto Decottopirico depurativo come se fosse
               un liquore. Nacque così il Fernet Balestra, detto an-
               che Amaro Balestra.
                  In realtà si trattava di un estratto di piante senza alcol
               e senza zucchero. La sua etichetta riportava: Provatelo
               alcolico aggiungendo il 30% circa di alcol a 95
               gradi e zucchero a piacere. In liquoristica, infatti,
               le piante rappresentano la base per ogni amaro: l’alcol
               e lo zucchero ne esaltano i diversi sapori.
                  A Montagnana nonna Adelaide, complice la fuga
               di un cavallo, conobbe mio nonno Rodolfo Mech, di
               professione pasticciere, che glielo riportò. Furono loro
               che, dal bagagliaio delle automobili, diffusero l’Amaro
               Balestra in tutta Italia, strada per strada, mercato per
               mercato. Ancora oggi qualcuno ricorda il camioncino
               che negli anni Sessanta dagli altoparlanti gracchiava:
               «Oggi, perché tutti lo possiate provare, la casa Bale-
               stra di Montebello vi fa pagare solo il vetro, manodo-
               pera e spese. Il tutto arriva a lire cento, il prodotto non
               si paga. Chi vuole acquistarlo venga…».
                  A volte mio nonno prestava gli altoparlanti ai frati
               che, nel periodo della Quaresima, solevano predica-

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               re fuori dalle chiese; nacquero così amicizie e attesta-
               zioni di stima reciproca.
                  Il Fernet Balestra era amarissimo, ma funzionava:
               un must per quei tempi, utile addirittura a risolvere i
               problemi di digestione delle mucche. Quelle bottiglie
               oggi hanno un grande valore. A seconda dell’anno e
               dell’indirizzo che riportano, sono diventate un pre-
               zioso oggetto da collezione.
                  Dai miei nonni i segreti di famiglia passarono a mio
               padre Giovanni e infine a me. Da piccolo sentivo rac-
               conti di erbe miracolose e di guaritori; ricordo che i no-
               stri fornitori di piante erano contadini anziani che se-
               lezionavano e raccoglievano le erbe nei campi per poi
               portarle a casa nostra dentro grandi sacchi.
                  I saperi erboristici si tramandano, ma vengono ri-
               velati solo a un soggetto per ogni generazione. Nel-
               la mia, sono stato io il fortunato. Ho iniziato prestissi-
               mo a lavorare in un laboratorio casalingo, preparando
               liquori, perché mescolando acqua e zucchero saltava
               sempre fuori qualcosa di buono. I tempi sono cambiati
               e attualmente nel mio laboratorio ci sono macchinari
               moderni, ho fornitori fidati e professionali che mi ga-
               rantiscono duecento varietà di piante, ma la sostanza
               della lavorazione è la stessa di allora.
                  Custodire la tradizione e stare al passo con i tempi
               sono per la Decottopia vere e proprie parole d’ordine.
               Nella mia famiglia ogni generazione ha dato il proprio
               contributo. Per esempio, mio padre aggiunse ad alcu-
               ne formule il ginseng, che mia nonna non conosceva,
               mentre io ho inserito le alghe. E la formula verrà tra-
               mandata ai posteri. È un po’ come essere immortali,
               per la mia famiglia.
                  Le erbe sono parte integrante della Dieta Tisanoreica
               grazie alla Decottopia, termine di origine greca che si-
               gnifica “Terapia delle dieci erbe”. Il suo utilizzo come

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               base di partenza ha permesso l’elaborazione della dieta
               che sta ottenendo un enorme successo, arricchendosi
               ultimamente di nuovi usi per regimi alimentari spe-
               cifici: per chi ha problemi di colesterolo, per i celiaci
               e per i diabetici. I suoi cardini invariabili sono tre: cu-
               rare la salute prima della malattia, bilanciare ciò che
               manca, non sbilanciare ciò che è in armonia.

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                            Bellezza sì, se sostenibile

               In uno dei suoi famosi aforismi, Oscar Wilde dice: “Ap-
               parire è meglio che essere”. Io invece sono fautore del-
               la cosiddetta “bellezza sostenibile”, perché quando si
               parla di bellezza, la mente può giocare brutti scherzi
               e perseguire pericolose sirene più che sani principi.
                  A questo proposito è molto interessante notare come
               nel periodo classico l’architettura si sia ispirata alla “se-
               zione aurea” o “proporzione divina”, ricavata dalla na-
               tura e dal corpo umano. Man mano che le tecniche di
               costruzione si sono evolute, ce ne siamo progressiva-
               mente allontanati fino ad arrivare agli eccessi del ba-
               rocco. Con la chirurgia estetica moderna siamo anda-
               ti verso quello che io definisco “il barocco del corpo”,
               che spesso prescinde da armonia e benessere.
                  Nella nostra epoca pare che gli architetti vogliano
               ritornare, più o meno consapevolmente, a una fun-
               zionalità e a una fruizione degli ambienti più rispettosa
               dell’armonia aurea. Si è così giunti alla teorizzazione
               del “Modulor”, o modulo d’oro, dell’architetto sviz-
               zero Le Corbusier, che si propose di rispettare le pro-
               porzioni per creare un ambiente che fosse allo stesso
               tempo armonico e funzionale alle esigenze dell’uomo.
               E anche nel settore della chirurgia estetica, della diete-

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               tica e del fitness, si stanno facendo passi avanti, para-
               dossalmente tornando indietro, cioè all’idea che qual-
               siasi modifica debba rispettare le forme naturali e le
               proporzioni.
                  Ritengo che la bellezza debba avere un giudice im-
               parziale: la salute.
                  Non dobbiamo quindi più chiederci se qualcosa è
               bello o è brutto, ma se è sano o non è sano, e questo
               vale sia nei casi di magrezza sia in quelli di sovrappeso.
                  Si sente spesso dire “grasso è bello” o “magro è bel-
               lo”; chiaramente sono affermazioni relative, sarebbe
               meglio chiedersi se ciò che stiamo per fare sia un bene
               o un male per la nostra salute.

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