Controllo dell'innovazione e Market-Driven Management nelle imprese del Fast Fashion

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© SYMPHONYA Emerging Issues in Management, n. 2, 2010
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                    Controllo dell’innovazione e
                    Market-Driven Management
                   nelle imprese del Fast Fashion
                                                       Elisa Arrigo∗

                                                    Abstract
   In mercati iper-competitivi, l'innovazione è fondamentale per la crescita delle imprese market-driven. Un
esame di casi studiati di aziende globali altamente competitive nel settore fast fashion, rivela che la com-
prensione approfondita del mercato, derivante dalla gestione diretta dei loro negozi, consente a multina-
zionali come Zara, Gap e H & M di sviluppare una capacità di gestione dell'innovazione. Questo rappre-
senta il driver fondamentale per il successo competitivo dell'azienda.

Keywords: Market-Driven Management; Innovazione; Fast Fashion; Competitione Globale; Caso Zara;
Caso Gap; Caso H&M

1. Market-Driven Management e gestione dei flussi informativi

   Negli ultimi anni, molte imprese hanno intrapreso percorsi di sviluppo
fondati su un orientamento competitivo al mercato attraverso: la creazione
di una solida cultura aziendale indirizzata all’esterno; alcune capacità di-
stintive nel comprendere il mercato; e una configurazione strutturale in
grado di gestire efficacemente i flussi informativi (Brondoni, 2009; Day,
1994). Un’impresa market driven è, infatti, inserita in un sistema di rela-
zioni aziendali che consente un migliore accesso alle informazioni riguar-
danti i clienti, i concorrenti e gli altri attori del contesto competitivo (Nar-
ver, Slater, 1990; Kohli, Jaworski, 1990).
   Nei principali contributi teorici del market-driven management, il ruolo rive-
stito dalla gestione dei flussi informativi è sempre stato centrale. Kohli e Ja-
worski (1990), ad esempio, definiscono l’orientamento al mercato come la
capacità dell’impresa di generare, disseminare e utilizzare un’informazione
superiore circa i propri clienti e concorrenti. I processi chiave di tale approc-
cio, secondo gli autori, riguardano: l’implementazione di meccanismi di mar-
ket intelligence e la diffusione su base continuativa dei dati acquisiti; la loro
analisi ed elaborazione; e, infine, una soddisfazione adeguata ed anticipata
dei bisogni del mercato. Narver e Slater (1990) sostengono poi che, oltre ad
un orientamento alla domanda ed un orientamento alla concorrenza,
un’impresa market-driven si connoti per la presenza di un coordinamento in-
terfunzionale in grado di ottimizzare l’acquisizione delle informazioni su clienti
e imprese rivali e di diffonderle all’intera organizzazione.
   Si può, dunque, affermare che l’orientamento al mercato promuova la
raccolta di indicazioni e dati relativi alla domanda, ai concorrenti e ai trend
ambientali. Tuttavia, tali informazioni servono da piattaforma per generare
attività future solo se l’impresa sviluppa una capacità di apprendimento
che facilita l’acquisizione, l’interpretazione e l’incorporazione della cono-
scenza generata nelle procedure aziendali (Baker, Sinkula, 1999). Pertan-

∗
    Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese, Università degli Studi di Milano-Bicocca

Edited by: ISTEI - University of Milan-Bicocca                                                                ISSN: 1593-0300
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to, non si tratta semplicemente di raccogliere molte informazioni, bensì di
generare nuova conoscenza grazie anche all’interazione con gli altri attori
del mercato.
   Baker e Sinkula (2002) evidenziano come la propensione all’apprendimento
derivi dalla presenza, all’interno della cultura aziendale, di valori che spin-
gono l’impresa a ricercare in modo proattivo nuova conoscenza anche a
costo di rimettere in gioco lo status quo pre-esistente. In effetti, le azioni di
market information processing, di importanza critica per la pianificazione
strategica, discendono dal grado di orientamento al mercato dell’impresa:
più l’impresa è focalizzata sullo studio dei concorrenti e della domanda,
maggiore sarà la sua predisposizione a processare molte informazioni.
   L’evidenza empirica mostra, inoltre, che market-driven management e at-
titudine all’apprendimento sono entrambe correlate positivamente alla ca-
pacità di intraprendere innovazioni future, ovvero in un’impresa fortemente
orientata al mercato e strutturata per generare nuova conoscenza si deter-
                                               1
mina una maggiore capacità di innovazione (Baker, Sinkula, 2002; 2009).
Quindi creazione di know-how e miglioramento dei processi di apprendi-
mento rappresentano per l’impresa orientata al mercato sia una reazione
alle sfide poste dalla dinamicità e turbolenza dei mercati globali che un
meccanismo su cui fondare un positivo confronto con la concorrenza.

2. La capacità di controllo dell’innovazione

  Per competere con successo, l’impresa market-driven apprende dal
mercato più velocemente dei competitor e, a tal fine, sviluppa un insieme
di competenze e conoscenze che le consentono di coordinare le diverse
attività aziendali su scala globale.

              □ In relazione al continuo interscambio con l’ambiente, Day
           (1994) individua tre tipologie di capacità: outside-in capabilities
           (legano le strategie aziendali all’analisi ed interpretazione
           dell’ambiente esterno e sono attivate dalle richieste del merca-
           to, dalle sfide competitive e dalle opportunità esterne); inside-
           out capabilities (riguardanti i processi interni all’impresa di tra-
           sformazione, logistica, gestione delle risorse umane, al fine di
           cogliere le opportunità esterne) e spanning capabilities (neces-
           sarie per integrare le capacità inside-out con quelle outside-in).

  Le imprese orientate alla concorrenza pongono particolare attenzione
allo sviluppo delle capacità outside-in mirando ad individuare una propria
core competence (Prahalad, Hamel, 1990) ovvero una particolare abilità
che contraddistingue ogni impresa dai competitor. Poiché il mercato at-
tuale è in continua evoluzione, tale capacità deve essere dinamica (Tee-
ce, Pisano, Shuen, 1997) per seguire i cambiamenti dei contesti operativi
e rendere l’organizzazione flessibile.
  Le imprese market-driven sono in grado di integrare, costruire e riconfigura-
re competenze interne ed esterne per allinearsi e rispondere rapidamente ai
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mutamenti ambientali. Nei mercati globali, le stesse controllano molteplici va-
riabili competitive sapendo che le dimensioni di costo e qualità sono driver
necessari ma non sufficienti ad acquisire una superiorità sui concorrenti. Il
focus strategico delle imprese, quindi, si sposta dalla ricerca del minimo co-
sto o dal presidio della qualità in un segmento alla capacità di innovare. In
effetti, a miglioramenti nell’efficienza produttiva spesso si accompagnano per-
fezionamenti qualitativi e, talvolta, ciò è possibile grazie al sistema di relazioni
competitive nel quale l’impresa è inserita (Zucchella, 2004). I network di part-
nership che sovente si creano tra imprese per raggiungere obiettivi condivisi
permettono di conseguire contemporaneamente sia vantaggi di costo, attra-
verso la realizzazione di economie di scala e di scopo, che di differenziazio-
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ne. Nei contesti ipercompetitivi, dunque, l’innovazione diventa fondamentale
per mantenere una posizione di predominio nel mercato.
   L’innovazione, parte integrante delle strategie volte a generare una supe-
riorità competitiva, può riguardare diversi aspetti della gestione aziendale
quali: forme organizzative, processo logistico, tecnologie dell’informazione,
outsourcing produttivo, ecc. È complesso, in tal caso, riuscire a classificarne
le diverse tipologie visto l’ampio spettro di opzioni disponibili. Hamel (1996),
ad esempio, definisce innovativa l’impresa rule breaker, ovvero capace di
cambiare le regole del gioco competitivo; per Abell (1978), invece, è innovati-
va l’impresa in grado di riconfigurare in modo originale gli elementi del busi-
ness system ritagliandosi un nuovo spazio di mercato (Strategic Windows).
   La propensione strategica all’innovazione di un’impresa si può com-
prendere già dall’enunciazione della mission aziendale: più ampia è la de-
finizione del business nel quale l’impresa intende operare, maggiori sa-
ranno le possibilità di sviluppo in termini di innovazioni future.

             □ Ad esempio, il business concept di H&M è: ‘to give the
           customer unbeatable value by offering fashion and quality at
           the best price’. Il business indicato è quello della moda in
           senso ampio, non il più circoscritto settore dell’abbigliamento.
           E infatti, negli anni ’50, l’impresa iniziò l’attività vendendo solo
           capi di abbigliamento uomo-donna, mentre ora nei suoi store
           si trovano anche accessori, cosmetici e prodotti di bellezza.

  Nelle imprese globali che operano in mercati competitivi, i processi di
innovazione possono discendere da capacità sviluppate internamente op-
pure da richieste della domanda o da un’interazione con i clienti o i part-
ner che compartecipano alla definizione di una nuova offerta. In determi-
nate circostanze, l’innovazione nasce da un processo di imitazione dei
concorrenti; in tal caso, però, l’impresa non sviluppa direttamente al suo
interno una capacità innovativa distintiva, bensì riproduce bene e rapida-
mente un’innovazione che altre imprese hanno ideato e lanciato sul mer-
cato prima di lei.
  In contesti ipercompetitivi, le imprese market-driven devono possedere
tra le loro capacità distintive, una ‘innovation management capability’ per-
ché solo attraverso incessanti processi di innovazione, potranno raggiun-
gere una buona posizione competitiva ed acquisire successivi vantaggi
sulla concorrenza. L’espressione ‘capacità di controllo dell’innovazione’
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sottolinea la tensione dell’impresa a presidiare una variabile competitiva
difficile da gestire proprio in virtù della molteplicità di forme in cui può ma-
nifestarsi ed attuarsi oltre che della elevata pressione concorrenziale pre-
sente negli attuali mercati. Ovviamente, la capacità di gestire efficace-
mente l’innovazione deriva dall’abilità dell’impresa di sfruttare al meglio il
patrimonio informativo di cui dispone, generando apprendimento (grazie
al market information processing) e nuova conoscenza.
   Attraverso l’innovation management capability, l’impresa cerca di tenere
sotto controllo tutte le fonti di innovazione nonché quelle attuate dai compe-
titor al fine di saper cogliere nuove opportunità di business. Infatti, il van-
taggio competitivo acquisito da una data impresa, in un definito tempo e
spazio di concorrenza, non può essere mantenuto nel lungo periodo in con-
testi concorrenziali contraddistinti da elevato dinamismo. Quindi, è l’impresa
stessa a ‘rompere’ l’equilibrio tra i competitor, sviluppando l’innovazione
con continui avanzamenti di prodotto e con la creazione e l’abbandono di
‘vuoti’ di domanda (market-bubble management) (Brondoni, 2009).
   Un ruolo-chiave nella gestione della capacità di controllo dell’innovazione
è rivestito dal fattore tempo (time-based management) e dal patrimonio in-
formativo aziendale. Di fatto, sia nel caso dell’innovazione originata da una
capacità distintiva aziendale che in quello di imitazione dai concorrenti, lo
sviluppo e la gestione dell’idea innovativa deve avvenire nel minor tempo
possibile. In tal modo, si riduce l’intervallo tra l’ideazione dell’innovazione, o
l’individuazione di quella da imitare, ed il momento in cui l’impresa si pre-
senta sul mercato con un’offerta dal valore percepito superiore a quello di
offerte rivali. Per un’impresa orientata al mercato controllare l’innovazione
da un punto di vista strategico significa, infatti, sia monitorare continuamen-
te le innovazioni adottate dai concorrenti che valutarne i risultati in termini di
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valore per il cliente finale . Inoltre, il sistema informativo aziendale avrà il
compito primario di sviluppare nuova conoscenza del mercato e di gestire i
flussi produttivi, logistici e finanziari affinché le azioni strategiche si compia-
no nei tempi stabiliti. E poiché la dinamicità dei mercati e l’accesa rivalità tra
imprese richiedono azioni rapide ed efficaci, la capacità di controllo
dell’innovazione comporterà la predisposizione di sensori in grado di rico-
noscere i segnali indicativi delle tendenze future e di meccanismi per cata-
logare ogni dato o informazione influente sulla sua attività.
   L’orientamento competitivo alla concorrenza spinge, pertanto, le imprese
ad esercitare un’influenza sulla struttura del mercato o sui comportamenti
dei suoi attori al fine di migliorare la propria competitività. Le imprese vanno
oltre la semplice osservazione dei competitor rivali e la comprensione delle
esigenze dei consumatori. Jaworski et al. (2000) e Tuominem et al. (2004)
sottolineano proprio come le imprese orientate al mercato rimodellino la lo-
ro filiera produttiva eliminando ed aggiungendo partner a seconda delle
condizioni che contraddistinguono i singoli mercati oppure assegnando
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nuovi ruoli ai partner già esistenti a seconda delle esigenze aziendali . Tali
imprese, quindi, sono fortemente innovative e possiedono una spiccata ca-
pacità di controllo dell’innovazione anche all’interno della propria filiera.
   Le considerazioni fin qui svolte a livello teorico trovano un’applicazione
concreta nel settore del fast fashion che rappresenta un ambito applicativo
di particolare interesse. Infatti, in primo luogo, si confronta con il settore
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dell’abbigliamento, segnato da eccesso di offerta ed elevata competizione.
E, inoltre, si caratterizza per la presenza di numerose innovazioni strategi-
che e per un focus sulla fase distributiva dei prodotti.
   Il presente lavoro si prefigge l’obiettivo di approfondire le diverse moda-
lità con cui le più importanti imprese del fast fashion sviluppano la capaci-
tà di controllo dell’innovazione attraverso la gestione diretta della propria
rete di vendita a livello globale. Negli ultimi anni, infatti, a seguito della
globalizzazione dei mercati molte imprese hanno intrapreso piani di allar-
gamento delle attività (market-space management) dando origine a me-
ga-organizzazioni, con network globali, che instaurano relazioni di concor-
renza che oltrepassano le organizzazioni internazionali. (Brondoni, 2008)
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   A tal fine, si è compiuta una ricerca con l’analisi di case study (Yin, 2003;
Gummesson, 2000) di alcune grandi imprese globali ad alto profilo competi-
tivo. Le imprese selezionate per l’analisi sono la spagnola Zara (apparte-
nente al gruppo Inditex), la svedese Hennes & Mauritz (H&M) e la statuni-
tense Gap (del gruppo Gap Inc.) in quanto le uniche integrate a monte, do-
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tate di catene di negozi monomarca ed operanti a livello globale . Inoltre, le
imprese selezionate investono notevoli risorse nell’innovazione come si ri-
leva, da un lato, dalla varietà dei prodotti moda venduti e, dall’altro, dalle
nuove modalità di gestione, di distribuzione e di comunicazione che hanno
introdotto. Lo studio dei casi e la raccolta dei dati sono basati su fonti se-
condarie (literature review, documenti aziendali quali bilanci annuali, report
sociali ed ambientali, comunicati stampa, sito web) e su interviste e colloqui
con manager ed esperti del settore.

3. Fast Fashion Market-Driven Firms

   Nella struttura del settore moda è possibile distinguere: l’haute couture
(capi molto prestigiosi, accessibili a pochi, spesso prodotti a mano e su
misura per un’occasione speciale), il prêt-à-porter (deriva da un processo
di democratizzazione della haute couture ed è relativo a capi portabili nel-
la vita di tutti i giorni), il diffusion (relativo alle seconde linee dei grandi sti-
listi, dirette ad un pubblico ampio), il bridge (include creazioni più accessi-
bili e funzionali) e, infine, il mass market (relativo alle imprese specializza-
te nel vendere capi di moda ad un prezzo basso e per un pubblico molto
ampio) (Cillo, Verona, 2008).
   In quest’ultimo gruppo del mass-market, si collocano le imprese del fast
fashion Zara, H&M e Gap che sono capaci di unire la focalizzazione sulla
moda con un prezzo accessibile. Il loro ingresso sul mercato ha sostenuto
i consumi a livello globale nel settore dell’abbigliamento nonostante
l’attuale crisi economica. Coniugando la velocità dei processi con un bre-
ve time to market e con la creazione di un brand originale, distintivo e for-
temente riconoscibile, tali imprese hanno occupato posizioni di rilievo an-
che in settori correlati a quello della moda. Dall’iniziale focalizzazione
sull’abbigliamento uomo, donna, bambino si sono interessate anche
all’underwear, al beach wear, alle scarpe e agli accessori (sciarpe, oc-
chiali da sole, cappelli, cinture, ecc.).

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  H&M, Zara e Gap sono spesso definite fashion retailer per metterne in
evidenza la costante focalizzazione sulla fase distributiva dei loro prodotti;
in effetti, la forte competizione e la saturazione della domanda hanno sot-
tolineato per tutte le imprese la necessità di avere il controllo della rete
                                                                            7
distributiva, al fine di essere vicine al mercato e al consumatore finale .
Molte imprese appartenenti a questo settore hanno intrapreso strategie di
integrazione verticale a dimostrazione della rilevanza di possedere la rete
di vendita e questo anche a costo di esternalizzare l’intera produzione o
una parte di essa a partner esterni (Tokatli, 2008).

  Di seguito è proposta una breve descrizione delle imprese del fast fa-
shion scelte per l’analisi.

              □ La catena svedese H&M (Hennes & Mauritz AB), fondata da
           Erling Persson a Vasteras nel 1947, è quotata al Nasdaq OMX
           di Stoccolma. Nel 2009 ha registrato un fatturato di circa 119 mi-
           liardi di corone svedesi (pari a circa 13,273 miliardi di euro). Con
           circa 76.000 dipendenti, opera in 34 Paesi e nei suoi negozi, ri-
           forniti quotidianamente, sono venduti: capi di abbigliamento
           (donna, uomo, adolescenti e bambini), cosmetici e accessori. Le
           collezioni sono create da un team composto da cento designer
           che lavorano a stretto contatto con la funzione degli approvvi-
           gionamenti e con i partner. H&M non si occupa direttamente del-
           le attività di manufacturing, non possedendo alcuno stabilimento
           produttivo, bensì si rifornisce da numerosi supplier indipendenti.
           Recentemente, H&M ha intrapreso una strategia di brand portfo-
           lio acquisendo i brand: COS-Collection of Style (di cui esistono
           23 store), Monki (con 35 store), WeekDay (con 10 store) e, infi-
           ne, Cheap Monday (con uno store). H&M è entrata anche nel
           business dei prodotti per la casa con la marca H&M Home che
           ha un unico showroom a Stoccolma. Come si può notare dalla
           Figura 1, relativa alla ripartizione delle vendite di H&M per ma-
           croaree geografiche, il 93,7% delle stesse si realizza al di fuori
           del paese di origine dell’impresa (Svezia).

Figura 1: Vendite di H&M per area geografica (2009)

                                                0,59% 6,30%
                                       9,11%
                               2,61%

                                                                                     81,39%

                                Europe   Asia   North America   Middle East and other regions   Sweden

Fonte: elaborazione dell’autore su dati H&M (H&M Annual Report 2009).

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              □ Zara è uno degli otto brand (Zara, Massimo Dutti, Pull and
           Bear, Oysho, Bershka, Stradivarius, Zara Home e Uterque) del
           gruppo spagnolo Inditex creato nel 1985 da Amancio Ortega
           Gaona e quotato in borsa dal 2001. Con 92.301 dipendenti, il
           gruppo ha registrato, nel 2009, un fatturato di 11,084 miliardi di
           euro. Zara, fondata nel 1975 a La Coruña, guida oggi il gruppo
           con un fatturato 2009 pari a 7.077 milioni di euro, quindi, de-
           terminando quasi il 64% del fatturato globale di Inditex. Il primo
           store al di fuori del confine spagnolo è stato inaugurato nel
           1988, in Portogallo; da allora la crescita è stata molto alta tanto
           che oggi Zara è presente anche in paesi culturalmente lontani
           dalla Spagna come, ad esempio, l’Arabia Saudita o il Giappo-
           ne, la Cina e l’India. A differenza dei principali competitor, Zara
           produce direttamente una parte dei suoi capi di cui controlla
           l’intera catena di fornitura, ciò consente all’impresa di variare
           velocemente l’assortimento dei prodotti a seconda
           dell’andamento delle vendite. La restante parte della produzio-
           ne è in outsourcing presso imprese localizzate per lo più in Eu-
           ropa e Asia. Il team creativo, composto da duecento persone,
           predispone le collezioni, fornendo i disegni e i bozzetti ai part-
           ner esterni. Come si evince dalla Figura 2, il 68% delle vendite
           di Inditex avviene al di fuori della Spagna.

Figura 2: Vendite di Inditex per area geografica (2009)

                                             10,21%

                          12,21%

                                                                                                    45,75%

                                31,83%

                                                 Europe   Spain    Asia   America

Fonte: elaborazione dell’autore su dati Inditex (Inditex Annual Report 2009).

              □ Gap Inc., fondato nel 1969 a San Francisco da Doris e Don
           Fisher, è uno dei maggiori specialty retailer, il cui titolo è quotato
           alla borsa di New York. Il gruppo, con circa 134.000 dipendenti,
           ha registrato nel 2009 un fatturato pari a 14,2 miliardi di dollari
           (pari a circa 10,627 miliardi di euro). Possiede i brand Gap, Old
           Navy, Piperlime, Athleta e Banana Republic attraverso cui distri-
           buisce prodotti per la cura della persona, capi di abbigliamento e
           accessori donna, uomo, bambino. Gap, Banana Republic e Old
           Navy hanno negozi, mentre Piperlime e Athleta vendono solo
           online. Il brand Gap è stato recentemente introdotto in numerosi

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            mercati esteri (Asia, Indonesia, Malesia, Singapore, Sud Korea,
           Israele, Emirati Arabi) e, in effetti, il 34% delle sue vendite avvie-
           ne al di fuori degli Stati Uniti. Le collezioni sono disegnate in par-
           te da designer interni all’impresa e, in parte, acquisite da stilisti
           esterni. La produzione, invece, è totalmente in outsourcing e il
           99% degli articoli venduti da Gap Inc. è fabbricato al di fuori degli
           Stati Uniti. Tuttavia le vendite sono in gran parte concentrate
           negli Stati Uniti, solo il 20% è al di fuori del Paese di origine, co-
           me mostrato in Figura 3.

Figura 3: Vendite di Gap Inc. per area geografica (2009)

                                           0,44%    6,58%              7,10%
                                                                                     5,68%

                                                    80,20%

                                 Europe    Asia    Usa   Middle East and other regions    Canada

Fonte: elaborazione dell’autore su dati Gap Inc. (Gap Inc. Annual Report 2009).

  I driver di sviluppo delle imprese del fast fashion analizzati in letteratura
sono molteplici e sono spesso interrelati fra loro. L’affermazione di tali im-
prese nello scenario competitivo globale deriva dalla loro capacità di con-
trollarli tutti contemporaneamente e a livello sovranazionale.
  Nei paragrafi successivi, si intende pertanto sistematizzare i principali
elementi di analisi del fast fashion ed apportare un ulteriore contributo at-
traverso lo studio della struttura distributiva globale di tali imprese, fattore
che si è ipotizzato favorire la capacità di controllo dell’innovazione.
  I vettori di sviluppo di Gap, H&M e Zara possono essere ricondotti a tre
aspetti fondamentali:
   - gestione della Supply Chain con costante attenzione al Time Ma-
         nagement;
   - Information Management e sviluppo dell’Information Communica-
         tion Technology; e
   - Store management e capacità customer linking.

3.1 Fast Fashion, Supply Chain e Time-Based Competition

  La velocità dei processi è un elemento certamente essenziale nella
strategia di Zara, H&M e Gap ma non è l’unico a decretarne il successo;
la variabile ‘tempo’ si inserisce nella gestione dell’intera filiera dalle prime
fasi di scelta dei materiali fino alla creazione di numerosi negozi in tutti i
Paesi industrializzati.
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  Il tempo è critico per qualsiasi tipo di impresa appartenente al settore fa-
shion, dato che ogni capo diventa velocemente ‘fuori moda’. Tradizional-
mente gli stilisti iniziano a pianificare le collezioni relative alle stagioni suc-
cessive fino a otto mesi prima del lancio sul mercato, ovviamente con un
elevato rischio di insuccesso dovuto alla instabilità della domanda e al bre-
ve ciclo di vita del prodotto abbigliamento. Le imprese che operano nel fast
fashion non necessitano di così tanto tempo per definire la propria offerta,
in quanto aspettano le presentazioni delle collezioni da parte delle grandi
Maison (che avvengono almeno una stagione in anticipo), identificano le
tendenze prevalenti e disegnano i loro capi seguendo tali trend. In tal mo-
do, possono procedere ad una nuova offerta di capi solamente in quattro-
sei settimane. La logica di time-based competition comporta una riduzione
dei tempi di ogni fase della filiera produttiva, partendo dai tempi di approv-
vigionamento fino a quelli di fabbricazione e vendita e il brevissimo tempo
intercorrente tra la progettazione del prodotto e la sua commercializzazione
permette di proporre un’offerta sempre molto ‘alla moda’.

              □ Zara takes only four to five weeks to design a new collec-
           tion and then a week to make it. With its team of commercials
           sniffing out new fashions while keeping in constant contact
           with store managers, the company can spot and react to
           trends quickly, including taking something stylish off a music
           video. Other retailers, in contrast, need an average of six
           months to design a new collection and then another three
           months to manufacture it, according to Inditex Chief Execu-
           tive Jose Maria Castellano. ‘Fashion expires, much the same
           way yogurt does,’ he says. ‘Being so quick allows us to re-
           duce to a minimum the risk of making a mistake – and we do
           make mistakes – with our collections’ (Vitzthum, 2001, p. B1).

   La rapidità e la necessità di controllare le fasi della produzione, talvolta,
disincentivano scelte di localizzazione in luoghi troppo lontani, nonostante
questi offrano un costo dei fattori produttivi nettamente inferiore a quello
del paese di origine (Mihm, 2010). La decisione di optare per una prossi-
mità geografica dei partner si lega anche al problema del costo del tra-
sporto che, in seguito al rialzo del prezzo del petrolio, incide pesantemen-
te sul prezzo finale del prodotto.
   Sullivan e Kang (1999) definiscono questo approccio ‘quick response’
fondato sulla modalità produttiva del just-in-time ma riferita alle imprese
dell’abbigliamento. Per avere un breve time to market e arrivare sul mer-
cato prima dei concorrenti, le imprese dispongono di sistemi produttivi
flessibili e di un’efficientissima catena di fornitura all’interno della quale i
tempi di ogni attività sono ridotti al minimo e la puntualità di consegna da
parte di ogni anello della catena diventa un imperativo strategico.

             □ Al 31 gennaio 2010, il gruppo Inditex ha un network di 1237
           fornitori con cui mantiene stabili relazioni basate sul External
           Manufacturers and Workshops Code of Conduct che deve esse-
           re sottoscritto da ogni partner prima di iniziare la collaborazione

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           e che lo vincola a rispettare sia i tempi che gli standard richiesti
           per ogni fornitura (Inditex Report 2009, p. 17).

              □ Gap Inc. si approvvigiona da circa 3000 supplier dislocati
           in più di 50 paesi ai quali fa sottoscrivere il Code of Vendor
           Code. La scelta di operare con un così elevato numero di part-
           ner si spiega con la necessità di distribuire meglio i rischi deri-
           vanti da: ritardi nelle consegne, problemi di spedizione, au-
           menti improvvisi della domanda di prodotti, non conformità agli
           standard prefissati, su un numero maggiore di imprese fornitri-
           ci. (Gap Inc. Annual Report 2009)

             □ H&M ha 15 uffici di produzione, in Asia e Europa, che lavo-
           rano a stretto contatto con 700 fornitori. Questi ultimi si impe-
           gnano a rispettare gli standard di H&M che con numerose
           ispezioni nelle fabbriche dei partner controlla sia la qualità dei
           prodotti sia il rispetto delle norme relative alle condizioni di la-
           voro e all’impatto ambientale come stabilito dalle politiche di
           responsabilità sociale. (H&M Annual Report 2009)

   Le imprese, dando particolare enfasi alle attività poste a valle della filie-
ra e rifornendosi in outsourcing, optano per l’accentramento di tutti i pro-
dotti, provenienti dai diversi fornitori, in pochissimi centri distributivi. In tali
magazzini, i capi sono posizionati in due settori a seconda che siano pie-
gati o appesi e sono catalogati per modello, colore, taglie così da consen-
tirne una rapida movimentazione.

3.2 Fast Fashion, ICT e Information Management

   Il controllo della catena di fornitura e la riduzione del time to market so-
no supportati da innovativi processi informatici che permettono di seguire
il prodotto in tutti i suoi spostamenti. L’Information Communication Tech-
nology (ICT) è assolutamente essenziale per gestire l’enorme quantità di
dati e informazioni che scorre in modo circolare fra i diversi reparti azien-
dali oltre che tra le imprese-partner.
   Nelle imprese del fast fashion, l’ICT ha prodotto trasformazioni rilevanti
non solo con riferimento al sistema di gestione degli ordini che vengono
ora trasmessi in tempo reale, ma anche con una nuova impostazione
produttiva che interessa tutte le attività d’impresa, a partire dal disegno
del capo fino alla consegna presso il punto vendita. Al fine di ridurre i
tempi, ad esempio, si pensa che presto saranno utilizzati con sistematicità
i ‘digital design’, in cui la velocità della produzione è determinata dalla ra-
pida digitalizzazione dell’immagine e dall’industrializzazione del progetto.
La tecnologia migliora anche l’efficienza dei magazzini centrali in cui gli
abiti confezionati sostano per un breve tempo accanto agli stabilimenti
produttivi; qui sorter automatici smistano i capi per tipologia, modello, co-
lore e confezionano con la massima velocità gli ordini di merce da inviare
ai punti vendita (Forza, Vinelli, 1997).

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  Grazie a particolari innovazioni nei software presenti negli store, la ge-
stione dei riassortimenti è facilitata e i capi possono essere consegnati
celermente già prezzati e pronti per l’esposizione. Inoltre, l’introduzione
della tecnologia Rfid (Radio Frequency Identification) nel processo di tra-
sporto del prodotto dal magazzino del fornitore al punto vendita e
all’acquisto da parte del consumatore, ha permesso un miglior monitorag-
gio dei prodotti lungo la supply chain, razionalizzando anche il processo di
order entry (Garrido et al., 2009).

              □ Secondo recenti dati dell'americana Abi Research,
           nell'industria dell'abbigliamento, l'Rfid non è più un fenomeno
           legato ad alcuni progetti pilota condotti da un numero limitato
           di aziende su movimentazioni consistenti. Il comparto, a tutti i
           livelli della filiera, ha colto nell'Rfid un'opportunità di gestire al
           meglio tutta la Supply Chain e, soprattutto, di potenziare le
           vendite grazie anche a una ottimizzazione degli inventari e di
           una totale visibilità degli stock a magazzino. Gli analisti hanno
           stimato che nei prossimi cinque anni la vendita di sistemi Rfid
           nel settore del tessile triplicherà, raggiungendo alla fine del
                                                      8
           2014 il valore di 125 milioni di dollari .

  Le fonti principali di informazioni necessarie a impostare le attività di design
e progettazione dei prodotti nel fast fashion sono rappresentate
dall’osservazione diretta della realtà e dall’analisi dei dati di vendita. Nella
realtà esistono molteplici fonti di ispirazione: riviste di moda, sfilate, pubblica-
zioni dei competitor, lo stile seguito da personalità pubbliche e opinion leader,
le serie televisive o i luoghi frequentati dai giovani, come le università.

             □ Relativamente alla ricerca stilistica, Zara non investe mol-
           te risorse nello studio dei nuovi trend ma risponde a questi
           molto velocemente; pertanto, non si può definire un innovato-
           re first mover bensì un follower che imita bene e rapidamente
           quello che altri hanno individuato come tendenza emergente.
           Per questo motivo, il suo designer team presidia le sfilate del-
           le grandi case di moda e gli altri eventi fashion e, inoltre, tiene
           sotto controllo i trend generator per carpire gli orientamenti
           futuri e predisporre la collezione.

             □ H&M ha invece intrapreso, da alcuni anni, delle collabo-
           razioni con designer molto famosi come Karl Lagerfeld, Stella
           McCartney, Viktor & Rolf, Roberto Cavalli, Comme des Ga-
           rçons, Mathew Williamson, Jimmy Choo and Sonia Rykiel.

             □ Recentemente anche Gap ha seguito questa strada col-
           laborando con Stella McCartney per una collezione di scarpe
           per bambini.

  Un’altra primaria fonte di informazioni è rappresentata dal feed back sui
dati di vendita. Ogni giorno, i risultati relativi alle vendite avvenute nei di-

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versi store sono aggregati in un database unico a cui gli stilisti possono
accedere per vedere quali capi sono stati maggiormente acquistati e,
quindi, quale sia la tendenza prevalente nei gusti degli acquirenti così da
indirizzare la progettazione delle future offerte. Le informazioni di ritorno
sulle vendite sono trasmesse, quotidianamente, anche al reparto acquisti
e al reparto produzione in modo che orientino gli approvvigionamenti ed il
manufacturing. Le stesse sono poi verificate, su base bisettimanale, attra-
verso il riordino dei prodotti da parte degli store manager che, stando a
contatto diretto con la clientela, possono individuare meglio le tendenze.
  Le decisioni su quali capi di abbigliamento o accessori continuare a
produrre o quali eliminare dall’assortimento, perché con bassa rotazione,
sono quindi prese nel corso della stessa stagione in cui i prodotti sono
venduti e non mesi prima come nell’abbigliamento tradizionale.

3.3 Fast Fashion, Store e Customer Linking Capability

   La fase distributiva e di vendita dei prodotti consente di ottenere informa-
zioni sia per identificare le preferenze della domanda che per organizzare il
flusso di riordino. Il punto vendita diviene, quindi, un luogo privilegiato per la
generazione della conoscenza di mercato (Barnes, Lea Greenwood, 2010).
   Nella Tabella 1 si mostrano per ogni insegna il numero di store e di
Paesi nei quali questi ultimi sono localizzati.

Tabella 1: H&M, Inditex, Gap Inc. Global Distribution

                                                           Numero
                                                                                   Punti vendita                   Punti
                              Numero di                 complessivo
   Imprese del                                                                          gestiti                  vendita
                               Paesi con                    di punti
   fast fashion                                                                    direttamente                      in
                           punti vendita                  vendita a
                                                                                   dall’impresa               franchising
                                                       livello globale
H&M                                 35                       1.988                  1952 (98%)                   (36) 2%
INDITEX                             74                       4.607                  3983 (87%)                 624 (13%)
Zara                                                         1.608                  1442 (90%)                 166 (10%)
Pull and Bear                                                 626                    541 (86%)                  85 (14%)
Massimo Dutti                                                 497                    372 (75%)                 125 (25%)
Bershka                                                       651                    574 (88%)                  77 (12%)
Stradivarius                                                  515                    416 (81%)                  99 (19%)
Oysho                                                         392                    359 (92%)                   33 (8%)
Zara Home                                                     261                    233 (89%)                  28 (11%)
Uterque                                                        57                     46 (81%)                  11 (19%)
GAP Inc.                            28                       3.247                       95%                        5%
Gap                                                          1.537                  1437 (91%)                  136 (9%)
Banana
Republic                                                      638                    609 (95%)                   29 (5%)
Old Navy                                                     1.036                  1036 (100%)                       0

Fonte: elaborazione dell’autore su dati relativi agli anni 2009 e 20109.

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Arrigo Elisa, Controllo dell’ innovazione e Market-Driven Management nelle imprese del Fast Fashion, Symphonya. Emerging Issues
in Management (www. unimib.it/symphonya), n. 2, 2010, pp. 77-95      (English Version: http://dx.doi.org/10.4468/2010.2.06arrigo)
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   Dalla Tabella 1, si rileva come per le imprese considerate, quasi tutti i
negozi siano gestiti direttamente e solo una piccola parte, circa il 5-10%,
sia in franchising. Quest’ultima formula contrattuale è di solito prescelta
per entrare in Paesi contraddistinti da elevate barriere all’entrata di tipo
amministrativo come, ad esempio, in Arabia Saudita, in Kuwait o negli
Emirati Arabi. In rari casi, alcuni fashion retailer hanno siglato joint-
venture, come nel caso di Zara e del gruppo indiano Tata in cui la collabo-
                                                                 10
razione è stata istituita per soddisfare le rigide leggi indiane .
   Si può perciò asserire che, per sviluppare una buona comprensione dei
fenomeni commerciali dei diversi Paesi e poter così implementare una
gestione reattiva nei confronti del mercato, Zara, H&M e Gap hanno opta-
to per una focalizzazione sulla rete di vendita diretta costituita da store
                                                              11
monomarca diffusi in modo capillare sul territorio globale .
   La decisione del Paese in cui aprire un nuovo store rappresenta
un’importante decisione strategica che avviene dopo approfondite ricer-
che volte all’analisi del macro e micro ambiente all’interno del quale
l’impresa dovrebbe operare. A seguito, poi, di un accurato studio degli at-
tori locali, l’impresa definisce un’espansione a macchia d’olio che vede
frequenti aperture proprio nelle vicinanze del primo store. Questo potreb-
be apparire come rischioso per il potenziale effetto di cannibalizzazione
tra negozi della stessa insegna, ma, in realtà, si giustifica in un’ottica di
contenimento dei costi. La presenza di più punti vendita in una città per-
mette sia di affermare meglio l’identità di marca nella mente del consuma-
tore che di ripartire su una base più ampia i costi di trasporto, consegna,
oltre che quelli pubblicitari.
   Gli store non assolvono semplicemente una funzione distributiva dei
prodotti ma rappresentano il punto di contatto tra l’impresa e la sua do-
manda. Pertanto, la scelta strategica di avere una struttura distributiva
controllata quasi totalmente consente ai fashion retailer di raggiungere
molteplici obiettivi.
   In primo luogo, la localizzazione dei punti vendita nei principali mercati
mondiali collega le logiche globali di crescita aziendale con le esigenze
dei singoli mercati locali. Secondariamente, si gestisce meglio il rischio
economico derivante dall’operare in un settore in cui la domanda è etero-
genea e la competizione tra imprese elevata. Inoltre, il controllo della rete
di vendita permette di raccogliere senza filtri ed in tempo reale, tutte le in-
formazioni provenienti dal contatto con la domanda. In tal modo, si hanno
feedback immediati sulle vendite e sul successo delle politiche intraprese
così da orientare la formulazione delle azioni strategiche future.
   Un’altra importante funzione svolta dai punti vendita monomarca è la
diffusione dell’identità di marca. Infatti, lo store è il principale canale di
comunicazione delle imprese del fast fashion che, attraverso la definizio-
ne della sua ubicazione, del layout interno, dell’atmosfera e dei servizi of-
ferti, riescono ad attrarre ed a far permanere la clientela al suo interno. La
strategia di sviluppo di Zara, Gap e H&M prevede sovente l’apertura di
flagship store nelle principali metropoli. Tale format distributivo ha proprio
l’obiettivo di diffondere i valori di marca creando un ambiente in cui il
cliente si dilunga piacevolmente e, aumentando la permanenza nel punto
vendita, cresce anche la probabilità di un acquisto da parte sua.

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   Le location prescelte per l’ubicazione degli store sono in molteplici aree
delle grandi città; tra queste rientrano certamente le vie del centro storico
ad elevato passaggio, come Corso Vittorio Emanuele a Milano o i Champs
Elysées a Parigi. Ma la scelta delle fast fashion firms non si limita a queste,
infatti gli store sono collocati in qualsiasi punto della città garantisca un ele-
vato bacino di utenza e traffico di persone. È il caso, ad esempio, dei centri
commerciali o delle stazioni ferroviarie. Nei primi, i clienti trascorrono parte
del proprio tempo libero come momenti di svago; e, al loro interno vi sono
molte vetrine di imprese competitor, quindi, la presenza di uno store della
catena è necessaria anche in ottica competitiva. Le stazioni, invece, sono
un luogo nel quale moltissime persone sostano in attesa della partenza e,
quindi, un negozio nel quale fare shopping nei tempi morti, è sicuramente
un’attrattiva piacevole.
   Anche la gestione del layout interno ai negozi è curata nei minimi dettagli
e riguarda sia la disposizione delle attrezzature (casse, espositori, tavoli)
che quella dei prodotti (solitamente suddivisi in base all’appartenenza mer-
ceologica). Negli store dei fashion retailer, la tradizionale suddivisione in
reparti dello spazio espositivo è spesso sostituita da grandi open space in
cui i capi sono già abbinati con gli accessori o con i cosmetici. Lo si può no-
tare da Gap, dove accanto ai tipici jeans statunitensi si trovano calzature da
indossare con quel capo oppure da H&M che, vicino alle collezioni under-
wear, posiziona linee di bagno schiuma e creme per il corpo, stimolando
così l’acquisto congiunto da parte delle clienti.
   Per Zara, il layout dei negozi e l’allestimento delle vetrine sono talmente
importanti da essere definite nella sede centrale di Arteixo, dove vengono
riprodotti gli spazi, per studiarne le illuminazioni e per individuare il miglio-
re percorso che i clienti dovranno seguire al suo interno. Le scenografie
individuate come migliori sono fotografate ed inviate, tramite mail, ai ne-
gozi affinché siano ricreate come indicato.
   Tutte queste azioni sono compiute al fine di relazionarsi positivamente
con la clientela, in effetti, le imprese orientate al mercato possiedono tra
le loro capacità distintive quelle connesse alla gestione delle relazioni con
la domanda finale. Tali capacità ‘customer linking’ si qualificano in funzio-
ne della loro ampiezza e profondità, ovvero della numerosità di relazioni
attivate ed intensità di ognuna (Day, 2003). Zara, H&M e Gap avendo ne-
gozi in tutto il mondo, possono raccogliere un’infinità di informazioni sulle
peculiarità dei clienti dei diversi paesi.
   Le imprese del fast fashion non si limitano, però, a studiare la domanda,
ma utilizzano le informazioni raccolte per influire sui suoi comportamenti.
Ad esempio, negli ultimi anni, i consumatori ricercano uno stile originale
che è possibile creare accostando, ad esempio, un capo di abbigliamento
‘standard-mass market’, posseduto da tutti, con un accessorio particolare
come un foulard o una cintura esclusiva. Tale accostamento tra prodotti
appartenenti a fasce di prezzo o a classi merceologiche differenti è stato,
in realtà, indotto dagli stessi fashion retailer che nei loro punti vendita non
distribuiscono solo capi di abbigliamento, come abiti, giacche, gonne, ecc.
ma altresì calzature, profumi, cosmetici, occhiali e borse. Inoltre, si può
riscontrare come i comportamenti della domanda relativamente ai capi di
abbigliamento e agli accessori siano vari e riconducibili al concetto di di-

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spersione, ovvero il consumatore distribuisce i suoi acquisti in molteplici
luoghi e format distributivi: dalla boutique, all’outlet, alla bancarella del
mercato rionale. Questo si spiega, in primo luogo, con la minore disponi-
bilità di spesa dei potenziali acquirenti e, poi, con la ricerca di uno stile
personale. Infatti, a fronte di un budget disponibile inferiore, il rapporto
qualità-prezzo diventa la variabile decisionale; a ciò si lega, negli ultimi
anni, il successo di moltissimi outlet sia reali (si pensi al Serravalle Scrivia
o al Fox Town) che virtuali (come i portali www.yoox.com o
www.bluefly.com, in cui è possibile trovare capi e accessori di grandi
marche di moda della passata collezione, a prezzi nettamente inferiori a
quelli di listino).
   Le imprese del fast fashion hanno anche favorito cambiamenti
nell’organizzazione temporale degli acquisti. Se, in passato, ad inizio sta-
gione si compravano i capi tipici del periodo in questione, ad esempio, un
cappotto invernale acquistato a novembre-dicembre, ora le strategie
aziendali hanno intensificato il lancio di collezioni spot in periodi in netto
anticipo rispetto ai bisogni stagionali spingendo, quindi, all’acquisto del
prodotto indipendentemente dalle esigenze del momento. Inoltre, il conti-
nuo rinnovamento dell’offerta attraverso le nuove collezioni che restano in
esposizione solo per pochi giorni e per di più, in questo intervallo di tem-
po, ruotano anche all’interno del punto vendita, induce i clienti a provare
una sensazione di urgenza dell’acquisto. I fashion retailer, attraverso il
frequente riassortimento e la rotazione dei capi all’interno dello store han-
no generato un ‘effetto scarsità’ (market-bubble management) che stimola
i consumatori a compiere acquisti di impulso: un cliente che si reca da Za-
ra, Gap o H&M e vede un capo di suo gradimento sa che o lo compra su-
bito o molto probabilmente non lo troverà più.
   L’assiduo lancio di nuove collezioni spinge le clienti a recarsi nel punto
vendita con maggiore frequenza per tenere sotto controllo le nuove pro-
poste e poterle acquistare nel caso siano interessanti. Tale meccanismo
incrementa il traffico nello store e moltiplica le possibilità di vendita, ma
oltre a questo, genera pochissime rimanenze di capi ed infatti i saldi di
Zara, H&M e Gap durano pochi giorni perché i capi rimasti invenduti si
esauriscono in fretta.
   Una recente innovazione introdotta nella relazione con la domanda è
rappresentata dalla creazione del canale diretto di vendita. Per prime,
H&M (in Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Germania, Austria, In-
ghilterra) e Gap (prevalentemente in Nord America ed Europa), e da set-
tembre 2010 anche Zara (in Spagna, Francia, Germania, Regno Unito,
Italia e Portogallo) hanno lanciato store online.
   Questa scelta ha molteplici risvolti strategici per le imprese del fast fa-
shion: in primo luogo, riduce ulteriormente il time to market, poiché posti-
cipa la fase di consegna dei capi solo a vendita compiuta e, di conse-
guenza, consente di arrivare prima sul mercato. Secondariamente, elimi-
na i costi legati alla creazione e gestione degli store fisici, basti ricordare
che le voci relative agli affitti e alla employees remuneration sono tra le
più cospicue nei bilanci delle imprese. Infine, con il canale di vendita onli-
ne si raggiunge un maggior numero di clienti i cui dati possono essere
profilati rendendo, dunque, più semplice per il designer team individuare
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le preferenze della domanda e le tendenze in atto tramite l’analisi dei
comportamenti di acquisto, tracciabili in tempo reale.
   Dal punto di vista del cliente che ha già comprato capi di quella specifi-
ca catena di abbigliamento e ne conosce le taglie e le lavorazioni,
l’acquisto online evita inutili file in negozio e dà l’illusione di poter trovare
tutto quello che le collezioni offrono (in termini di taglia e colori). Ma anche
virtualmente, la creazione di continue offerte spot combinata con un effi-
ciente time-based management tende a generare l’effetto scarsità.

4. Conclusioni ed Emerging Issues

   Nei principali contributi teorici sul Market-Driven Management, la gestione
delle informazioni è stata ritenuta da molti studiosi un elemento centrale;
tuttavia, affinché le informazioni raccolte e processate servano da piatta-
forma per la creazione di nuova conoscenza, l’impresa deve possedere an-
che una propensione all’apprendimento. Inoltre, dagli studi compiuti si evin-
ce che apprendimento dal mercato e know how sono strettamente legati
alla capacità di innovazione dell’impresa.
   La ricerca si è focalizzato sullo studio dell’innovazione nelle imprese mar-
ket-driven che operano in contesti globali e fortemente competitivi. In tale
situazione, per crescere nel lungo termine, l’impresa orientata alla concor-
renza e alla domanda, oltre a saper gestire molte informazioni, ad avere
un’approfondita conoscenza del mercato e ad aver sviluppato un’abilità
nell’apprendere da quest’ultimo, deve anche aver maturato un ‘innovation
management capability’.
   Si è compiuta un’analisi del fast fashion attraverso lo studio dei casi Zara,
H&M e Gap per mostrare come, attraverso un forte controllo della rete di-
stributiva, tali imprese riescono a sviluppare una profonda conoscenza del-
le dinamiche dei mercati globali e ad attuare innovazioni strategiche di suc-
cesso. Infatti, la comprensione delle tendenze globali consente a Zara, Gap
e H&M di controllare la complessità ed instabilità dei mercati attuali arrivan-
do prima (in minor tempo) e meglio (con offerte dal valore percepito più ele-
vato per i clienti) dei competitor.
   Le imprese selezionate sono riuscite a introdurre nella loro gestione
aziendale molteplici innovazioni: nella Supply Chain (con costante attenzio-
ne al time management e la conseguente riduzione dei tempi di ogni attività
aziendale); nell’Information Communication Technology (con innovativi pro-
cessi informatici che permettono di seguire il prodotto in tutti i suoi sposta-
menti, grazie ai Digital Design, ai Sorter automatici e ai sistemi Rfid); e nella
relazione con la domanda (dove hanno sviluppato capacità customer lin-
king proponendo un assortimento fortemente differenziato e rispondente
alle tendenze del momento).
   L’aspetto chiave emerso dalla ricerca è che circa il 95% dei punti vendita
di Zara, Gap e H&M è a gestione diretta; questo controllo della struttura di-
stributiva a livello globale influisce profondamente sulla generazione di co-
noscenza del mercato e, di conseguenza, sulla capacità di sviluppare un
innovation management capability. Attraverso un contatto diretto con la
domanda e la diffusione capillare dei loro store nei principali Paesi del
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