CONFESSO, HO VIAGGIATO - Noemi Stefani TUNISIA, EGITTO, GIORDANIA, ISRAELE E PALESTINA

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CONFESSO, HO VIAGGIATO - Noemi Stefani TUNISIA, EGITTO, GIORDANIA, ISRAELE E PALESTINA
Noemi Stefani

 CONFESSO,
HO VIAGGIATO
 TUNISIA, EGITTO, GIORDANIA,
    ISRAELE E PALESTINA

      LIBRO ELETTRONICO
CONFESSO, HO VIAGGIATO - Noemi Stefani TUNISIA, EGITTO, GIORDANIA, ISRAELE E PALESTINA
L’autrice

                             Noemi       Stefani       rorgeno@libero.it
                             sensitiva e ricercatrice della storia delle
                             religioni, indaga da più di 20 anni nel
                             paranormale        ricevendo     numerose
                             conferme alle sue tesi. Le sue esperienze
                             l’hanno portata a visitare i posti più
                             misteriosi e ricchi di spiritualità della
                             terra. Ha preso parte a convegni con
                             tematiche riguardanti “la vita oltre la
                             vita“ facendo da tramite per le persone
                             che erano in attesa di risposte e
                             conferme       dall’aldilà.   Ha    tenuto
                             conferenze, intervenendo anche a
                             trasmissioni radio (RTL 102,5) e
                             televisive (Maurizio Costanzo show).
                             Collabora con la redazione di Tracce
                             d’eternità fin dal primo numero.

     Idea, progetto grafico e adattamento dei testi (qualora ritenuto
        necessario) a cura della redazione di “Tracce d’eternità”.
                  Supervisione di Simonetta Santandrea

                     Fotografie fornite dall’autrice

  Parte del contenuto di questo saggio, in una versione oggi riveduta,
      è stato già pubblicato sulla rivista digitale Tracce d’eternità

          © 2011 di Noemi Stefani. Tutti i diritti riservati.
Edizione elettronica in download gratuito dal portale simonebarcelli.org
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Indice

                                     pag.

 Prefazione - Simonetta Santandrea    4

                                      7
 TUNISIA

                                     20
 EGITTO

                                     30
 GIORDANIA

                                     38
 ISRAELE

                                     43
 PALESTINA

                              3
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Prefazione

Come dice in un interessante articolo (BabelMed, dic. 2008)
Enrico Galoppini, saggista e traduttore dall'arabo, “la parola
‘mediterraneo’ indica in italiano ‘ciò che sta in mezzo alle
terre’, senza specificarne il numero.
Ma in un primo momento, se si pensa al “mar Mediterraneo”,
la percezione immediata che si ha – probabilmente influenzata
dalle cronache degli sbarchi di persone dal “sud del mondo” - è
quella di una superficie marina che si estende tra l’Europa e
l’Africa, tra le “due sponde” settentrionale e meridionale.
Tuttavia, a pensarci bene, c’è almeno una terza “sponda”,
quella asiatica siro-libanese e della “Terrasanta”, a ricordarci
che il Mediterraneo bagna le coste di tre continenti: Europa,
Africa e Asia.
Ecco così che comincia a delinearsi la natura di quello che è
uno dei più grandi mari del mondo: quella di crocevia della
massa di terre emerse che forma il cosiddetto “vecchio mondo”.
A questo mare i romani dettero il nome di “Mare Nostrum”.
Essi ne fecero un ‘lago romano’, fondamentale nella gestione
delle correnti dei traffici commerciali da un paese all’altro del
loro vasto e florido Impero (l’Africa ne era il “granaio”). Gli
arabi, all’epoca, non erano ‘entrati nella storia’, e per loro quel
mare continuò ad essere semplicemente il “Mare Romano” (al-
Bahr ar-Rûmî) o il “Mar Siriaco” (al-Bahr ash-Shâmî), poiché
gli arabi preislamici delle città carovaniere dello Hijâz, dediti
ad un commercio che raggiungeva Gaza e Damasco, già
conoscevano le coste orientali di questo mare.
La percezione di qualcosa di più complesso dovette arrivare
allorché le armate arabo-musulmane, nel VII secolo, fecero la
loro comparsa sulla costa nordafricana per poi intraprendere
una manovra a tenaglia verso l’Europa (Penisola iberica, da un
lato, Bisanzio, dall’altro).
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Quel mare che ancora garantiva il persistere d’una civiltà
fondamentalmente romana (Pirenne) venne a dividersi in aree
civilizzazionali distinte, in specie dopo la presa araba della
Sicilia. Col nome di “Mare mediano” o “intermedio” (al-Bahr
al-Mutawassit), non si specificava però “tra (quali) terre”
fosse posto nella sua medianità. Nella radice triconsonantica
araba wâw-sîn-tâ’ si ritrovano significati che rafforzano ancor
più rispetto al nostro “mediterraneo” il concetto d’uno spazio
che unisce e mette in contatto. Invece, il trovarsi semplicemente
“tra le terre” può anche veicolare, a seconda della fase storica
(come in effetti è stato), l’idea d’un qualcosa che sta in mezzo e
che separa. Nell’arabo, invece, non c’è spazio per ambiguità di
questo tipo, anche se – occorre dirlo – questo non significa che
gli Stati arabo-musulmani non abbiano mai utilizzato questo
mare anche per condurre attacchi e scorrerie ai danni di
popolazioni (tipo quelle del sud Italia). La lingua araba
presenta sotto la stessa radice di mutawassit parole quali wast,
wasat, awsat, wasît, wâsita e tawassut. Se le prime tre
esprimono inequivocabilmente il concetto di “medianità” (ash-
Sharq al-Awsat: il Medio Oriente, tra un “Vicino” ed un
“Estremo”), anche in senso figurato (khayr al-umûr awsâtu-hâ:
in medio stat virtus), le altre introducono l’idea
dell’intermediazione e dell’intercessione (non in senso
religioso). Un “mettere in contatto” delle persone, quindi, a
prescindere dal motivo, nobile o meno... Quindi, l’idea del mare
che mette in comunicazione e consente l’incontro, piuttosto che
lo scontro.
Tra popoli che non devono forzatamente condividere ogni cosa
ed amarsi reciprocamente in tutto e per tutto, ma che almeno
possono comprendersi e cooperare perché alla fine conviene a
tutti. Ecco una delle funzioni di questo mutawassit-mediatore.”

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I viaggi di cui tratta questo e-book partono dalla parte
“romana” di questo mare Mediterraneo e toccano la parte
“araba” (ma non solo) della riva opposta: la Tunisia, l’Egitto,
la Giordania, Israele e la Palestina. Sono viaggi
apparentemente di visita, ma tutti lasciano e prendono qualcosa
di più profondo attraverso le sensazioni e le emozioni che
sempre si provano a “vivere” un viaggio. Molti di questi Paesi
sono stati recentemente coinvolti e stravolti da cambiamenti
politici che potranno segnare un nuovo corso per le loro civiltà
e nei rapporti esterni. Rimangono comunque forzieri di tesori
inestimabili e senza tempo che vanno preservati ed onorati per
l’altissimo grado di evoluzione storica e umana che
rappresentano. L’augurio, finanche è che , sebbene quest’idea
di mare inteso come “continente liquido” e “crocevia di civiltà”
faccia fatica a diventare realtà a causa dei troppi e contrastanti
interessi in gioco, possano trovare rappresentazione concreta i
colori della bandiera della recentissima “Unione per il
Mediterraneo”, che è bianca e blu. Il bianco esprime una
“speranza”, il blu il colore del mare. In arabo, integrando la
denominazione datagli dai turchi di “Mare Bianco”, questo
mare si chiama per esteso “Mar Bianco Mediterraneo” (al-
Bahr al-Abyad al-Mutawassit). Probabilmente senza volerlo,
quest’Unione che è sorta, tra luci ed ombre, il 13 luglio 2008,
s’è data un vessillo in cui c’è anche un pizzico di storia degli
arabi e dei turchi. Ma la speranza principale, al di là di tutto, è
che alle parole facciano seguito i fatti, e che la via d’acqua
torni ad essere un mezzo d’incontro e non di scontro.

                                              Simonetta Santandrea

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TUNISIA

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A soltanto un paio d'ore di volo dall'Italia, il mondo
cambia.
Siamo in Tunisia e la città di Tunisi è l’occasione giusta per
immergersi in un mondo totalmente diverso da quello
occidentale.
Un salto nello spazio tempo e possiamo vivere e
immaginare la vita dei popoli arabi.
La nuova Tunisi che esisteva già all’epoca di Cartagine con
l’antico nome di Tynes, rimane fondamentalmente una città
araba con quasi nessuna traccia del periodo romano e
bizantino.

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La Grande Moschea di Zitouna (Moschea dell'Ulivo)
edificata nel 732 d.C. è al centro dell'antico souq ed è la
prima tappa della visita nella medina.
Facile perdersi nel souq, e l'ho sperimentato di persona.
C’è un percorso lineare di piccoli bazar quasi del tutto
simili che si diramano anche ai lati del percorso.
Basta spostarsi a curiosare un po’ più a destra o un po’ più
a sinistra che si perde del tutto l'orientamento e ci si trova a
vagare immersi nei colori e nei profumi, ci si fa trascinare
in un turbinio di gente che va e viene, tra file di piccoli
bazar, tappeti e spezie che riempiono l’aria.
Indimenticabile il caratteristico paesino di Sidi Bou Said a
circa 17 Km da Tunisi.
Qui il panorama ricorda molto quello delle isole greche.
Stessa l’architettura di case bianche e azzurre, fiori di
buganvillea che spuntano sopra i muri di minuscoli giardini
incastrati tra una costruzione e l'altra.
È un vero piacere passeggiare tra le sue stradine in salita, e
se il sole picchia forte fermarsi a bere un tè alla menta in
uno dei bar che dalla piazzetta principale si sporgono a
picco sul mare.
Per capire, bisogna per un po’ far riposare gli occhi e la
mente nel blu intenso, i colori solari sopra alla piccola
spiaggia di sabbia del paese.

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Poco distante dalla periferia di Tunisi, da non perdere, è
una visita al Museo del Bardo, dove la storia, l’archeologia
e più che altro i mosaici lasciano un ricordo indelebile nella
memoria per tanta bellezza e maestosità.
Il museo è poco lontano dal centro ed è situato nel Palazzo
del Bardo residenza ufficiale dei bey husseniti, le sue sale
sono organizzate per periodi storici con reperti risalenti ai
periodi Preistorici, Punici, Cartaginesi, Romani e Proto-
Cristiani.

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Alcune sale prendono il nome dai grandi e maestosi
mosaici che ospitano, come la sala di Bacco e Arianna, il
cui mosaico che occupa tutta una parete è stato ritrovato a
Thuburbo Majus, la sala di Ulisse, con il mosaico rinvenuto
nella casa omonima a Dougga e in cui l'eroe viene ritratto
legato all'albero maestro della sua nave per resistere al
canto delle sirene.

Un mare di pesci che guizzano sulle pareti, animali di tutti i
generi (persino gli orsi) che conservano ancora le
espressioni e la freschezza di una vita eterna.

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I romani di allora costruendo le loro "domus" e
arricchendole con i mosaici hanno lasciato un segno
tangibile della ricerca del "bello", e fortunatamente questa
ricchezza non è andata perduta.
Vorrei che l'Italia fosse ricordata per quello che sapevano
fare gli uomini di quel tempo, in positivo e in negativo,
tutto sommato vale quello che rende fieri di appartenere a
un popolo.

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Prima di arrivare al parco archeologico con i resti della
città, all’orizzonte una stringa blu di mare mi conferma che
è prossimo il famoso porto di Cartagine.
Non esiste più da tanti secoli, annientato e devastato dai
Romani…
Non è diverso dagli altri porti dell’Egitto, Tunisia, Grecia,
o di qualsiasi altro paese al mondo, suppongo.
Gli stessi colori caldi del Mediterraneo, le stesse luci sul
degradare della scala cromatica del blu, azzurro e turchese
che avanza e si ritrae insieme al movimento ritmato delle
onde.

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Forse sarà l’immaginazione o forse il sole accecante allo
zenit, intorno a me la situazione cambia.
Ora non sono più me stessa, curiosa vacanziera un po’
sudata e studiosa per vocazione.
Sotto il sole del mezzogiorno vedo luccicare qualcosa…
sono bagliori di elmi e di corazze…vedo lance protese.
Per un attimo divento viaggiatrice/spettatrice nello spazio
tempo…
Echi di voci si avvicinano.

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Sibilano frecce e soldati in armatura e calzari corrono senza
meta lungo la riva.
Urla di vittoria degli inseguitori, di terrore e gemiti degli
inseguiti.
Fortunati quelli che sono già morti.
I feriti si trascinano carponi sotto i colpi delle lame
nemiche…
Nessuna pietà, stessa sorte per loro, maggiore la sofferenza.
Sangue e sabbia si fondono insieme, ci penseranno le onde
e il tempo a tergere.

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La mia testa è un po’ confusa, stringo le palpebre e riapro
gli occhi più volte.
La visione si dissolve, per fortuna non c’è più.
Il pullman arranca sulla collina di Byrsa dove sono stati
ritrovati i resti della città di Annibale.
Persino la collina era stata spianata (insieme al famoso
tempio di Asclepio) sotto il regno di Augusto (30 a.C. 14
d.C.) perché la bellezza e la potenza di questa città
potevano diventare una vera minaccia per la Roma del
tempo.
Venne distrutta totalmente al motto “delenda Cartago”,
Cartagine veniva bruciata e sulle ceneri sparso del sale a
significare che per i punici non vi sarebbe stata più
possibilità di ricostruire.
Fu così che divenne città romana.
I romani edificarono il foro con il Campidoglio e la basilica
civile.
Quelle che noi visitatori vediamo, sono infatti soltanto le
rovine romane.
Sotto lo strato romano gli scavi hanno riportato alla luce un
quartiere abitativo databile al II secolo a.C. con isolati
formati da case a più piani disposte lungo strade e scalinate
che si intersecano perpendicolarmente.
La casa punica si articolava intorno a un cortile centrale e
nel seminterrato aveva una cisterna per la raccolta
dell’acqua piovana (impluvium).

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Molte case conservano parte dei mosaici e degli stucchi che
le ornavano e il cosiddetto “pavimentum punicum”,
composto da un impasto di malta, frammenti di terracotta e
di marmo.
A livelli ancora inferiori sono emerse tracce di officine
metallurgiche (IV-III secolo a.C.) e di una necropoli del
VII secolo a.C.
Bellissimi mosaici sono stati riportati quasi intatti nel
famoso museo del Bardo, vicino a Tunisi.
Tra i tanti reperti archeologici c'è anche la statua del dio
Baal, divinità terribile che richiedeva il sacrificio di tanti
bambini del posto.
La storia riferisce che, a quanto pare, i loro genitori erano
ben felici di sacrificarli perché per loro significava
aumentare il prestigio della famiglia, si sarebbero propiziati
un avvenire sicuro…
Infatti lungo i sentieri degli scavi si incontrano spesso delle
piccolissime urne (grandi quanto fioriere).
Come non pensare con pietà a quelle vittime, bambini
indifesi che in ogni tempo della storia subiscono la violenza
degli adulti, scannati come agnelli in nome di un dio tanto
pessimo…

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Ba’al Ammone era il dio supremo dei Cartaginesi ed è
generalmente identificato, dagli studiosi moderni, sia con il
dio semitico del nord-ovest El sia con Dagon, mentre nella
mitologia greca è assimilato a Crono e in quella romana a
Saturno.
È sempre e comunque lo stesso, quello che i cristiani
chiamano il dannato.
Bellissime le terme di Antonino costruite il 145 d.C che
erano le seconde come importanza in tutto l’impero
romano.
È l’unica dimostrazione rimasta di quanto grande e famosa
fosse la Cartagine del tempo.
Quelle che si vedono sono le rovine delle stanze degli
inservienti, e dei magazzini.
Tra le altre, pubblico la foto curiosa di una lapide.
Chissà se qualcuno di voi riesce a decifrare i simboli
impressi, a capirne il significato?
Vi passo la palla, a voi il gioco… e alla prossima meta.

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EGITTO

Porto fuori dall’uscio la valigia.
È grande e pesante e me la trascino giù per i gradini fino al
cancello mentre attendo che arrivi il taxi per l'aeroporto,
poi rientro in casa per prendere l’altra.
Dopo dodici anni che ho desiderato tanto, immaginato e
voluto questo viaggio, tornerò a Gerusalemme e non sto
nella pelle dalla gioia.

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Apro la porta e… un intenso profumo d’incenso,
improvviso e inaspettato che così come mi era arrivato alle
narici scompare subito.
Dice che lo sente anche mia sorella che sente poco gli odori
e che è pronta a partire con me.
Succederà ancora in seguito.
Improvviso profumo d’incenso di nuovo all’aeroporto,
mentre facciamo la fila per il check-in e ancora a Taba in
Egitto, dove anche altri lo sentiranno.

                            21
È un po’ ovunque, come un filo invisibile che mi unisce al
soprannaturale.
È già stato in altre occasioni.
Per me il profumo d'incenso significa che Tu Gesù sei
presente, e posso stare tranquilla che sarai con noi in questo
viaggio.
È un percorso impegnativo perché ci saranno da fare
parecchi chilometri per tutto quello che abbiamo intenzione
di vedere.
La prima tappa sarà Taba in Egitto, e da lì fino in Giordania
a vedere Petra, e poi finalmente in Israele entrando da Eilat.
Taba ha il vantaggio di essere in una posizione strategica
perché abbastanza vicina ai due confini.
Sono un po’ preoccupata per mia sorella che ha male a una
gamba e non potrà camminare più di tanto, però lei è decisa
e non intende rinunciare a questo progetto che abbiamo
sognato per anni di realizzare insieme.
La prima destinazione è Taba e il volo procede tranquillo e
senza storia.
Guardo giù dall’oblò le prime coste africane, sono quelle
della Palestina.
Mi viene un groppo in gola, proprio come quando nel
percorso inverso le salutavo per tornare in Italia tanti anni
fa.
Per molto tempo si sorvoleranno soltanto deserto e rocce.

                             22
Né piccoli agglomerati di case, né alberi, nessun genere di
vita.
Soltanto sabbia e picchi di monti che assomigliano molto
alle nostre Dolomiti, ma senza un prato, un pino, una foglia
di verde intorno.
Forse per il forte vento, l'atterraggio procede lento e a
balzelloni e mi disturba un po’ lo stomaco.
Mi guardo intorno e vedo che non sono la sola ad avere
nausea.
A mia sorella lacrima un occhio.

                            23
Mando giù la saliva, è un vecchio trucco per far stappare le
orecchie.
Butto l'occhio dall’oblò e lì sotto tra le nuvole emerge
soltanto deserto e il nulla.
Siamo atterrati e fa proprio caldo, ma questo lo sapevamo
già.
Adesso bisogna fare un bel po’ di chilometri per
raggiungere l’hotel.
Il pullman procede spedito lungo la strada che serpeggia
attraverso un canyon di montagne rosa.
Massi enormi rimangono attaccati a un lembo di terreno
arido, appesi come per miracolo, e basterebbe un niente per
farli rotolare sopra di noi che passiamo perché non c’è
nessuna protezione.
Siamo diretti verso uno dei pochi hotel sulla costa, nessuna
città qui intorno.
Adesso vedo delle palme con enormi grappoli di datteri
maturi appesi, racchiusi in sacchi colorati.
Ci sono anche dei passeri che li vanno a beccare.
Questi uccellini qui vivono proprio bene.
Svolazzano indisturbati sopra ai tavoli del ristorante, e si
servono tranquillamente dai piatti abbandonati dai clienti.
Poi vanno a planare sulle braccia del lampadario come
fosse un albero blu messo lì apposta per loro.
Fa talmente caldo...

                            24
Cinquanta gradi bastano a far calare la pressione e a far
svenire chiunque.
Quella sera sono uscita a guardare le stelle e cercavo la
costellazione di Orione per orientarmi con le piramidi.
Alzare e abbassare gli occhi più volte mi faceva girare la
testa in modo preoccupante e ho capito che era meglio
desistere.

Meglio abbandonare momentaneamente l’entusiasmo per il
luogo e le sensazioni che il momento m’ispirava e andare a
dormire prima di finire lunga e distesa.

                           25
Il clima è torrido, difficile sopravvivere senza aria
condizionata.
Apri il rubinetto dell’acqua fredda e pensi di aver sbagliato
perché è calda come l’altra.
Il mare non ha spiaggia, solo sassi e barriera corallina, ma
l’acqua è fresca e trasparente.
Una vera delizia che rende sopportabile la calura e ristora la
pelle.
Ogni tanto ci si sente pungere all’improvviso, forse è il
plancton, dicono anche delle possibili micro meduse.
Poi ci sono i pesci che vengono quasi a riva, guizzano tra i
sassi e sono tutti colorati.
Piccoli e striati di giallo, neri con le pinne azzurre, pesci
Trombetta e pesci Napoleone, piccolissimi Neon rossi e
azzurri, e pescioloni che si piegano di lato strisciando sui
sassi perché altrimenti uscirebbero dall’acqua talmente è
bassa.
Proseguo lungo la passerella, cammino nell’acqua e
branchi di aguglie azzurre e iridescenti mi sfiorano
allungando il muso verso riva, senza scomporsi, nessuna
paura di quest’intrusa che entra nel loro elemento vitale.
Poi nuoto, infilo la testa sott’acqua e scorgo una conchiglia
enorme.
È bianca, concava e convessa, grande come non avrei mai
immaginato.

                             26
Assomiglia a quella del Botticelli, quella da cui secondo la
leggenda sarebbe nata Venere.
È bellissima, e sarei tentata di tirarla fuori ma è attaccata al
fondo, ed è pesantissima e così desisto.
E poi non vorrei fare danno a questa bella creatura che
vive.
Un pesce rosso con il corpo coperto di puntini gialli mi
sfreccia vicino e si nasconde dentro a una buca di corallo
bianco.
Bello nuotare tra i pesci, bello vedere che qui non temono
l’uomo.
E mi diverto talmente a guardarli che mi fermo spesso in
punta di piedi sui sassi, faccio schermo al sole con le mani
e scruto il fondo nell'acqua trasparente.
Meno male che l’ho fatto, era come se qualcuno mi dicesse
di farlo... guarda giù... (posso immaginare Chi) forse non
me ne sarei nemmeno accorta...
Vedo una biscia striata giallo-nera che mi passa sinuosa tra
i piedi e se ne va.
Scoprirò in seguito che si tratta di una Colubrina e
appartiene alla famiglia dei crotali.
Se non viene molestata non aggredisce ma può essere
letale.
Bastava per errore metterci un piede sopra...
Mah!

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Anche altri vedranno serpi con la testa alzata girare sul pelo
dell’acqua, e non mancano le murene, una è morta, è stata
morsa da un barracuda.
Decido che da ora preferisco nuotare in piscina.
Anche perché il mare non è più così tranquillo e le onde
irrequiete potrebbero sbattermi come niente contro la
barriera che buca e taglia la pelle...
Con le acque agitate niente più pesci in vista, ma nemmeno
serpi... per fortuna.
Solo qualche umanoide tricheco russo che dopo essersi
sbronzato di vodka al bar della piscina si addormenta con il
pancione rosa al sole.
Sta sotto all’ombrellone e ronfa con la bocca aperta a
gambe spalancate.
Quanto bevono i russi?
Incominciano al mattino presto a chiedere un po’ di coca
con la vodka, passano la giornata al bar della piscina
immersi nell’acqua a bere, e non contenti vanno avanti tutta
la notte in spiaggia, cantando e sbraitando.
Si attaccano alla bottiglia fino a trascinarsi sullo sdraio più
vicina poi crollano di schianto.
I cestini portarifiuti al mattino sono ricolmi di vuoti con le
diverse marche.
Solo vodka.
Come posso biasimarli, non c’è nessun altro diversivo.

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Non c'è una città vicina, un paesino, nemmeno un
accampamento di beduini con cui scambiare due parole...
Veramente siamo tutti blindati.
Controllo passaporti ogni volta che si entra nel parco
dell'hotel, controllo sotto il pullman con bastoni e
specchietti che non ci siano bombe sotto il pullman,
controllo del militare all'ingresso dell'hotel…
In spiaggia ci sono due limiti, a destra e a sinistra sempre
con l'esercito per impedire che entrino intrusi, o forse
vogliono impedirci di uscire?
Ma a me va bene così perché sono tutta concentrata sulla
mia prossima escursione, e domani si va a Petra.

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GIORDANIA

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Un breve tragitto in pullman fino alla Marina di Taba e poi
si prende la nave che ci porta al porto di Aqquaba, dove c’è
ancora l’antica fortezza del feroce Saladino.
Il porticciolo è tutto nuovo, rifatto da poco.
La Giordania ha una storia antica, millenaria.
Confina con la Siria, l’Iraq, l’Arabia Saudita e anche
Israele.
La prima cosa che si nota è la carenza di acqua.
Niente fiumi.
Le rocce presentano tracce chiare di quelle che un tempo
erano piccole cascate che poi il sole del deserto ha
prosciugato.
La guida spiega una curiosità.
Fa notare che lungo la strada che percorriamo non ci sono
lampioni.
L’hanno fatto apposta perché questa strada in caso di
necessità diventerà pista di atterraggio per gli aerei.
I resti archeologici della Giordania sono quelli di una
cultura millenaria, risalenti alla preistoria.
Si sono ritrovati reperti di rocce scheggiate risalenti al
paleolitico, circa 1.000000 di anni fa.
Rimangono resti di abitazioni risalenti a 10.000 anni fa, si
trovano a Gerico nella valle del Giordano.
Di qui sono passati e si sono scontrati molti eserciti.
Egiziani, Ittiti, Babilonesi, Persiani, Turchi e Bizantini,
persino i greci.

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Ora, mentre la maggior parte della popolazione è
concentrata a nord, i beduini nomadi e seminomadi
continuano a popolare e a sopravvivere nel deserto.
Ce la fanno con le loro poche capre e cammelli, e forse
anche con un minimo d’artigianato perché sanno lavorare
l'argento molto bene.
Petra è una città interamente scavata nella roccia dal colore
rosa, che cambia gradazione a secondo delle ore del giorno,
e secondo alla posizione del sole.
Ebbe origine dai Nabatei, popolazione che poi chissà come
è scomparsa.
Per accedere a Petra ci si arriva soltanto a piedi,
camminando per chilometri, per una spaccatura nella roccia
denominata Siq e per chi non ce la fa a camminare, c’è
l'asinello o il cavallo che lo può portare per un breve tratto.
Si può anche optare per la carrozzella, un trabiccolo
pericolosissimo e traballante, da cui si rischia di essere
sbalzati fuori a ogni contraccolpo, e alla fine quando si
arriva non si capisce se fa più male la schiena o il sedere.
Non lamentatevi, massaggio egiziano, ci ha detto il ragazzo
furbastro che teneva le redini al cavallo.
Mia sorella per paura, o forse per ingraziarselo, aveva fatto
l’errore di dire che il suo cavallino correva più di una
Ferrari.
L’avesse mai detto!

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Il beduino quando ha capito ha incominciato a ridere e a
incitare il cavallo con la frusta sorpassando sulla destra le
altre carrozzelle, i cammelli, asini e pedoni e quant’altro gli
si presentava davanti, e più urlavamo di rallentare, di andar
piano e più quello si divertiva a sghignazzare con i sui
amici.
Tutto da ridere... per loro ovviamente. Il nome semitico di
Petra era Reqem o Raqmu (“la Variopinta”), attestato anche
nei manoscritti di Qumran, e si capisce bene il perché.
Fu nell’antichità una città edomita e poi divenne capitale
dei Nabatei.
Verso l’VIII secolo fu abbandonata in seguito alla
decadenza dei commerci e a catastrofi naturali, e, benché le
antiche cavità abbiano ospitato famiglie beduine fino ad
anni recenti, fu in un certo senso dimenticata fino all'epoca
moderna.
Le numerose facciate intagliate nella roccia, riferibili per la
massima parte a sepolcri, ne fanno un monumento che è
stato dichiarato Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Anche la zona circostante che dal 1993 è parco nazionale
archeologico è considerata una delle sette meraviglie del
mondo.

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Quello che vediamo più di frequente, l'immagine che
rappresenta Petra, è una specie di portale enorme e si
chiama Al-Khazneh (il Tesoro) che purtroppo non è
accessibile perché pochissimo tempo fa all'interno è stata
riscoperta una nuova tomba.
Ci si arriva per una strada di ciottoli e malamente lastricata
in discesa, il cavallo scivola, si riprende.
Da farsi il segno della croce.
Si prosegue in questa profonda spaccatura nella roccia
denominata As Siq, e quello che colpisce e meraviglia di
più forse è la variegata struttura delle rocce che passa da
tonalità ocra, fino a raggiungere quasi il violetto.
Tutto a strati.
Si procede in discesa dove la spaccatura sembra ridursi al
massimo, quasi a chiudersi, fino a che appare un lato della
facciata del Tesoro.
Questo monumento è un’immagine mozzafiato, di una
bellezza indicibile.
Dopo una breve sosta che è doverosa, avanti, dove le rocce
si sono aperte su una vallata desertica piena di caverne e
monumenti antichi.
Alla mia sinistra appare un anfiteatro, ancora ben
conservato, noto che assomiglia a quello di Efeso.
Non so più dove guardare.
Ovunque guardo vedo meraviglie.

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La tomba del Palazzo, la tomba dell'Urna, che pare sia stata
scavata come Tomba Reale nel 70 d.C., la tomba di Sextius
Florentinus, che era un governatore romano della provincia
Araba morto nel 130 d.C.
Spettacolare la strada Colonnata che conduce al cuore della
città antica, tutta lastricata di marmo.

Ci sono bambini sopra minuscoli asinelli che ti inseguono,
vengono a proporre con insistenza una passeggiata fino al
Monastero, inerpicato sopra la montagna e se gentilmente
declini l’invito, t’insultano in arabo e in inglese perché
tanto tu non capisci.
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Tempi stretti per noi.
Dobbiamo sempre fare i conti con l’orologio per non
perdere gli altri del gruppo che sono scesi a piedi.
Ci fermiamo per un boccone a uno dei due ristoranti
disponibili.
Si tratta del “Ristorante dei Beduini”, e il nome è già tutto
un programma.
Certo sono molto gentili e ti propongono quello che hanno.
Pollo cucinato chissà come, insalata di pomodori con le
mosche, un dolce a base di pane bagnato con lo zucchero,
che avevo scambiato per un primo, insomma di fame non si
muore nemmeno lì.
L’importante è non buttare l’occhio nella cucina, scavata
nella roccia, dove l’ordine e la pulizia non sono proprio di
casa e c’era il cuoco a piedi nudi, inginocchiato contro il
muro che stava pregando.
Dopo una breve sosta arriva il gruppo, mangiano in fretta
ed è già ora di tornare.
Quello che ho visto è diventato parte di me.
Niente vale quanto ho voluto imprimere nei miei occhi e
nella memoria, storia e bellezza insieme, sono veramente
una donna fortunata.

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ISRAELE

L'escursione seguente sarà in Israele.
Partenza alle 3 del mattino.
Dopo diversi chilometri e due ore di controlli al confine, si
viaggia verso il Mar Morto.
Non me lo ricordavo così.
È come un'immensa pozzanghera azzurro chiaro con delle
chiazze di sale dove l’acqua non c’è più.
Doveroso fermarsi e farci un bagno.

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Non pensate di potervi distendere nell’acqua perché non
riuscirete più a rimettere giù i piedi.
Se desiderate nuotare, ve lo sconsiglio caldamente.
Basta che una goccia d’acqua vi penetri in un occhio e sono
dolori.
E un ultimo consiglio...
Quando uscite dall’acqua fate che la doccia sia molto
meticolosa perché il sale finisce ovunque.
Si riparte, ancora un po’ di strada, manca poco, vedo le
montagne di Masada che fu sconfitta dai romani e i suoi
abitanti finirono tragicamente.
Ormai siamo quasi arrivate.
Gerusalemme è una città ancora più caotica di come la
rammentavo dodici anni fa.
Un traffico pazzesco e facce senza sorriso.
Tutti devono andare in qualche posto, devono andarci in
fretta e ti girano le spalle.
Il pullman si ferma al Monte degli Ulivi per una veduta
panoramica della città vecchia.
Faccio un grande respiro, è un respiro liberatorio.
Alzo gli occhi per vedere un falco che volteggia alto sopra
di noi e con un improvviso tuffo si fionda tra gli alberi.
Guardo le vecchie mura e penso a Chi le ha guardate tanto
prima di me.
Quali erano i Suoi pensieri?

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Posso solo immaginare, eppure ho la sensazione di un
accumularsi di idee, di sentimenti contrastanti, un po’ tristi
e un po’ gioiosi, ma mai di disperazione.
Jesus aveva una grande impresa da compiere, e lo sapeva
cosa sarebbe successo.
Questa Gerusalemme piena di contrasti.
Archi romani e bastioni ottomani, santuari sacri agli ebrei,
ai cristiani e ai mussulmani tutti nello stesso luogo.
La città vecchia, il Muro del Pianto, la Spianata del
Tempio, il Quartiere Ebraico, un brulichio di folla sotto un
sole feroce.

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Si perdono e si chiamano perché basta un nulla per
distrarsi, gli altri girano un angolo e tu perdi d'occhio la
guida.
Ebrei integralisti, vestono come corvi neri, sempre con il
cappello in testa e quei due riccioli che pendono ai lati del
viso.
La guida spiega che per loro questi riccioli sono come
spirali di energia.
Incominciano i problemi.
Mia sorella si rende conto che non ce la fa a camminare ma
il pullman è già andato via e siamo rimasti lì a discutere
con la guida su cosa si poteva fare, visto che gli altri
avevano fretta e diventavano nervosi.
Non sono disposti a rallentare, non bisogna perdere tempo.
Da troppo attendono di visitare il Santo Sepolcro.
Qualcuno è più ragionevole, ha un po’ di compassione per
chi non ce la fa.
Commentano tra loro con cattiveria e vedo saettare sguardi
di rabbia per questo improvviso ostacolo.
Non ci sono alternative.
Bisogna chiamare un taxi per lei che ci aspetterà fuori dal
Muro del Pianto.
Sono preoccupata ma mi dice “vai, almeno tu non
rinunciare che andrà tutto bene”.
Non sono del tutto convinta, non mi va di abbandonarla a
quel modo.

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Ma doveva andare così e quindi proseguo.
Rifletto con gli altri.
È come se Gesù ci avesse messi alla prova, valutato e
pesato i nostri sentimenti.
Stiamo andando da Lui.
Con quale animo ci presenteremo lì davanti alla Sua
tomba?
Ha senso tutto questo, o era meglio restarcene a casa?
Poi si procede a passo spedito, si percorre il bazar arabo,
fino alla Via Dolorosa che porta alla chiesa del Santo
Sepolcro.
C’è astio nell'aria, e forse ancora di più proprio dentro alla
Chiesa.
È tutta una corsa, il Cenacolo, la Spianata e il Muro del
Pianto e io non vedo l'ora di uscire per vedere come sta mia
sorella.
Sarò in pace soltanto quando la vedrò seduta al sole ad
aspettarci, e per fortuna lei era lì.
Non mi è dispiaciuto andarmene.
Non avrò nessun rimpianto per una Gerusalemme che per
me ha perduto il senso della storia, dove tutto è commercio
e si respira paura, caos, diffidenza e rabbia.
Jesus non abita più qui.

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PALESTINA

Avevo percorso tanta strada per arrivare fino a
qui e finalmente avevo raggiunto il mio obiettivo.
Camminavo dove era stato Gesù, avevo visto quello che
vedevano i Suoi occhi più di 2000 anni fa e come Lui
respiravo l'aria calda del Deserto di Giuda.
Se il destino di una persona in parte è già tracciato (e negli
anni mi è stato insegnato dagli Angeli che è così) allora
vuol dire che era scritto.
Dovevo essere lì.
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Il destino è una componente del nostro “viaggio”, poi
saranno le scelte, giuste o sbagliate.
Sempre giuste perché alla fine si arriva alla comprensione,
magari non in questa vita, ma ci si arriva, e saranno le
scelte a portarci dove serve.
Le cose si possono anche rimandare nel tempo (questo o
futuro) perché non ci sentiamo adeguati.
Si può anche rimandare e “non fare” per paura, ma
ricordiamoci che il tempo non ha limiti, e quello che
dovremo fare lo faremo perché è scritto nella nostra storia
personale.
Infatti guardando indietro nel tempo, essere lì mi sarebbe
assolutamente servito per questa vita.
Quel giorno di maggio c’era una temperatura che qui in
Italia potremmo definire estiva, il sole era gradevole, i
colori vividi e brillanti.
La meta era il mar Morto.
Avevamo passato la giornata un po’ in viaggio e un po’ a
rinfrescarci in quelle acque così ricche di sale da apparire
quasi bianche.
Poi siamo ripartiti per una località vicina chiamata
Qumram.
Qumram è il luogo dove recentemente in una di quelle
grotte sono stati scoperti i famosi rotoli dei Vangeli
Apocrifi, materiale scottante, che già allora poteva essere
distrutto e noi avremmo perso tanto.

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Sotto si vede il mare e sopra, oltre la strada, una montagna
di roccia con tanti buchi neri, che erano le caverne dove
migliaia di anni fa gli eremiti si ritiravano per meditare.
Che strano, è un pensiero dissacrante ma assomiglia un po’
a un famoso formaggio che mi piace tanto.
Un luogo magico dove sembra quasi di poter cambiare
pelle, di poter toccare il passato con le mani e di entrare a
far parte della storia.
Avevo proprio la sensazione che Lui fosse lì.
Mi aspettavo da un momento all'altro che Jesus uscisse
fuori da una di quelle grotte, che scendesse e mi potesse
venire incontro.
Oh, quanto l'ho desiderato…
Era un'attesa che la mia razionalità dichiarava impossibile e
ne ero consapevole.
La mente diceva “Sei folle... ma cosa vai a pensare? Non
c'è niente di scritto, niente”.

Infatti è soltanto stato riportato che Gesù fosse un Esseno,
e    proprio      perché     non     documentato    non     è
possibile affermare nulla.
Ma qualcosa va ben oltre la mente, e nel tempo ho dovuto
imparare ad accettare anche cose del tutto impossibili per la
ragione che poi si sono rivelate esatte.
D’altra parte il cuore mi diceva che ero già stata lì, in
un'altra vita, e per questo sentivo forte la Sua magnifica
presenza, la respiravo.
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Come fosse una coperta calda che ti avvolge tutto e tu stai
protetto e al sicuro mentre fuori piove.

Era quasi il tramonto e la temperatura era ancora molto
elevata.
Non c'è nulla di verde intorno, come quasi ovunque in quei
luoghi.
Soltanto il giallo e l’ocra della sabbia e tutte le sfumature
che prende la roccia quando tramonta il sole.

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Sono salita su un altipiano e così potevo vedere meglio la
montagna e le tantissime grotte che erano servite da rifugio
in quel tempo.
Avevo chiuso gli occhi per un attimo per escludermi ed
essere ancor più presente.
Volevo assaporare fino in fondo le sensazioni, inciderle
profondamente nella mia essenza per non dimenticarle più.

Immaginavo, e mi aspettavo che da una di
quelle caverne potesse uscire un gruppo di Esseni e in
mezzo a loro anche il mio Maestro.

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Improvvisamente arrivò un soffio d'aria calda dal
deserto mi scompigliò i capelli e mi accarezzò il viso.
Non avrei più dimenticato quella sensazione.
Sentivo di essere una cosa sola con Lui.
Il vento, il soffio di vita, la “ruach”.
Così era stato soprannominato Gesù dai suoi apostoli...
“Ruach”.
Era così che spesso si preannunciava prima di comparire
davanti a loro.
Visitate questo posto se potete.
Non importa se siete credenti oppure no.
Vi lascerà sorpresi, affascinati, sicuramente non vi
deluderà.

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