LE VIE INESORABILI DELL'INNOVAZIONE - 3/2021 Andrea Battista - Phoenix Capital
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3/2021 Andrea Battista 6 LE VIE INESORABILI DELL’INNOVAZIONE. Da Foster Wallace a Steve Jobs, al “caso finanziario” Eurovita. Intuizione, cooperazione e semplificazione. Aprile 2021
Prolusione al Master “Digital Open Innovation & Entrepreneurship” del Campus Bio-Medico di Roma Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice: “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?”. I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’ e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede: “Ma cosa è l’acqua?” Foster Wallace Andrea Battista, CEO di Net Insurance
Premessa di rito Illustri Professori, cari allievi del Master Buongiorno a tutti e grazie per l’invito a tenere questa prolusione. È molto più che un piacere ed onore essere qui, all’avvio del Master in “Digital Open Innovation & Entrepreneurship” del Campus Bio-Medico di Roma. Cari allievi, inizio la mia trattazione con una confidenza. Da qualche tempo ho la passione per i c.d. graduation speech, che setaccio di tanto in tanto sul web. Non ho potuto dunque fare a meno di averli presenti nello stendere queste odierne righe e, come prevedibile, sono stati una utile fonte di ispirazione. Anche se oggi siamo all’inizio e non alla conclusione di un percorso, a mio avviso è poco rilevante e, presto, arriverà anche per Voi il conseguimento del risultato finale che – ve lo auguro di cuore - possa essere un successo accademico e una soddisfazione personale. Alcuni di questi discorsi tenuti in occasione di cerimonie accademiche – o, anche solo, singoli passaggi - sono diventati notissimi, come quello di Steve Jobs a Stanford nel 2005; altri sono semplicemente belli ed intensi, come l’intervento dello scrittore David Foster Wallace agli allievi del meno noto Kenyon College; altri sono più mirati ad alcuni concetti come quello di Michelle Obama al City College di New York, qualche anno fa. A leggere queste parole con il filtro del nostro tema chiave, molti - se non tutti - hanno qualcosa a che vedere proprio con l’innovazione, a prescindere dal contesto e dai differenti approcci. I discorsi “chiamano” infatti chi ascolta a fare la differenza ed è proprio l’innovazione a svolgere questa funzione, nella irriducibile eterogeneità delle vicende umane. Vorrei soffermarmi, in premessa, su due aneddoti riportati in questi discorsi, cui aggiungerò un terzo e ultimo racconto personale che ci avvicina all’oggi.
I tre aneddoti riguardano: • l’apologo dei pesci di Foster Wallace; • il corso di calligrafia e il “connecting the dots” ( connettere i punti) di Steve Jobs; • l’introduzione del private equity nel settore assicurativo italiano. Come accennato sopra, l’innovazione è un sottile filo rosso che unisce questi oggetti di narrazione, apparentemente così eterogenei. Direbbe Alessandro Baricco che lo storytelling è proprio ciò che resta quando togliete i fatti dal racconto. Questa diversificata narrazione mi consentirà di introdurre il caso di innovazione che si sta svolgendo sotto i nostri occhi: l’evoluzione globale del settore di cui mi occupo, quello assicurativo, di cui con Net insurance sto ora cercando di scrivere un piccolo e denso capitolo. Foster Wallace comincia il suo speech con l’apologo dei pesci. “Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice: “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?”. I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’ e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede: “Ma cosa è l’acqua?” Lo stesso Wallace spiega che il succo della storia dei pesci è forse banale: le più ovvie e importanti realtà sono le più difficili da vedere. Come le strade dell’innovazione, potremmo dire. Ma non basta individuare dove l’innovazione potrebbe trovarsi. Non è comunque mai in una sola direzione e in solo sentiero che bisogna cercare.
Di qui la valenza della seconda storia, ossia quell’ “unire i punti” (connecting the dots) che tra loro sembrano irrelati. Ebbene sì, è proprio un pezzo del discorso passato alla storia con il grido di battaglia: “Stay hungry, stay foolish”. Ma c’è davvero tanto altro in quel discorso. Sentitelo e risentitelo, se posso darvi un modesto consiglio (ve ne darò poi solamente un ALTRO), perché è un vero proprio inno alle “condizioni dell’innovazione”. Condizioni oggettive di contesto ma soprattutto soggettive, emotive e psicologiche. Cosa poteva servire un corso di calligrafia al giovane e ancora confuso Steve Jobs? In quel momento assolutamente nulla, era solo “something fascinating”, un sentiero dove era il solo cuore a portarti. Ma era anche un puntino disperso nella storia. E nel futuro i puntini si connettono, in parte per loro dinamica naturale e in parte per l’esplicita e determinata volontà dell’uomo di connetterli. Il fondamentale e rivoluzionario trend della good graphics nel mondo dei personal computer e di tutti gli oggetti della moderna tecnologia digitale è nato proprio così: da un “inutile” corso di calligrafia, un punto che si è unito a diversi altri dopo molti anni. Da un corso fatto senza alcuno scopo preciso e predeterminato, se non la passione per quello che stava facendo e la tensione all’apprendere ciò che affascina, ciò che si ama. Dopo le storie di due figure - diversamente grandi - del nostro tempo, la terza e ultima storia è, assai più modestamente, personale. Il caso Eurovita, un’innovazione radicale nella struttura finanziaria, che ha modificato in modo non marginale l’assetto di un business chiave nella gestione del risparmio delle famiglie, in Italia e non solo. Sì, perché anche l’innovazione finanziaria, lungi dall’essere una sovrastruttura, è di frequente una condizione essenziale del processo innovativo complessivo.
Era il dicembre 2012, nel pieno della crisi finanziaria e dei suoi postumi. Lascio Aviva, (Gruppo assicurativo inglese) da giovane amministratore delegato di un gruppo assicurativo italiano di medie-grandi dimensioni. Reazione immediata? Quella che sempre Steve Jobs chiama “la leggerezza del beginner”, ossia del principiante. In poche settimane sogno, immagino, progetto, quindi nell’anno successivo realizzo e concludo il matrimonio tra private equity e assicurazione, per poter avviare la mia prima avventura imprenditoriale. Sul mercato assicurativo italiano, diversi erano stati i tentativi “di nozze”, in genere fallimentari o comunque “no go”, prima di quel momento. Ecco la storia, in sintesi ovviamente. In Aviva mi rendo conto del potenziale di Eurovita, fabbrica di assicurazioni Vita poco apprezzata dagli azionisti britannici (to say the least). Può essere la base per un modello di fabbrica indipendente dalla distribuzione, sulla scorta di quanto avvenuto nel risparmio gestito. Inoltre, era l’occasione per approcciare da imprenditore, co-investendo personalmente con il principale investitore, secondo gli schemi standard del private equity. Preparo un progetto a partire da un foglio bianco e lo presento, in prima battuta, ad alcuni operatori finanziari sino a quando con il fondo americano di private equity J.C. Flowers si allineano prima le idee e poi le emozioni. Il fondo acquisisce la Compagnia anche con il mio piccolo contributo: ne divento A.D., la rivoltiamo in poco tempo come il proverbiale calzino, in circa 3 anni più che raddoppiamo il valore, per poi cederla rendendola parte di un Gruppo più ampio che, adottando lo stesso modello su più vasta scala e prendendone addirittura il nome, trasforma Eurovita da piccola realtà in difficoltà ad una medio-grande Compagnia, subito a ridosso - nel comparto Vita - ai grandi Gruppi. Finanza da un lato ed economia reale dall’altro hanno dunque “collaborato per innovare”.
Questa vicenda ha mostrato tra l’altro che l’innovazione trova il giusto momento per essere realizzata. Il private equity era destinato ad entrare nel mondo assicurativo anche quando le vicende post crisi finanziaria avevano azzerato l’appetito acquisitivo degli operatori incumbent. Se Eurovita è dunque una storia di innovazione per così dire orizzontale delle strutture finanziarie e delle condizioni “di contorno”, vorrei passare a concludere il mio percorso odierno con il focus sulla componente industriale dell’innovazione, di cui quella finanziaria è assai spesso imprescindibile supporto o, in qualche caso, comunque precondizione. Perseguire l’innovazione dell’industria assicurativa non è certo un mero esercizio di stile. È una linea di azione indispensabile per riuscire a confrontarsi con i bisogni del nuovo consumatore digitale che già nel 2040 - tra meno di 20 anni! - rappresenterà la maggior parte dei clienti assicurativi. Ma per centrare l’obiettivo è necessario mettere in campo almeno tre cluster di azioni fondamentali: o investire, incoraggiando la creazione di schemi di venture capital verticali (c.d. modello israeliano); o creare cultura, promuovendo iniziative volte ad accrescere l’educazione assicurativa diffusa; o fare sistema, attraverso una collaborazione attiva e fattiva tra gli attori del mercato di riferimento. La trasformazione digitale ha coinvolto tutti i settori industriali e il mondo assicurativo non è stato certo risparmiato. Oggi la dinamica sembra scontata ma pochi anni fa non era né ovvia né prevedibile. Pertanto, la validità del tradizionale motto “insurance is different” risulta depotenziata - anche se non annullata - dalla dinamica di omogeneizzazione dei trend di contesto fondamentali.
Ma, più in concreto, quali caratteristiche assume la rivoluzione tecnologica in ambito assicurativo? Il termine “digitale” si presenta per questo settore particolarmente articolato e complesso, per via delle sue numerose sfaccettature. L’innovazione tecnologica non sta cambiando solo i prodotti e i servizi offerti ma anche l’organizzazione delle Compagnie, rimodulando l’intera catena del valore. In sostanza la tecnologia sta plasmando un sistema aperto, che consente di fornire - ad un ampio insieme di attori - prodotti e servizi. Tale cambiamento genera la decostruzione della catena del valore assicurativo, in un mercato conosciuto tradizionalmente come stabile, caratterizzato fino a poco tempo fa da un limitato tasso di innovazione. Il motivo di questa “refrattarietà al cambiamento” profondo e oggettivo è dato dalla presenza di elevate barriere all’entrata, riconducibili principalmente a tre fattori: capitale, regolamentazione e distribuzione. o Il capitale, perché la conduzione del business nel settore assicurativo richiede importanti capitali finanziari; o La regolamentazione, in quanto è necessaria una conoscenza approfondita del quadro normativo di riferimento che vincola per definizione l’agire; o La distribuzione, asset necessario e difficilmente riproducibile. In un simile contesto, è evidente quanto sia difficile per i nuovi attori emergenti penetrare in questo comparto, così come - per gli incumbent - avviare i processi di trasformazione all’interno dei propri consolidati modelli di business. All’inizio della rivoluzione digitale, nel mondo assicurativo è stato necessario lavorare su modelli operativi di business che consentissero a incumbent e nuovi arrivati di operare insieme. Il risultato è la riconfigurazione cooperativa che ha visto - e vede - startup e Compagnie adottare protocolli di collaborazione che, pur non riconducibili certo ad un
modello unico, hanno come fattore comune la cooperazione - più che la competizione - nel campo dell’innovazione. Per le Startup ed Insurtech, questa è la strada per ‘aggirare’ le barriere all’entrata citate, mentre per gli operatori tradizionali è la via maestra verso l’innovazione. Un’innovazione che implica maggiore libertà di azione, limitando l’impatto dei legacy system e dei processi che questi supportano. Da qui si evince l’esigenza delle Compagnie e degli Intermediari nel dotarsi di tecnologie, risorse e competenze capaci di sviluppare il proprio posizionamento all’interno del nuovo ecosistema Insurtech, facendo leva sulle alleanze. Infine, una nota di allarme relativa al tasso di innovazione e agli investimenti nel nostro Paese. L’Italia, negli ultimi tre anni, ha assorbito meno del 5% del totale investito in Europa in tecnologie Insurtech. È urgente colmare questo ritardo che, se confermato negli anni futuri, creerà - anche nel settore assicurativo - un Technology Gap che nel tempo impatterà negativamente sul posizionamento competitivo delle nostre Compagnie. Nel mondo progressivamente permeato dall’innovazione digitale, si profilano dunque all’orizzonte interessanti sfide ed emergono importanti tendenze. Una è sicuramente la semplificazione dell’offerta assicurativa attraverso una maggiore flessibilità e personalizzazione dei servizi forniti al cliente. La velocità conta, soprattutto se si sta andando verso un’offerta di assicurazioni in real time. Un’altra tendenza emergente è l’implementazione delle logiche di “Open Innovation”, attraverso la progressiva integrazione anche tra diversi canali distributivi e settori in ottica customer centric. Così l’Open Banking deve evolvere verso il concetto di Open Insurance e diversi attori si muovono oggi in uno scenario che va allargandosi in quello che può essere definito “Open Finance & Insurance Journey”, in cui istituti finanziari e assicurativi ma anche provider di tecnologia e advisor si integrano e contaminano a vicenda all’interno di un unico punto di contatto per offrire al cliente servizi sempre più personalizzati e tarati sui nuovi bisogni.
Questo processo potrà avvenire tanto più rapidamente quanto più troverà supporto nel Regolatore, come nel caso del Regolamento IVASS in materia di Home Insurance. Infine, l’Insurtech può costituire una leva per l’aumento dell’alfabetizzazione assicurativa di massa, prerequisito per la progressiva diminuzione del Protection Gap, storicamente presente in molti paesi del mondo, tra cui l’Italia. Per superare questo equilibrio non virtuoso è necessario sviluppare una nuova cultura della prevenzione e della protezione. Semplificare e innovare alla fine conviene a tutti: in primis al consumatore rispetto a scelte consapevoli, quindi ai player assicurativi che ne beneficiano in termini economici e organizzativi e di dimensione del mercato. Gli attori assicurativi oggi possono e devono sfruttare i nuovi canali di comunicazione per fare education riguardo ai temi della protezione personale e tutela del reddito. Non basta sviluppare tecnologia “per svoltare”, ma serve anche un cambio di mentalità. Si tratta di un percorso non lineare, che necessita di investimenti, chiede la collaborazione tra players privati ma coinvolge anche gli attori istituzionali, ad esempio gli enti di controllo per una regolazione flessibile e proporzionata. E, infine, la diffusione della innovazione assicurativa ha un ruolo fondamentale nella costruzione di sistemi economici resilienti, proprio in virtù dell’importanza sociale che il trasferimento del rischio ha nella tenuta dell’intero Sistema Paese. Ancora di più oggi, nel mondo pandemico e post-pandemico. Conclusioni Dopo queste storie, riflessioni e infine il caso dell’industria assicurativa, mi avvio a concludere cercando di individuare le caratteristiche di fondo dell’innovazione che questa prolusione ha provato a esemplificare.
Lo studioso e scrittore inglese Matt Ridley, Lord Ridley per la precisione, nel suo recentissimo “How innovation works and why it flourishes in freedom” coglie in modo affascinante le caratteristiche dell’innovazione. Leggete questo libro, è il mio secondo e ultimo consiglio cari allievi, e diventerete appassionati di innovazione. Per Ridley l’innovazione presenta caratteristiche ricorrenti, pur nella storia e nei contesti più diversi. Spero che quanto oggi vi ho raccontato, lo riconosciate nelle caratteristiche che vado a sintetizzare. L’innovazione è per sua natura graduale, anche se i risultati sembrano spesso esplodere all’improvviso. L’innovazione è frutto della ricombinazione dell’esistente, è frutto di tentativi ed errori. È frutto della cooperazione di persone e istituzioni, non della genialità dell’inventore. L’innovazione è, spesso, inesorabile perché il mondo spinge tanti soggetti, tanti gruppi formali o informali a correre nella stessa direzione e nello stesso momento, competendo e cooperando: non è stato certo il vaccino anti Covid 19 il primo esempio nella storia di “coopetizione” globale. Ex post l’innovazione sembra prevedibile, mentre ex ante non lo è per definizione. Non è frutto di realtà di grandi dimensioni: imperi da un lato e big Corporation dall’altro - dice Matt Ridley - “are bad at innovating” (sia per temi di legacy sia di incentivi). È un processo bottom up, assai più che top down. E sono i sistemi aperti che generano sistematicamente innovazione. Ma in definitiva l’innovazione è frutto della creatività e della libertà della persona. È proprio per questa ragione che vale la pena ricercarla, ovunque e senza posa. Vi ringrazio dell’attenzione.
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