A A 13/14 CERIMONIA INAUGURALE DELL'ANNO ACCADEMICO - Università di ...

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    CERIMONIA INAUGURALE
    DELL’ANNO ACCADEMICO
Cerimonia di inaugurazione dell’Anno Accademico 2013 / 2014
                dell’Università degli Studi di Foggia
                    Rettore prof. Maurizio Ricci
                Prorettore prof.ssa Milena Sinigaglia
Pubblicazione a cura dell’Area comunicazione e rapporti istituzionali
                 Responsabile dott.ssa Rosa Muscio

            Impaginazione ed Editing a cura di Red Hot

                        Edizioni Il Castello
               via Conte Appiano 60 - 71121 Foggia
                      Tel. +39.0881.022150
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                     ISBN 978-88-6572-124-7

                     9 788865 721247
Lunedì 28 aprile 2014, ore 11.00
          Aula magna Valeria Spada
           Dipartimento di Economia
       Università degli Studi di Foggia
via Romolo Caggese 1 – 71121 Foggia
L’Università tra rigore finanziario
e autonomia “impossibile” *

        Illustre on. Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca,
senatrice prof.ssa Stefania Giannini, che, onorato, ringrazio con immenso
piacere per aver voluto prontamente accettare il nostro invito, Magnifi-
ci Rettori, Autorità civili, militari e religiose, cari Colleghi, Collaboratori
tecnici-amministrativi e Studenti, gentili Ospiti,

         “cominciare una conferenza [...] è un momento cruciale [...]. È il
momento della scelta: ci è offerta la possibilità di dire tutto, in tutti i modi
possibili; e dobbiamo arrivare a dire una cosa, in un modo particolare”: le
parole di Italo Calvino - destinate alle sue Lezioni americane (Cominciare e
finire) - sono tornate all’improvviso alla mia memoria e hanno continuato a
risuonare come ‘refrain’ nei giorni passati, giorni in cui con emozione ho
riflettuto su questo inizio di discorso, esordio del mio mandato, apertura
di anno accademico, a quindici anni dall’istituzione del nostro ateneo (5
agosto 1999).
         Per questo “momento di distacco dalla molteplicità dei possibili”,
per continuare a citare Calvino, il mio pensiero ha insistito nell’indirizzarsi
verso i nostri studenti, i nostri cari studenti: verso il loro entusiasmo, la
loro capacità progettuale, il loro senso di responsabilità, la loro generosità
nel collaborare alla soluzione dei problemi.
         L’ormai inflazionata frase “l’Università non esisterebbe senza gli
studenti” si riempie oggi ai miei occhi di significato, di sensazioni, di colo-
ri: intendo, intendiamo, non tradire e sostenere il loro studio, il loro lavoro
nobile, faticoso, costante. Il loro, il vostro, è un mondo già vivo: la vostra
forza si prende la rivincita nelle piccole cose e qui il vostro ‘potere’ è quasi
illimitato; i vostri progetti nascono da incontri, incontri di e tra ciascuno di
voi, ognuno con le sue inclinazioni, i suoi modelli e le sue esperienze cul-
turali, il suo fine, le sue ambizioni, i suoi gusti più segreti, i suoi ideali più
scoperti in direzione della costruzione del futuro.
         Il vostro ‘ramo d’oro’ sono i libri, le riviste, le banche dati, metafora
di impegno e serietà, pluralità di linguaggi e verità non parziali, molteplicità
di soggetti, voci, sguardi sul mondo. Il mio sguardo e il mio apprezzamento
va alla vostra appassionata ricerca di verità o, se non altro, di esattezza, alla
vostra paziente attenzione e, se opportuno, al vostro operoso silenzio.
         A voi va l’attenzione dell’intero corpo accademico: a voi la trasmis-
sione, il senso e l’efficacia dell’azione didattica e scientifica fin qui condotta.
         “Desidero trasfondere tutto in te e godo d’imparare qualcosa ap-
punto per insegnarla”: così Seneca scriveva al suo Lucilio1. Da parte mia,

        1 Epist. 1,6,4.

                                                        Università degli Studi di Foggia   7
penso a un profilo di docente portato a partecipare il suo amore per la scien-
        za lungo una traiettoria di interscambio più che di semplice trasmissione:
        penso al viaggio del sapere che si avviti lungo un’andata e un ritorno fra
        docente e discente e che risenta della spiritualità e dell’intelligenza dell’uno
        e dell’altro nel processo formativo e culturale.
                 Le presentiamo, signora Ministro, un lavoro instancabile, fatto di
        sacrifici e di conquiste, un lavoro che ha raggiunto ottimi risultati e presti-
        giosi riconoscimenti nella ricerca scientifica.
                 Nel complesso l’Università di Foggia è risultata 12ª in Italia nella
        valutazione della qualità della ricerca, curata dalla ANVUR (Agenzia Nazio-
        nale per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca). A livello
        nazionale, la VQR 2004-2010 ha certificato i notevoli risultati dei gruppi
        di ricerca nell’area biologica (6° posto su 58), giuridica (8° posto su 71)
        e delle scienze agrarie (11° posto su 34), ma anche la bontà della nostra
        ricerca in ambito medico (18° posto su 49) e umanistico (nell’area 10, 29°
        posto su 64; nell’area 11, 21° posto su 65)2.
                 È un risultato particolarmente lusinghiero, frutto del talento, del-
        la ricerca, della qualità delle sperimentazioni, dell’intuito al servizio della
        scienza, che acquista un valore ancor più importante se raffrontato alla no-
        stra relativamente recente nascita: un risultato che desideriamo migliorare;
        un risultato che - credo - debba far riflettere studenti e famiglie sulla qualità
        della nostra Università e che ha fortemente contribuito alla rideterminazio-
        ne del FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario) da parte del MIUR attra-
        verso l’attribuzione delle quote premiali che hanno collocato l’Università di
        Foggia in posizione di assoluta preminenza tra gli atenei italiani, anche se,
        paradossalmente, le citate quote premiali non si sono tradotte in una mag-
        giore attribuzione di finanziamenti ma solo in una decurtazione di minore
        entità a causa delle “contingenze” finanziarie in cui versa il nostro paese
        (infra).
                   Scongiurato il taglio di oltre 2 milioni di euro rispetto al 20123,
        al nostro ateneo è stata applicata, prima, una riduzione dello 0,32% e, poi,
        una riduzione definitiva dell’1,44%, (per effetto della cd. clausola di salva-
        guardia, al fine di evitare alle università di perdere una percentuale superio-
        re al 5% del FFO)4.
                 Abbiamo la fortuna e l’orgoglio di essere partner di molti progetti
        scientifici che fanno capo a prestigiose Università straniere, in particolare
        in ambito agroalimentare, medico e umanistico: tutti progetti che restitu-
        iscono l’elevato standard della nostra ricerca, l’eccellente patrimonio di
        competenze scientifiche e il prestigio del nostro ateneo. Riscontri positivi
        si sono peraltro avuti sui PRIN (Progetti di Rilevante Interesse Nazionale)
                2 Cfr. slides.
                3 In base alla prima ripartizione, all’Università di Foggia erano stati assegnati 28.456.978
                euro.
                4 Con una perdita complessiva di 504.173 euro e un FFO definitivo di 34.427.050
                euro.

8   Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
e FIRB (Fondo per gli Investimenti della Ricerca di Base), pur in un pano-
rama di profondo disagio ‘critico’ per l’intero Paese a livello economico5.
          E questo nonostante le incertezze derivanti da una campagna di
delegittimazione dell’Università statale e da una linea di tendenza in dire-
zione di una paventata riduzione numerica degli atenei6, e nonostante le
politiche di tagli alla ricerca. La spesa italiana in ricerca e sviluppo è tra le
più basse: le risorse pubbliche investite in ricerca sono circa lo 0,52% del
PIL, lo 0,18% in meno rispetto alla media OCSE, ovvero circa 3 miliardi di
euro7. Prendendo come riferimento il 2008, la riduzione dei finanziamenti
è stata del 18,7% per i fondi destinati al finanziamento del sistema e del
15,8% per i fondi a sostegno di studenti e diritto allo studio8; il calo è stato
determinato principalmente da quello del FFO (-18% in termini reali) che
rappresenta oltre il 90% delle risorse complessive9.
          Secondo il rapporto dell’OCSE (Education at a Glance 2013), nel
2010, la spesa per studente in Italia è stata di 9.579,76 dollari in termini
di qualità di potere d’acquisto (PPA), il 30% in meno rispetto alla media dei
paesi OCSE, circa il 40% in meno di paesi come Francia, Belgio e Regno
Unito e il 50% in meno dei paesi del Nord Europa e degli Stati Uniti10.
          Pesano, ancora, il sostanziale blocco del turn over (con la conse-
guente, sensibile riduzione numerica del 15% di professori e ricercato-
ri fra il 2008 e il 2013)11 e i forti condizionamenti al reclutamento e alle
progressioni di carriera. Il riferimento è alle prospettive connesse agli esiti
dell’ASN (Abilitazione Scientifica Nazionale) e alle concrete opportunità di
risposta alla giusta e condivisibile richiesta del riconoscimento del lavoro
svolto a favore di chi ha acquisito di recente l’abilitazione scientifica di 1ª
e 2ª fascia.
          Di qui le proposte CRUI del 20 marzo 2014, finalizzate a rendere
plausibile un percorso di riequilibrio del sistema nei prossimi anni.
          Sentita è, inoltre, l’esigenza di una riflessione seria e propositiva
sulle modalità di valutazione e sul ruolo discutibile dell’ANVUR (fermo re-
stando che la valutazione è un processo che permette salti di qualità).

        5 Tra il 2010 e il 2012, i fondi PRIN sono passati da 100 a 39 milioni di euro; nel 2012, il FIRB
        ammontava a circa 30 milioni di euro, un terzo dei fondi erogati nel biennio 2009-2010.
        6 Cfr. slides.
        7 In rapporto al PIL, la spesa in istruzione terziaria è in Italia pari a circa l’1%, 0,65 punti
        percentuali al di sotto della media dei paesi OCSE e inferiore a quella di tutti i principali paesi.
        Lo scarto in termini percentuali è del 37% (cfr. slides).
        8 Nel 2013, le somme stanziate dal MIUR per il finanziamento del sistema universitario e per il
        sostegno agli studenti e al diritto allo studio ammontano a 7,3 miliardi di euro (valore minimo nel
        periodo 2008-2013), di cui 6,9 destinati al finanziamento del sistema (6,7 costituiti dal FFO) e
        400 milioni in favore degli studenti e del diritto allo studio (slides).
        9 Cfr. slides.
        10 Cfr. slides.
        11 Cfr. slides.

                                                                         Università degli Studi di Foggia      9
L’attuale meccanismo di distribuzione delle risorse non tiene pera
         tro in alcun conto il differenziato contesto socio-economico dei singoli
         atene12, sedi virtuose ma punite perché ubicate in aree socio-economiche
         deboli, a prescindere dal merito scientifico, il che lede gravemente l’effet-
         tività dei principi costituzionali di eguaglianza, autonomia universitaria,
         sussidiarietà, diritto allo studio e diritto alla salute (in quest’ultimo caso il
         riferimento è alle Facoltà di Medicina, là dove sono state istituite).
                  Gli indicatori utilizzati per il computo dei punti organico, basati
         sul rapporto tra le entrate complessive delle Università (tra cui, la contribu-
         zione studentesca) e i costi fissi, sono essenzialmente condizionati dal con-
         testo socio-economico e dall’elevato numero di studenti che, in condizioni
         di disagio, fruiscono di esenzioni o riduzioni della tassazione13.
                  Non per questo deve diminuire la nostra tensione verso il meglio,
         perché chi aspira all’eccellenza arriva più in alto di quanti perdono la spe-
         ranza. La via della formazione può resistere ai “terremoti” che la minac-
         ciano dall’esterno: le criticità si fanno stimolo in una operazione di nobile
         fermento e di servizio alla società, nella sua pluralità e ricchezza.
                  Penso e guardo con uno sguardo carico di futuro alla nostra Univer-
         sità come casa comune: mi piace pensare al nostro Ministro ospite di questa
         nostra casa, che costruisce il suo e il nostro futuro con un lavoro quotidiano,
         faticoso, serio, responsabile, al grosso impegno richiesto dal sistema AVA
         (Autovalutazione, Valutazione periodica e Accreditamento)14, un lavoro sa-
         piente e costante, un lavoro consapevole della contemporaneità e attento
         alla tradizione (che significa identità culturale, memoria, radici), un lavoro
         che ha avuto e ha come obiettivo lo sviluppo della ricerca scientifica (e delle
         strutture al suo servizio: dipartimenti, laboratori, sistema bibliotecario) e la
         formazione di alte professionalità, al fine di concorrere allo sviluppo scien-
         tifico, sociale ed economico del paese.
                  Per questo lavoro comune, il mio grazie va alla componente ammi-
         nistrativa, che ha in prima persona ‘subito’ i processi di ridefinizione delle
         competenze dopo l’entrata in vigore della L. 240/2010, oltre al perdu-
         rante blocco della contrattazione collettiva e delle retribuzioni, introdotto
         ormai da fin troppi anni nelle pubbliche amministrazioni. Il mio grazie va
         al suo lavoro responsabile, indispensabile al funzionamento e al successo

                 12 Il D.M. 9.8.2013, n. 713, ha determinato una grave disparità di trattamento tra atenei e ha
                 ingiustificatamente penalizzato sedi in una situazione di costo del personale e indebitamento
                 ritenuta, peraltro, positiva dallo stesso D. Lgs. 49/2012.
                 13 Da questo punto di vista, nel nostro ateneo gli studenti ‘esentasse’ costituiscono circa il 18%
                 degli iscritti, con una contribuzione media annua pro-capite di 594 euro, secondo gli ultimi dati
                 relativi al 2012, contro i 1.700 del Politecnico di Milano, laddove il reddito regionale pro-capite
                 è di 37.500 euro vs quello di Foggia pari a 13.850 (Il Sole24 Ore del 4.11.2013).
                 14 Nello specifico il riferimento è all’accreditamento dei corsi di dottorato o alla compilazione
                 della Scheda SUA-CdS (Scheda Unica Annuale dei Corsi di Studio) 2014-2015 - Sezione
                 Qualità, per la definizione di obiettivi e risultati della formazione, esperienza dello studente,
                 organizzazione e gestione della qualità.

10   Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
dell’intero ateneo15; la mia attenzione va alla valorizzazione del merito e
delle competenze attraverso formazione, valutazione e politiche di incenti-
vazione, istituzione dell’anagrafe delle competenze, informazione, condivi-
sione e corresponsabilità, sempre nel rispetto della dignità personale.
         Tra le righe del mio discorso, si raccontano e parlano storie di per-
sone, discorsi quotidiani, conversazioni defatiganti, incertezze, letture,
scritture, desideri e timori di chi condivide l’esperienza di un viaggio (ver-
so la conoscenza), che sarebbe insensato compiere da soli: “Non potrebbe
recarmi diletto alcuna cosa, per quanto eccellente e utile, se dovessi saperla
per me solo. [...] Nessun bene ci dà gioia, senza un compagno” (così Sene-
ca, epist. 1,6,4).
         È un viaggio che va vissuto avendo accanto i nostri studenti, l’auten-
tica bussola che ci garantisce la giusta direzione: un viaggio che è opportu-
nità di un cammino in cui tutti siamo corresponsabili di un identico profilo
della conoscenza, che si porti dietro modernità e spendibilità, qualità e fun-
zionalità, un corredo culturale che si fa reciproca tolleranza e pacifica con-
vivenza; un viaggio che presuppone l’individuazione della meta e la capacità
di trovare le modalità per raggiungerla.
         È in questa prospettiva di dialogo che ho scelto di delegare 20
colleghi allo sviluppo delle aree strategiche dell’ateneo: colleghi compe-
tenti ed esperti che hanno assunto un impegno confacente alle loro carat-
teristiche umane e scientifiche, in un’Università in crescita e che intende
assicurare che questo suo sviluppo vada di pari passo con la qualità della
didattica e della ricerca. Un gruppo di delegati, costituito da 11 donne: un
orientamento che segue la nomina del Prorettore dell’Università, la prof.
ssa Milena Sinigaglia, la prima donna del nostro ateneo a ricoprire tale ruo-
lo; un orientamento che riconosce ed esalta l’ingenium e la virtus multiplex
della donna16; un orientamento che riconosce e promuove la presenza e la
leadership della donna nelle carriere accademiche e nella ricerca17 .
         La speranza è che il nostro Ateneo possa consolidarsi in uno spazio
in cui cultura e stile di vita coincidano, i pensieri si sedimentino e maturino,
l’interesse verso la nostra enciclopedia culturale si rinnovi.
         L’idea è quella di una Universitas magistrorum et scholarium, un’U-
niversità caratterizzata da autonomia e ‘universalità’, dedita alla coltiva-
zione e trasmissione dei saperi, determinanti per lo sviluppo della civiltà.
         Allora, nella società medievale, tutto, nell’ordinamento e nei rap-
porti con le altre componenti sociali, pareva orientato a favorire la prote-
zione dell’Università, in virtù del suo compito culturale e sociale, merite-

        15 Penso allo sforzo professionale richiesto dalla VQR o dall’introduzione del sistema di
        contabilità economica patrimoniale uniforme degli atenei (D. Lgs. 27.1.2012, n. 18).
        16 Per usare le parole del Petrarca, Familiarum rerum libri 21,8,4, lettera con cui il 23 maggio
        del 1358 si congratulava con l’imperatrice Anna, moglie di Carlo IV di Boemia, per la nascita
        della loro primogenita
           ���������Women, research and universities: excellence without gender bias, presentato da
        17 Rapporto
        LERU - League of European Research Universities - luglio 2012.

                                                                      Università degli Studi di Foggia     11
vole di essere sostenuto. Oggi, l’Università sembra ‘soffrire’, così com’è
         fortemente condizionata nel suo potere di autodeterminarsi e di svolgere
         liberamente le funzioni attribuite per il perseguimento dell’interesse pub-
         blico nella ricerca scientifica e nell’insegnamento. Oggi, la linea direttiva
         si è essenzialmente basata sull’adozione di misure di rigore finanziario e di
         tagli, spesso indiscriminati, nei trasferimenti statali a titolo di FFO.
                   Gli interventi legislativi sulle politiche di reclutamento sono
         stati particolarmente invasivi nei confronti del principio costituzionale di
         autonomia universitaria (art. 33, co. 6, Cost.), un’autonomia che, invece, va
         declinata nella dimensione sia contabile, finanziaria e normativa degli atenei
         (L. 168/1989), sia didattica (L. 168/1989, nonché D.M. 509/1999 e
         successive modificazioni e integrazioni), sia scientifica dei docenti18.
                   In generale, nella L. 240/2010, l’ennesima riforma “a costo zero”,
         non si è tenuto in alcun modo conto del principio costituzionale di autono-
         mia universitaria, in quanto vi sono molteplici disposizioni che confliggo-
         no con esso. Il sistema universitario è considerato solo come costo su cui
         incidere, riducendo drasticamente i trasferimenti dello Stato attraverso la
         decurtazione del FFO.
                   Soprattutto negli ultimi anni, si sono registrate importanti e discuti-
         bili novità normative nella disciplina delle assunzioni del personale docente
         e tecnico-amministrativo e nella riregolamentazione dei vincoli finanziari
         connessi alle prese di servizio19.
                   Si è dettata un’organica disciplina talmente analitica da ridurre qua-
         si per intero i margini di autonomia degli atenei: si è prevista l’adozione
         del piano economico-finanziario triennale20, della programmazione trien-
         nale del personale21 e di specifici strumenti di verifica22; il ruolo di control-
         lore del ministero diventa così pervasivo che le università sono ‘ingessate’
         nell’assumere scelte decisionali, a tal punto da dover attendere i dati ufficia-
         li ‘certificati’ dallo stesso ministero23, spesso alla fine dell’anno accademico,
         così come per l’attribuzione definitiva del FFO, prima di poter deliberare,
         attraverso gli organi collegiali, sulle politiche di reclutamento e sulle scelte
         attinenti alle spese di investimento.
                    Si è aggiunto peraltro un apparato sanzionatorio avverso violazioni
         poste in essere dagli atenei (attinenti alle procedure e alle assunzioni, non-
         ché alle spese per indebitamento), prevedendo una penalizzazione nelle as-
         segnazioni del FFO. Peraltro, con alcune disposizioni del D.L. 95/2012,
         convertito con modificazioni dalla L. 135/2012, si è sancito il definitivo

                 18 Il quadro costituzionale delinea un’ampia libertà nello svolgimento della didattica e della
                 ricerca: art. 33, co. 1, Cost.
                 19 D. L. 49/2012; D. L. 95/2012, convertito con modificazioni dalla L. 135/2012.
                 20 Art.
                    �������������������������
                         3, D. Lgs. 49/2012.
                 21 Art. 4, D. Lgs. 49/2012.
                 22 Art. 2, co. 1, D. Lgs. 49/2012.
                 23 D. M. 22 ottobre 2012, n. 297.

12   Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
ridimensionamento della dotazione organica degli atenei con una perdita
irreversibile di capitale umano.
         Gli ultimi decreti ministeriali lasciano emergere un quadro relativo
alle assunzioni particolarmente complesso per la limitatezza delle risorse a
disposizione e per il loro attento “dosaggio” nelle percentuali per le assun-
zioni: senza entrare nel merito della violazione del principio costituzionale
di autonomia universitaria, leso evidentemente da un’articolazione detta-
gliata e talvolta cervellotica circa la strutturazione dell’organico docente, si
sottolinea l’oggettiva difficoltà di muoversi entro paletti così rigidamente
predeterminati.
         Nel complesso si avverte una sensazione di eccesso di burocratiz-
zazione, che sta ormai progressivamente permeando i profili essenziali
della vita del sistema universitario: dalla pluralità di vincoli di difficilissima
conciliabilità tra loro (vincoli previsti dalla normativa sul reclutamento di
professori e ricercatori universitari) alla farraginosità del processo sulla va-
lutazione della ricerca. Emerge un’impostazione finalizzata a considerare
le spese del sistema universitario solo ed esclusivamente quale costo e non
quale opportunità: il rischio è che si obliterino o ridimensionino le funzioni
primarie del sistema universitario (ricerca, didattica e assistenza sanitaria),
nonché quelle di volano per la crescita culturale-scientifica e lo sviluppo
socio-economico del paese.
         La nostra ambizione è un’Università come culla di progresso:
progresso che sia gestione responsabile, autonoma, corretta, trasparente,
collaborazione strategica con gli altri Rettori, qualità ed efficienza ammini-
strativa, trasferimento tecnologico e innovazione, azioni di sostegno e po-
tenziamento della ricerca e della sua internazionalizzazione24 (il riferimento
è in quest’ultimo caso al nuovo programma Erasmus Plus 2014-2020; per
incidens, ‘in entrata’ il nostro ateneo registra l’iscrizione di studenti prove-
nienti da 17 regioni italiane, una massiccia presenza25), qualità della didat-
tica26, corretta applicazione delle norme che tutelano il diritto allo studio
(un dovere morale, questo, prima ancora che amministrativo, salvaguardato
oggi dalla convenzione tra l’Università di Foggia e il Comando Provinciale
della Guardia di Finanza, per consentire a chi ne abbia veramente diritto
l’accesso ai programmi di sostegno in ossequio al principio di legalità), va-

        24 Grazie anche alle opportunità offerte dal programma UE Horizon 2020 per la ricerca
        e l’innovazione. Vorrei altresì ricordare, tra i più recenti successi, il progetto editoriale
        dell’Università di Foggia ESP Across Cultures, rivista che ha recentemente ottenuto dall’ANVUR
        il ranking di classe A nel settore L1 - Lingue, letterature e culture inglese e anglo-americana.
        25 Secondo il report 2012-2013 relativo all’Erasmus di studenti spagnoli e all’exploit di studenti
        turchi.
        26 In tale ottica si colloca l’impegnativa istituzione, in collaborazione con il Politecnico di Bari
        e il contributo finanziario della Regione Puglia, del corso di laurea interateneo in “Ingegneria
        dei sistemi logistici per l’agroalimentare” (inserito nell’offerta formativa 2014-2015),
        afferente al Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente. Sempre di questo
        Dipartimento è la proposta del nuovo corso di laurea triennale in “Scienze gastronomiche”.

                                                                         Università degli Studi di Foggia      13
lorizzazione del merito, potenziamento dei servizi a favore degli studenti27,
         tirocini formativi o curriculari, sostegno agli studenti diversamente abili,
         attività di orientamento in entrata, in itinere e in uscita anche perché, come
         sistema universitario, registriamo ancora sensibili ritardi nel numero di lau-
         reati28, promozione dell’alta formazione29, pianificazione degli interventi
         edilizi e consolidamento dei nostri poli universitari, sviluppo di uno stabile
         sistema di relazioni sindacali. La nostra ambizione è un'Università come
         culla di cultura: cultura che sia confronto sereno e costruttivo tra comuni-
         tà scientifica e istituzioni, enti locali e imprese, dialogo interdisciplinare,
         promozione culturale30, condivisione e abnegazione, curiosità e coraggio,
         cultura dell’ospitalità e della comprensione, competitività, interazioni vir-
         tuose che rendano l’Università fulcro e volano del territorio, strumento di
         sviluppo e promozione umana.
                  La nostra sfida è un Ateneo protagonista in sede regionale, na-
         zionale e internazionale: protagonista di un rilancio che si misura in azioni
         concrete, lungo vie antiche e nuove, che mirino alla paziente costruzione
         di un ‘futuro dal cuore antico’ (per citare il titolo della nota opera di Carlo
         Levi).
                  Da parte mia, convinto della necessità di “coltivare il nostro
         giardino”31, perché è il lavoro a rendere il nostro il “migliore de’ mondi
         possibili” (ibidem), perché “la storia non passa la mano” e “la storia siamo
         noi, siamo noi questo piatto di grano”32, sento tutta la responsabilità della
         ‘bellezza’ dell’Università.
                  Da parte mia, metterò in questo progetto tutto l’affetto che nutro
         per questa realtà e che non è mai venuto meno nel tempo; metterò in questa
         sfida tutto quell’“entusiasmo ragionevole” di cui parlava Voltaire nel suo
         Dizionario filosofico (s. v. Entusiasmo), convinto che la ragione corra lungo
         la strada regolarmente tracciata, ma che alla ragione subentri la forza delle
         passioni e dei sogni, quei sogni che danno forma al mondo33.

                 27 Ci si intende riferire a un Centro Servizi Informatici, al CLA (Centro Linguistico di Ateneo),
                 al CUS (Centro Universitario Sportivo), al CUT (Centro Universitario Teatrale), allo sviluppo
                 dell’e-learning e alle summer e winter school.
                 28 Nel 2012, secondo il rapporto Anvur del 2013 (slides), nel tasso di laurea, il nostro paese
                 è al terzultimo posto, con il 13,8% di laureati tra i 15 e i 64 anni (a fronte di una media UE del
                 25%), e al penultimo posto, con il 22,3% di laureati tra i 25 e i 34 anni (a fronte di una media
                 europea che supera il 35%).
                 29 Dottorati di ricerca e scuole mediche di specializzazione, master, corsi di perfezionamento,
                 tirocini formativi e di orientamento al lavoro, tirocini per l’abilitazione all’insegnamento nella
                 scuola media inferiore e superiore, spin-off, stage, servizio per job placement…
                 30 Il riferimento è alla collaborazione con il neo Cineporto dell’Apulia Film Commission di
                 Foggia tramite il progetto Comtainer.
                 31 Voltaire, Candido, o l’ottimismo, cap. 30.
                 32 F. De Gregori, La storia siamo noi, in Scacchi e tarocchi – 1985.
                 33 L. Ligabue, Sono sempre i sogni a dare forma al mondo, in Mondovisione – 2013.

14   Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
Ringraziando chi in questo tempo mi ha sostenuto, chi ha partecipa-
to e partecipa a lavori mai facili, chi non mi lascia passare la ‘frase’ inesatta
o ‘rilegge’ con me la ‘pagina’ incerta, e augurando buon lavoro a tutti noi,

                             dichiaro aperto
                        il 15°anno accademico
                       dell’Università di Foggia

                                                        *prof. Maurizio Ricci
                                 Rettore dell’Università degli Studi di Foggia

                                                       Università degli Studi di Foggia   15
16   Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
Il senso delle inaugurazioni
Le cerimonie ai tempi di Livio
Una inaugurazione a volo d’uccello *

         “C’erano [una volta, ndr] tre fratelli che lavoravano alla costruzione
di una torre di vedetta contro i predoni turchi….”: con questa movenza ti-
pica dei racconti di fiaba, Marguerite Yourcenar dimostrava concretamente
- in una delle sue Novelle orientali dal titolo Il latte della morte - come il
mito possa davvero abbandonare le pagine di un libro e cessare, d’emblée,
di essere il sublime contenuto del canto di un aedo per diventare parte in-
tegrante della vita di un qualsiasi individuo reale, fino al punto da costituire
addirittura, insieme al vissuto di ogni singolo uomo, un intimo e inestri-
cabile groviglio. In questo processo di reificazione non per questo il mito
avrebbe perso la sua cifra aulica; tutt’altro: esso infatti finisce per acquistare
ancor più credibilità e si concede la libertà di migrare in terre lontane rispet-
to alla Grecia, terra mitopoietica per vocazione, terra genitrice e culla insie-
me di civiltà e di cultura. “Quando vedo una biblioteca, una scuola,” - ebbe
a scrivere la Yourcenar in una delle sue Lettere ai contemporanei - “non
posso che pensare che questo è il vero retaggio della Grecia”. Ed è proprio
sulla ‘scia’ di una crociera che la porta, in compagnia di Andreas Embirikos
(poeta surrealista e psicoanalista greco), nella sua diletta Grecia, attraverso
i Balcani, che la Yourcenar progetta di confondersi fra i passeggeri a bordo
della nave e si mette metaforicamente ad ‘origliare’ il racconto di una bal-
lata balcanica imbevuta di mistero, quello stesso mistero che, a suo parere,
avvolge il Medioevo; quella ballata, però, per quanto dislocata in un’epoca
più vicina a quella contemporanea, non riesce a non tradire le ‘classiche’
matrici arcaiche, né riesce a celare - più di tanto - la suggestiva ipoteca tipica
dei miti greci e, sia pure per graziosa concessione, di qualche raro ‘mito’ ro-
mano. Il racconto de Il latte della morte è ambientato in Albania, a Ragusa:
in una sosta a terra, davanti a uno spicchio di mare Adriatico e al frastuono
provocato dai gabbiani all’attacco di resti di pesce in via di putrefazione,
Philip Mild chiede al suo compagno di cabina di raccontargli “la storia più
bella e meno vera che sia possibile”, non senza prima averlo interrogato su
cosa avesse fatto il giorno precedente in giro per Scutari. “Niente”: disse
l’ingegnere. “A parte un’occhiata a certi vaghi lavori di una diga, ho dedi-
cato il meglio del mio tempo a cercare una torre. Ho sentito tante vecchie
serve raccontare la storia della Torre di Scutari che avevo proprio bisogno
di ritrovarne i mattoni sbrecciati e di esaminare se per caso non conservino,
come si dice, una striscia bianca... ma il tempo, le guerre e i contadini dei
dintorni preoccupati di consolidare i muri delle loro fattorie l’hanno demo-
lita pietra dopo pietra, e soltanto nei racconti il suo ricordo resiste...”.
         Di lì a poco la Yourcenar fa diventare il suo personaggio, professio-

                                                        Università degli Studi di Foggia   17
nalmente esperto di costruzioni, il reale depositario di una vicenda esem-
         plare di rito di fondazione; la differenza è che qui il rito di fondazione non è
         più quello archiviato in qualche celeberrimo mito, quale quello che affidava
         alla memoria collettiva la avventurosa fondazione di Troia o quella di Tebe,
         entrambe siglate da sacrifici umani; qui, al contrario, il rito è ambientato nel-
         la memoria della gente comune, capace di agglutinare - avvolgendole della
         stessa patina di meraviglioso stupore e di stupita meraviglia che accompa-
         gna la redazione di imprese di eroi e di semidei - rocambolesche vicende di
         individui normali alle prese con gesti e con eventi che ricalcano quelli dei
         personaggi archetipici, che affollano ad esempio la intricata raccolta curata
         da un ‘mitomane’ come lo pseudo-Apollodoro, raccolta giudicata dagli An-
         tichi come un ‘libriccino’ e meglio nota a noi invece come Biblioteca. Nel
         caso da cui qui si prendono le mosse, l’erudizione degli antichi mitografi si
         è trasformata in tradizione popolare, si è spostata dalla Grecia arcaica per
         andarsi ad insediare in un contesto ambientale ravvivato da turisti a caccia di
         souvenirs e morbosamente assetati di storie ‘locali’ (che poi - come si diceva
         - ‘locali’ non sono affatto).
                   “C’erano” - dunque - “tre fratelli che lavoravano alla costruzione di
         una torre di vedetta contro i predoni turchi. Si erano messi loro stessi all’o-
         pera, sia che la mano d’opera fosse rara, e cara, sia che da bravi contadini
         non si fidassero che delle loro stesse braccia, e le loro mogli venivano a tur-
         no a portare da mangiare. Ma ogni volta che riuscivano a concludere tanto
         bene il loro lavoro da issare un ciuffo d’erba sul tetto, il vento della notte e
         le streghe della montagna rovesciavano la loro torre proprio come Dio fece
         crollare Babele. Ci sono buone ragioni sì perché una torre non si regga in
         piedi, e si può incolpare l’inettitudine degli operai, la cattiva volontà del ter-
         reno e l’insufficienza del cemento che tiene insieme le pietre. Ma i contadini
         serbi, albanesi o bulgari non attribuiscono a questo disastro che un’unica
         causa: sanno che un edificio crolla se non si è preso cura di chiudere nelle
         fondamenta un uomo o una donna il cui scheletro sostenga fino al giorno
         del Giudizio Universale quella pesante carne di pietre. Ad Arta, in Grecia,
         si mostra un ponte in cui fu murata una ragazza: qualche filamento dei suoi
         capelli esce da una fessura e pende sull’acqua come una pianta bionda. I tre
         fratelli cominciarono a guardarsi con diffidenza e facevano attenzione a non
         proiettare la loro ombra sul muro incompiuto perché è possibile, in man-
         canza di meglio, chiudere in un edificio in costruzione quel nero prolun-
         gamento dell’uomo che potrebbe corrispondere alla sua anima. E l’uomo
         la cui ombra viene imprigionata così, muore come un disgraziato colpito
         da una pena d’amore. La sera ognuno dei tre fratelli si sedeva dunque il più
         lontano possibile dal fuoco, per timore che qualcuno gli s’avvicinasse silen-
         ziosamente alle spalle, gettasse un sacco di tela sulla sua ombra e se la por-
         tasse via semistrozzata, come un piccione nero. Il loro ardore per il lavoro
         languiva, e a bagnare di sudore la loro fronte bruna non era più la stanchezza
         ma l’angoscia. Finalmente, un giorno, il primogenito riunì intorno a sé i
         fratelli più giovani e disse: «Fratelli miei di sangue, di latte e di battesimo,

18   Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
fratellini miei, se la nostra torre resta incompiuta i Turchi si insinueranno di
nuovo sulle rive di questo lago, dissimulati dietro le canne. Violenteranno le
ragazze della nostra fattoria; ci bruceranno nei campi la promessa del pane
futuro; crocifiggeranno i nostri contadini agli spauracchi dei frutteti, che
così saranno ghiotta preda dei porci. Fratellini miei, noi abbiamo bisogno
gli uni degli altri. Non si può chiedere al trifoglio di sacrificare una delle sue
tre foglie, ma ognuno di noi ha una moglie giovane e forte, con le spalle e
una bella nuca abituate a portare fardelli. Non prendiamo decisioni, fratelli:
lasciamo scegliere al Caso, questo simulacro di Dio. Domani, all’alba, noi
prenderemo per murarla viva nelle fondamenta della torre quella delle no-
stre donne che verrà a portarci da mangiare. Vi chiedo soltanto il silenzio
di una notte, o miei fratelli più giovani, e guardiamoci dall’abbracciare con
troppe lacrime e sospiri quella che, dopo tutto, ha due possibilità su tre di
respirare ancora al tramonto».
         Il resto della storia è struggente, e non solo perché conduce al sacri-
ficio di una donna, che aveva diritto a vivere e a godere ancora a lungo del-
la vista del suo bimbo ancora bisognoso di essere allattato; quel che rende
ancor più patetico il suo destino è la perfidia umana, attiva in uomini senza
scrupoli, che, pur sotto la giustificata urgenza di raggiungere un fine supe-
riore, subdolamente ‘addomesticano’ il caso (quel caso che pure dovrebbe
essere cieco e imperscrutabile) e danno stabilità alla torre conferendo, an-
tifrasticamente, una spietata precarietà alla vita di una giovane donna, resa
ancor più indifesa dal preventivo assassinio perpetrato, a danno di suo mari-
to, dai fratelli di quest’ultimo. Il mito, quello classico, insegna che tra fratelli
(si pensi ad Atreo e a Tieste), entrambi aspiranti al potere (o al trono), a
nulla servono i vincoli di sangue: sulla legge di natura in questo mito dei Pe-
lopidi ha la meglio il desiderio di comando, così come accade nella vicenda
mitica di Romolo e Remo, la cui gemellarità faceva ancor più da elemento
detonatore nel far scoppiare la rivalità e, di conseguenza, il bisogno dell’e-
liminazione di colui che era troppo ‘uguale’ all’altro per poter continuare a
contendergli il primato. Qui, come nella novella appena in parte ricordata,
si ripete lo stesso ineludibile e tragico schema che subordina alla pratica
di un sacrificio umano (anche qui della cerchia famigliare) la saldezza e la
resistenza di una fondazione. Il modo stesso con cui Livio racconta il rito
che porta alla fondazione di Roma non lascia dubbi sulla copresenza, in un
atroce fatto di sangue, di un doppia ‘fondamentale’ istituzione, quella della
nascita di una città e quella della conquista del potere.
         “Affidato così a Numitore lo Stato albano, Romolo e Remo” - annota
Tito Livio - “furono presi dal desiderio di fondare una città in quei luoghi
in cui erano stati esposti ed allevati. Sovrabbondava infatti la popolazione
degli Albani e dei Latini, e ad essi per di più si erano aggiunti i pastori, sì
che tutti senz’altro speravano che sarebbe stata piccola Alba, piccola Lavi-
nio, in confronto con la città che si voleva fondare. S’insinuò poi tra queste
considerazioni quel male ereditario che è la cupidigia di regnare, e in con-
seguenza di ciò nacque l’indegna contesa originata da motivi futili. Poiché

                                                         Università degli Studi di Foggia   19
erano gemelli, e non valeva dunque come criterio risolutivo il rispetto dovu-
         to all’età, affinché gli dèi sotto la cui protezione erano quei luoghi indicas-
         sero con segni augurali (auguriis) chi doveva dare il nome alla nuova città,
         chi dopo averla fondata doveva regnarvi, Romolo, per prendere gli auspici
         (ad inaugurandum), occupò come luogo d’osservazione il Palatino, Remo
         l’Aventino. Si dice che a Remo apparvero come segno augurale (augurium)
         sei avvoltoi; e poiché, quando ormai l’augurio era stato annunziato (nun-
         tiato augurio), se n’erano offerti alla vista di Romolo il doppio, le rispettive
         schiere li avevano acclamati re entrambi: gli uni pretendevano d’aver diritto
         al regno per la priorità nel tempo, gli altri per il numero degli uccelli. Ve-
         nuti quindi a parole, dalla foga della discussione furono spinti alla strage; fu
         allora che Remo cadde colpito nella mischia. E’ più diffusa tradizione che
         Remo, in atto di scherno verso il fratello, abbia varcato con un salto le nuo-
         ve mura; che per questo egli sia stato ucciso da Romolo infuriato, il quale,
         inveendo anche con le parole, avrebbe aggiunto: «Così d’ora in poi peri-
         sca chiunque altro varcherà le mie mura!». Pertanto Romolo ebbe da solo
         il potere; fondata la città, essa ebbe nome dal suo fondatore. Innanzitutto
         fortificò il Palatino, dov’egli era stato allevato, poi offrì sacrifici: agli altri dei
         sacrificò seguendo il rito albano; ad Ercole sacrificò secondo il rito greco,
         seguendo quanto era stato istituito da Evandro”.
                  Il racconto fatto da Livio, al di là di qualche - solo apparente - inge-
         nuità e oggettività, si rivela una formidabile e istruttiva lezione di storia del
         costume, del pensiero e della religione nel mondo romano, una lezione che
         ha i suoi punti fermi e duraturi nella lessicografia e nella annessa mentalità,
         quella mentalità che fa da solido ancoraggio a vocaboli, che, pur così simili
         ai nostri attuali dal punto di vista morfologico, se ne distanziano poi così
         tanto dal punto di vista semantico.
                   Il fatto che la contesa sia avvenuta fra due gemelli è giustamente
         ‘il debito’ che si doveva pagare in nome della nascita di una società gerar-
         chizzata, dove due individui biologicamente e sociologicamente simili non
         potevano di certo coesistere. In piena coerenza con una concezione antica,
         che vedeva nella nascita gemellare un evento come minimo stupefacente, se
         non addiriturra inquietante, la sopravvivenza di entrambi finiva per costitu-
         ire insomma una inaccetabile contraddizione con la previsione della nasci-
         ta di una società, dove di rigore doveva necessariamente configurarsi una
         netta differenziazione fra il detentore del potere politico e gli altri membri
         della comunità. Il gesto stesso di Remo è una palese minaccia nei confronti
         dell’atto e del senso della fondazione della città voluta da Romolo: attraver-
         sando il muro di cinta, Remo simula o, se si vuole, anticipa fin troppo quel-
         lo che potrebbe (e non deve) avvenire, ossia che una popolazione nemica
         abbatta quella città o ne annulli l’esistenza: di qui la necessità di ‘trovare’
         una vittima sacrificale all’atto della fondazione, una vittima che funga come
         una sorta di memento o di exemplum idoneo a distogliere chiunque abbia in
         futuro quella maledetta intenzione.
                  Rispetto alla ‘ingenua’ versione che deresponsabilizza Romolo dal

20   Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
reato di fratricidio e che attribuisce alla confusione di una strage e ad una
mano anonima (a meno che non si creda che sia quella del centurione Ce-
lere) l’assassinio di Remo, lo scontro fra i due fratelli, qual è veicolato dalla
tradizione preferita da Livio, permette di creare il ponte fra la necessaria
violenza legata alla fondazione e la conseguente istituzione di una sacralità
che incanala l’assassinio in un evento rituale e fa dell’assassino un eroe; è
successo insomma che il sacrificio, in quanto capace di arginare ed orien-
tare la violenza istintiva e selvaggia, si configura come il primo atto di una
civiltà con delle regole, dei riti e delle istituzioni, insomma con una sua cul-
tura. Non è un caso che il primo atto compiuto da Romolo sia quello di ripe-
tere o, più semplicemente, di fare sacrifici agli dèi, attivando un processo di
sostituzione anch’esso fondamentale, quello che vedeva offrire alle divinità
un sacrificio comprendente vittime animali, anziché vittime umane. La stes-
sa cerimonia che racconta le fasi della fondazione vera e propria di Roma,
così come è raccontata da Ovidio, introduce in un contesto in cui la vicenda
di Remo, per quanto purgata dal suo atto di derisione e di contestazione
dell’operato del fratello, appare ormai inserita nella nascente vita di una cit-
tà, che istituzionalmente pone le basi per il rispetto delle leggi e per l’osser-
vanza delle pratiche cultuali: “Si scava un fossato sino a trovare la pietra”,
- questo il racconto di Ovidio - “si gettano biade nel fondo, e si porta terra
dal vicino suolo; si riempie di zolle il fossato; colmatolo, vi si erige un altare,
e quel nuovo focolare fa bene il suo ufficio con la ardente fiamma. Poi, pre-
mendo la stiva, Romolo traccia con un solco le mura; trascinano l’aratro una
vacca bianca e un niveo bue. Queste le parole del re: «Assistetemi, o Giove,
nel fondare la città, e tu, o padre Marte, e tu, o madre Vesta! Volgete a me la
mente voi tutti, o dèi, a cui è pio rivolgere l’invocazione! La mia opera sorga
con il vostro auspicio (auspicibus vobis). Duri a lungo la sua potenza sul
mondo conquistato e siano a lei sottomessi l’Oriente e l’Occidente». Egli
pregava, e Giove espresse l’augurio con un tuono a sinistra, e scagliò un
fulmine dalla parte sinistra del cielo. I cittadini, lieti del presagio (augurio
laeti), gettano le fondamenta, e in brevissimo tempo già sorgevano le nuove
mura. Affrettava l’opera Celere, che Romolo aveva chiamato e a cui aveva
detto: «Quest’impresa si compia a cura tua. Bada che nessuno oltrepassi
le mura e il fosso scavato dal vomere; se qualcuno osasse tale gesto, mettilo
a morte». Ignorando ciò, Remo prese a disprezzare le umili mura e a dire:
«Sarà sicuro il popolo al riparo di esse?» E senza indugio le supera d’un
balzo: Celere con la marra abbatte il temerario, che ora insanguinato preme
la dura terra”.
         E’ indubitabile, d’altronde, che a dirimere l’agone fra i due preten-
denti il titolo di rex, secondo la ricostruzione della fonte per cui di volta in
volta si opta (Livio o altri scrittori greci e latini poco importa), fu senz’altro
la volontà divina, quella volontà che, sollecitata e indirizzata verso una se-
zione del cielo, ebbe poi modo di manifestarsi per il tramite del volo degli
avvoltoi. In tutta questa fase di preparazione e di analisi dei modi con cui la
divinità pretende di rendere nota la propria volontà, ha modo di esplicarsi la

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strategia religiosa con cui i Romani intercettavano il consenso dei celesti e
         ne vedevano il riflesso nell’azione che essi andavano ad intraprendere, atto
         di fondazione o di inaugurazione compreso. Nel frangente è proprio il les-
         sico usato dai latini e il sottile ‘distinguo’ da essi imposto alle varie espres-
         sioni della nomenclatura adoperata a indurci a credere che essi abbiano dato
         vita ad un linguaggio tecnico, che già ai loro tempi si era comunque evoluto
         raggiungendo ulteriore forma di specializzazione, prima di giungere fino a
         noi quasi del tutto privo dei necessari riferimenti a quegli elementi con-
         creti o astratti che costituivano la base della loro fede e del loro dialogo
         con gli dèi. Il fatto che Romolo e Remo si siano divisi i luoghi, da cui
         guardare verso il cielo e apprendere - riconoscendo i segni inviati dagli
         dèi - il consenso dato ad ognuno di loro, è il primo indizio di una meti-
         colosa e puntuale ricerca di spazi dedicati all’osservazione dei presagi.
                  Val la pena entrare in questo fondo arcaico del linguaggio reli-
         gioso dei Romani per cogliervi quel principio di cautela che sarà poi il
         segno distintivo di quella popolazione; vale altrettanto la pena seguire,
         nella circostanza, un vero esperto di storia della lingua latina quale fu
         Marco Terenzio Varrone.
                  “Sulla terra” - scrive Varrone, de lingua Latina - “si chiama
         templum il luogo delimitato con determinate formule al fine di trarvi i
         presagi o prendervi gli auspici (in terris dictum templum locus augurii
         aut auspicii causa quibusdam conceptis verbis finitus). Le parole della
         formula non sono dappertutto le stesse. Quella usata sulla Rocca è la
         seguente: «Templi e luoghi augurali per me siano quelli dentro i con-
         fini che io con la mia lingua indicherò nel modo rituale. Per l’appunto
         quell’albero lì, di qualunque genere sia, che io intendo da me indicato a
         sinistra sia per me templum e luogo augurale. Per l’appunto quell’albero
         lì, di qualunque genere sia, che io intendo da me indicato a destra sia
         per me templum e luogo augurale. Lo spazio racchiuso fra questi punti
         ho inteso realmente indicare nel modo rituale per direzione, visione e
         intuizione della mente»”.
                  Nella loro visione dei rapporti fra volta celeste e sede terrena,
         dunque, per i Romani il circoscrivere il templum sulla terra equivale-
         va, a livello speculare, ad aver individuato e circoscritto il corrispettivo
         spazio celeste in cui rintracciare i segni inviati dalla divinità grazie al
         ricorso agli avvoltoi. A chiarire meglio il processo mentale dei latini può
         servire la citazione del rituale osservato allorché si trattò di nominare re
         di Roma Numa Pompilio. Teste Livio, “quando i senatori decisero per il
         suo nome e lo mandarono a chiamare, Numa volle che, come Romolo nel
         fondare la città aveva assunto il potere dopo aver preso gli augùri (augu-
         rato), anche per lui si consultassero gli dèi. Condotto quindi sulla rocca
         da un àugure (ab augure), che da allora in segno di onore ebbe sempre
         quella carica sacerdotale, si sedette su una pietra, rivolto a mezzogior-
         no. L’àugure prese posto alla sua sinistra, col capo velato, tenendo nella
         mano destra un bastoncino ricurvo, senza nodi, che fu chiamto ‘lituo’.

22   Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
Quando, poi, rivolto lo sguardo alla città e alla campagna, e invocati gli
dèi, ebbe delimitato le zone da oriente ad occidente, e proclamate fauste
quelle verso mezzogiorno, infauste quelle verso settentrione, fissò men-
talmente il punto più lontano cui poteva spingersi lo sguardo; allora,
passato il lituo nella mano sinistra e posata la destra sul capo di Numa,
così pregò: «Giove padre, se è destino che questo Numa Pompilio, di cui
io tocco il capo, sia re di Roma, daccene segni sicuri entro i limiti che ho
tracciato». Enumerò gli auspici (auspicia) che desiderava gli fossero in-
viati. Quando li ebbe ricevuti, Numa, proclamato re, discese dal recinto
augurale (de templo descendit)”.
         Sarebbe comunque da ingenui, nell’avventurarsi all’interno della
selva degli atti cultuali che costituiscono il sostrato più certo della teologia
romana, il prescindere dal tener conto di un tratto assolutamente distinti-
vo che caratterizza il loro rapporto con la rappresentazione che essi hanno
della divinità: questo vale sia per l’organizzazione dei singoli gesti che pre-
suppongono l’intavolarsi di ‘trattative’ con gli dèi dai quali si aspettano la
conferma della bontà dell’iniziativa intrapresa, sia per la mai accantonata in-
tenzione di ‘dirigere’ la volontà divina o, se si preferisce, di incalanarla lun-
go il binario da loro stessi desiderato, per non parlare di alcune prescrizioni
così meticolose e arzigogolate da non essere poi facilmente decifrabili, nel
tempo, nemmeno da loro stessi. Un esempio, a quest’ultimo proposito, è
costituito da una coppia di vocaboli che talvolta figura nei testi così forte-
mente appaiata da dare l’impressione di essere una coppia sinonimica: sto
alludendo a vocaboli come auguria e auspicia, vocaboli che d’altronde con
qualche leggera modifica ricorrono nel nostro linguaggio ‘beneaugurante’.
Su auguria e la connessa famiglia di derivati mi soffermerò fra poco; a pro-
posito di auspicia, vale appena la pena ricordare che, quando noi usiamo ad
esempio l’espressione “sotto i migliori auspici”, non siamo affatto reduci
dall’aver avvistato uccelli, poco importa se avvoltoi o aquile. Eppure i Latini
avevano da subito costruito il termine sulla base di ‘aves’ (“uccelli”) e di
*specio (“io vedo”), vocabolo non registrato nelle fonti a noi giunte nell’a-
spetto morfologico appena riportato, ma di fatto risultante come incorpo-
rato in verbi ben attestati come aspicio, respicio, conspicio, inspicio, etc.
Peraltro, essi stessi avevano poi ipotizzato una sorta di ‘distinguo’, allorché
si trattava di dedicarsi all’avvistamento di volatili per decifrare l’eventuale
predisposizione degli dèi ad assecondare i progetti degli uomini: sicché, a
loro dire, si doveva chiamare augurium quello che volutamente si richiede
agli dèi e che si traduce nell’apparizione di ben determinati uccelli; auspi-
cium invece è confinato a indicare l’avvistamento di qualsiasi uccello, senza
che ci sia stata una precisa richiesta alla divinità perché si manifestasse; non
solo: per i Romani gli auguria si possono trarre solo in patria e in precisi
àmbiti spaziali; gli auspicia, invece, il cittadino li può trarre anche quando
è all’estero.
         Alla base di augures e di auguria, oltre che del verbo latino inaugurare,
c’è sicuramente la stessa radice presente nel verbo latino augeo (“aumentare,

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accrescere”), imparentato a sua volta con un antico astratto *augos/*augus,
         che era chiamato ad indicare non tanto l’idea dell’accrescersi quanto il risulta-
         to di questa azione, ossia l’avvenuto aumento e per espansione l’essere in atto
         della forza. L’augurium, in questa prospettiva e nel momento stesso in cui si
         esplica in previsione di un fatto straordinario quale può essere la fondazione di
         una città, è esso stesso impregnato e carico di *augus; anzi ne è talmente do-
         tato da ‘sprizzare’ potenza da ogni poro e da meritare l’aggettivo di augustus:
         “Septingenti sunt paulo plus aut minus anni / augusto augurio postquam in-
         clita condita Roma est” dirà Ennio in un celeberrimo passo dei suoi Annales;
         il fatto che poi la denominazione di augustus sia stata trasferita ad Ottaviano ha
         semplicemente segnato il distacco del lessema dall’ambito religioso per servire
         a connotare un individuo dotato di una qualità altamente foriera di successo e
         di potenza.
                   Il Romano d’un tempo, insomma, aveva una aspirazione, quella di
         conferire e quindi di reperire una siffatta ‘pienezza’ (di forza) in tutte le
         azioni o i meccanismi che poneva in essere; era altresì consapevole che non
         bastava la sua aspirazione a ‘riempire di forza’ il suo atto e che a tal fine
         era indispensabile l’apporto della divinità; ed è per questo motivo che egli
         si attrezzò, attraverso procedure e tecniche di relazione con il sacro, per
         scoprire se gli dèi avessero accettato di introdurre ‘la pienezza’ nelle cose
         programmate dagli uomini e se pertanto avessero attribuito ai loro proget-
         ti la tanto ‘auspicata’ condizione di successo: di qui l’importanza dell’arte
         augurale, coincidente di fatto con una raffinata tecnica di consultazione.
         L’augur (inizialmente vocabolo di genere neutro), a sua volta, per poter
         passare ad indicare l’addetto alla succitata consultazione [scopo dell’àu-
         gure è riconoscere che gli dèi hanno introdotto nei contingenti referenti
         della vita religiosa, economica e militare la pienezza della forza sacra, della
         forza riproduttiva e della forza offensiva/difensiva funzionale a svolgere al
         massimo grado le prerogative richieste], ha finito per cedere la sua primi-
         tiva accezione al termine augurium, che pertanto all’inizio ha dovuto si-
         gnificare l’atto di augurare, ossia di trasmettere o di scoprire in un essere
         vivente o in una cosa “la pienezza”, quella appunto che i Latini chiamavano
         *augos/*augus e che loro stessi fiduciosamente ambientavano nella pratica
         della inauguratio.
                   E’ dunque l’inauguratio la cerimonia deputata per l’appunto a deci-
         frare e a comunicare l’avvenuta conferma del successo dell’iniziativa in atto,
         un successo - com’è facile ora comprendere- non solo auspicato, ma punti-
         gliosamente accarezzato, inseguito, costruito e pertanto meritato.

                                                          * Prof. Giovanni Cipriani
                                            Ordinario di Lingua e Letteratura Latina
                            Dipartimento di Studi Umanistici, Lettere, Beni Culturali,
                                                           Scienze della Formazione
                                                    Università degli Studi di Foggia

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