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CENTRO ALTI STUDI CENTRO MILITARE PER LA DIFESA DI STUDI STRATEGICI 69a SESSIONE DI STUDIO IASD Anno 2017 -2018 Comprehensive approach e Maritime Security: situazione attuale, prospettive future e applicabilità del modello a tutte le operazioni di mantenimento della sicurezza (Codice AN-SMM-03)
Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.), costituito nel 1987 e situato presso Palazzo Salviati a Roma, è diretto da un Generale di Divisione (Direttore), o Ufficiale di grado equivalente, ed è strutturato su due Dipartimenti (Monitoraggio Strategico - Ricerche) ed un Ufficio Relazioni Esterne. Le attività sono regolate dal Decreto del Ministro della Difesa del 21 dicembre 2012. Il Ce.Mi.S.S. svolge attività di studio e ricerca a carattere strategico-politico-militare, per le esigenze del Ministero della Difesa, contribuendo allo sviluppo della cultura e della conoscenza, a favore della collettività nazionale. Le attività condotte dal Ce.Mi.S.S. sono dirette allo studio di fenomeni di natura politica, economica, sociale, culturale, militare e dell'effetto dell'introduzione di nuove tecnologie, ovvero dei fenomeni che determinano apprezzabili cambiamenti dello scenario di sicurezza. Il livello di analisi è prioritariamente quello strategico. Per lo svolgimento delle attività di studio e ricerca, il Ce.Mi.S.S. impegna: a) di personale militare e civile del Ministero della Difesa, in possesso di idonea esperienza e qualifica professionale, all'uopo assegnato al Centro, anche mediante distacchi temporanei, sulla base di quanto disposto annualmente dal Capo di Stato Maggiore dalla Difesa, d'intesa con il Segretario Generale della difesa/Direttore Nazionale degli Armamenti per l'impiego del personale civile; b) b) collaboratori non appartenenti all'amministrazione pubblica, (selezionati in conformità alle vigenti disposizioni fra gli esperti di comprovata specializzazione). Per lo sviluppo della cultura e della conoscenza di temi di interesse della Difesa, il Ce.Mi.S.S. instaura collaborazioni con le Università, gli istituti o Centri di Ricerca, italiani o esteri e rende pubblici gli studi di maggiore interesse. Il Ministro della Difesa, sentiti il Capo di Stato Maggiore dalla Difesa, d'intesa con il Segretario Generale della difesa/Direttore Nazionale degli Armamenti, per gli argomenti di rispettivo interesse, emana le direttive in merito alle attività di ricerca strategica, stabilendo le lenee guida per l'attività di analisi e di collaborazione con le istituzioni omologhe e definendo i temi di studio da assegnare al Ce.Mi.S.S.. I ricercatori sono lasciati completamente liberi di esprimere il proprio pensiero sugli argomenti trattati, il contenuto degli studi pubblicati riflette esclusivamente il pensiero dei singoli autori, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali i Ricercatori stessi appartengono.
CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA ISTITUTO ALTI STUDI PER LA DIFESA 69a SESSIONE DI STUDIO Anno Accademico 2017 - 2018 3a Sezione “Comprehensive approach e Maritime Security: situazione attuale, prospettive future e applicabilità del modello a tutte le operazioni di mantenimento della sicurezza” LAVORO DI GRUPPO 3a SEZIONE A cura di: 1. Generale di Brigata CC Giuseppe SPINA 2. Capitano di Vascello Lorenzano DI RENZO 3. Capitano di Vascello Antonio GALIUTO 4. Colonnello G.d.F. Alessandro GALLOZZI 5. Colonnello EI Stefano CAVALIERE 6. Colonnello AM Davide RE 7. Avvocato Alessandro DIOTALLEVI 8. Ingegnere Sergio MAZZA 9. Dottore Giovanni Lodovico POCCI 10. Generale di Brigata (Egitto) Osama Le GAMMAL 11. Generale di Brigata (Libano) Souheil NAJM 12. Colonnello (Algeria) Rachid AOULMI Direttore Coadiutore: Contrammiraglio Stefano TADDEI
Comprehensive approach e Maritime Security: situazione attuale, prospettive future e applicabilità del modello a tutte le operazioni di mantenimento della sicurezza NOTA DI SALVAGUARDIA Quanto contenuto in questo volume riflette esclusivamente il pensiero dell’autore, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali l’autore stesso appartiene. NOTE Le analisi sono sviluppate utilizzando informazioni disponibili su fonti aperte. Questo volume è stato curato dal Centro Militare di Studi Strategici Direttore CA. Arturo FARAONE Capo Dipartimento Monitoraggio Strategico Col. Aarnn Pil. (AM) Marco Francesco D’ASTA Progetto grafico Massimo Bilotta - Roberto Bagnato Autore Giuseppe SPINA, Lorenzano DI RENZO, Antonio GALIUTO, Alessandro GALLOZZI, Stefano CAVALIERE, Davide RE, Aessandro DIOTALLEVI, Sergio MAZZA, Lodovico POCCI, Osama Le GAMMAL, Souheil NAJM, Rachid AOULMI Stampato dalla tipografia del Centro Alti Studi per la Difesa Centro Militare di Studi Strategici Dipartimento Monitoraggio Strategico Palazzo Salviati Piazza della Rovere, 83 - 00165 – Roma tel. 06 4691 3205 - fax 06 6879779 e-mail dipms.cemiss@casd.difesa.it chiusa a giugno 2018 ISBN 978-88-99468-91-0
INDICE Executive summary ............................................................................................................. 6 Introduzione ......................................................................................................................... 8 Il mare e il dominio marittimo ............................................................................................. 10 a. Il fattore geografico: la dimensione marittima e le aree di interesse nazionale ........ 10 a. Il fattore socio-economico: la globalizzazione, il cluster marittimo e il libero accesso al global common nazionale .......................................................................................... 15 Maritime Security ............................................................................................................... 21 a. Potenziali rischi e minacce alla sicurezza marittima .................................................. 21 b. Punto di situazione sulle operazioni in atto ............................................................... 25 Golfo di Guinea ......................................................................................................... 25 Operazione ATALANTA ............................................................................................ 27 EUNAVFOR MED ..................................................................................................... 29 Evoluzione delle Strategie di Sicurezza ............................................................................. 33 a. I risultati conseguiti .................................................................................................... 33 Golfo di Guinea ......................................................................................................... 33 Operazione ATALANTA ............................................................................................ 35 EUNAVFOR MED ..................................................................................................... 38 b. Limiti attuali del corpo delle regole e delle prassi ...................................................... 43 c. Interazioni tra gli attori istituzionali ............................................................................. 50 L’esigenza del Comprehensive Approach ......................................................................... 53 a. Information sharing (costruzione condivisa della Maritime Situational Awareness)... 53 b. Relazione tra la sicurezza marittima e la sicurezza del territorio ............................... 62 c. Key leaders engagement .......................................................................................... 69 d. Dinamiche socio-economiche e relativi effetti sul mare ............................................. 71 Conclusioni ........................................................................................................................ 85
Executive summary Almost every aspect of our national life depends on our connections to the wider world and most of these connections are provided by the sea. We depend on the sea for our prosperity and security and are reliant on a stable global market for the raw materials, energy and manufactured goods, critical to sustaining our way of life. While the sea is the lifeblood of our economy, conveying the vast majority of our trade and many of our vital resources, it can also be exploited by hostile entities, criminals and terrorists. Recent trends such as globalisation, resource competition, population growth and climate change have transformed the maritime domain to one that is simultaneously more connected – providing substantial growth opportunities for the economy – and more contested, in which, developments in distant maritime regions can have an immediate and direct impact on our prosperity and security. This transformation demands a new approach to the way we envision the sea as a physical, operational and legal domain. At the same time, to adjust to the geopolitical complexity of the current maritime environment, we must broaden the customary notion of maritime security to transcend the traditional approach, based only on military means and to include the widest spectrum of capabilities that a country can express. To implement this new approach, that we will call “comprehensive”, a number of transformations must be implemented: - a transformation of the information domain: to achieve the broadest sharing of relevant data (the so-called Broad Situational Awareness). This will require a significant technical effort, aimed at the integration of the Command and Control systems of all the entities we intend to involve in the management of a crisis; this will also require a cultural shift, related to the enhancement of the processes of analysis, evaluation and selection of the increased flow of data associated with the enlargement of the nature and scope of the information sources; - a transformation of the legal and organizational environment, aimed at adapting the cooperation protocols established between the Maritime Police forces, Judicial Systems and role of political authorities of the countries involved in managing a crisis; 6
- the definition of shared structured plans, specifically designed to support failed States and other focus areas representing a prolonged threat to the stability of the respective maritime environments. The most challenging evolution is the cultural one and it can be achieved only in the long run, through a structured and incremental approach, based on: - a progressive enhancement of the Civilian - Military cooperation (CIMIC), based on the lessons learned and best practices developed along the course of successful operations such as UNIFIL, ATALANTA and all the corresponding capacity building initiatives implemented at sea and ashore; - a transition of the information culture from the “need to know” to the “need to share” and, progressively, to the “responsibility to share”; - the definition of a “Common Sharing Information Environment” to overcome the technical, cultural and organizational challenges associated with the need to improve the maritime Situational Awareness; - a broader involvement of international diplomacy and military assistance forces in the capacity building initiatives brought about in favour of States involved in regional struggles against transnational terrorism; This transformation is even more critical for the Mediterranean Sea, which, in spite of its limited extension, is crossed by an impressive portion of the global maritime merchant flows. It is difficult to predicted if this approach could be successfully adapted to other operational environments and situations, notwithstanding it is certainly the starting point of a journey, made of cooperation and communication, that we must commit to undertake, if we intend to progress in our effort towards a peaceful and stable global environment. 7
Introduzione L’Italia è un paese sostanzialmente manifatturiero, dotato di una struttura economica basata sulla trasformazione e, quindi, sulla disponibilità di un flusso di risorse materiali ed energetiche costante, affidabile e proporzionato alle esigenze dell’industria nazionale. Ai fini del contenimento dei costi di trasporto (che altrimenti risulterebbero ingestibili a causa dell’imponenza dei volumi e delle distanze in gioco), circa il 90% delle risorse che alimentano le nostre capacità produttive, raggiunge il nostro Paese via mare. Più in generale, nell’era della globalizzazione, quasi ogni aspetto della nostra vita risulta intimamente dipendente dalla nostra capacità di interfacciarci con il resto del mondo, che, a sua volta, è subordinata alla disponibilità di una rete di collegamenti fatta, in massima parte, da linee di comunicazione marittima o subacquea. In sintesi, dal mare e dalle straordinarie potenzialità che esso presenta per la libera circolazione delle materie prime, delle risorse energetiche, dei beni prodotti dalla nostra industria manifatturiera e di supporto della nostra capacità di comunicare in maniera efficace e tempestiva con gli altri attori globali, dipendono la prosperità, la sicurezza e la sostenibilità del nostro stile di vita. La globalizzazione e tutti i fenomeni a essa correlati (il degrado ambientale, la crescita della popolazione mondiale, il progressivo aumento dell’interdipendenza delle economie nazionali e la conseguente intensificazione della competizione per l’approvvigionamento delle risorse naturali) hanno progressivamente modificato il carattere dell’ambiente marittimo, incrementandone l’interconnessione (e con essa le opportunità per il nostro sistema economico) e la conflittualità (e quindi il rischio che l’insorgenza di conflitti in aree remote possa riflettersi direttamente sulla sicurezza e sulla prosperità del nostro Paese). Questa trasformazione, che ha favorito l’emersione di una varietà di rischi nuovi e la ricomparsa di minacce che si ritenevano da tempo estinte (es. la pirateria marittima), ha imposto un approccio innovativo, attento e sistematico, alle questioni collegate con la gestione e l’uso del mare e ha determinato il conseguimento di una comprensione più profonda e meditata della natura dell’ambiente marittimo, nella triplice connotazione di dominio fisico, operativo e giuridico. Allo stesso tempo è stato necessario giungere a un ampliamento del concetto tradizionale di sicurezza marittima, che fosse in grado di trascendere gli aspetti meramente militari e di adattarsi alla straordinaria complessità geopolitica dell’ambiente marittimo moderno e delle sue numerose declinazioni. Secondo questa tendenza, per salvaguardare il Sistema Paese e rispondere con sufficiente prontezza alle minacce del futuro, sarà sempre più necessario poter osservare e 8
influenzare gli eventi con grande anticipo e in località molto remote, conoscere approfonditamente la pluralità di rischi, reali o potenziali, con i quali dovremo confrontarci ed essere pronti a dispiegare, nelle aree di crisi, un gamma molto ampia di capacità d’intervento. Ciò sarà possibile solo persistendo con l’implementazione metodica di un approccio trasversale alla sicurezza marittima, inclusivo e omnicomprensivo e che assicuri il pieno coinvolgimento di tutte le risorse e le energie del Paese. Questo metodo è noto con il nome di Comprehensive Approach. 9
Capitolo 1 Il mare e il dominio marittimo a. Il fattore geografico: la dimensione marittima e le aree di interesse nazionale L’ambiente marittimo è per sua natura globale, non ha confini. La storia testimonia come il mare sia stato da sempre la principale direttrice di incontro tra i popoli e fondamentale veicolo di sviluppo dell’umanità. Sin dall’antichità il mare ha sempre rappresentato un ponte - pontos, per i greci - di collegamento per popoli di culture e tradizioni diverse. Anche il progresso della società è sempre stato legato alle attività marittime, dalla navigazione, al commercio, alla pesca. Perfino la storia delle più importanti scoperte geografiche, dei nuovi paesi e di nuove culture coincide con i momenti salienti della progressiva conquista dei mari. È l’eterna sfida che ha da sempre affascinato l’uomo ad affrontare l’ignoto che ha spinto i grandi navigatori a salpare verso orizzonti sconosciuti. Sono stati proprio gli europei i primi popoli che hanno scoperto la propria vocazione marittima, venendo dapprima a contatto con i popoli della sponda africana del Mediterraneo per poi spingersi oltre le Colonne d’Ercole, oltre gli Oceani, verso nuovi mondi. Nell’antichità, per i popoli fenici, egizi, greci e romani lo sviluppo delle loro civiltà era strettamente connesso con quello dei centri urbani e dei porti sorti sulle coste del Mediterraneo. Il rapporto col mare era alla base del commercio e dell’economia in generale, condizionava in modo determinante la politica interna ed estera di questi popoli, che col tempo impararono a dare sempre più impulso alla propria vocazione marittima, legando il proprio potere economico alla capacità di dotarsi di infrastrutture portuali e allo sviluppo scientifico e tecnologico della cantieristica navale, sia per fini commerciali che bellici. Fu Cicerone uno dei primi a comprendere l’alta valenza strategica del mare nostrum: “Qui mare teneat, eum necesse esse rerum potiri”1. Molti anni più tardi, uno dei più grandi Ammiragli della storia del potere navale, Lord Horatio Nelson, con le sue parole avrebbe definitivamente sugellato il valore del mare con un epico aforisma: “Chi comanda il mare, guida la storia!”. La vision del grande Ammiraglio britannico andava ben oltre gli orizzonti che lui stesso poteva immaginare. Oggi, il mare rientra fra i domini che sono patrimonio della collettività, una risorsa internazionale e sovranazionale: un global common. 1 Cicerone, ad Attico, Lib. X, 8, 4, lettera del 2 maggio 49 a.C. 10
Nel XXI secolo, nell’era della globalizzazione e che a giusto titolo molti definiscono il “secolo blu”, l’aforisma di Nelson si arricchisce di nuovi significati. Oggi, l’eroico condottiero, probabilmente avrebbe detto: “Chi comanda il mare, guida la storia e…. comanda il mondo!”. Il mare sembra aver rinnovato la propria importanza strategica, prendendo il posto che nel secolo scorso aveva assunto la “corsa allo spazio” delle grandi superpotenze. La sostanziale differenza è che, a differenza dello spazio, nell’ambiente marittimo tutti hanno facile accesso, tutti i popoli rivieraschi possono sfruttare e investire efficacemente nella risorsa “mare”. I dati del traffico commerciale marittimo mondiale - oltre il 90% degli scambi complessivi e l'80% di quelli energetici viaggiano via mare - sono chiara testimonianza di questa nuova tendenza, di quello che è stato già definito come il “Rinascimento del Mare”. Nell’epoca in cui il concetto di distanza “geografica” ha lasciato abbondantemente il posto a quello della distanza “economica”, ogni forma di investimento nella propria dimensione marittima rappresenta per un qualunque stato rivierasco un obiettivo di rilevanza strategica. Non solo dal punto di vista economico. I traffici via mare hanno favorito la globalizzazione in tutte le sue articolazioni, creando interdipendenze sociali, culturali, politiche e tecnologiche, con effetti positivi e negativi di rilevanza planetaria. Se infatti, la natura “aperta” e facilmente accessibile del mare non pone frontiere al libero commercio, d’altro canto ne complica la governance e rende l’ambiente marittimo particolarmente vulnerabile e soggetto al rischio di traffici illeciti, di sovra sfruttamento. Anche l’Italia sembra aver trovato le giuste cure per superare un lungo periodo di “miopia marittima” e riscoprire l’elevato valore strategico dei suoi 8.000 chilometri di costa e dei suoi mari. La sua vocazione marittima è peraltro facilmente correlabile anche alla sua forma geografica e alla sua posizione, protesa verso le coste settentrionali dell’Africa, al centro del Mediterraneo, storico crocevia di popoli e culture e che oggi ha pienamente riconquistato il suo antico ruolo di bacino di primaria rilevanza strategica. Ripartire dal mare significa per l’Italia, ritrovare la propria forza e il proprio sostentamento proprio in quella risorsa che ha reso grande questa nazione nella storia. Un elemento la cui dimensione va ben oltre i suoi confini tridimensionali della superficie e del relativo spazio aereo e subacqueo, ivi incluso il fondale e il relativo sottosuolo. La dimensione marittima pur partendo da una definizione geografica, deve essere arricchita di significati di natura geopolitica, economica e commerciale, sociale e storica, ecologica e, non ultimo, giuridica. 11
Tradizionalmente, nel diritto internazionale classico, il mare era suddiviso in Mare Territoriale, un’area sottoposta alla sovranità dello Stato costiero, confinante con l’Alto Mare, in cui storicamente vigeva il principio della libertà d’uso per tutti gli Stati, non solo quelli costieri. Nel 1982 la Convenzione di Montego Bay (Giamaica) regolamentò per la prima volta gli spazi marittimi in un nuovo e più articolato regime giuridico, comprendendo, oltre al Mare Territoriale e alle acque internazionali (o Alto Mare), la Zona Contigua, la Piattaforma Continentale, la Zona Economica Esclusiva e i Fondi Marini Internazionali (Patrimonio comune dell’umanità). Storicamente le Nazioni hanno sempre cercato di estendere il proprio controllo sull’Alto Mare che è - anche oggi - oggetto di continue rivendicazioni così come nel caso delle dichiarazioni unilaterali di Zone Economiche Esclusive a vario titolo (pesca, protezione ambientale, ecc.). Questo fenomeno, orientato principalmente a uno sfruttamento esclusivo di nuove riserve energetiche e risorse minerarie sottomarine, è oggi noto con il nome di “territorializzazione” del mare, uno degli aspetti più discussi e dibattuti nel moderno diritto marittimo internazionale, causa di forti attriti e controversie internazionali (i.e. dispute nel Mar Cinese meridionale, Isole Faroe, Mar Glaciale Artico etc.). In definitiva, dal principio generale della libertà dei mari, attraverso Montego Bay, si sta passando verso concezioni più restrittive di tale libertà, connesse con l’ampliamento indiscriminato del mare territoriale e l’utilizzazione permanente delle acque e del fondo marino anche nell’Alto Mare. Anche il Mediterraneo non è esente da questo fenomeno e oggi solo il 29% della sua superficie non è sottoposta a rivendicazioni di esclusività da parte degli Stati costieri. Un esempio è il caso della Libia, che rivendica una zona di pesca esclusiva che si estende fino a 62 miglia a nord del Golfo della Sirte. Per irradiare la propria sovranità nei suoi mari, l’Italia è chiamata a effettuare un continuo monitoraggio dei suoi spazi marittimi, a partire dalle infrastrutture portuali, per protrarsi lungo le coste, nel mare territoriale e in tutte quelle zone dove si estende la nostra territorialità, includendo anche le navi mercantili di bandiera italiana o le imbarcazioni dei pescatori nazionali. Un confine geografico è difficile da tracciare, dal momento che è comunque rappresentato da una frontiera fluida, facilmente penetrabile. La dimensione marittima nazionale abbraccia anche le linee del traffico commerciale nazionale e di quello internazionale destinato al nostro Paese e che sosta – in transito – nei nostri porti. I confini della nostra realtà marittima si sono estesi al punto da includere oggi anche le coste di quei Paesi da cui portano i traffici – leciti e illeciti - verso l’Italia e verso l’Europa. 12
E ancora, abbracciano le acque dei fondali marini attraversati da cavi e condotte sottomarine collegate con il territorio italiano. Come noto, il mare rappresenta il principale asse dell'interconnessione digitale. Malgrado, infatti, nell'immaginario collettivo essa sia associata alla modalità satellitare, oggi il 95% del traffico mondiale del web – e quello delle telecomunicazioni più in generale – avviene attraverso oltre 200 cablaggi sottomarini. Progressivamente, i confini della dimensione marittima nazionale si estendono a tutte le aree del pianeta dove sono presenti interessi nazionali, dove c’è un bene o un valore tricolore che il Paese ha i diritto e il dovere di tutelare. È chiaro il riferimento in questo caso alle piattaforme petrolifere. Meno evidente, forse quello relativo a tutti i nostri connazionali che vivono all’estero o sono presenti in altri territori per lavoro o per fini turistici. Atteso che la popolazione mondiale è concentrata per oltre il 65% in una fascia distante meno di 200 km dalla costa, il mare resta uno dei principali vettori per poter raggiungere e assistere eventuali connazionali presenti a vario titolo su territori esteri soggetti a calamità naturali o sconvolti da crisi o disordini socio-politici. Attraverso il mare la maggior parte della popolazione del pianeta può essere facilmente raggiunta e l’elemento marino rappresenta quindi, per l’uomo, il principale mezzo per le proprie attività produttive e commerciali, nonché la via preferenziale di comunicazione, ivi inclusa quella per condurre operazioni di natura bellica. Nei teatri operativi, l’appoggio della forza potrebbe trovare difficoltà sulla terraferma, ove la situazione è definita in maniera statica da confini ben delimitati. La violazione di una frontiera può comportare immediate reazioni cruente, con conseguente pericolo di escalation. Un intervento di eventuale proiezione della forza dal mare, fuori da acque territoriali, consente in questi casi di preservare il principio di neutralità. Osservare la dimensione marittima dell’Italia, così come quella di ogni altro Stato rivierasco, significa dunque proiettare il proprio sguardo ben oltre l’orizzonte geografico dei suoi confini, verso la sua connotazione meta-geografica, lì dove sono presenti gli interessi della Nazione. Inoltre, a un’attenta analisi, anche sul territorio la dimensione marittima va ben oltre il confine della linea di costa, per spingersi all’interno verso le aree dove si generano le possibili fonti di minaccia per i nostri interessi marittimi. Per cogliere dunque il vero significato della marittimità della Nazione, dobbiamo guardare agli interessi dello Stato e al modo in cui essi sono legati con il mare. Viceversa, potremmo facilmente risalire dal dominio globale in cui sono localizzabili gli interessi del 13
Paese alla sua natura marittima, termine questa volta impiegato nella sua accezione prettamente geografica. 14
a. Il fattore socio-economico: la globalizzazione, il cluster marittimo e il libero accesso al global common nazionale Nel XVIII secolo l’obiettivo dell’Impero Britannico e delle più potenti marine del mondo era quello di “comandare il mare”, come nella vision di Nelson. Oggi le politiche dei governi tendono piuttosto a valorizzarne le potenzialità sotto il profilo sociale ed economico. Gli sforzi sono principalmente tesi a garantire le necessarie condizioni di sicurezza del global common, affinché possa accedervi chiunque intenda farne un impiego legittimo, e ne venga interdetto l'uso a quanti lo vogliano sfruttare per scopi aggressivi o prevaricatori. Alla fine del secolo scorso, il fenomeno della pirateria somala nelle acque del Corno d’Africa iniziava a minacciare la libera navigazione del naviglio mercantile in transito in quelle acque. La perdurante guerra civile e l’assenza totale di ogni forma di controllo sul territorio da parte di un governo centrale, crearono le condizioni per far nascere e sviluppare una rinnovata forma di pirateria che dilagò al punto da estendersi in pochi anni fino a tutte le acque dell’Oceano Indiano. Navi da crociera e mercantili abbordati e talvolta anche sequestrati richiesero presto l’intervento delle principali marine del mondo impegnate a proteggere il proprio libero commercio e traffico marittimo. Al contempo, la Somalia aveva perso ogni forma di controllo del proprio mare. In quegli anni un cospicuo numero di imbarcazioni straniere, ivi comprese le europee, oltrepassavano i confini delle acque somale per pescare quantità non sostenibili di pesce e persino per scaricare rifiuti altamente tossici o radioattivi2. In poco tempo, la situazione somala avrebbe avuto conseguenze di portata planetaria. I principali armatori e le compagnie di navigazione nei loro traffici da e per l’Europa preferirono circumnavigare l’Africa, piuttosto che entrare nel Mediterraneo, attraversando il Canale di Suez. La mappa delle principali linee di commercio marittimo rischiò di cambiare, svuotando tutti i principali porti del Mediterraneo, compresi quelli italiani. Proteggere il libero traffico marittimo dalla minaccia della pirateria somala, sarebbe presto diventata una delle missioni di tutte le marine del mondo. Anche l’Europa decise di intervenire lanciando alla fine del 2008 la prima missione diplomatico-militare marittima nella storia dell’Unione: l’Operazione ATALANTA. L’Italia fu una delle prime nazioni a intervenire. Oltre ad assaltare il naviglio mercantile italiano, i pirati somali rischiavano di mettere in ginocchio uno dei settori più importanti dell’economia nazionale. 2 Greenpeace report, “The toxic ships. The Italian hub, the Mediterranean area and Africa” (1° giugno 2010). 15
Compromettere il traffico nel Mediterraneo non era però un rischio solo europeo o nazionale. Oggi, attraverso il Mediterraneo transita infatti il 20% del traffico marittimo mondiale3. Un dato ancor più significativo se raffrontato al fatto che la sua superficie ricopre appena l’1% delle acque dell’intero globo. Nelle acque del mare nostrum viene trasportato oltre il 30% del petrolio mondiale4, nonché quasi i ¾ delle altre risorse energetiche destinate all’Italia e agli altri Paesi europei. Elementi sufficienti per fornire una chiara percezione della portata delle drammatiche ricadute sull’economia mondiale di un fenomeno sviluppato all’interno di un global common, ancorché in un’area localizzata del pianeta. Nel prosieguo del documento, approfondiremo il fenomeno della pirateria, non solo quella somala, per analizzarlo sotto altri aspetti e comprendere come sia stato affrontato, arginato e – oggi – in buona parte debellato. Ci basti ora evidenziare come la Somalia rappresenti un interessante case study, che offre la preziosa opportunità di osservare come un conflitto lasciato irrisolto dalla comunità internazionale negli anni novanta abbia provocato dopo soli pochi anni i suoi “effetti” nell’ambiente di più facile e immediato accesso e al contempo più difficile da controllare: il mare. Dalle acque dell’oceano indiano, a causa della natura “globale” dell’ambiente in cui opera la pirateria, gli “effetti” di questa problematica si sono diffusi in tutte le direzioni, raggiungendo tutti i principali porti del mondo, ivi inclusi quelli italiani. Per un Paese come il nostro, caratterizzato da un’economia di trasformazione, con una significativa dipendenza dall’importazione di energia e di materie prime e dalla necessità di esportare verso l’estero i suoi prodotti finiti, l’incidenza del traffico commerciale marittimo sull’economia nazionale è significativa. L’attuale specifica situazione della Nazione vede la domanda di energia soddisfatta per oltre il 75% dalle risorse di petrolio e gas importati5, con quest’ultimo in costante aumento anche in ragione dell’impiego per l’elettro-generazione. La parte prevalente delle importazioni di greggio (oltre il 60%) viene da Libia, Iran, Russia e Azerbaijan, mentre dall’Africa ne proviene circa il 23% (di cui oltre l’8% dall’area del Golfo di Guinea). Per quanto riguarda l’approvvigionamento di gas, più del 59% delle importazioni italiane derivano da Russia, Libia e Algeria, ma quasi il 40% del totale viene da questi ultimi due Paesi. Peraltro, alcuni dei suddetti Paesi, pur vivendo in una situazione di stabilità, non 3 Il Sole 24Ore, “Nel Mediterraneo transita infatti il 19% del traffico marittimo mondiale. Per l’Italia un’opportunità da non sprecare” di Alfonso Ruffo (14 novembre 2014). 4 Aspen Institute Italia, “L’ambiente marittimo quale centro di gravità geopolitico per la sicurezza dell’Italia”, 19 gennaio 2015. 5 Ministero dello Sviluppo Economico, “La situazione energetica nazionale”, Rapporto 2016. 16
si possono considerare scevri da possibili stravolgimenti nei loro assetti politico- istituzionali tali da compromettere gli accordi commerciali stipulati che permettono di rifornirci di materie energetiche. L’import-export marittimo, secondo il MEF, resta uno dei principali pilastri dell’economia nazionale. I dati dicono che l’Italia è il primo Paese in Europa per quantità di merci importate via mare (185 milioni di tonnellate); sempre via mare riceve circa l’80% del petrolio e il 42% del gas necessario al proprio fabbisogno energetico e trasporta il 54% dei prodotti finiti. Infine, il nostro Paese possiede oggi la 12a flotta mercantile di bandiera del mondo (4a in Europa). Numeri ancora più significativi se si fa riferimento alla flotta di bandiera e di proprietà nazionale; in questo caso la flotta mercantile italiana è 4a al mondo e 2a in Europa. La portata e l’importanza dell’economia marittima nazionale non è legata solo al traffico commerciale e alla presenza di diversi porti divenuti ormai nevralgici hub per lo smistamento delle merci verso i mercati sia interni che europei. Oltre a importanti opere infrastrutturali portuali, l’Italia possiede infatti la 3a flotta peschereccia d’Europa6 (con oltre 12.700 pescherecci e 66.000 addetti) e la 1a flotta di navi traghetto al mondo7. Anche il settore turistico, uno dei principali elementi portanti dell’economia del Bel Paese, è in buona parte legato al mare e, ancora, è italiana una delle maggiori aziende energetiche integrate al mondo - l’ENI - che estrae in 24 Paesi e, tra questi, in 17 a mezzo di piattaforme offshore. Nel suo complesso, il cluster marittimo nazionale genera da solo il 3% del PIL, con un moltiplicatore economico d’investimento pari a 2,9 volte il capitale investito. Tuttavia, l’economia nazionale, nella sua dimensione marittima, è solo uno dei principali fattori che lega al mare gli interessi nazionali. Non l’unico. Il secondo fattore, non meno importante di quello economico, è quello sociale. Storicamente il Mediterraneo ha sempre rappresentato le culture dei popoli delle terre che lo circondano, sin dalla radice etimologica del suo nome. Attraverso il mare nostrum si connettono i tre continenti che lo circondano: Europa, Asia e Africa. Questi continenti fluiscono gli uni negli altri, intrecciando le proprie culture, le civiltà, le proprie tradizioni, le religioni e i linguaggi, persino il corredo genetico dei popoli che vivono lungo le sue coste. 6 EU Commision, Directorate general for maritime affairs and fisheries, “The EU fishing fleet” Rapporto 2017. 7 Confitarma, “La flotta mercantile italiana”, Rapporto 2017. 17
Ciò che in passato ha spinto i popoli dall’entroterra verso la costa ad attraversare le acque del Mediterraneo era il desiderio di conoscere o conquistare altre terre. Oggi questa spinta motivazionale è monodirezionale, dall’Africa o dall’Asia verso le coste europee ed è sostituita da uno desiderio di sopravvivenza, dalla voglia di una vita migliore, dignitosa, dalla fame. I flussi migratori via mare sono un ulteriore – nonché attualissimo - esempio di come il mare rappresenti un importante vettore per le trasformazioni socio-culturali dei popoli, che incide in modo significativo nel profondo cambiamento del tessuto sociale. Proprio come sta avvenendo oggi in Italia e su tutto il continente europeo. Anche in questo caso si tratta di un fenomeno globale, che interessa interi continenti, che vede nella frontiera fluida del mare il confine più semplice da superare, quello più facilmente accessibile. Con la sfida tra i doveri di accoglienza e integrazione da una parte e le ripercussioni sul piano della tutela degli interessi nazionali e della sicurezza sociale dall'altro, il fenomeno dell'immigrazione resta oggi uno dei fenomeni più complessi da affrontare per la nazione e l’Unione Europea. La sua dimensione marittima è senza dubbio quella più difficile da gestire e da contenere. Tuttavia, il tema “sociale” non è oggi quello che preoccupa maggiormente i governi dei Paesi del vecchio continente. L’interesse della politica così come quella dell’opinione pubblica è principalmente orientato agli aspetti correlati alla sicurezza interna e alla possibilità di difendersi dalle minacce provenienti via mare, come quelle del terrorismo integralista e della criminalità organizzata e, non ultimi, dai rischi di natura sanitaria e ambientale. L’analisi di questi fattori e l’intrinseco legame che essi hanno con la dimensione marittima del Paese, portano a una importante riflessione: dal mare dipendono sicurezza e prosperità della Nazione. Il presente e il futuro dell’Italia è strettamente correlato alla nostra capacità di comprendere che il global common che circonda le nostre coste è “molto di più di uno spazio tridimensionale, di un ostacolo geografico alla continuità delle terre emerse o di un palcoscenico prestato ad alcune vicende della storia. Il mare, quale fattore politico, strategico, ed economico, è più di un elemento spaziale strutturato; esso è anche elemento in grado di condizionare, orientare e ordinare le strategie globali di tutti gli attori che si aprono a esso”. ”Uomini, imprese, popoli e Stati del XXI secolo nel posizionarsi l’uno rispetto all’altro, dovranno muoversi lungo linee logiche, di pensiero e non semplicemente fisiche; rispetto al Dominio Marittimo in esito a un processo ponderato di scelte e decisioni. 18
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In questo processo il mare non si comporta, tuttavia, come neutro recettore, ciò significa che il mare agisce sugli attori che operano in esso, imponendo a tutti la propria legge che è fatta di movimento incessante, impossibilità di fermarsi, di posarsi. Possiamo affermare che per sua natura il mare possiede un equilibrio dinamico, tale da sfuggire a ogni forma di dominio permanente”. 20
Capitolo 2 Maritime Security a. Potenziali rischi e minacce alla sicurezza marittima Esiste un’intrinseca interconnessione tra gli interessi dell’Europa nel settore marittimo e il benessere, la prosperità, la sicurezza dei suoi cittadini e delle sue comunità. Nell’Unione Europea per via marittima sono effettuati il 90% circa degli scambi commerciali esteri e il 40% di quelli interni. L’Europa è il terzo maggiore importatore e il quinto produttore mondiale nel settore della pesca e dell’acquacoltura e dai suoi porti transitano ogni anno oltre 400 milioni di passeggeri. Quanto sopra può consentire di sostenere che lo sviluppo economico e la stabilità dell’UE dipendano da acque internazionali aperte e sicure necessarie per effettuare il libero scambio, i trasporti, il turismo, la diversità ecologica e lo sviluppo economico. Non riuscire a proteggere i mari e gli oceani da una serie di minacce e rischi incombenti potrebbe trasformarli in uno scenario di conflitti internazionali, atti di terrorismo o di criminalità organizzata. In questo contesto l’UE è sempre stata fortemente sollecitata ad agire con maggiore incisività e più rapidamente possibile, al rafforzamento della cooperazione tra i vari settori e le diverse Autorità nazionali. Le dimensioni interna ed esterna della sicurezza marittima sono sempre più interdipendenti; sono necessari unità d’intenti e uno sforzo condiviso di tutte le parti coinvolte per garantire la coerenza tra le politiche nazionali e settoriali e per far sì che le Autorità civili e militari possano reagire congiuntamente e con efficacia. Fin dal dicembre del 2013 il Consiglio europeo ha sottolineato l’importanza di salvaguardare gli interessi strategici della sicurezza marittima dell’UE a fronte di un’ampia gamma di rischi e minacce esistenti. I singoli Stati membri già iniziavano a riconoscere che una strategia per la sicurezza marittima dell’UE avrebbe potuto costituire la base per contribuire a una buona governance marittima, basata su un complesso di norme, sia nelle acque territoriali che in alto mare. Una strategia per la sicurezza marittima dell’UE avrebbe facilitato la definizione di un approccio strategico e intersettoriale nel campo della sicurezza marittima. Il punto di partenza di tale approccio dovrebbe essere costituito dal coordinamento dell’UE e dal rafforzamento delle sinergie con e fra gli Stati membri, oltre alla cooperazione con partner internazionali, nel rispetto dei trattati e delle normative in vigore, compresa la 21
Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) che ne avrebbe rappresentato l’ossatura. Pertanto, il 6 marzo 2014 la Commissione Europea e l’Alto Rappresentante dell’UE per gli affari esteri e le politiche di sicurezza hanno adottato il documento JOIN (2014) “Comunicazione congiunta al Parlamento Europeo e al Consiglio per un settore marittimo globale aperto e sicuro: elementi di una strategia per la sicurezza marittima dell’Unione Europea”, che definisce gli indirizzi preliminari per un approccio integrato dell’UE in materia di sicurezza marittima (maritime security). Nel giugno del 2014 l’Unione Europea8 adotta il documento 11205/14, che per la prima volta delinea la strategia per la sicurezza marittima (maritime security) con un approccio integrato nell'intero settore marittimo. Tra gli obiettivi vi è quello principale di fornire alle Autorità competenti, a livello sia nazionale che europeo, un quadro comune per garantire uno sviluppo coerente delle loro politiche specifiche e una risposta europea alle minacce e ai rischi in campo marittimo. Tutto ciò al fine di garantire la coerenza tra le diverse politiche e strategie settoriali in ambito marittimo e, in particolare, di rafforzare il legame fra gli aspetti della politica marittima dell'UE e della cooperazione civile e militare riguardanti la sicurezza interna ed esterna. Emerge, pertanto, tra gli interessi strategici una responsabilità comune dei Paesi membri volta alla protezione dai rischi e dalle minacce alla sicurezza marittima intendendo come tali la difesa delle infrastrutture marittime quali i porti e gli impianti portuali, le installazioni offshore, l’approvvigionamento energetico, le condotte subacquee e dei cavi sui fondali marini e la promozione di progetti di ricerca e innovazione scientifica. Il Consiglio dell’Unione Europea nel citato documento individua puntualmente quali sono i potenziali rischi e le minacce a cui la sicurezza marittima può essere esposta, tra queste vi sono: le minacce o l'utilizzo della forza contro i diritti e la giurisdizione degli Stati membri sulle loro zone marittime; le minacce alla sicurezza dei cittadini e agli interessi economici europei in mare in seguito ad atti di aggressione esterna, compresi quelli relativi alle controversie marittime, le minacce ai diritti sovrani degli Stati membri o i conflitti armati; la criminalità organizzata e transfrontaliera, compresi gli atti di pirateria marittima e le rapine a mano armata in mare aperto, la tratta degli esseri umani e il traffico di migranti, 8 Consiglio dell’Unione Europea Bruxelles, 11205/14 del 24 giugno 2014“European Union Maritime Security Strategy”. 22
le reti criminali organizzate che favoriscono la migrazione clandestina, il traffico di armi e di droga e il contrabbando; il terrorismo e altri atti illeciti intenzionali in mare e nei porti perpetrati ai danni di navi, merci, equipaggi e passeggeri, porti e impianti portuali e infrastrutture marittime ed energetiche d’importanza strategica, compresi gli attacchi informatici; la proliferazione delle armi di distruzione di massa, comprese le minacce chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari (CBRN); le minacce alla libertà di navigazione, quali il rifiuto di accesso al mare e agli stretti e l'ostruzione dei corridoi marittimi; i rischi ambientali, fra cui lo sfruttamento insostenibile e non autorizzato delle risorse naturali e marine, le minacce alla biodiversità, la pesca illegale, il degrado ambientale causato dagli scarichi illegali o accidentali e l'inquinamento chimico, biologico e nucleare, segnatamente le munizioni chimiche e il materiale militare inesploso scaricati in mare; l'impatto potenziale in termini di sicurezza delle calamità naturali o provocate dall'uomo, dei fenomeni climatici estremi e dei cambiamenti climatici sul sistema di trasporto marittimo e in particolare sulle infrastrutture marittime; la ricerca archeologica illegale e non regolamentata e il saccheggio di reperti archeologici. A distanza di 6 mesi dall’emanazione del citato documento la Commissione Europea rilascia il piano d’azione9 che, oltre a individuare i soggetti interessati a livello europeo e nazionale, stabilisce una tempistica per l’attuazione delle singole azioni strategiche in materia di EUMSS (European Maritime Security Strategy), tra le quali la gestione dei rischi, la protezione delle infrastrutture marittime cruciali e la risposta alle crisi. Oggi dopo pochi anni dall’attuazione dei piani d’azione, il Consiglio10 è in attesa di ricevere una risposta sulle misure introdotte dall'UE volte a migliorare la sicurezza marittima in tutte le principali regioni marittime mondiali e sottolinea l'esigenza di perseguire con le necessarie azioni volte a garantire un settore marittimo globale stabile e sicuro, affrontando l'insicurezza marittima e promuovendo, con un comprehensive 9 Consiglio dell’Unione Europea Bruxelles, 17002/14 del 16/12/2014 “European Union Maritime Security Strategy Action Plan”. 10 Consiglio dell’Unione Europea Bruxelles 10238/17 del 19 giugno 2017 “Conclusioni del Consiglio sulla sicurezza marittima globale”. 23
approach, la buona governance in mare a livello mondiale, in linea con le priorità e i principi individuati nella strategia globale dell'UE e in altre politiche pertinenti dell'UE. 24
b. Punto di situazione sulle operazioni in atto Golfo di Guinea L’approccio attualmente in atto in Africa e afferente alla Strategia Marittima è emerso in occasione del workshop sulla sicurezza marittima tenutosi a Addis-Abeba nel 2010. In tale occasione viene evidenziata la necessità di una Strategia Marittima Integrata che preveda la lotta ai fenomeni di traffico di armi e droga, immigrazione clandestina, scarico di rifiuti tossici, tratta di esseri umani, bunkeraggio illegale e traffico illecito di prodotti petroliferi, pirateria e rapina a mano armata in mare e terrorismo marittimo, pesca illegale, riciclaggio di denaro, cybercriminalità. L’assemblea dell’Africa Union11 riporta all’attenzione l’esigenza di una strategia integrata attraverso l’implementazione dell’Africa Standby Force (ASF)12. Nel 2011 con l’emanazione della Roadmap III (2011 - 2015), il cui obiettivo è stato rendere operativa l’ASF13, l’instabilità marittima da minaccia è divenuta una realtà, dando modo di costituire la Maritime Information and Coordination Cell (MI2C)14, struttura mobile di raccolta delle informazioni e di analisi in collegamento con il Dipartimento di Pace e Sicurezza, le Comunità Economiche Regionali (CER) e i punti nodali marittimi nazionali e/o i servizi/dipartimenti specializzati/competenti dei Paesi colpiti, con la funzione di facilitare le misure preventive o reattive. Nel 2014, con l’adozione del documento “Strategia Marittima Integrata 2050” (AIMS), viene posto al centro del nuovo approccio di sicurezza il concetto di Africa Maritime Domain (AMD) afferente alla totalità dell’elemento acqua, ovvero l’inclusione di tutte le aree – comprese le risorse supra et infra – adiacenti o limitrofe a mare, oceani, laghi, vie navigabili intra-costiere o interne, ivi compreso tutte le attività marittime africane connesse, le infrastrutture, le navi cargo, navi o altri mezzi di trasporto. Esso comprende anche lo spazio aereo sopra i corrispondenti spazi fisici (mari, oceani, laghi, vie navigabili intra-costiere e interne) e include anche gli spettri elettromagnetici degli oceani. La sicurezza marittima viene concepita olisticamente e viene implementata tanto sul piano informativo quanto operativo, nei settori della pirateria e rapina a mano armata, 11 Fifteenth Ordinary Session of the Assembly of Union Decision, Declarations, Resolution, Assembly/AU/Dec.294(XV).2,27Luglio2010,Kampala,Ugandapag.7.http:77pages.au.int/sites/default/files/15th%20Or dinary%20Session%2C%20July%202010%20%28Eng%29_0.pdf. 12 L’ASF è composta da cinque Brigate regionali, composte da militari e civili, in prontezza, messe a disposizione dalle cinque Comunità Economiche Regionali (CER): Africa dell’Ovest (CEDEAO), Africa dell’Est (EASF), Africa del Nord (NARC), Africa Australe (SADC), Africa Centrale (FOMAC). 13 The African Stand-By Force, Roadmap III, pag. 6, https//unoau.unmissions.org/sites/default/files/asf_roadmap_iii.pdf. 14 5th the Specialized Thechnical Committee on Defense, Security and Safety preparatory meeting of experts and 7th meeting of the African Chiefs of Defense Staff and Heads of Security and Safety Services, Progress Report of the Chairperson of the Commission of the status of the operationalization of the African Standby Force (ASF) and matters relevant to the APSA, Rpt/Exp/V/STCDSS/(III)2011-Rpt/VIII/ACDS/(III)2011, Addis Ababa 23-26 ottobre 2001, pag. 8. 25
terrorismo marittimo e bunkeraggio. Da detto approccio discendono cinque “guidelines”: Information Sharing, Communication, Collaboration, Cooperation, Capacity-building and Coordination, che delineano le linee operative per lo sviluppo marittimo del continente alle quali le CER dovranno conformarsi. Diversi sono gli aspetti di novità, come la costituzione di una zona marittima esclusiva integrata dell’Africa; peraltro le marine nazionali sono chiamate a ricoprire un ruolo importante nello sviluppo di un comprehensive approach tra le istituzioni: una capacità di Componente Navale nell’ambito dell’ASF, la costituzione di un working group rappresentativo dei Capi di Stato Maggiore delle marine nazionali e delle Guardie Costiere (ChANs – Chief of African Navies) per l’esame dei problemi connessi con la percezione delle istituzioni, lo sviluppo della collaborazione per la conoscenza dell’area marittima africana e il sostegno degli sforzi congiunti delle organizzazioni militari nazionali (Marine e Guardie Costiere) con i partners internazionali. I ChANs devono favorire: lo sviluppo di operazioni congiunte di sorveglianza regionale in mare, la creazione di una capacità comune di conoscenze, che attraverso l’information sharing consenta la costruzione di una condivisa Maritime Situational Awarness, secondo il concetto C4ISR (Command, Control, Communications, Computers, Intelligence, Surveillance and Reconnaissance); i meccanismi d’équipes de liaison tra gli Stati membri vicini e all’interno delle CER per prevenire gli atti di pirateria e rapina a mano armata; l’armonizzazione continentale, regionale e nazionale in materia di strutture delle capacità degli assetti navali; l’implementazione di accordi per la standardizzazione attraverso l’elaborazione di programmi comuni. L’implementazione dell’AIMS 2050 risiede nella volontà politica degli Stati membri di attuare a pieno quanto previsto dall’Architettura di Pace e Sicurezza africana (APSA)15. Al fine di integrare ulteriormente la Strategia 2050 all’APSA, la Roadmap per il 2016-2020 persegue tre obiettivi: piano di azione per la Full Operational Capability (FOC) dell’AIMS 2050; 15 L’APSA è l’insieme di strutture, obiettivi, principi e processi decisionali dedicati alla prevenzione, gestione e risoluzione delle crisi e dei conflitti, alla ricostruzione post-bellica e allo sviluppo nel continente africano. Essa raccoglie in sé tutti gli elementi dedicati a prevenzione, gestione e risoluzioni dei conflitti, nonché alla gestione del post-conflitto. La sua ragion d’essere risiede negli obiettivi e principi di cui si è dotata l’UA nel suo atto costitutivo, il quale prevede la promozione della pace, della sicurezza e della stabilità nel continente (art. 3 (f)), l’ideazione di una politica di difesa comune africana (art. 4 (d)), rispettando, tra gli altri, i principi democratici, la sovranità territoriale e proibendo la minaccia o l’uso della forza tra gli Stati membri. Gli elementi che vanno a costituire l’APSA sono in buona parte stabiliti dal Protocollo che istituisce il Consiglio di pace e sicurezza, adottato nel 2002 nel corso della prima sessione dell’Assemblea dell’UA a Durban e che a febbraio 2015 è stato ratificato da 49 Stati. L’ente fondamentale dell’Architettura è il Consiglio di Pace e sicurezza, il quale è coadiuvato nelle proprie funzioni dalla Commissione, dal Gruppo dei saggi, dal Sistema di allerta rapida continentale e dall’African standby force. Inoltre, con una funzione di coordinamento e con lo scopo di supportare il Consiglio di pace e sicurezza è stato istituito il Dipartimento di pace e sicurezza della Commissione dell’UA. Infatti, tale dipartimento ha tra i propri obiettivi l’implementazione della politica comune africana di pace e difesa e la messa in operatività della APSA. http://unipd- centrodirittiumani.it/it/schede/LArchitettura-di-pace-e-sicurezza-dellUA/354. 26
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