APPUNTI DI GESTIONE VENATORIA - AulaWeb

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APPUNTI DI GESTIONE VENATORIA

Tappe fondamentali della legislazione venatoria

La gestione venatoria della fauna ha avuto ed ha
impostazioni e norme molto differenti nelle varie epoche
storiche e nei vari paesi:
• proprietà del proprietario dei terreni (che può gestirla in
  proprio o associarsi con altri per costituire enti di gestione
  o riserve) (centro-nord Europa)
• proprietà di chiunque sia in grado di catturarla (res
  nullius) (Italia e paesi latini)
• proprietà dello Stato (del signore, del Re, ecc.), che a sua
  volta può affidarne la gestione ad enti territoriali (comuni,
  consorzi, ecc.) o concederne l’uso a privati
Il concetto di res nullius risale al diritto romano:
“In base alla naturalis ratio acquistiamo le cose che
occupiamo, in quanto prima non erano di nessuno: quali
quelle che vengono catturate in terra mare e cielo.
Parimenti, se abbiamo catturato un animale selvatico o
un uccello o un pesce, esso appena catturato diventa
nostro” (Istituzioni di Gaio)
“E così gli animali selvatici e gli uccelli e i pesci, cioè
tutti gli animali che nascono in terra mare e cielo,
appena siano catturati da qualcuno diventano suoi per un
principio di naturalis ratio” (Istituzioni di Giustiniano)
D’altra parte in tutte le civiltà si sono sviluppate norme o
consuetudini che limitavano lo sfruttamento della
selvaggina, mitigando il concetto di res nullius e
riservandone una parte ad istituti particolari, ad es.:
• riserve di caccia (prime notizie: 7500-7000 a.C. in Iran
  sud-occidentale)
• Boschi sacri (civiltà greca, etrusca, romana, islamica;
  popolazioni sherpa himalayane, ecc.)
• Medioevo: foreste di pertinenza di monasteri ed eremi
  (es. Abetone, Foreste Casentinesi)
• Secoli successivi: riserve di caccia appannaggio della
  nobiltà. Sfruttamento venatorio da parte di pochi,
  protezione delle specie quali esclusiva proprietà di re
  o nobili.
Non sempre le norme di protezione hanno avuto buoni risultati:
es.
Uro Bos primigenius (estinto nel 1627: foresta polacca di
Jaktorowka),
Bisonte europeo Bison bonasus (eliminato dopo la I guerra
mondiale dalla foresta polacca di Bialowieza, poi reintrodotto in
seguito a progetto di riproduzione in cattività a partire da
animali mantenuti in zoo),
Cervo di Padre David Elaphurus davidianus (fuggito per la
rottura di un muro dai giardini di caccia cinesi nel 1800, cacciato
e distrutto dalla popolazione affamata, salvo gli esemplari donati
al missionario francese Armand David e portati negli zoo europei;
attualmente reintrodotto in una riserva naturale cinese)
Una vera legislazione venatoria ed istituti moderni di protezione
iniziano a svilupparsi nel XIX-XX secolo:
• Primi parchi nazionali (U.S.A. 1872): Yosemite (California),
  Yellowstone (Wyoming). Varie finalità: tutela di formazioni
  geologiche e geomorfologiche, di specie animali e vegetali, di
  paesaggi
• Inizio XX sec. prime leggi per la protezione della natura in Europa
  (Gran Bretagna, Francia, Germania, Belgio, Svizzera: Parco
  dell’Engadina 1913)
In Italia:

“Regie Patenti” (dal 1821 con successivi aggiornamenti): norme per la
tutela della selvaggina e la regolamentazione della caccia.

Istituti di protezione:
Riserve Reali di Caccia. Alcune riserve furono poi cedute allo Stato per
l’istituzione dei primi Parchi Nazionali: Gran Paradiso 1922; Abruzzo
1923; Circeo 1934; Stelvio 1935 (altre alienate o cedute a privati).
Anni ’60-70 istituzione di riserve integrali gestite dal Corpo Forestale
dello Stato (es. Val Grande, Isola di Montecristo, Agoraie)
1968 Parco Nazionale della Calabria
Anni ’70 e seguenti: istituzione di numerosi Parchi regionali, con
motivazioni e criteri diversi (tutela di aree a maggior naturalità, di
aree sensibili, di biotopi localizzati, di zone a rischio di speculazione
edilizia)
Anni ’80: Istituzione del Ministero dell’Ambiente (legge 349/1986)
6 dicembre 1991 Legge quadro sulle aree protette (legge 394/1991)
Al di fuori degli istituti di protezione e delle riserve i principi base su cui si
 fondava la gestione faunistico-venatoria tradizionale in Italia erano quelli
 ispirati al concetto di res nullius

 Art. 923 Codice Civile: Cose suscettibili di occupazione
Le cose mobili che non sono proprietà di alcuno si acquistano con l'occupazione.
Tali sono le cose abbandonate e gli animali che formano oggetto di caccia o di pesca.

[ma l’art. 1, L. 27 dicembre 1977, n. 968 stabilisce che la fauna selvatica costituisce
patrimonio indisponibile dello Stato].

   Gestione faunistico-venatoria ispirata al concetto di res nullius:
   tutte le specie sono cacciabili tranne quelle protette
   i grandi carnivori (es. lupo, orso) sono pericolosi per l’uomo e concorrenti
   per il cacciatore, e quindi abbattibili senza limiti (Le legislazioni degli Stati
   pre-unità d’Italia prevedevano spesso ricompense per gli abbattimenti,
   con tariffe differenziate per femmine, maschi, piccoli)
   Nel 1923 viene introdotto per legge il concetto di nocivo (legge
   1420/1923): animale da “abbattere senza permessi ed anche in periodi di
   divieto di caccia”
Successivamente inizia a prendere piede una diversa sensibilità verso la fauna
selvatica, compresi i predatori

1939: Legge 1016 “Testo unico sulla Caccia”
Riordino della normativa vigente. Protezione assoluta dell’orso (ma non del
lupo)

1977: Legge 968 “Legge quadro sulla caccia”
La fauna selvatica, non più res nullius, viene definita “patrimonio
indisponibile dello Stato”
 Tutte
Art. 826le   specie
          Codice       sono
                  civile:     protette,
                           Patrimonio     tranne
                                       dello Stato, quelle   per cui
                                                    delle province      è prevista
                                                                     e dei comuni una caccia
I beni appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati
 regolamentata: la protezione è la regola, la caccia è l’eccezione; scompare il
dagli articoli precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei
 concetto di nocivo
comuni.
Fanno  parte del venatoria
 La gestione      patrimonio indisponibile
                                è affidatadello
                                             alleStato  le foreste
                                                   regioni,   cheche    a norma
                                                                    devono       delle leggiprecise
                                                                               adottare      in materia
costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è
 forme di
sottratta     programmazione
          al proprietario  del fondo,elepianificazione
                                        cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico,
paleontologico
 L’esercizio edellaartistico, da chiunque
                         caccia           e in qualunque
                                  è consentito     purchè modo
                                                             nonritrovate  nel sottosuolo,
                                                                   contrasti               i beni costituenti
                                                                                con le esigenze       di
la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le
 conservazione
navi da guerra.       della selvaggina (prelievo conservativo) e non danneggi le
 produzioni
Fanno  parte delagricole
                  patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni,
secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri
beni destinati a pubblico servizio.
Successivamente inizia a prendere piede una diversa sensibilità verso la fauna
selvatica, compresi i predatori

1939: Legge 1016 “Testo unico sulla Caccia”
Riordino della normativa vigente. Protezione assoluta dell’orso (ma non del
lupo)

1977: Legge 968 “Legge quadro sulla caccia”
La fauna selvatica, non più res nullius, viene definita “patrimonio
indisponibile dello Stato”
Tutte le specie sono protette, tranne quelle per cui è prevista una caccia
regolamentata: la protezione è la regola, la caccia è l’eccezione; scompare il
concetto di nocivo
La gestione venatoria è affidata alle regioni, che devono adottare precise
forme di programmazione e pianificazione
L’esercizio della caccia è consentito purchè non contrasti con le esigenze di
conservazione della selvaggina (prelievo conservativo) e non danneggi le
produzioni agricole
1992: Legge 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma
                      e per il prelievo venatorio”
(legge-quadro: prevede che ogni regione regoli nel dettaglio la materia
con proprie leggi – in Liguria L.R. 29/1994)
Ribadisce la proprietà statale della selvaggina
Riordina l’istituto centrale di studio e controllo (Istituto Nazionale per la
Fauna Selvatica, INFS – dal 2008 confluito nell'ISPRA, Istituto Superiore per
la Protezione e la Ricerca Ambientale), “organo scientifico e tecnico di
ricerca e consulenza per lo Stato, le regioni e le province”
Introduce concetti di gestione programmata della caccia, di legame
cacciatore-territorio (Ambiti Territoriali di Caccia, Comprensori Alpini), di
bilanciamento tra interessi agricoli, venatori e di protezione ambientale
Attua formalmente diverse convenzioni e direttive soprannazionali non
ancora completamente inserite nella normativa nazionale: Parigi 1950
(protezione uccelli); Berna 1979 (cons. vita selvatica e ambiente naturale
in Europa), direttiva comunitaria “Uccelli” 1979 (con i successivi
adeguamenti del 1985 e 1991)
1992: Legge 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma
                      e per il prelievo venatorio”

 E’ una legge frutto di compromesso tra interessi contrastanti: ad es.
 Prevede sanzioni più dure (anche penali) per i trasgressori
 Prevede la necessità e le modalità per l’adeguamento continuo degli
 elenchi delle specie cacciabili o particolarmente protette alle nuove
 norme comunitarie o internazionali
 Prevede limiti minimi e massimi per le zone di divieto di caccia (Art. 10
 comma 3: “Il territorio agro-silvo-pastorale di ogni regione è destinato
 per una quota dal 20 al 30 per cento a protezione della fauna selvatica,
 fatta eccezione per il territorio delle Alpi di ciascuna regione, che
 costituisce zona faunistica a sè stante ed è destinato a protezione nella
 percentuale dal 10 al 20 per cento. In dette percentuali sono compresi i
 territori ove sia comunque vietata l’attività venatoria anche per effetto
 di altre leggi o disposizioni.”)
 Conflitti con la legge-quadro sulle aree protette (394/1991), che prevede
 il divieto di caccia per tutte le aree protette nazionali e regionali
1992: Legge 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma
                      e per il prelievo venatorio”

Inoltre la legge originariamente non distingueva tra fauna autoctona ed
alloctona: “Fanno parte della fauna selvatica oggetto della tutela della
presente legge le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono
popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale
libertà nel territorio nazionale” (Art. 2 comma 1 partim)

Solo recentemente (2014-2015) il comma 2 è stato modificato per
consentire interventi efficaci di contenimento delle specie alloctone:
 2. Le norme della presente legge non si applicano alle talpe, ai ratti,
 ai topi propriamente detti, alle nutrie, alle arvicole. In ogni caso,
 per le specie alloctone, comprese quelle di cui al periodo
 precedente, con esclusione delle specie individuate dal decreto del
 Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 19
 gennaio 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 31 del 7
 febbraio 2015, la gestione è finalizzata all'eradicazione o comunque
 al controllo delle popolazioni; gli interventi di controllo o
 eradicazione sono realizzati come disposto dall'articolo 19.
Specie parautoctone (non autoctone ma escluse da interventi di eradicazione
                     perché di antica naturalizzazione)
In altri paesi europei (situazione attuale):

Francia
Comprensori comunali (ACCA Associations Communales de Chasse Agréées), cui
aderiscono i proprietari dei terreni ricevendo un compenso economico (ma
possono anche non aderire o riservare a sé il diritto di caccia). Ogni cacciatore si
può iscrivere (pagando) ad uno o più ACCA e può avere una o più licenze
dipartimentali o una licenza nazionale
 Spagna
Terrenos cinegeticos (Cotos de caza: terreni privati gestiti dai proprietari o da
consorzi, cui si accede a pagamento – i più diffusi; Reservas regionales: terreni
demaniali gestiti dagli Enti). I cacciatori acquisiscono una licenza di caccia
regionale
 Gran Bretagna e Irlanda
La selvaggina è assoluta proprietà dei proprietari dei terreni, che possono far
cacciare, gratis o a pagamento, chiunque sulla loro proprietà (concetto
privatistico della caccia). Caccia consentita solo nelle estates, le riserve di caccia
organizzate, che interessano circa il 60% del territorio; nella restante parte non si
caccia.
Tuttavia molte specie di animali selvatici sono catturabili e abbattibili in ogni
periodo dell’anno (anche con distruzione delle uova) in tutto il Regno Unito, per la
salvaguardia della zootecnia e delle produzioni agricole.
In altri paesi europei (situazione attuale):

Germania, Austria, Belgio, Olanda, Lussemburgo
Diritto di caccia di proprietà esclusiva del proprietario del terreno (o
eventualmente di un consorzio), che può cederlo in affitto (a singoli o ad
associazioni) per periodi variabili secondo contratti specifici.

Paesi scandinavi
Il diritto di caccia appartiene al proprietario del terreno (diritto sassone).
Fa eccezione la Lapponia finlandese, dove la caccia riveste ancora
importanti funzioni economiche e di sopravvivenza, per cui sui terreni,
nella maggior parte demaniali, i Lapponi possono liberamente cacciare.
Nel resto del territorio scandinavo associazioni di cacciatori prendono in
affitto terreni di caccia. Precisi e rigorosi piani di abbattimento.
Direttiva 2009/147/CE “Uccelli selvatici”
            (sostituisce la precedente Direttiva 79/409/CEE)

Quadro normativo comune per la conservazione delle specie di
uccelli selvatici presenti allo stato naturale in tutta l’Unione europea
e dei relativi habitat.
Gli uccelli selvatici, che sono prevalentemente migratori,
costituiscono un patrimonio comune degli Stati membri, la cui
effettiva protezione implica responsabilità comuni.
La direttiva riporta due elenchi di specie:
• il primo (All. I) comprende le specie che richiedono specifici
  interventi per conservarne l’habitat idoneo (Zone di Protezione
  Speciale - ZPS);
• il secondo (All. II) comprende le specie cacciabili in tutti i Paesi o
  solo in alcuni. Per tutte le specie non inserite nell’All. II è proibita
  la caccia.
Direttiva 2009/147/CE “Uccelli selvatici”
               (sostituisce la precedente Direttiva 79/409/CEE)

La direttiva
• riconosce pienamente la legittimità della caccia agli uccelli selvatici
  come forma di sfruttamento sostenibile, con importanti ricadute di
  ordine sociale, culturale, economico e ambientale in varie zone
  dell’Unione europea.
• ma limita la caccia ad alcune specie espressamente menzionate (All. II)
  e stabilisce una serie di principi ecologici e di obblighi giuridici
  applicabili all’attività venatoria, ai quali gli Stati membri devono
  adeguare la legislazione nazionale. Tali principi e obblighi costituiscono
  la disciplina di riferimento per la gestione della caccia.
Direttiva 2009/147/CE “Uccelli selvatici”
               (sostituisce la precedente Direttiva 79/409/CEE)

La direttiva
• concerne la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi
  naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo: si prefigge la
  protezione, la gestione e la regolazione di tali specie e ne disciplina lo
  sfruttamento . La tutela non si estende agli esemplari allevati in
  cattività (a meno che non siano rilasciati in natura e non siano più
  distinguibili dagli animali selvatici)
• riguarda tutte le specie di uccelli presenti naturalmente negli Stati
  membri, comprese le specie accidentali, mentre non si estende alle
  specie introdotte (a meno che non siano esplicitamente menzionate in
  uno degli allegati della direttiva).
Gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per mantenere o
adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli ad un livello che
corrisponde in particolare alle esigenze ecologiche, scientifiche e
culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative
La Direttiva Uccelli ha stimolato intese tra il mondo venatorio (Federazione delle
associazioni venatorie europee FACE) ed il mondo protezionista (BirdLife International)
http://ec.europa.eu/environment/nature/conservation/wildbirds/hunting/docs/agreement_en.pdf
Accordo fra BirdLife International e FACE sulla direttiva 79/409/CEE
http://ec.europa.eu/environment/nature/conservation/wildbirds/hunting/docs/agreement_translation_it.pdf

Le due associazioni:
• Riconoscono l’adeguatezza della direttiva per la conservazione sia degli uccelli selvatici (comprese
  le specie cacciabili elencate nell’allegato II) che del loro habitat in uno stato di conservazione
  favorevole. Riconoscono la validità delle indicazioni contenute nella Guida alla disciplina della
  caccia nell’ambito della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici.
• Riconoscono il significato storico e perdurante dei compromessi previsti dalla direttiva per quanto
  riguarda la caccia; questi costituiscono la base della promozione comune di priorità di
  conservazione strategiche (frenare il declino della biodiversità, proteggere i siti e adeguare la
  politica agricola della CE)
• Appoggiano la creazione della Rete NATURA 2000 e riconoscono l’importanza della protezione e
  gestione attiva degli habitat per tutelare la biodiversità. In linea di principio una caccia
  correttamente gestita anche all’interno dei siti di NATURA 2000 non è incompatibile con gli
  obiettivi di conservazione del sito.
• Auspicano accordi locali, regionali o nazionali sulle pratiche di caccia agli uccelli ed un dialogo
  costruttivo fra i soggetti interessati, per valutare razionalmente gli effetti e le misure da
  adottare, basandosi sulla raccolta delle statistiche sulla caccia, la loro interpretazione scientifica
  e l’uso appropriato.
• Invitano la Commissione e gli Stati membri a mettere a punto ed applicare piani di gestione per le
  specie dell’allegato II in stato di conservazione sfavorevole.
• Offrono collaborazione per iniziative pedagogiche e di sensibilizzazione.
• Sollecitano la progressiva abolizione delle munizioni al piombo per la caccia nelle zone umide in
  tutta l’UE. Sottolineano i rischi dovuti all’immissione nell’ambiente naturale di specie o
  sottospecie non indigene.
• Istituiscono un dialogo per la ricerca del consenso attraverso riunioni periodiche, scambio di
  informazioni e collaborazione con altre organizzazioni e strutture
Nel 2004 la commissione europea pubblica un
                                                       documento (aggiornato nel 2008) per la
                                                       corretta applicazione della Direttiva Uccelli alla
                                                       disciplina della caccia, focalizzando in
                                                       particolare due aspetti:

                                                       •   Adeguamento della caccia ai principi
                                                           generali di conservazione e rispetto del
                                                           periodo riproduttivo (Art. 7)

                                                       •   Regolamentazione della possibilità di
                                                           deroga dai divieti per necessità particolari
                                                           (Art. 9)

http://ec.europa.eu/environment/nature/conservation/wildbirds/hunting/docs/hunting_guide_it.pdf
Direttiva 2009/147/CE - testo dell’articolo 7

“1. In funzione del loro livello di popolazione, della distribuzione geografica e del tasso di
riproduzione in tutta la Comunità le specie elencate all’ allegato II possono essere oggetto di atti di
caccia nel quadro della legislazione nazionale. Gli Stati membri faranno in modo che la caccia di
queste specie non pregiudichi le azioni di conservazione intraprese nella loro area di distribuzione.
 2. Le specie dell’allegato II, parte A, possono essere cacciate nella zona geografica marittima e
terrestre in cui si applica la presente direttiva.
 3. Le specie dell’allegato II, parte B, possono essere cacciate soltanto negli Stati membri per i quali
esse sono menzionate.
 4. Gli Stati membri si accertano che l'attività venatoria, compresa eventualmente la caccia col
falco, quale risulta dall'applicazione delle disposizioni nazionali in vigore, rispetti i principi di una
saggia utilizzazione [= uso sostenibile n.d.r.] e di una regolazione ecologicamente equilibrata delle
specie di uccelli interessate e sia compatibile, per quanto riguarda la popolazione delle medesime,
in particolare delle specie migratrici, con le disposizioni derivanti dall' articolo 2 (*). Essi provvedono
in particolare a che le specie a cui applica la legislazione sulla caccia non siano cacciate durante il
periodo della nidificazione né durante le varie fasi della riproduzione e della dipendenza. Quando si
tratta di specie migratrici, essi provvedono in particolare a che le specie a cui si applica la
legislazione sulla caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante il
ritorno al luogo di nidificazione. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutte le
informazioni utili sull’applicazione pratica della loro legislazione sulla caccia”.

 (*) Articolo 2
 “Gli Stati membri adottano le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di
 tutte le specie di uccelli di cui all’articolo 1 [“viventi naturalmente allo stato selvatico nel
 territorio europeo degli Stati membri” n.d.r.] a un livello che corrisponde in particolare alle
 esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e
 ricreative.”
Direttiva 79/409/CEE (“uccelli selvatici”)
               Specie inserite negli allegati II/1 e II/2 (*)

(*) gli allegati II/1 e II/2 della Direttiva 79/409/CEE corrispondono rispettivamante
agli allegati II parte A e parte B della direttiva 2009/147/CE

  Grosse discrepanze tra Stati nella frazione delle specie cacciabili (in diversi
  casi non dovute a particolari esigenze di tutela, ma a maggiore o minor
  pressione politica o capacità contrattuale)
Un caso tipico: lo Storno. Abbondante in Italia, accusato di recare danni alle colture
(soprattutto olive), cacciabile in tutti gli Stati vicini all’Italia ma non in Italia. Perché?
Schema per l’identificazione di specie cacciabili in base alla Direttiva Uccelli

                                                          uso sostenibile che ne assicuri la
                                                          conservazione e la fruibilità da
                                                          parte di altri soggetti

                                                          misure di controllo e regolazione sicure e
                                                          proporzionate al problema da risolvere
Valutazione della compatibilità
dello scaglionamento dei
periodi di caccia delle specie di
uccelli dell’allegato II con
l’articolo 7, paragrafo 4.
Nell’ottica di una saggia utilizzazione il prelievo venatorio dovrebbe essere commisurato con
il massimo rendimento sostenibile (maximum sustainable yeld), ovvero il prelievo di risorse
dall’ambiente ad un ritmo tale da consentire una sostituzione equilibrata mediante processi
naturali.
Il rendimento di una specie è direttamente collegato al suo tasso di riproduzione e di
sopravvivenza. In condizioni normali i processi densità-dipendenti mantengono le popolazioni
di uccelli ad un livello stabile.
Il prelievo venatorio, pur eliminando una quota consistente di una popolazione, può essere
compensato da una mortalità naturale inferiore e/o da un maggiore tasso di riproduzione.
Il numero massimo di uccelli cacciabili annualmente è raggiunto quando il maggior numero di
uccelli si riproduce alla maggiore velocità possibile (massimo rendimento sostenibile). Ciò
avviene quando la consistenza della popolazione nidificante è nettamente inferiore alla
capacità dell’habitat (Newton I., Population limitation in Birds, 1998).
La caccia normalmente riduce popolazioni nidificanti che hanno una bassa mortalità naturale
(specie “a strategia K”, come ad esempio le oche), ma i tassi di riproduzione di queste
popolazioni sono più elevati rispetto alle popolazioni non cacciate.
Tuttavia, data la variabilità dei sistemi ecologici e la possibilità che un susseguirsi di annate
sfavorevoli impedisca la ricostituzione delle popolazioni oggetto di caccia, i tassi di prelievo
sono generalmente fissati ad un livello inferiore al massimo rendimento sostenibile, definito
rendimento ottimale sostenibile (optimal sustainable yield).
Tali nozioni sono più facilmente adattabili alle specie stanziali che a quelle migratorie,
sottoposte a maggiore dispendio energetico e a condizioni ambientali meno prevedibili tra un
periodo riproduttivo e l’altro.
Aspetti positivi derivanti dalla gestione della selvaggina (soprattutto per le
specie stanziali)
 •   misure destinate ad assicurare la disponibilità di habitat più adatti;
 •   migliori possibilità di alimentazione;
 •   minore predazione;
 •   riduzione delle malattie e del bracconaggio;
 •   conseguente miglioramento delle condizioni di vita delle specie cacciabili e delle altre
     specie.
 Anche se i prelievi annuali possono eliminare una quota significativa della popolazione,
 tale riduzione è compensata dai vantaggi derivanti da una ridotta mortalità naturale e/o
 da un tasso di riproduzione più elevato.
 In accordo con il principio della saggia utilizzazione, le buone pratiche di gestione
 dovrebbero comunque tener conto delle necessità delle specie non cacciabili e
 dell’ecosistema.
 Risultato: nei territori sottoposti a corretta gestione la consistenza numerica della
 popolazione delle specie cacciabili e delle altre specie può essere nettamente superiore
 rispetto ai territori non sottoposti ad alcuna forma di gestione.
 In assenza di una corretta gestione una popolazione sottoposta a prelievo venatorio,
 anche se stabile e cacciata in modo sostenibile, si manterrà inevitabilmente ad un livello
 inferiore rispetto ad una popolazione in condizioni simili ma non soggetta a caccia.
Aspetti positivi derivanti dalla gestione della selvaggina (soprattutto per le
specie stanziali)

Alcuni dei siti più importanti in Europa per la fauna selvatica sono riusciti a
sopravvivere alla pressione dell’urbanizzazione e alla distruzione grazie agli
interessi legati alla gestione della selvaggina. Esempi:
Regno Unito: la più vasta zona di brughiere esistente in Europa grazie soprattutto
all’importanza per la caccia ai tetraonidi;
Spagna: le popolazioni residue di aquila imperiale iberica (Aquila adalberti) sono
riuscite a sopravvivere nelle grandi riserve di caccia private;
Francia: le popolazioni selvatiche di starna (Perdix perdix) sono numerose in
alcune regioni ad agricoltura intensiva, dove è avvenuto il ritiro dalla produzione
di migliaia di ettari di terreno per la tutela della fauna selvatica (“Jachère faune
sauvage”), con il sostegno finanziario dei cacciatori.
Zone umide: tradizionale ambiente di caccia, ma nel quale tale attività può
avere maggiori ripercussioni negative:
• grandi concentrazioni di uccelli selvatici (cacciabili e non cacciabili): la
  caccia alle specie consentite può disturbare anche le altre;
• accumulo di piombo nell’acqua, con possibile intossicazione della fauna

Nella comunicazione sull’uso razionale e la conservazione delle zone umide
(COM (95) 189 def. del 29.05.1995.) la Commissione individua l’uso
sostenibile delle risorse come uno dei principali problemi delle zone umide
e fa espresso riferimento alla caccia agli uccelli:
“La caccia agli uccelli acquatici nelle zone umide europee costituisce un
passatempo diffuso e può rappresentare un'importante fonte di reddito per
i proprietari delle zone umide. Giustamente le associazioni dei cacciatori
stanno assumendo un ruolo importante nella conservazione delle zone
umide. Il principio dell'uso sostenibile delle risorse rappresentate dagli
uccelli acquatici può contribuire sostanzialmente alla conservazione delle
zone umide, purché siano previsti l'impiego di munizioni non tossiche, la
fissazione di limiti quantitativi alla caccia, la creazione di un'adeguata rete
di riserve di caccia e l'adeguamento delle stagioni venatorie ai requisiti
ecologici delle specie. Anche questi aspetti sono disciplinati dalla direttiva
79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici”.
Direttiva 2009/147/CE - testo dell’articolo 9
“1. Sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti, gli Stati membri possono derogare agli
articoli da 5 a 8 per le seguenti ragioni:
a) - nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica,
- nell'interesse della sicurezza aerea,
- per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque,
- per la protezione della flora e della fauna;
 b) ai fini della ricerca e dell' insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per
l'allevamento connesso a tali operazioni;
 c) per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la
detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità.

2. Le deroghe di cui al paragrafo 1 devono menzionare:
 le specie che formano oggetto delle medesime;
i mezzi, gli impianti o i metodi di cattura o di uccisione autorizzati;
le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono essere applicate;
l' autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono soddisfatte e a decidere quali
mezzi, impianti o metodi possano essere utilizzati, entro quali limiti e da quali persone;
 i controlli che saranno effettuati.

3. Gli Stati membri inviano ogni anno alla Commissione una relazione sull'applicazione dei
paragrafi 1 e 2.

4. In base alle informazioni di cui dispone, in particolare quelle comunicatele ai sensi del
paragrafo 3, la Commissione vigila costantemente affinché le conseguenze delle deroghe di cui al
paragrafo 1 non siano incompatibili con la presente direttiva. Essa prende adeguate iniziative in
merito.”
Per autorizzare la caccia in deroga
occorre verificare il rispetto delle
condizioni generali per l’esercizio
delle deroghe:
 1) dimostrare l’assenza di altre
soluzioni soddisfacenti
 2) dimostrare l’esistenza di uno
dei motivi previsti all’articolo 9,
paragrafo 1, lettere a), b) e c)
 3) soddisfare i rigorosi requisiti
formali previsti all’articolo 9,
paragrafo 2
L’Italia ha adeguato la sua legislazione alle condizioni richieste dalla
Direttiva solo nel 2002:

ART. 19-bis della legge 157/92 (introdotto dalla legge 221/02)
Ricalca essenzialmente il contenuto dell’art. 9 della Direttiva,
demandando alle Regioni la disciplina dell’esercizio delle deroghe in
conformità con le prescrizioni dell’art. 9 (ma il Governo può annullare
provvedimenti di deroga in contrasto con la Direttiva)

La Regione Liguria ha emanato diverse leggi con l’intento di adeguarsi
alla normativa nazionale ed europea. Relativamente alle deroghe, dopo
diversi rilievi ufficiali dalla UE, ha emanato la
 Legge regionale 31 ottobre 2006 n. 35: Attuazione dell’articolo 9
della direttiva comunitaria 79/409 del 2 aprile 1979 sulla
conservazione degli uccelli selvatici. Misure di salvaguardia per le zone
di protezione speciale
Nello stesso giorno (31/10/2006) la stessa Regione ha approvato la
Legge regionale 31 ottobre 2006 n. 36: Attivazione della deroga per la
stagione venatoria 2006/2007 ai sensi dell'articolo 9 comma 1, lettera a,
terzo alinea della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli
selvatici

La seconda legge non rispettava la prima:
 - non vi era riferimento all'avvenuta verifica che non vi siano altre soluzioni
soddisfacenti;
- le motivazioni addotte non risultavano documentate;
- non veniva esplicitato il parere dell'INFS (obbligatorio ai sensi della LR
35/2006), ma semplicemente si dichiarava di "averlo sentito";
- non veniva specificato il numero dei capi prelevabili complessivamente
nell'intero periodo, ma solo il limite massimo di prelievo giornaliero e
stagionale per soggetto autorizzato.
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