Chi comanda davvero in Rai?
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Chi comanda davvero in Rai? Ci sono due simboli che rappresentano la Rai nell’immaginario collettivo: il famoso cavallo di viale Mazzini e il bollettino del canone, invocato idealmen- te da chiunque non si senta degnamente rappresenta- to dal servizio pubblico. «Paghiamo per vedere spet- tacoli di serie B», si lamentano i telespettatori quando lo zapping fra un canale e l’altro non risulta, a loro giudizio, soddisfacente. Oddio, pagare è una parola grossa e soprattutto non vale per tutti, considerato che l’evasione, in questo campo (e non solo), è ancora ben sopra i classici livelli di guardia. Società concessionaria del servizio pubblico radio- televisivo, oggi la Rai è strutturata in sei aree. Quel- le editoriali sviluppano e realizzano i programmi o i canali televisivi radiofonici, satellitari, su piattaforma digitale terrestre e nuovi media. L’area di staff, invece, presidia l’efficienza gestionale, economica e operativa dell’Azienda. Insomma, vista nel suo assetto struttu- rale, fra le news, il web, l’intrattenimento e la musica, la fiction, il cinema, lo sport e l’area junior, la Rai-ra- diotelevisione italiana Spa sembra davvero un gigan- te destinato a tener alto il vessillo della sua leadership nel mondo editoriale del Belpaese. Che cosa dite? Che sto esagerando? Bè, effettivamente, se di gigante 13
Chi comanda davvero in Rai trattasi, la maestosità ha i piedi che affondano ormai nell’argilla o nel fango, come si potrebbe dedurre, sen- za sforzo alcuno di fantasia, semplicemente leggendo le centinaia e centinaia di intercettazioni pubblicate sui giornali da quando s’è aperto il coperchio sul pen- tolone bollente dell’inchiesta P4, che contempla un capitolo cruciale: la guerra dell’ex direttore generale Mauro Masi, sodale del faccendiere Luigi Bisignani, a tutti i programmi ufficialmente sgraditi a Silvio Berlu- sconi. Dall’Annozero di Michele Santoro a quel format geniale rappresentato da Vieni via con me, by Fazio- Saviano, fino al talk di almodovariana memoria Parla con me, condotto da Serena Dandini. Ebbene, anche se le intercettazioni stanno lì a ricordare, nero su bian- co, che Masi e Bisignani hanno fatto di tutto per far sparire dai palinsesti Santoro1, è necessario ricordare quanto segue: il giornalista ha scelto autonomamente di lasciare la Rai, mentre la Dandini, passata all’ok dei palinsesti nel giugno scorso, non è arrivata alla sigla dell’accordo a causa di motivi legati alla cassa. In al- tre parole, il suo show, secondo la policy aziendale, era considerato troppo oneroso, visto che era realizzato dalla società esterna Fandango. Quanto a Fabio Fazio, il suo format vincente Che tempo che fa continua la programmazione nel weekend di Rai 3, senza apparenti modifiche di tipo “norma- lizzante”, anzi. Infatti ha accolto “nemici” dichiarati del Cavaliere, com’è successo domenica 9 ottobre 2011 in occasione dell’intervista al presidente di Confindu- stria, Emma Marcegaglia. Infatti, la Marcegaglia ha avuto modo, una volta preso possesso della comoda poltrona posizionata davanti a Fazio, in favore delle luci, di bocciare senza appello l’idea governativa del condono, tipica, a suo avviso, di una logica da «furbet- 1 «il Fatto Quotidiano», 12 ottobre 2011. 14
Senza bavaglio ti», più che da cittadini responsabili davanti alla crisi economica più complicata degli ultimi cinquant’anni. Il programma con Roberto Saviano traslocherà su La 7, mentre nessuno stop ha fatto calare il sipario su un’altra trasmissione considerata a rischio nell’era Masi, ossia Report, di Milena Gabanelli, cui l’Azienda ha concesso la manleva legale, consentendo così alla redazione di continuare a percorrere la strada ostica, ma serissima, delle inchieste senza veli. Fermiamoci un attimo e chiediamoci, allora, che cosa è successo negli ultimi mesi, dopo che Masi ha traslocato frettolosamente dal piano nobile (il setti- mo) di viale Mazzini al vertice della Consap e al suo posto, il 4 maggio 2011, s’è insediata la cattolicissima Lorenza Lei, una manager cresciuta a pane e televi- sione, molto legata agli ambienti del Vaticano, stima- ta da Gianni Letta, eppure votata all’unanimità dai consiglieri di maggioranza e opposizione. Vi starete sicuramente chiedendo se, nel cambio al vertice del management Rai, sia avvenuto qualcosa a livello po- litico, che magari vi è sfuggito: forse avete ignorato la clamorosa notizia di una “conversione” a sinistra di Silvio Berlusconi, oppure, in antitesi con quanto acca- de da sempre, la Rai ha anticipato il new deal dell’Ita- lia che, secondo i politologi più sofisticati, si sposta ogni giorno più velocemente verso lo schieramento dell’area Pd-Terzo polo-Idv-Udc? Dietro Masi, il Cavaliere. L’ex dg tra feste, Santoro e l’Isola dei famosi La domanda che si sono posti in molti, fra gli osser- vatori politici e mediatici dei destini della Rai, è sem- pre la stessa: cambiando il direttore generale (da Masi alla Lei), è cambiata anche la guida politica della prin- cipale Azienda editoriale del paese? Apparentemente 15
Chi comanda davvero in Rai la discontinuità fra i due manager è nettissima e ri- guarda gli aspetti comportamentali, direi addirittura caratteriali dei due personaggi. Tanto Masi si era la- sciato abbagliare dai riflettori della tivù, così la donna venuta dopo di lui ha mantenuto la barra drittissima al centro, fatta eccezione per qualche tailleur firmato, più colorato del solito stile nero pece, o per il taglio di capelli leggermente meno ancien régime esibito a metà giugno scorso, durante la serata romana per la presen- tazione dei palinsesti dell’autunno-inverno 2011. Bolognese, cinquantadue anni, mamma di un figlio ventenne di professione chef, Lorenza Lei è entrata in viale Mazzini nell’area di staff e ha salito la scala azien- dale gradino dopo gradino, senza mai lasciarsi lambi- re da pericolose leggende metropolitane, destinate a diventare, nel tam tam dei corridoi, vere e proprie ca- lunnie. Questione di misura, direte voi. Ma non solo: anche di astuzia, di quella capacità che hanno spesso i bravi mercanti di arrivare allo scopo senza dare trop- po nell’occhio, alzando pochissima polvere nei giorni complicati della lunghissima vigilia. Laddove Masi si lasciava andare a ogni sussulto di narcisismo (sia nelle confidenze all’amico Bisignani, puntualmente inter- cettate dai magistrati, che negli atti pubblici, come la telefonata in diretta a Santoro), esponendosi ai giudizi interni ed esterni all’Azienda, la Lei ha agito sempre in chiara controtendenza, privilegiando la diploma- zia, la mediazione, la ricerca del consenso, fosse pure solo per un fatto formale e non sostanziale. Vi racconto il mio rapporto con entrambi, per farvi capire la profonda differenza di concezione del mondo e di gestione del potere dei due. Ho conosciuto Mauro Masi nel 1995 quando, caduto il primo governo Ber- lusconi, a palazzo Chigi salì l’ex direttore generale di Bankitalia ed ex ministro del Tesoro del primo esecuti- vo del Cavaliere, Lamberto Dini, detto “Lambertow”, 16
Senza bavaglio l’americano. Professore d’economia, formatosi alla scuola dell’istituto centrale di Palazzo Koch, Masi co- nosceva anche l’uomo che nello stesso anno sarebbe diventato mio marito, un collega che guidava all’epo- ca il servizio politico del Tg5. Fu invitato il 2 giugno dello stesso anno al nostro matrimonio e ci fece omag- gio dell’album fotografico delle nozze dove, manco a dirlo, è molto presente. Eccolo che sorride accanto a Enrico Mentana (se il direttore del Tg di La 7 si rive- desse oggi non si riconoscerebbe!); qualche foto più in là s’intrattiene davanti alla torta con Cesara Buonami- ci, stringendo una per una le mani di quasi duecento parenti, tutti rigorosamente a lui sconosciuti. Non a caso, fra i commenti degli invitati, furono in molti a chiedermi chi fosse quell’uomo affascinante e affabi- le, che aveva letteralmente incantato il parterre. E che delusione quando, per amore di verità, io rispondevo che si trattava di un collega illustre, che lavorava a Pa- lazzo Chigi, ma con cui esisteva, almeno per quanto mi riguardava, un rapporto di pura conoscenza, niente di più. Da quella sera rividi Masi un paio di volte e in modo assolutamente casuale. Mi capitò d’incontrarlo, invece, qualche giorno dopo la sua nomina a direttore generale della Rai, nella tarda primavera del 2009 e proprio sotto il celebre cavallo di viale Mazzini. Per quattro edizioni avevo lavorato a Domenica in, con l’allora capostruttura Massimo Liofredi, occupando- mi della sezione politica subito dopo l’Arena di Mas- simo Giletti. Ma proprio quell’anno, il coordinamento palinsesti aveva deciso, d’accordo con Fabrizio Del Noce, che dirigeva Rai 1, di tagliare quel segmento dove c’erano, oltre a me, Luisa Corna, Lorena Bian- chetti e Rosanna Lambertucci. Masi fu molto gentile e mi disse che, pur essendo appena arrivato, avrebbe «messo mano» ai palinsesti nei giorni successivi e mi 17
Chi comanda davvero in Rai avrebbe chiamato, perché aveva seguìto il gran lavoro che avevamo fatto negli ultimi anni, aprendo alla po- litica il contenitore di massimo ascolto della domenica targata Rai. Riconobbi il suo solito modo di fare, che tendeva ad accontentare l’interlocutore in maniera convinta, assertiva, non solo per una pura formalità. Qualche sera dopo, ospite a cena nella casa roma- na di Paolo Scaroni, il numero uno dell’Eni, il discor- so scivolò sui futuri assetti della Rai. Anche Scaroni conosceva bene Masi: parlammo dell’esperienza che avevo maturato in televisione, della mia incertezza sulla possibilità di proseguire un percorso che rap- presentava solo il 40 per cento della mia attività, per lo più concentrata storicamente sulla carta stampata. Scaroni mi spinse a insistere. Giornalisticamente ci eravamo conosciuti nei primi anni Novanta, quando lavoravo a Milano Finanza e avevo come vicedirettore un suo caro amico, l’ex inviato di Panorama, Angelo Maria Perrino, oggi responsabile del giornale internet- tiano affaritaliani.it. Decisi di seguire il suo consiglio e provai nuovamente a cercare Masi, per inviargli, via mail, una serie di proposte. Ancora oggi non so che cosa sia accaduto e per quale motivo reale l’ex direttore generale avesse ma- turato nei miei confronti un’assoluta antipatia, che ha trovato prova manifesta proprio nelle intercettazioni del caso P4. A Luigi Bisignani, che gli fa notare il suc- cesso di share della prima puntata della mia seconda serata Peccati. I sette vizi capitali, andata in onda il 15 aprile 2010, Masi replica in modo apertamente volga- re: «Guarda che se metto a quell’ora Cicciolina [...] fa il 30 per cento di share!». Del resto, il dg non faceva mistero della sua ostilità, né con Massimo Liofredi, diventato nel frattempo direttore di Rai 2 (la rete cui sono stata legata da un’esclusiva, durata due anni), né con alcune mie colleghe considerate a lui molto vicine. 18
Senza bavaglio Avremo modo più avanti di tornare, in dettaglio, sul mio rapporto con Masi che, attraverso qualche piccola rivelazione, spiegherà in modo più esplicito la natura dell’uomo e della sua “missione” politica. Dicono di Lei. Tailleur firmati per lady Vaticano Una cosa è certa: nello stesso periodo in cui Mau- ro Masi dava il meglio di sé ai piani alti della Rai, facendo la guerra a Santoro, Lorenza Lei lavorava nell’ombra, per ricucire ogni eccesso. E se il diretto- re generale in carica è una presenza ingombrante al settimo piano del palazzo, quello nobile, la Lei ha il passo felpato, quasi impalpabile. Cammina rasentan- do il muro, dice chi la conosce bene, cauta e attenta a calcolare ogni evenienza. Fra i suoi estimatori, si col- loca ai primi posti della hit l’ex potentissimo Agostino Saccà, l’uomo delle intercettazioni con il Cavaliere in cui si parla di raccomandazioni per le attrici Evelina Manna ed Elena Russo e che registrano il tono sua- dente del manager, pronto, almeno all’apparenza, ad assecondare ogni esigenza di Berlusconi. Di fatto, poi, quelle presunte raccomandazioni resteranno inevase, mentre Saccà uscirà dalla scena per rimanere, come sostengono i bene informati, l’ispiratore o il teorico di quella normalizzazione soft che trova il suo acme nel dopo-Masi, proprio con la nomina della Lei. Delle maniere spicce di Masi vi ho già detto (e an- cora molto vi dirò più avanti...), ma della donna venu- ta dopo di lui è davvero difficile ricostruire la mappa delle alleanze e comprendere con esattezza in quale delle due metà campo intenda giocare. Il mio primo incontro con la signora risale a luglio 2010 e dura lo spazio di pochissimi minuti. La segretaria sosteneva che il nostro appuntamento fosse fissato per le 12.00; io avevo in agenda un orario diverso, le 12.30. Insom- 19
Chi comanda davvero in Rai ma, la Lei doveva scappare, però ci teneva a salutar- mi, per dirmi che io ero «una risorsa dell’Azienda». Certo, il momento era difficile: solo un mese prima, Masi aveva cancellato dai palinsesti invernali il secon- do anno del mio programma politico Il fatto del giorno, andato in onda dal settembre 2009 al maggio 2010 su Rai 2, ogni pomeriggio alle 14.00 e con punte di oltre 2,5 milioni di spettatori. Su quella cancellazione (e su ciò che venne prima e dopo...) torneremo in modo più approfondito; in ogni caso, quando incontrai la Lei a fine luglio avevo già in tasca una specie di promozio- ne: otto puntate in prima serata, con lo show Solo per amore, prodotto dalla Endemol, da mandare in onda nel periodo di garanzia, cioè a partire da settembre. Nulla lasciava presagire che il programma e la con- duzione, approvati dal Cda e annunciati con enfasi agli investitori pubblicitari, potessero essere ancora una volta messi in discussione da Masi. Io stessa, pur emergendo da un anno molto travagliato nella con- duzione de Il fatto del giorno, mi sentivo sufficiente- mente tranquilla. La Lei non disse neanche una parola che potesse far pensare a un’ipotesi di questo genere, la peggiore, la più nefasta. Eppure, uscendo da quel rapidissimo incontro, ebbi la chiara sensazione che qualcosa nell’ingranaggio del mio passaggio al prime time non avrebbe funzionato. Più volte presi appuntamento con l’attuale dg: spesso gli incontri saltavano in extremis, oppure al po- sto della signora mi capitava di trovare un manager a lei vicino, Valerio Fiorespino, che aveva il compito di sondare gli artisti, cercando sempre di arrivare a un lifting sui compensi. Ho grande stima personale di Fiorespino, che è stato uno dei più giovani mana- ger della Rai ed è apprezzato anche all’esterno, ma l’ultima volta che lo incontrai al posto della Lei presi carta e penna e scrissi alla signora una lettera pacata, 20
Senza bavaglio eppure perentoria: «Se non aveva tempo per vederci, che me lo dicesse – era il senso della missiva – meglio saperlo con chiarezza, comunque». Forse la lettera ebbe effetto, perché il 21 marzo 2011 fui convocata e trovai la Lei ad accogliermi. Tailleur griffato color ros- so rubino, mi parlò apertamente, dicendomi che di lì a poco sarebbe diventata direttore generale. Si limitò a comunicarmelo, aggiungendo che il mio progetto (avevo studiato uno spazio pomeridiano di politica da condurre con Maurizio Costanzo) aveva il suo gradimento. L’unica digressione che si concesse fu sul figlio. Le dissi che avevo una ragazza adolescen- te, Gaia, che seguivo moltissimo e lei mi confidò che il suo unico maschio ventenne faceva lo chef ed era il suo più grande «punto di riferimento» nella carriera e nella vita. Concludemmo scherzando sull’estate: lei sapeva già che l’avrebbe passata al lavoro, ma ci era abituata. Quando c’era da mettersi in gioco, dicevano nei corridoi di viale Mazzini, Lorenza non si tirava mai indietro ed era capace di fotocopiare da sola un documento, se le era indispensabile e non aveva un collaboratore disponibile... Malgrado ciò che dicevano i bene informati, pronti a scommettere sull’arrivo di Lorenza Lei, ero scettica sull’ipotesi che Masi potesse davvero lasciare la sua postazione del cuore, rinunciando, proprio ora che as- saporava i fasti della popolarità, alla visibilità media- tica che tanto lo aveva coinvolto. Ignaro dei giudizi velenosi dei suoi consiglieri (perfino quelli considera- ti a lui più vicini), Masi s’era prestato alle performance più disparate: la telefonata a Santoro, in cui prendeva le distanze dalla trasmissione e che si concluse in au- togol, quando il conduttore pronunciò la celebre frase «ma vaffanbicchiere!»; la telefonata d’apprezzamento nella prima puntata dell’Isola dei famosi, quando chia- mò Simona Ventura per farle i complimenti, in aperta 21
Chi comanda davvero in Rai contrapposizione al disappunto che aveva espresso verso Santoro. «Questi sono i programmi!», disse più o meno il dg, facendo intendere che, a suo parere, il servizio pubblico era rappresentato meglio dal reality di naufraghi Vip disperatamente a caccia di fama, che non da un programma giornalistico d’altissima quali- tà come Annozero; le foto con la fidanzata ufficiale In- grid Muccitelli, ex di Piero Chiambretti e conduttrice in pectore di uno show che non si fece mai. Alla Mucci- telli, immortalata spesso con Masi a bordo piscina in- sieme alla celebre coppia Mara Venier-Nicola Carraro, è toccata in (buona) sorte la conduzione di Uno matti- na weekend, nell’estate 2011. Comunque un upgrading, considerato che Ingrid, fino ad allora, aveva prodotto solo rubriche nei contenitori di Michele Guardì. Se Lorenza riesce dove Mauro fallisce A farmi pensare che Masi sarebbe rimasto ancora al suo posto, contribuiva il fatto che al suo fianco, ne- gli ultimi tempi, era comparso Guido Paglia, l’uomo delle relazioni esterne della Rai, già in quota An, con- siderato abilissimo nell’orchestrare campagne stampa anche per il suo passato di giornalista al Giornale di Indro Montanelli. Erano i mesi in cui Masi e Paglia sembravano invincibili e pronti a dare battaglia al mondo intero. Oltre a mettere nel mirino i program- mi sgraditi al Cavaliere, avevano un altro, importan- tissimo compito: sostituire Liofredi al vertice di Rai 2 con un direttore più gradito alla Lega e, soprattutto, al vice direttore generale leghista Antonio Marano. Negli stessi mesi, Liofredi vive un dramma persona- le: sua moglie Natalia D’Abicco, una bellissima donna pugliese che gli ha dato due figli (Roberta e Matteo) si ammala di tumore al fegato. Il 28 aprile muore al Gemelli. Lui ne rimane sconvolto: l’ha assistita notte e 22
Senza bavaglio giorno, facendo leva anche sulle sue reminiscenze del- la facoltà di medicina (che ha frequentato senza mai laurearsi, ma dopo aver sostenuto esami per almeno un quadriennio). Quando Lia scompare, è distrutto dal dolore. Appena saputa la notizia, sono fra le pri- me persone ad arrivare a casa sua, per abbracciare lui e i genitori. L’appartamento è nella Roma del quartie- re Flaminio, divani eleganti e quei fiori freschi che la mamma Cocca sistemava ogni giorno sul tavolo, spe- rando che la nuora tornasse a casa dall’ospedale. Nel salotto, insieme ai collaboratori più stretti di Liofre- di, come Maria Antonietta Conti e Stefano Balzola, ci sono anche l’architetto Luigi Dell’Aglio, il mio autore storico Peppe Tortora (oggi nella scuderia di Porta a porta) e, a sorpresa, la stessa Lorenza Lei. È la donna che pochissimi giorni dopo diventerà dg, sostituendo Masi, la prima ad abbracciare Massimo, cercando di dargli conforto e manifestandogli una sincera vicinan- za al suo immenso dolore. In piedi, vestita di scuro e senza un filo di trucco, la Lei mi dice che lei stessa ha sofferto tantissimo, in passato: lo sguardo tradisce una storia personale non scevra da intensi dolori. È un attimo, poi il discorso, scivolato troppo sul perso- nale, cade. La Lei rimane ancora a lungo in quella casa confortando i genitori e i figli di Massimo. Liofredi, vedendola andar via, dice: «È un’amica vera, so che su di lei posso contare». Tre mesi dopo, la sostituzione da sempre annun- ciata da Masi sarà realizzata dalla Lei: Liofredi sarà costretto a passare da Rai 2 a Rai Ragazzi. Ha raccontato l’ex direttore della seconda rete, a proposito della Lei, che la sua tempra di ferro lo ha lasciato, a tratti, interdetto. Il metodo del nuovo dg è opposto a quello di Masi: tanto il professore amico di Bisignani era solito abbaiare senza poi mordere, così il suo successore in tailleur tranquillizza sempre gli 23
Chi comanda davvero in Rai animi e colpisce “a freddo”. Liofredi ne è l’esempio lampante. «Non mi aspettavo davvero che Lorenza mi avrebbe chiesto di passare a Rai Ragazzi», ha con- fidato al figlio Matteo, professione doppiatore, dician- nove anni, una mattina dell’estate scorsa, in spiaggia a San Felice Circeo. «Papà mi ha spiegato che aveva sentito una profonda vicinanza e solidarietà da parte del direttore generale», ricorda Matteo Liofredi. «Poi, una sera è tornato a casa quasi sconvolto e mi ha det- to: “Pensa Matteo, Lorenza mi ha chiesto di passare a Rai Ragazzi, dicendomi che anche mamma da lassù sarebbe stata d’accordo...”». Raccontata dal fronte della Lei, invece, la sostitu- zione di Liofredi è dettata da motivi di riorganizzazio- ne aziendale ed è, de facto, un’autentica promozione. La Lei crede moltissimo ai canali di genere e ritiene che aver affidato a Liofredi una mission di questo tipo che ha a che fare con i giovani, cioè la futura classe dirigente, sia un atto di grande generosità. Il guaio, per Liofredi, è che la pensa così anche il giudice che respingerà in prima istanza il suo ricorso, ex articolo 700, per il reintegro nella direzione di rete. A differen- za del caso di Paolo Ruffini, direttore di Rai 3 rimosso da Masi e reintegrato da una sentenza del tribunale, per Liofredi la via giudiziaria si rivela sfortunata. Curiosamente in controtendenza rispetto alle istanze (tutte accolte) della giornalista Tiziana Ferrario (Tg1) e dello stesso Ruffini, la memoria difensiva di Liofredi non convincerà. Segno, affermano ai piani alti del pa- lazzo, che qualcosa sta cambiando, ma soprattutto che il piano di ristrutturazione del vicedirettore generale Marano, pensato per allargare l’offerta della Rai, si sta rivelando essenziale per rimettere ordine anche fra le caselle dei direttori di rete, affermando un principio già vigente in molte imprese: l’avvicendamento. 24
Senza bavaglio Consiglieri, poteri di veto e super potere della Lega Gli otto consiglieri d’amministrazione della Rai han- no le stanze tutti al settimo piano, quello nobile. Spes- so evocato nei racconti immaginifici dei dipendenti, che per entrare e uscire debbono strisciare il badge ai tornelli del piano terra, in realtà esso non ha niente di sontuoso. Non ci sono camerieri in livrea e guan- ti bianchi pronti a scivolare, rapidi e impeccabili, sul parquet, svettando con decine di flutes graziosamente posate su vassoi d’argento da un ufficio all’altro, né fanno bella mostra divani damascati, arazzi o fantoz- ziane poltrone di pelle umana. Come direbbe scherzo- samente Paolo Villaggio, che del ragionier Fantozzi è stato il papà cinematografico e il fedele interprete per tanti anni, la Rai vista dal suo piano nobile è di una tristezza mostruosa. Ma nella sua apparente asetticità, “il settimo” rappresenta quel mondo dove da più di mezzo secolo i rappresentanti dei partiti decidono pa- linsesti, conduttori e Tg, cambiando di volta in volta nome all’arte più antica della politica: la lottizzazio- ne. All’epoca dei democristiani, dei comunisti, dei so- cialisti, dei repubblicani e dei socialdemocratici andava di moda il Manuale Cencelli, che diceva grosso modo così: ne prendi tre, due sono raccomandati, ma almeno uno è bravo. Quelli erano gli uomini del pentapartito e della cosiddetta prima repubblica, nella quale la spar- tizione aveva comunque una logica e un riferimento: Rai 1 andava alla Dc per prassi; il secondo canale ai so- cialisti; la terza rete al Pci e a ciò che ne è seguìto (Pds, Ds e Pd). Oggi, al settimo piano abitano i consiglieri, il presidente Paolo Garimberti e la dg Lorenza Lei. I cinque della maggioranza sono: Alessio Gorla, un ex dirigente Mediaset, uomo pa- cato e aziendalista convinto. La sua amicizia con Ber- 25
Chi comanda davvero in Rai lusconi è di quelle solide, perché Gorla è persona di- stante da impetuosità e colpi di testa. Sposato con la bionda Daniela Schiapparelli, responsabile casting di molte trasmissioni, si fa vedere spesso in giro per i sa- lotti romani ed è sempre gentilissimo. A differenza di Antonio Verro, vecchio amico del Cavaliere dai tempi della Edilnord (Milano, anni Settanta) e che ama mo- strare i muscoli per difendere le sue idee e prendere posizione in modo netto, Gorla si tiene un gradino sopra le polemiche di taglio personale. Ricordo, per esempio, che nei giorni caldissimi della primavera scorsa, quando nel Cda fu bocciata la prima ipotesi della mia Seconda serata per l’ostilità della Lega, Ales- sio Gorla fu l’unico a sostenere la difesa d’ufficio che Guglielmo Rositani fece del programma. E non solo perché, come ebbe a dire Rositani, si trattava di tenere aperta una finestra d’attualità durante l’estate quando tutti gli altri programmi erano chiusi per ferie e man- davano in onda solo repliche, ma anche per impiegare una professionista (la sottoscritta) che, in quanto le- gata da un’esclusiva, percepiva mensilmente un com- penso dall’Azienda. Antonio Verro, avvocato siciliano trapiantato nel- la capitale morale, già parlamentare, è stato più volte in odore di escalation alla poltronissima Rai. Non è un mistero per nessuno che, prima di Masi, il Cavaliere avesse fatto un pensierino su di lui e non è escluso, ammettono i soliti bene informati, che non si sia pen- tito d’aver ignorato la voce del cuore, per far prevalere la ratio di chi pensava che Mauro fosse l’uomo-giusto- al-posto-giusto. Ho conosciuto Verro quando ero an- cora a Domenica in: fu Liofredi a presentarmelo una sera a cena, alla Taverna Flavia, e mi apparve subito un gentiluomo d’altri tempi. Attentissimo alla forma, galante giusto il dovuto e in modo assolutamente asciutto, il consigliere Pdl apprezzava il tono biparti- 26
Senza bavaglio san che tenevamo a Domenica in... politica, dando voce a quel pluralismo che, a suo avviso, era il vero patri- monio della Rai. Peccato che, una volta salito Liofredi a Rai 2 e partito il mio programma di politica Il fatto del giorno, sia stato proprio Verro il più acerrimo ne- mico di certi toni considerati “scandalistici”. Il pun- to fermo del consigliere è il decoro, infatti: bandite le scollature, sentenzia l’avvocato Verro, che non esita a mettere in croce oltre a me (il suo bersaglio preferito) anche la burrosa Antonella Clerici. Secondo Verro, in- tervistato da una briosa collega de La Stampa, Miche- la Tamburrino, perfino la stessa Simona Ventura non sarebbe stata più quella di una volta! Quanto a me, aggiunge il consigliere, le sue perplessità sono legate alla prima serata: forse è un salto troppo forte, chis- sà... A giudicare dai risultati, il mio 8,30 per cento di share ottenuto nel dicembre 2010 con Solo per amore è in assoluto un discreto risultato per una giornalista al debutto nella conduzione del prime time, soprattutto se teniamo conto che Francesco Facchinetti con il suo Star Academy, malgrado la padronanza del mestiere e i grandi mezzi della Endemol, s’è fermato nella prima puntata dell’edizione 2011 sotto il 6 per cento. Ma at- tribuire a Verro capacità autonoma d’invettiva contro gli artisti potrebbe essere pura fantascienza: il suo so- dalizio con il Cavaliere genera il sospetto che dietro ogni suo attacco ci sia, in realtà, uno sgradimento del premier verso quel tizio o quella tizia. Di certo, va an- che detto che i giudizi del premier cambiano. Cavallo di battaglia verriano in Cda è stata Lorella Cuccarini, riconfermata alla guida di Domenica in 2011-2012 no- nostante i contrasti all’interno del Consiglio e la vo- glia da parte di qualcuno di provare alla conduzione del contenitore domenicale la più fresca Caterina Ba- livo, “disoccupata” dopo aver perso la co-conduzione dell’Italia sul 2, andata alla coppia Milo Infante-Lore- 27
Chi comanda davvero in Rai na Bianchetti. Anni fa, la bionda Cuccarini non era in auge: a Rai 1 dominava Del Noce, che pure non mi pare nemico del Cavaliere, anzi... E Lorella? Legata da un contratto ricco ed esclusivo, si lamentò più volte di dover stare a casa, pagata ma senza lavorare, perché alla Rai non piaceva. I tempi e gli umori cambiano: la lista del chi sale-chi scende va aggiornata con infi- nita velocità. Fra le artiste stimate da Verro anche Jo Squillo (ricordate il suo jingle «siamo donne, oltre le gambe c’è di più»?), che doveva approdare a Rai 2 con una rubrica di moda (ne ha condotto una piuttosto fortunata su Rete 4) e non è mai andata, invece, oltre qualche ospitata fra l’Arena e una prima serata d’in- trattenimento musicale. Niente amicizie né gossip per Guglielmo Rosita- ni, calabrese trapiantato a Rieti, già parlamentare di punta nelle fila di An, ribattezzato “il giustiziere” per la sua capacità di rimettere in equilibrio situazioni sbilanciate, occupandosi molto dei conti e delle rego- le dell’Azienda. Rositani è il consigliere anziano più votato nelle ultime elezioni del Cda con sei preferen- ze. È un veterano e conosce la macchina della Rai alla perfezione, tanto da diventare l’uomo più ascoltato da Lorenza Lei. Merito, dicono in Rai, della sua prover- biale riservatezza. Se Verro, infatti, è a volte avvista- to nei ristoranti del circuito di piazza Cavour o nelle trattorie di pesce chic in zona Parioli, Rositani è di una rigidità teutonica: niente lussi, solo toast e caffè alle 14.00 in punto. Mangia in ufficio e stacca la sera tardi, per tornare a casa, dalla famiglia, a Rieti. Angelo Maria Petroni è il consigliere rappresentan- te del Tesoro e s’è fatto notare per aver tenuto un at- teggiamento abbastanza neutrale. S’è occupato della cassa, nel senso che ha spinto sul freno quando si trat- tava di evitare cause di lavoro destinate a far scattare ulteriori esborsi per i conti già in difficoltà della Rai. A 28
Senza bavaglio lungo, tanto per dire, ha spalleggiato Liofredi, facendo saltare la sua sostituzione, che era segnata già quattro mesi dopo la sua nomina, avvenuta il 23 luglio 2009 con il voto contrario della Lega. Eccoci, dunque, al punto nodale di questo Cda, che sembra avere poteri più alti di quanti gliene attribui- sca lo statuto, la governance dell’Azienda. Ma chi de- tiene il potere veramente nel Cda è Giovanna Bianchi Clerici, consigliere della Lega Nord. La sua avversio- ne per tutto ciò che non sia di segno maraniano (inte- so come Antonio Marano) è notoria. A Giorgio Merlo (Pd), vicepresidente della Commissione di vigilanza Rai che le aveva chiesto, fra un argomento e l’altro, se fosse disposta a incontrarmi, considerata l’aperta ostilità dimostrata verso la mia conduzione de Il fat- to del giorno, lady Pontida rispose chiaramente: «No, grazie». E poco importava che nel programma da me condotto fosse presente un giorno sì e uno no tutto lo stato maggiore della Lega: a Giovanna Bianchi Cleri- ci interessava la casella di direttore per cui, secondo lei, era più adatto un uomo d’appartenenza marania- na, come Pasquale D’Alessandro, già capo di Rai 5 di Massimo Liofredi (Pdl). Ribattezzata lady Pontida la Bianchi Clerici ama tutto ciò che è oltre il Po, come avrei potuto piacerle io che sono nata a Brindisi? Altro pallino fisso della signora era due anni fa Gianluigi Paragone, vicedirettore in quota Lega che aveva una trasmissione in seconda serata, L’ultima parola, destina- ta a essere protetta da incursioni corsare, come le mie ai tempi di Peccati, programma che seguiva Annozero e totalizzava il massimo possibile per quella fascia, cioè l’11, 12 per cento di share. Lady Pontida non avrebbe voluto neanche la mia Seconda serata dell’estate 2011 e infatti, come vi raccontavo prima, cercò in tutti i modi di bocciare la prima ipotesi, chiedendo approfondi- menti in seconda istanza. Fu Guido Paglia ad avvisar- 29
Chi comanda davvero in Rai mi attraverso un sms affettuoso, che conservo nella memoria del mio telefonino. Mi scrisse: «Hai saputo che il Cda ha bocciato il tuo programma, malgrado le modifiche?». Riuscimmo comunque a portare a casa il risultato di quella trasmissione grazie alla mediazione dell’ala dialogante della maggioranza, ma nei corri- doi circolava la voce che lady Pontida avesse chiesto a Masi l’impegno di trovare per me un’altra soluzione. Votati dalla maggioranza i palinsesti estivi, dopo poco Masi andò via e la Lei non modificò gli accordi presi: la trasmissione si fece, la mia esclusiva fu onorata e i risultati di share furono in linea con quelli della rete. Ma la mia “colpa”, ossia quella di essere stata portata a Rai 2 da Liofredi, l’uomo inviso ai leghisti più di ogni altro, non è mai stata perdonata. Certo, le voci di un accordo segreto fra lady Pontida e Masi per impe- dire che io andassi in onda l’estate scorsa sono sempre state smentite dai diretti interessati, però l’idea che la Lega avesse con i consiglieri di centrosinistra, come Nino Rizzo Nervo e Giorgio van Strateen, sempre cri- tici con me e Liofredi, una sorta di “santa alleanza” in nome di un modello culturale di stampo radical chic, è ritenuta più che fondata da molti osservatori delle cose Rai. Non conosco i consiglieri d’opposizione, fatta ec- cezione per Rodolfo De Laurentis, che sono andata a trovare in ufficio un paio di volte. Affabile e garba- to a parole, De Laurentis ha un uomo di riferimento nella rete due, che risponde al nome e cognome del vicedirettore Roberto Milone, sovrano indiscusso del pomeriggio. Si dice che quando Liofredi, alla metà del maggio scorso, ripresentò nella bozza dei palinsesti uno spazio di politica diviso fra me e Maurizio Co- stanzo della durata di quaranta minuti, da far seguire allo slot by Milone guidato dall’inossidabile Milo In- fante e dalla pia Lorena Bianchetti, amica di vecchia 30
Senza bavaglio data della Lei, il primo a saltare sulla sedia fu proprio Milone. Sta di fatto che quello spazio, regolarmente proposto dall’allora direttore di rete, sparì in modo misterioso dai palinsesti ufficiali, lasciandomi fuori, ancora una volta, ma affiancata nell’occasione nefasta da Costanzo. È chiaro a tutti che non si tratta di numeri, perché a giudicare da quanto share oggi porta a casa la fascia pomeridiana di Milone (attestata sulle 800 mila teste in media, contro i quasi 2 milioni totalizzati da me con Il fatto del giorno) non sono i risultati l’obiettivo princi- pale. Quando i palinsesti estivi furono approvati con l’esclusione della politica targata Setta-Costanzo, il pri- mo a esternare fu De Laurentis, che applaudì al ritor- no dei temi della famiglia nel day time di Rai 2. L’Udc, cattolicissima e appassionata di una conduzione anti- trash, gridava l’evviva per il ritorno di una coppia di conduttori misurati e composti (Infante-Bianchetti), destinati ad azzerare temi di cronaca nera-nerissima e gossip. Fate la prova insieme a me, accendete la televisio- ne un pomeriggio qualsiasi sul secondo canale, dalle 14.00 alle 16.10: vi capiterà quasi sicuramente d’im- battervi nel caso Avetrana, nell’omicidio di Melania Rea e, fra un prete e l’altro seduto nel parterre insieme alla giornalista Cristina Magnaschi, figlia di Pierlui- gi, direttore di Italia Oggi e in guerra aperta con l’ex capo di Rai 2 Liofredi, troverete niente di meno che la storia segreta della show girl Carmen Di Pietro o un reportage nella casa di Angela Melillo, reginetta del Bagaglino di Pierfrancesco Pingitore. Questa è la politica, bellezza! 31
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