Amazon: i pacchi sorridono, i lavoratori un po' meno
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Amazon: i pacchi sorridono, i lavoratori un po’ meno Ieri mattina ci siamo svegliati in un’Italia sempre più rossa, con ancora maggiori restrizioni alla circolazione e con due notizie principali che hanno calamitato l’attenzione dei media. In realtà la prima, più che una notizia, è una commemorazione: sono infatti passati 100 anni dalla nascita del grande Nino Manfredi, attore simbolo della commedia italiana e del cinema in generale; ma l’altra è per davvero una notizia che merita di essere approfondita. Sto parlando dello sciopero dei dipendenti della logistica e di quelli delle consegne di Amazon Italia, il colosso dell’e-commerce sbarcato nel nostro Paese nel 2010, che oggi conta oltre 40 sedi ed ha 9.500 dipendenti a tempo determinato e altri 15.000 addetti alle consegne. Amazon ieri si è fermata per 24 ore: si tratta, di fatto, del primo stop in Italia di tutta la filiera, e i dipendenti che dalle ore 7, del 22 marzo, hanno incrociato le braccia davanti ai cancelli degli stabilimenti del colosso del commercio elettronico chiedono la solidarietà dei consumatori, invitandoli a evitare acquisti per l’intera giornata. Lo sciopero è stato indetto da Filt Cgil, Fit Cisl, e Uiltrasporti e riguarda tutto il personale dipendente di Amazon Logistica Italia, cui è applicato il CCNL Logistica, Trasporto Merci e Spedizione, Amazon Transport Italia, e di tutte le società di fornitura di servizi di logistica, movimentazione e distribuzione delle merci che operano per Amazon Logistica ed Amazon Transport. Il tavolo di contrattazione con i sindacati di categoria e i lavoratori “si è interrotto bruscamente a causa dell’indisponibilità dell’associazione datoriale ad affrontare positivamente le tematiche poste dal sindacato”, si legge in una nota stampa congiunta dei sindacati. La segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti ha dichiarato in un video: “Amazon può e
deve coniugare lo sviluppo e il profitto con i diritti di chi lavora. Oggi è una giornata molto importante, i lavoratori e le lavoratrici della filiera di Amazon hanno deciso di protestare per rivendicare un normale sistema di relazioni sindacali. Un messaggio importante rispetto alla necessità di parlare di lavoro di qualità”. All’unità delle sigle sindacali fa da contrappunto la divisione delle Associazioni dei Consumatori: da una parte il Codacons, che aderisce all’ iniziativa “non per questioni legate agli stipendi ma perché siano garantite migliori condizioni di lavoro ai dipendenti”, mentre Consumerismo No Profit è invece contraria “a qualsiasi tipo di sciopero che utilizzi i cittadini per rivendicazioni di tipo sindacale. In questo momento di zone rosse estese e di impossibilità di spostamento per gli utenti – ha dichiarato al quotidiano La Stampa Luigi Gabriele, presidente dell’associazione – ritardare le consegne arreca un danno materiale alla collettività”. Ed intanto Amazon ha inviato una lettera rivolta ai clienti della piattaforma di commercio elettronico, dove la country manager di Amazon Italia, Mariangela Marseglia, ha dichiarato: “L’impegno verso i nostri dipendenti e quelli dei fornitori di servizi di consegna è la nostra priorità assoluta. In Amazon rispettiamo il diritto di ogni individuo ad esprimere la propria posizione e voglio ringraziare personalmente i colleghi e i dipendenti dei fornitori dei servizi di consegna che ogni giorno lavorano per assicurare che possiate ricevere i vostri ordini”. Questo sciopero nazionale dell’intera filiera logistica e dei trasporti del colosso Amazon è una sveglia non solo per le Big Tech del web, ma anche per noi cittadini, che, fintamente ignari, ci crogioliamo nella libertà – è un po’ strano dirlo durante un quasi lockdown – che i lavoratori più sfruttati, quelli della cosiddetta Gig Economy, ci regalano ogni giorno. Ne ho parlato più diffusamente in un mio editoriale del giugno 2019, quando un articolo a firma di Massimo Gaggi
sulle pagine de La Lettura n°391 del 26 maggio 2019 aveva attirato la mia attenzione su tutti quei lavoratori della nuova economia digitale che l’antropologa Mary L. Gray e il computer scientist Siddharth Suri hanno definito ghost workers nel loro libro “Ghost Work: How to Stop Silicon Valley from Building a New Global Underclass” (Ghost Work: come fermare la Silicon Valley dalla costruzione di un nuovo sottoproletariato globale), purtroppo non ancora tradotto in italiano. Ricordiamolo sempre: i nostri benefit non sono gratis! La nostra convenienza, le nostre offerte speciali, il nostro 3X2 (come ci ha ricordato anche il giornalista Stefano Liberti in una recente puntata di “Incontri ravvicinati” sulla GDO), la consegna in 24 ore, come se aspettare qualche giorno in più fosse un peccato mortale, è sempre messo in conto a qualcun altro, grava sempre sulle spalle di qualcun altro: a pagare i nostri privilegi – piccoli o grandi che siano – ci sarà sempre qualcun altro che si trova su un gradino ancora più
basso di quella scala sociale che anche noi stiamo tentando di risalire. Prendere consapevolezza di questo è eticamente e moralmente giusto, oltre che sacrosanto, anche perché se i diritti dei lavoratori vengono calpestati o disattesi da un piccolo commerciante che non sa come arrivare a fine mese, non dico che è giustificabile, ma è sicuramente molto meno colposo se a disattendere i diritti dei lavoratori è un colosso che nel 2020 ha fatturato a livello globale un utile netto di 21,3 miliardi di dollari con un incremento rispetto al 2019 del + 38%. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.
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