CATALOGNA: AUTODETERMINAZIONE - SENZA SECESSIONE di Manolo Monereo - sollevazione
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CATALOGNA: AUTODETERMINAZIONE SENZA SECESSIONE di Manolo Monereo [ mercoledì 16 ottobre 2019 ] Il prossimo 10 novembre gli spagnoli tornano al voto. I sondaggi danno il PSOE di Sanchez e Ciudadanos in grande difficoltà, mentre le destre del Partito Popolare e Vox in grande sarebbero in grande spolvero. Difficilmente prevedibile l’esito per Podemos dopo la scissione di Íñigo Errejón che ha fondato Mas Pais. Risultato che sarà fortemente condizionato dalla vicenda catalana. Continuano infatti le proteste in Catalogna dopo le dure condanne di alcuni esponenti indipendentisti da parte della Corte suprema spagnola. Quale sarà l’esito dello scontro in atto tra lo Stato spagnolo e gli indipendentisti catalani? Pubblichiamo l’ultima parte dell’intervista rilasciata a Cuarto Poder da Manolo Monereo — compagno di lotta di Julio Anguita, intellettuale di punta della sinistra sovranista spagnola, ex parlamentare di Podemos. * Traduzione a cura della redazione * * * D.Più Spagna. Sovranità del popolo spagnolo. Hai fatto molti
riferimenti alla Spagna. Al momento, ritieni ancora che lo stato spagnolo sia uno stato plurinazionale? Ritieni che il rapporto tra i diversi territori debba essere regolato dal loro diritto all’autodeterminazione? R. Ciò che sta arrivando non è la fine degli stati-nazione, ma il loro rafforzamento. Penso che li si debba rafforzare. È vero che i globalisti hanno inimicizia verso gli stati- nazione, che vogliono disaggregarli come strumento di dominio. Credo profondamente nell’unità del Paese, ma il Paese, però, deve essere un altro. Di contro alla destra e all’estrema destra, secondo me la Spagna va considerata un progetto in costruzione e deve essere costruito dal basso, come Repubblica federale e solidale. Le regioni più ricche devono essere solidali con le più povere. Dobbiamo vivere in uno spazio comune di libertà, diritti sociali e democrazia economica. Rinunciare a questo equivale lasciare la Spagna all’estrema destra. Questa Spagna dev’essere di tutti, come si vede ogni giorno in Andalusia, Estremadura o nei Paesi Baschi. C’è una grande maggioranza di spagnoli che si sentono spagnoli e per molti essere spagnolo è un modo di essere basco, spagnolo, catalano, valenciano o andaluso. La situazione in Estremadura e in Andalusia è dovuta ai trasferimenti di reddito tra le regioni, in particolare quella che riceve di più è Madrid. Uno Stato è un progetto comune in cui diverse federazioni si strutturano entro una convivenza e federale. Se si segue questa strada non andremo verso la segregazione, andremo piuttosto verso una nuova guerra civile o, peggio ancora, ad un altro colpo di stato. Sul diritto all’autodeterminazione, parto dall’idea di ciò che è il demos spagnolo. Mettere in discussione che la Spagna è un demos ci porta a una guerra civile. Dopo la Jugoslavia non può esserci ingenuità con l’autodeterminazione, non può esserci ingenuità. La mia visione è cambiata dopo la Jugoslavia. Disarmare uno stato-nazione avrebbe conseguenze anzitutto in Catalogna, si
rompe la convivenza, ma poi, per una parte della Catalogna, è una crisi esistenziale. Manolo Monereo Se vieni da Jaén e vivi a Sabadell [città della Catalogna, Ndr], ed io questo l’ho vissuto, dopo che hai combattuto per i diritti sociali, linguistici e nazionali della Catalogna, ti dicono che devi scegliere tra essere andaluso o catalano. Si crea una crisi esistenziale, queste persone [ si riferisce ai tanti emigranti andalusi che vivono in Catalogna, Ndr] diventano una minoranza nazionale. Il giorno in cui ci fosse una repubblica catalana, avremmo una minoranza nazionale spagnola che dovrebbe essere difesa, questo gli indipendentisti si rifiutano di ammetterlo. Ficcarsi in questo pasticcio porta al crollo della comunità catalana e alla destrizzazione della Spagna. La Spagna è più di destra dopo il Procés [il Procés è l’ondata indipendentista catalana, Ndr]. Uno stato non si suicida. Se non siamo in grado di capirlo, non troveremo una soluzione. D. La sentenza della Corte Suprema ai leader dell’indipendenza sta per arrivare è prevista. Viene anticipata dall’arresto di attivisti CDR [ Comitati di Difesa della Repubblica:gli organismi che nel 2017 animarono la mobilitazione indipendentista in Catalogna, Ndr] qualche giorno fa. Pensi
che ci sia un’operazione statale che si sta dirigendo verso un’umiliazione della Catalogna, come indicato da alcuni settori catalani? R. Che ci sia un’azione statale contro l’insurrezione in Catalogna è fuori discussione. D. Che ruolo dovrebbe avere la sinistra spagnola in questo? R. Penso che ci sia molto dilettantismo nell’indipendentismo catalano. Quando vedo la borghesia catalana della CIU [Convergenza e Unione, la forza della destra indipendentista capeggiata da Jordi Pujol, Ndr], i miei tanti amici di ERC [Sinistra Repubblicana di Catalogna, Ndr] e la CUP [candidatura di Unità Popolare, movimento indipendentista catalano di estrema sinistra. Ndr] tutti insieme, sono pieno di tenerezza, sto per iniziare a levitare. Ma soprattutto credono che con la forza che hanno, essi sono metà della Catalogna, spezzeranno lo Stato spagnolo. Questo per giocare la rivoluzione. Che gli eredi del (borghese e corrotto) Jordi Pujol faranno una rottura con lo Stato spagnolo verso una repubblica socialista catalana, quest’idea mi riempie di tenerezza. Non sanno cos’è la Spagna e non sanno cos’è l’Unione europea. Essere al contempo sostenitori della UE e del diritto all’autodeterminazione significa non comprendere in che mondo ci troviamo. Penso che devi trovare una base che combini due cose, l’unità dello Stato e dare la voce al popolo della Catalogna. Ciò significa uno stato federale. Il problema politico della Catalogna non ha come alternativa l’indipendenza della Catalogna. Proporre l’indipendenza della Catalogna implica non comprendere cos’è la UE, che è terribile, né la Spagna, che in parte lo è anche. Ci si doveva rendere conto che aver infranto la legalità dello stato della Catalogna avrebbe avuto conseguenze legali. Nel processo di risoluzione e negoziazione politica di questo conflitto, si deve anche giungere a una soluzione che
comprenda il destino di coloro che sono in prigione. Se tutto ciò non viene preso in considerazione, se andiamo a uno scontro diretto tra metà della Catalogna e lo Stato spagnolo, andiamo in una situazione di guerra civile o verso un colpo di stato e la destrizzazione della Spagna. Ciò che è stato negativo del nazionalismo catalano è la rinascita con tale forza del nazionalismo spagnolo. Oggi, le tre forze di destra rappresentano oltre il 40% della mappa politica spagnola. Sono riuscite a far risorgere un nazionalismo spagnolo che era molto diffuso ed ora, un nazionalismo che fa della Catalogna e dell’unità della Spagna il proprio elemento centrale. E questo è molto trasversale. D. Ribellione, sedizione… Condividi queste accuse? R. La qualificazione giuridico-legale è stata eccessiva. Lo stato spagnolo si è scontrato con dei dilettanti, credevano di poter fare tutto ciò che gli piaceva perché avevano una sorta di salvaguardia globale. Pensavano che la UE e la Germania avrebbero accettato l’indipendenza della Catalogna. Non è successo. Dobbiamo ristabilire le leggi della realtà. Oggi, in Spagna e in Europa, la possibilità di indipendenza non è praticabile. Insistere su quella strada ci porta solo alla rottura della comunità catalana e alla destrizzazione della Spagna. Gli stati non si suicidano. La risposta dello Stato sarà molto dura [l’intervista è stata rilasciata prima della sentenza del 14 ottobre con cui la Corte suprema spagnola ha condannato Oriol Junqueras e gli altri indipendentisti catalani, Ndr]. Come sinistra dobbiamo perorare il negoziato politico, ma anche essere chiari su quale progetto di Paese abbiamo. Siamo indipendentisti? Giochiamo con l’indipendentismo? [in vista delle prossime elezioni politiche i capilista sia di Podemos che di Mas Pais sono due noti indipendentisti, Ndr]
Dobbiamo definire la nostra proposta di stato in modo molto preciso, per quanto ne so, siamo federalisti. Abbiamo optato per una federazione plurinazionale e crediamo di dover articolare un processo e un progetto in cui le peculiarità nazionali abbiano il riconoscimento costituzionale per dare soluzione alla crisi statale. È tempo che Unidas Podemos definisca un progetto di Stato che riguardi tutto il territorio. Sostieni SOLLEVAZIONE e Programma 101 LA SIRIA, LA RUSSIA E IL TRAMONTO DELLA NATO di Alberto Negri I combattenti dell’ESL (Esercito Siriano Libero), ovvero gli ascari dell’esercito turco nella battaglia per cacciare i curdi dal Nord della Siria [ mercoledì 16 ottobre 2019 ]
IN UNA SETTIMANA IL MONDO è CAMBIATO di Alberto Negri In una settimana il mondo è cambiato: è arrivato il Capo, quello vero. Questa non è una guerra come le altre: il mondo uscito dal crollo del muro di Berlino nell’89 è cambiato ancora una volta. In pochi giorni sono stati bruciati 30 anni di storia, forse li ha guadagnati Putin diventato il vero co- gestore della politica internazionale. Mentre gli Usa rinunciavano a proteggere i curdi, la loro «fanteria» contro il Califfato. Le truppe russe ora colmano il vuoto lasciato dagli Stati uniti e fanno interposizione tra i due Raìs, Assad ed Erdogan, e i curdi. Un sincronismo quasi perfetto da apparire concordato. LA RUSSIA vede davanti a sé un obiettivo: stabilire che niente sarà più fatto contro gli interessi di Mosca. Non ci sarà più un altro Kosovo (’99), non ci dovrà più essere neppure un’altra Libia (2011) e nemmeno rivoluzioni «colorate», Venezuela compreso. Quanto all’allargamento futuro della Nato, l’atlantismo, nemico giurato della Russia, sembra sul viale del tramonto. Il fatto più evidente è che la Turchia ha disgregato un’Alleanza che da 70 anni sembrava la più solida del mondo. Erdogan ha sbeffeggiato gli appelli di Trump, dell’Europa e del segretario Nato Stoltenberg, ormai uno stralunato e imbarazzante commesso viaggiatore. Si tratta di un evento epocale: gli americani che avevano nei curdi i loro maggiori alleati nella lotta all’Isis li hanno abbandonati per non scontrarsi con la Turchia, membro della Nato dal 1953, che ospita 24 basi e i missili puntati contro Mosca e Teheran. UNA SITUAZIONE assurda. In queste condizioni la Nato non ha più senso, a meno che non venga radicalmente riformata.Cosa non semplice, non si può dare un calcio alla Turchia come con la finale 2020 di Champions a Istanbul, l’unica vera sanzione
che forse sarà attuata davvero. La Turchia viene cooptata nel fronte occidentale negli anni Cinquanta per fare da antemurale all’Unione Sovietica, cioè a quel mondo comunista che veniva ritenuto il nemico più micidiale. E ora Erdogan, che usa i jihadisti contro curdi ma anche contro l’Occidente e ricatta l’Europa con i profughi, è diventato l’avversario più pericoloso. NON SOLO: Putin, che con l’Iran sostiene Assad, è l’unico che può frenare Erdogan o negoziare con lui non da perdente ma da protagonista serio su cose serie come Idlib, il Rojava, il futuro della Siria, il sistema anti-missile S-400, il nucleare, il gas russo di cui Ankara è il maggiore acquirente. Certo, come scriveva lunedì sul manifesto Manlio Dinucci, è dura ammettere che si è rivoltato contro un alleato in cui la Nato ha investito 5 miliardi di dollari e che rappresenta un succulento mercato bellico occidentale. MA TECNICAMENTE la Nato non ci serve più a niente visto gli Usa hanno rinunciato al loro ruolo di guida dell’Ovest: in poche parole Trump non solo ha abbandonato i curdi ma anche l’Europa e il Medio Oriente in mano alla Russia, l’unico stato che oggi fa vincere le guerre e non abbandona gli alleati. Tanto è vero che Putin è andato in Arabia Saudita a rassicurare Riad di fronte all’Iran, alleato di Mosca in Siria. L’unica notizia positiva per gli americani, riportata dal Wall Street Journal, è che stanno vendendo ai sauditi delle centrali nucleari. L’importante per Trump, in fondo, è fatturare. Per gli Usa Europa e Medio Oriente non sono più strategici: sono mercati dove vendere armi e infrastrutture militari, mercenari compresi che presto useremo anche noi al posto dei soldatini di cioccolata. I PIÙ STUPIDI sono i sauditi del principe assassino Mohammed
bin Salman cui Trump ha venduto armi per 100 miliardi di dollari e sono stati colpiti in casa da un attacco che ha ridotto di metà la produzione petrolifera. Ma queste armi non servono a nulla perché gli imbelli sauditi stanno perdendo in Yemen contro gli sciiti Houthi appoggiati da Teheran. E quindi abbracciano anche Putin. MA AVEVATE creduto veramente che gli Stati Uniti fossero ancora disposti a morire per i curdi, gli arabi o gli europei? Dopo i fallimenti dell’Afghanistan e dell’Iraq, a Washington nessuno vuole morire per la nostra sicurezza. Non la pensa così solo Trump. Anche Obama nel 2011 si era ritirato dall’Iraq lasciando il Paese nel caos e poi in mano al Califfato. La guerra all’Isis agli americani non è costata neppure un morto Usa: sono stati uccisi invece 11mila curdi. Se Erdogan ci ricatta, Trump ci prende in giro sanguinosamente. I jihadisti europei scappano dalla carceri curde? Se li volete andate a prenderveli, dice Trump. Più chiaro di così. Ma i sepolcri imbiancati che governano l’Europa dicono una stupidaggine dietro l’altra. Per esempio decretano l’embargo di armi contro la Turchia. Peccato che siamo proprio noi con Leonardo-Finmeccanica a costruire le armi in Turchia: per esempio i magnifici elicotteri Mangusta dell’Agusta-Westland. EPPURE eravamo così felici quando incassavamo dai turchi: commesse e posti di lavoro, che cosa vuoi di più? Alcuni vorrebbero mettere sanzioni ad Ankara. Ebbene il 70% dei prestiti delle aziende turche sono con banche europee e sono centinaia se non migliaia le società delocalizzate in Turchia: volete boicottare la pasta Barilla o Benetton adesso? * Fonte: il manifesto del 16 ottobre 2019 Agli europei il Nuovo Mondo, senza una Nato vera, senza legge e senza mediazioni, ma pieno di contraddizioni e con Putin al comando, è piombato addosso come un treno in corsa. E ora il
tempo è scaduto. 12 OTTOBRE: I GUFI MASTICANO AMARO [ martedì 15 ottobre 2019 ] Stefano D’Andrea, presidente del FSI non si smentisce mai. In Italia si svolge la prima manifestazione di piazza per l’Italexit, e lui cosa fa? Ovviamente l’attacca. Fin qui nulla di male, l’uomo e lo stile sono quelli. Però a tutto c’è, o ci dovrebbe essere, un limite. Evidentemente il D’Andrea mastica amaro. Prima ha provato (in compagnia di quattro rancorosi che si sono spinti fino all’infamia) a sabotare la manifestazione dicendo che sarebbe fallita; poi, di fronte all’evidente successo, si inventa che noi saremmo i sovranisti dell’«io», mentre lui rappresenterebbe il «noi». E qui siamo alle comiche. Alla manifestazione hanno aderito 33 (trentatre) associazioni (incluse quelle da lui citate), ma mancando per sua scelta il suo Fsi noi saremmo quelli dell’«io»… D’Andrea conosce bene i promotori della manifestazione. E sa benissimo che essi sono tutti per il «noi», cioè per l’organizzazione cosciente dei patrioti costituzionali. Ma, a differenza della sua cronica autoreferenzialità, i promotori
del 12 ottobre hanno voluto allargare il campo della partecipazione, raccogliere molteplici spinte. In una parola, hanno teso ad unire anziché dividere. E, piccolo particolare, ci sono riusciti. Riflettere su questo dato forse non sarebbe male. Sta di fatto che la prima manifestazione di piazza per l’Italexit si è tenuta e ad essa il D’Andrea non c’era. * * * Ecco cosa scrive il D’Andrea nel suo delirio… «Noi abbiamo impiegato 7 anni a mettere assieme quasi 1000 persone con due o tremila simpatizzanti. E l’entusiasmo degli iscritti cresce continuamente e da tre anni non va via nessuno che si sia impegnato. La disciplina è massima, la fede alta, la contentezza di stare in questo partito generale. Ebbene a un certo punto gente che non ha costruito nulla che ha fallito quasi dieci volte, che le ha tentate tutte eppure non è riuscita a muoversi dal punto di partenza, organizza una manifestazione nella quale non devono esserci i simboli di partito. Ma stiamo scherzando? Vuoi far fuori gli unici che hanno dimostrato di saper fare qualche cosa? Che crescono di numero non subiscono scissioni si candidano in comuni e regioni e almeno dimostrano di raccogliere le firme e diffondono in 300 un editoriale tutti i giorni su facebook? Perché li vuoi fare fuori? Perché del movimento non ti interessa niente. Cerchi quel ruolo che la storia ha dimostrato non devi avere. Dico vuoi non per riferirmi a te ma a chi ha organizzato la manifestazione. Non c’è processo aggregativo che non sia anche non processo di selezione. Far fuori e toglierci dalle balle quelli che hanno fallito più volte è vitale. Adesso speriamo che Vox si consolidi (non sono certo che riuscirà ma mi auguro di si). Poi noi e vox organizzeremo una manifestazione nella quale tutti dovranno avere un simbolo di partito o associativo. Gli individui
individualisti, gente che non sta con noi non sta con vox non sta con altra direzione non sta con senso comune perché chi sa chi credono di essere, anche se non ne hanno mai azzeccata una, hanno rotto le balle. Il problema sono loro ma ancora per poco, uno o due anni al massimo. Stefano D’Andrea» … e la risposta di un nostro compagno Stefano D’Andrea ci sono nel tuo post tante inesattezze quante sono le righe. Per cominciare parli come se la tua organizzazione fosse una azienda che deve conquistare quote di mercato, con un proprio marketing e un logo da estendere. Con te stesso come amministratore delegato, presidente, ragioniere e contabile. Noi contro loro, noi contro tutti. Voi i migliori, gli illuminati, i più disciplinati, gioiosa armata alla conquista del mondo, loro i falliti, quelli che non riescono a muoversi dal punto di partenza. Una filosofia politica che puzza di competizionismo e neoliberalismo da ogni poro. Poi però scopriamo che “i falliti” portano 3.000 persone in piazza sotto una unica bandiera quella della indipendenza e sovranità popolare. Allora tanto falliti non sono. In un soprassalto di narcisismo passi ad identificarti con la Storia, il supremo giudice che caccerà i reprobi (gli organizzatori del 12 ottobre che non devono avere nessun posto nella storia) e metterà al loro posto i valorosi dell’FSI, i quali a passo di lumaca si faranno spazio tra le folle conquistando il mondo! Alla fine dal narcisismo, con scatto felino e volo pindarico, passi addirittura alle minacce, alla caccia all’untore, rivolgendo un accorato appello urbi et orbi “a far fuori
quelli che hanno fallito” (che sono sempre quelli del 12 ottobre senza bandiere di partito). Stefano D’Andrea qui forse ci vuole un bravo terapista, perché stiamo andando oltre i confini del politico, in una terra dove primeggiano quelle che Spinoza chiamava passioni tristi, l’odio, il senso di rivalsa, la competizione, etc, che non a caso sono il concime, ma sarebbe meglio dire il letame del neoliberismo. Dulcis in fundo concludi con una delle tue solite perle : “Far fuori e toglierci dalle balle quelli che hanno fallito più volte è vitale”. Gli individui individualisti, gente che non sta con Fsi perché chi sa chi credono di essere, anche se non ne hanno mai azzeccata una, hanno rotto le balle. Il problema sono loro ma ancora per poco, uno o due anni al massimo”. Qui l’aria diventa quasi irrespirabile e si sente tanfo di squadrismo ideologico. Se non fai parte di qualche setta sovranista, che non siano quelle gradite al “Guru” non sei nessuno. E se sei fuori da queste, hai un tempo di vita brevissimo! Tocchiamoci gli zibidei mi verrebbe da dire. Faccio un accorato appello personale a tutti i militanti del Fronte Sovranista: costruiamo insieme un fronte unitario per la liberazione nazionale e date un po’ di calmanti al vostro “leader maximo”. Se questi non bastano trovate un bravo terapista! Mauro Pasquinelli 19 OTTOBRE: RESTATE A CASA! di Sandokan
[ lunedì 14 ottobre 2019 ] «La Lega non ha in testa l’uscita dall’euro o dall’Unione europea. Lo dico ancora meglio: l’euro è irreversibile». Matteo Salvini, 13 ottobre 2019 * * * C’è chi ci dice che non esiste più la “dicotomia destra- sinistra“. Lo ripetiamo: dal fatto che la sinistra (tutta o quasi) si sia inabissata, che abbia subito una mutazione genetica, non significa che sia scomparsa questa distinzione storica, simbolica e politica. Non foss’altro perché la destra non solo non è sparita, ma è più forte che mai, ciò proprio grazie alla scomparsa della sinistra, sia liberale che radicale. Nello spazio politico non ci sono quasi mai vuoti: qualcuno occupa sempre il posto lasciato vacante da altri. In Italia, come sempre strategico laboratorio politico europeo, sono stati i due “populismi”, cioè M5S e Lega, a trarre vantaggio dalla metamorfosi globalista e cosmopolitica.
Roma, 12 ottobre Come non ci sono spazi vuoti, tutto si muove, anzitutto quando un sistema conosce una crisi organica. Il sistema sembra stia riuscendo a chiudere la faglia apertasi col terremoto elettorale del 4 marzo 2018 da cui sorse il governo giallo-verde. Il voto unanime per il radicale taglio dei parlamentari è infatti la prova provata che si vuole tornare al bipolarismo della seconda repubblica: da una parte una finta sinistra, dall’altra una vera destra. Tutti uniti per sventrare la Costituzione e seppellire quel che resta della democrazia. Roma: 12 ottobre Qui cade la manifestazione di sabato prossimo, 19 ottobre, indetta dalla Lega salviniana. Com’era prevedibile è diventata una kermesse unitaria delle destre parlamentari e sistemiche.
Ci sarà la Meloni (che votò, non dimentichiamolo, per il pareggio di bilancio in Costituzione), e ci sarà anche Forza Italia. Una manifestazione che diversi illusi speravano sarebbe stata “sovranista”. Mai abbaglio fu più colossale. Il neoliberismo è il colore dominante della tavolozza del 19 ottobre. Berlusconi ha confermato oggi a IL GIORNALE , sostenendo, udite udite, che va messa in costituzione la cifra esatta che lo Stato deve rispettare per onorare l’impegno del pareggio di bilancio. Una roba che avrebbe suscitato l’ilarità anche dei liberisti più incalliti come Milton Friedman e Von Hayek. Ma la dichiarazione più scandalosa, proprio alle porte del 19 ottobre l’ha rilasciata a IL FOGLIO proprio Matteo Salvini. Egli, oltre a ribadire la “fedeltà atlantica senza se e senza ma” ha testualmente affermato: «La Lega non ha in testa l’uscita dall’euro o dall’Unione europea. Lo dico ancora meglio: l’euro è irreversibile». Ecco quindi che il piatto è servito. Quella del 19 ottobre sarà una manifestazione contro il Conte bis, certo, ma delle destre liberiste. Per essere più precisi: una manifestazione specchietto per le allodole per dare una mano alla desovranizzazione del nostro Paese. Insomma, il 19 ottobre restate a casa! La sola manifestazione per la sovranità democratica e popolare è stata quella di sabato scorso LIBERIAMO L’ITALIA. Sostieni SOLLEVAZIONE e Programma 101
12 OTTOBRE: BILANCIO A CALDO [ domenica 13 ottobre 2019 ] UNA SINFONIA DI LIBERTÀ 12 ottobre, un primo bilancio comunicato del Comitato promotore Diversi sono i criteri per valutare se una manifestazione è stata un successo oppure no. Certo, anzitutto da quanti hanno raccolto la sfida. Aver motivato più di tremila cittadini venuti a Roma da tutto il Paese, la gran parte con mezzi propri, è un grande successo. La data del 12 ottobre sarà una data da ricordare. Un grande successo, per niente scontato quindi, confermato dal diversi fattori. Avevamo detto che il 12 ottobre sarebbe stato il primo passo, l’inizio di un cammino, quello che dovrà dare vita ad un movimento popolare, indipendente e trasversale, per liberare l’Italia dalle gabbie dell’Unione europea e del neoliberismo.
La volontà, non solo nostra, ma dei tanti che erano in piazza è che sì, si deve andare avanti in questa direzione. Non demordere, agire, organizzarsi, per costruire LIBERIAMO L’ITALIA come nuova comunità politica, democratica, ribelle, patriottica e internazionalista perché solidale con gli altri popoli. La Costituzione del 1948 come nostra stella polare. Sappiamo che il terreno è in salita, ma i tantissimi cittadini che ieri ci hanno avvicinato offrendo la loro disponibilità ad essere protagonisti di questo cammino di libertà, ci riempie di gioia e ci da tanta forza. La responsabilità è enorme, sappiamo che il difficile comincia adesso, che non possiamo permetterci errori. Non li faremo se sapremo fare tesoro della lezione che ieri ci è venuta. Ieri, in piazza, era palpabile il clima di soddisfazione: per lo spirito unitario, plurale ma inclusivo della manifestazione. È stata come una sinfonia: tante le voci uno solo l’annuncio: LIBERIAMO L’ITALIA! Di più. Grazie ai fratelli stranieri presenti (greci, francesi, spagnoli, inglesi, austriaci, ma anche africani) e
di quelli non presenti (saluti sono giunti da diversi altri paesi), la manifestazione ha voluto esprimere il sentimento di fratellanza verso tutti i popoli che soffrono sotto il giogo delle oligarchie liberiste e della finanza predatoria globale. Solo uniti vinceremo, uniti procederemo, uniti ce la faremo. Il Comitato promotore 13 ottobre 2019 * Fonte Fonte: Liberiamo l’Italia ECCO A VOI LA DESTRA di Sandokan
[ venerdì 11 ottobre 2019 ] Roma, 10 Ottobre 2019. «Raccoglieremo firme per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica”ì». Così Matteo Salvini, accompagnato da suoi sodali (anche Bagnai, sic!) ha depositato in Corte di Cassazione una proposta di legge di iniziativa popolare per la repubblica presidenziale, per di più affiancata da una legge elettorale super-maggoritaria. Ascoltate per credere: Idem con patate la Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia. Segnala l’ANSA. ROMA, 9 Ottobre: «Domani mattina i parlamentari di Fratelli d’Italia depositeranno in Cassazione la proposta di legge di iniziativa popolare per l’elezione diretta del Capo dello Stato e cominceremo subito la raccolta delle 50 mila firme necessarie ad avviare l’iter del provvedimento. Alla luce del grande sostegno che abbiamo già riscontrato con la nostra petizione sul presidenzialismo, confidiamo di raggiungere questo obiettivo in pochi giorni. Dopo il voto favorevole di Fratelli d’Italia al taglio del numero dei parlamentari, è la nostra risposta al no della maggioranza gialloverde prima e rossogialla dopo ai nostri emendamenti per introdurre in Costituzione il presidenzialismo: vogliamo che siano i cittadini a scegliere”. Anche in questo caso, ascoltare per credere. Di regime presidenzialisti ce ne sono di ogni tipo, ma quello a cui pensano Salvini — “voglio i pieni poteri” — e la Meloni implica uno scardinamento della Costituzione e un concentramento dei poteri sull’esecutivo a danno del Parlamento. Come se non bastasse Salvini vuole una legge elettorale uninominale secca, per cui il primo arrivato,
magari anche solo col 35-30% piglia la maggioranza assoluta dei seggi. Ci vuole poco a capire che con ciò verrebbe definitivamente seppellita la già moribonda democrazia italiana. L’altri ieri titolavamo L’AMARA VERITA’ l’articolo con cui denunciavamo l’unanimità raggiunta sulla legge per ridurre i parlamentari. Anche Salvini e la Meloni hanno votato Sì, assieme ai partiti di governo. Tutti assieme appassionatamente, ma alla fin fine, saranno solo le destre a trarre vantaggio da questo scempio che fa strame della democrazia e della Costituzione. Abbandonata la battaglia sovranista per uscire dall’euro le destre italiane tornano ad essere quel che son sempre state: destre reazionarie. NAZIONE E PATRIOTTISMO (repetita juvant) di Moreno Pasquinelli
[ venerdì 11 ottobre 2019] «La libertà di pensiero ce l’abbiamo. Adesso ci vorrebbe il pensiero». Karl Kraus * * * Ci risiamo. La scassata armata Repubblica-Espresso-Micromega ritorna all’attacco contro il “rossobrunismo”. Per la verità essa occupa la prima linea di un fronte ben più vasto che va da certa sinistra ultras a giornaloni come CORRIERE DELLA SERA e LA STAMPA, passando per il manifesto e LEFT. Nel tempo abbiamo tentato di rubricare questo vero e proprio assedio. L’ultimo assalto anti-rosso-bruno, tra il patetico e l’implausibile, l’ha portato Micromega, con un articolo, L’Italia siamo noi. La sinistra e l’identità nazionale dello studioso Jacopo Custodi (l’ostentata erudizione non è garanzia per evitare bufale e fake news): dove se la prende con noi e con Fassina ed alcuni suoi amici. EXCLUSIONARY VS. INCLUSIONARY Del suddetto avevo avuto modo di leggere il suo saggio Populism, Left-wing Populism and Patriotism. A contribution to the theorization of Left-Populism, uno studio sui populismi di sinistra in America latina e quelli rinascenti in Europa — rigorosamente ed eslcusivamente nella lingua dell’Impero, come si esige nel mondo accademico. Un saggio tanto ponderoso quanto nozionistico, come capita spesso agli esegeti di Ernesto Laclau e, soprattutto Chantal Mouffe i quali esegeti finiscono, al netto dei funambolismi teorici, per ripetere a pappagallo, se non addirittura impoverire quanto già detto e scritto dai due controversi intellettuali.
Custodi ammette, in questo saggio, sulla scia di Laclau e Mouffe, che contro l’avanzata dei populismi di destra, ahinoi, la tradizionale narrazione marxista è impotente e che contro di essi si deve oppure il “populismo di sinistra”. Un populismo di sinistra deve perciò riscoprire come positivi i concetti di nazione e di sovranità nazionale, e può utilizzare come arma politica il valore del patriottismo. Fin qui nulla di male, come converranno i nostri più assidui lettori, che si chiederanno dunque come mai il nostro se la prenda con la sinistra patriottica italiana. Il fatto è che Custodi, restando intrappolato nella trama narrativa di Laclau e Mouffe ed accettando il loro fondamentale paradigma teorico, finisce per ingarbugliare il tutto, svuotando i concetti di popolo, nazione e patriottismo della loro sostanza storico- politica, quindi giungendo ad un’idea di patriottismo non solo lontanissima dalla nostra ma alquanto sbilenca e discordante rispetto a quella dello stesso Laclau. Un’idea di nazione e di patriottismo, quella di Custodi, del tutto simile, se non addirittura conforme, con quella del filosofo tedesco Jürgen Habermas, ovvero l’idea astratta e cosmopolitica della “cittadinanza costituzionale universalistica”, concepita come antitesi alla nazione storica. Un pensiero, quello di Habermas pervasivo assai, avendo plasmato non solo le teste d’uovo della sinistra globalista di regime, ma pure quelle della sinistra radicale, per contaminare addirittura, nella forma sghemba di un “nuovo costituzionalismo europeo“, amici come Stefano Fassina. Segno di una soggezione teorica difficile da superare.
Alla fine, del saggio di Custodi — sorvolando sulla sciocca vulgata liberale secondo cui “gli orrori del ‘900” sarebbero stati commessi dai nazionalismi, non già dagli imperialismi — tra le mani rimane ben poco. Nulla viene aggiunto a quanto già sapevamo del populismo. E per quanto attiene all’ opposizione ed alla differenza tra populismo di destra e di sinistra; il nostro si limita a segnalare che il primo tende ad escludere, il secondo ad includere. Nozione non solo superficiale ma deviante, quindi sbagliata, visto che di questi tempi l’egemonia fa premio ai populismi di destra, che evidentemente, in quanto maggioritari, riescono ad essere ben più inclusivi di quelli di sinistra. En passant: i modelli preferiti di populismo di sinistra sono per Custodi SYRIZA e Podemos… IL PARADIGMA TEORICO DI LACLAU Qual è dunque il paradigma teorico di Laclau e Mouffe e che entrambi hanno posto come decisivo malgrado le loro fasi e le loro reciproche differenze? E’ l’accettazione di uno degli enunciati peculiari di certo post-strutturalismo (e post- modernismo), per cui, contro ogni pretesa ontologica, contro ogni idea che supponga l’esistenza di universali o fondamenti ultimi, si afferma che nulla avrebbe più sostanza o essenza, né tantomeno valore storico-oggettivo. Tutto sarebbe mero discorso, forma simbolica, narrazione linguistica. Ernesto Laclau e Chantal Mouffe Filosoficamente parlando una forma radicale di nominalismo o, più precisamente, di arbitrarismo ockahamiano. Ma non ci complichiamo la vita.
Se all’inizio del suo tragitto Laclau utilizzava questo paradigma per contrastare l’economicismo ed il determinismo dei certo marxismo ossificato —per cui il socialismo sarebbe stato un parto dello sviluppo capitalistico ed il soggetto politico non sarebbe che un’ostetrica che a cui era affidato il compito di assecondare la venuta alla luce del nascituro —, strada facendo è diventato una forma estrema di soggettivismo politico élitista, per cui tutto verrebbe a dipendere dall’élite politica, dalla sua capacità di costruire, ex nihilo, il popolo e la nazione. Non ci sono, nel paesaggio di Laclau e Mouffe, leggi economiche e sociali sistemiche obiettive —tra cui quella marxiana di Valore —, nemmeno di ultima istanza, né classi sociali oggettive.
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