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AA 13/14 CERIMONIA INAUGURALE DELL’ANNO ACCADEMICO
Cerimonia di inaugurazione dell’Anno Accademico 2013 / 2014 dell’Università degli Studi di Foggia Rettore prof. Maurizio Ricci Prorettore prof.ssa Milena Sinigaglia Pubblicazione a cura dell’Area comunicazione e rapporti istituzionali Responsabile dott.ssa Rosa Muscio Impaginazione ed Editing a cura di Red Hot Edizioni Il Castello via Conte Appiano 60 - 71121 Foggia Tel. +39.0881.022150 Fax +39.0881.1880147 info@ilcastelloedizioni.it ISBN 978-88-6572-124-7 9 788865 721247
Lunedì 28 aprile 2014, ore 11.00 Aula magna Valeria Spada Dipartimento di Economia Università degli Studi di Foggia via Romolo Caggese 1 – 71121 Foggia
L’Università tra rigore finanziario e autonomia “impossibile” * Illustre on. Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, senatrice prof.ssa Stefania Giannini, che, onorato, ringrazio con immenso piacere per aver voluto prontamente accettare il nostro invito, Magnifi- ci Rettori, Autorità civili, militari e religiose, cari Colleghi, Collaboratori tecnici-amministrativi e Studenti, gentili Ospiti, “cominciare una conferenza [...] è un momento cruciale [...]. È il momento della scelta: ci è offerta la possibilità di dire tutto, in tutti i modi possibili; e dobbiamo arrivare a dire una cosa, in un modo particolare”: le parole di Italo Calvino - destinate alle sue Lezioni americane (Cominciare e finire) - sono tornate all’improvviso alla mia memoria e hanno continuato a risuonare come ‘refrain’ nei giorni passati, giorni in cui con emozione ho riflettuto su questo inizio di discorso, esordio del mio mandato, apertura di anno accademico, a quindici anni dall’istituzione del nostro ateneo (5 agosto 1999). Per questo “momento di distacco dalla molteplicità dei possibili”, per continuare a citare Calvino, il mio pensiero ha insistito nell’indirizzarsi verso i nostri studenti, i nostri cari studenti: verso il loro entusiasmo, la loro capacità progettuale, il loro senso di responsabilità, la loro generosità nel collaborare alla soluzione dei problemi. L’ormai inflazionata frase “l’Università non esisterebbe senza gli studenti” si riempie oggi ai miei occhi di significato, di sensazioni, di colo- ri: intendo, intendiamo, non tradire e sostenere il loro studio, il loro lavoro nobile, faticoso, costante. Il loro, il vostro, è un mondo già vivo: la vostra forza si prende la rivincita nelle piccole cose e qui il vostro ‘potere’ è quasi illimitato; i vostri progetti nascono da incontri, incontri di e tra ciascuno di voi, ognuno con le sue inclinazioni, i suoi modelli e le sue esperienze cul- turali, il suo fine, le sue ambizioni, i suoi gusti più segreti, i suoi ideali più scoperti in direzione della costruzione del futuro. Il vostro ‘ramo d’oro’ sono i libri, le riviste, le banche dati, metafora di impegno e serietà, pluralità di linguaggi e verità non parziali, molteplicità di soggetti, voci, sguardi sul mondo. Il mio sguardo e il mio apprezzamento va alla vostra appassionata ricerca di verità o, se non altro, di esattezza, alla vostra paziente attenzione e, se opportuno, al vostro operoso silenzio. A voi va l’attenzione dell’intero corpo accademico: a voi la trasmis- sione, il senso e l’efficacia dell’azione didattica e scientifica fin qui condotta. “Desidero trasfondere tutto in te e godo d’imparare qualcosa ap- punto per insegnarla”: così Seneca scriveva al suo Lucilio1. Da parte mia, 1 Epist. 1,6,4. Università degli Studi di Foggia 7
penso a un profilo di docente portato a partecipare il suo amore per la scien- za lungo una traiettoria di interscambio più che di semplice trasmissione: penso al viaggio del sapere che si avviti lungo un’andata e un ritorno fra docente e discente e che risenta della spiritualità e dell’intelligenza dell’uno e dell’altro nel processo formativo e culturale. Le presentiamo, signora Ministro, un lavoro instancabile, fatto di sacrifici e di conquiste, un lavoro che ha raggiunto ottimi risultati e presti- giosi riconoscimenti nella ricerca scientifica. Nel complesso l’Università di Foggia è risultata 12ª in Italia nella valutazione della qualità della ricerca, curata dalla ANVUR (Agenzia Nazio- nale per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca). A livello nazionale, la VQR 2004-2010 ha certificato i notevoli risultati dei gruppi di ricerca nell’area biologica (6° posto su 58), giuridica (8° posto su 71) e delle scienze agrarie (11° posto su 34), ma anche la bontà della nostra ricerca in ambito medico (18° posto su 49) e umanistico (nell’area 10, 29° posto su 64; nell’area 11, 21° posto su 65)2. È un risultato particolarmente lusinghiero, frutto del talento, del- la ricerca, della qualità delle sperimentazioni, dell’intuito al servizio della scienza, che acquista un valore ancor più importante se raffrontato alla no- stra relativamente recente nascita: un risultato che desideriamo migliorare; un risultato che - credo - debba far riflettere studenti e famiglie sulla qualità della nostra Università e che ha fortemente contribuito alla rideterminazio- ne del FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario) da parte del MIUR attra- verso l’attribuzione delle quote premiali che hanno collocato l’Università di Foggia in posizione di assoluta preminenza tra gli atenei italiani, anche se, paradossalmente, le citate quote premiali non si sono tradotte in una mag- giore attribuzione di finanziamenti ma solo in una decurtazione di minore entità a causa delle “contingenze” finanziarie in cui versa il nostro paese (infra). Scongiurato il taglio di oltre 2 milioni di euro rispetto al 20123, al nostro ateneo è stata applicata, prima, una riduzione dello 0,32% e, poi, una riduzione definitiva dell’1,44%, (per effetto della cd. clausola di salva- guardia, al fine di evitare alle università di perdere una percentuale superio- re al 5% del FFO)4. Abbiamo la fortuna e l’orgoglio di essere partner di molti progetti scientifici che fanno capo a prestigiose Università straniere, in particolare in ambito agroalimentare, medico e umanistico: tutti progetti che restitu- iscono l’elevato standard della nostra ricerca, l’eccellente patrimonio di competenze scientifiche e il prestigio del nostro ateneo. Riscontri positivi si sono peraltro avuti sui PRIN (Progetti di Rilevante Interesse Nazionale) 2 Cfr. slides. 3 In base alla prima ripartizione, all’Università di Foggia erano stati assegnati 28.456.978 euro. 4 Con una perdita complessiva di 504.173 euro e un FFO definitivo di 34.427.050 euro. 8 Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
e FIRB (Fondo per gli Investimenti della Ricerca di Base), pur in un pano- rama di profondo disagio ‘critico’ per l’intero Paese a livello economico5. E questo nonostante le incertezze derivanti da una campagna di delegittimazione dell’Università statale e da una linea di tendenza in dire- zione di una paventata riduzione numerica degli atenei6, e nonostante le politiche di tagli alla ricerca. La spesa italiana in ricerca e sviluppo è tra le più basse: le risorse pubbliche investite in ricerca sono circa lo 0,52% del PIL, lo 0,18% in meno rispetto alla media OCSE, ovvero circa 3 miliardi di euro7. Prendendo come riferimento il 2008, la riduzione dei finanziamenti è stata del 18,7% per i fondi destinati al finanziamento del sistema e del 15,8% per i fondi a sostegno di studenti e diritto allo studio8; il calo è stato determinato principalmente da quello del FFO (-18% in termini reali) che rappresenta oltre il 90% delle risorse complessive9. Secondo il rapporto dell’OCSE (Education at a Glance 2013), nel 2010, la spesa per studente in Italia è stata di 9.579,76 dollari in termini di qualità di potere d’acquisto (PPA), il 30% in meno rispetto alla media dei paesi OCSE, circa il 40% in meno di paesi come Francia, Belgio e Regno Unito e il 50% in meno dei paesi del Nord Europa e degli Stati Uniti10. Pesano, ancora, il sostanziale blocco del turn over (con la conse- guente, sensibile riduzione numerica del 15% di professori e ricercato- ri fra il 2008 e il 2013)11 e i forti condizionamenti al reclutamento e alle progressioni di carriera. Il riferimento è alle prospettive connesse agli esiti dell’ASN (Abilitazione Scientifica Nazionale) e alle concrete opportunità di risposta alla giusta e condivisibile richiesta del riconoscimento del lavoro svolto a favore di chi ha acquisito di recente l’abilitazione scientifica di 1ª e 2ª fascia. Di qui le proposte CRUI del 20 marzo 2014, finalizzate a rendere plausibile un percorso di riequilibrio del sistema nei prossimi anni. Sentita è, inoltre, l’esigenza di una riflessione seria e propositiva sulle modalità di valutazione e sul ruolo discutibile dell’ANVUR (fermo re- stando che la valutazione è un processo che permette salti di qualità). 5 Tra il 2010 e il 2012, i fondi PRIN sono passati da 100 a 39 milioni di euro; nel 2012, il FIRB ammontava a circa 30 milioni di euro, un terzo dei fondi erogati nel biennio 2009-2010. 6 Cfr. slides. 7 In rapporto al PIL, la spesa in istruzione terziaria è in Italia pari a circa l’1%, 0,65 punti percentuali al di sotto della media dei paesi OCSE e inferiore a quella di tutti i principali paesi. Lo scarto in termini percentuali è del 37% (cfr. slides). 8 Nel 2013, le somme stanziate dal MIUR per il finanziamento del sistema universitario e per il sostegno agli studenti e al diritto allo studio ammontano a 7,3 miliardi di euro (valore minimo nel periodo 2008-2013), di cui 6,9 destinati al finanziamento del sistema (6,7 costituiti dal FFO) e 400 milioni in favore degli studenti e del diritto allo studio (slides). 9 Cfr. slides. 10 Cfr. slides. 11 Cfr. slides. Università degli Studi di Foggia 9
L’attuale meccanismo di distribuzione delle risorse non tiene pera tro in alcun conto il differenziato contesto socio-economico dei singoli atene12, sedi virtuose ma punite perché ubicate in aree socio-economiche deboli, a prescindere dal merito scientifico, il che lede gravemente l’effet- tività dei principi costituzionali di eguaglianza, autonomia universitaria, sussidiarietà, diritto allo studio e diritto alla salute (in quest’ultimo caso il riferimento è alle Facoltà di Medicina, là dove sono state istituite). Gli indicatori utilizzati per il computo dei punti organico, basati sul rapporto tra le entrate complessive delle Università (tra cui, la contribu- zione studentesca) e i costi fissi, sono essenzialmente condizionati dal con- testo socio-economico e dall’elevato numero di studenti che, in condizioni di disagio, fruiscono di esenzioni o riduzioni della tassazione13. Non per questo deve diminuire la nostra tensione verso il meglio, perché chi aspira all’eccellenza arriva più in alto di quanti perdono la spe- ranza. La via della formazione può resistere ai “terremoti” che la minac- ciano dall’esterno: le criticità si fanno stimolo in una operazione di nobile fermento e di servizio alla società, nella sua pluralità e ricchezza. Penso e guardo con uno sguardo carico di futuro alla nostra Univer- sità come casa comune: mi piace pensare al nostro Ministro ospite di questa nostra casa, che costruisce il suo e il nostro futuro con un lavoro quotidiano, faticoso, serio, responsabile, al grosso impegno richiesto dal sistema AVA (Autovalutazione, Valutazione periodica e Accreditamento)14, un lavoro sa- piente e costante, un lavoro consapevole della contemporaneità e attento alla tradizione (che significa identità culturale, memoria, radici), un lavoro che ha avuto e ha come obiettivo lo sviluppo della ricerca scientifica (e delle strutture al suo servizio: dipartimenti, laboratori, sistema bibliotecario) e la formazione di alte professionalità, al fine di concorrere allo sviluppo scien- tifico, sociale ed economico del paese. Per questo lavoro comune, il mio grazie va alla componente ammi- nistrativa, che ha in prima persona ‘subito’ i processi di ridefinizione delle competenze dopo l’entrata in vigore della L. 240/2010, oltre al perdu- rante blocco della contrattazione collettiva e delle retribuzioni, introdotto ormai da fin troppi anni nelle pubbliche amministrazioni. Il mio grazie va al suo lavoro responsabile, indispensabile al funzionamento e al successo 12 Il D.M. 9.8.2013, n. 713, ha determinato una grave disparità di trattamento tra atenei e ha ingiustificatamente penalizzato sedi in una situazione di costo del personale e indebitamento ritenuta, peraltro, positiva dallo stesso D. Lgs. 49/2012. 13 Da questo punto di vista, nel nostro ateneo gli studenti ‘esentasse’ costituiscono circa il 18% degli iscritti, con una contribuzione media annua pro-capite di 594 euro, secondo gli ultimi dati relativi al 2012, contro i 1.700 del Politecnico di Milano, laddove il reddito regionale pro-capite è di 37.500 euro vs quello di Foggia pari a 13.850 (Il Sole24 Ore del 4.11.2013). 14 Nello specifico il riferimento è all’accreditamento dei corsi di dottorato o alla compilazione della Scheda SUA-CdS (Scheda Unica Annuale dei Corsi di Studio) 2014-2015 - Sezione Qualità, per la definizione di obiettivi e risultati della formazione, esperienza dello studente, organizzazione e gestione della qualità. 10 Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
dell’intero ateneo15; la mia attenzione va alla valorizzazione del merito e delle competenze attraverso formazione, valutazione e politiche di incenti- vazione, istituzione dell’anagrafe delle competenze, informazione, condivi- sione e corresponsabilità, sempre nel rispetto della dignità personale. Tra le righe del mio discorso, si raccontano e parlano storie di per- sone, discorsi quotidiani, conversazioni defatiganti, incertezze, letture, scritture, desideri e timori di chi condivide l’esperienza di un viaggio (ver- so la conoscenza), che sarebbe insensato compiere da soli: “Non potrebbe recarmi diletto alcuna cosa, per quanto eccellente e utile, se dovessi saperla per me solo. [...] Nessun bene ci dà gioia, senza un compagno” (così Sene- ca, epist. 1,6,4). È un viaggio che va vissuto avendo accanto i nostri studenti, l’auten- tica bussola che ci garantisce la giusta direzione: un viaggio che è opportu- nità di un cammino in cui tutti siamo corresponsabili di un identico profilo della conoscenza, che si porti dietro modernità e spendibilità, qualità e fun- zionalità, un corredo culturale che si fa reciproca tolleranza e pacifica con- vivenza; un viaggio che presuppone l’individuazione della meta e la capacità di trovare le modalità per raggiungerla. È in questa prospettiva di dialogo che ho scelto di delegare 20 colleghi allo sviluppo delle aree strategiche dell’ateneo: colleghi compe- tenti ed esperti che hanno assunto un impegno confacente alle loro carat- teristiche umane e scientifiche, in un’Università in crescita e che intende assicurare che questo suo sviluppo vada di pari passo con la qualità della didattica e della ricerca. Un gruppo di delegati, costituito da 11 donne: un orientamento che segue la nomina del Prorettore dell’Università, la prof. ssa Milena Sinigaglia, la prima donna del nostro ateneo a ricoprire tale ruo- lo; un orientamento che riconosce ed esalta l’ingenium e la virtus multiplex della donna16; un orientamento che riconosce e promuove la presenza e la leadership della donna nelle carriere accademiche e nella ricerca17 . La speranza è che il nostro Ateneo possa consolidarsi in uno spazio in cui cultura e stile di vita coincidano, i pensieri si sedimentino e maturino, l’interesse verso la nostra enciclopedia culturale si rinnovi. L’idea è quella di una Universitas magistrorum et scholarium, un’U- niversità caratterizzata da autonomia e ‘universalità’, dedita alla coltiva- zione e trasmissione dei saperi, determinanti per lo sviluppo della civiltà. Allora, nella società medievale, tutto, nell’ordinamento e nei rap- porti con le altre componenti sociali, pareva orientato a favorire la prote- zione dell’Università, in virtù del suo compito culturale e sociale, merite- 15 Penso allo sforzo professionale richiesto dalla VQR o dall’introduzione del sistema di contabilità economica patrimoniale uniforme degli atenei (D. Lgs. 27.1.2012, n. 18). 16 Per usare le parole del Petrarca, Familiarum rerum libri 21,8,4, lettera con cui il 23 maggio del 1358 si congratulava con l’imperatrice Anna, moglie di Carlo IV di Boemia, per la nascita della loro primogenita ���������Women, research and universities: excellence without gender bias, presentato da 17 Rapporto LERU - League of European Research Universities - luglio 2012. Università degli Studi di Foggia 11
vole di essere sostenuto. Oggi, l’Università sembra ‘soffrire’, così com’è fortemente condizionata nel suo potere di autodeterminarsi e di svolgere liberamente le funzioni attribuite per il perseguimento dell’interesse pub- blico nella ricerca scientifica e nell’insegnamento. Oggi, la linea direttiva si è essenzialmente basata sull’adozione di misure di rigore finanziario e di tagli, spesso indiscriminati, nei trasferimenti statali a titolo di FFO. Gli interventi legislativi sulle politiche di reclutamento sono stati particolarmente invasivi nei confronti del principio costituzionale di autonomia universitaria (art. 33, co. 6, Cost.), un’autonomia che, invece, va declinata nella dimensione sia contabile, finanziaria e normativa degli atenei (L. 168/1989), sia didattica (L. 168/1989, nonché D.M. 509/1999 e successive modificazioni e integrazioni), sia scientifica dei docenti18. In generale, nella L. 240/2010, l’ennesima riforma “a costo zero”, non si è tenuto in alcun modo conto del principio costituzionale di autono- mia universitaria, in quanto vi sono molteplici disposizioni che confliggo- no con esso. Il sistema universitario è considerato solo come costo su cui incidere, riducendo drasticamente i trasferimenti dello Stato attraverso la decurtazione del FFO. Soprattutto negli ultimi anni, si sono registrate importanti e discuti- bili novità normative nella disciplina delle assunzioni del personale docente e tecnico-amministrativo e nella riregolamentazione dei vincoli finanziari connessi alle prese di servizio19. Si è dettata un’organica disciplina talmente analitica da ridurre qua- si per intero i margini di autonomia degli atenei: si è prevista l’adozione del piano economico-finanziario triennale20, della programmazione trien- nale del personale21 e di specifici strumenti di verifica22; il ruolo di control- lore del ministero diventa così pervasivo che le università sono ‘ingessate’ nell’assumere scelte decisionali, a tal punto da dover attendere i dati ufficia- li ‘certificati’ dallo stesso ministero23, spesso alla fine dell’anno accademico, così come per l’attribuzione definitiva del FFO, prima di poter deliberare, attraverso gli organi collegiali, sulle politiche di reclutamento e sulle scelte attinenti alle spese di investimento. Si è aggiunto peraltro un apparato sanzionatorio avverso violazioni poste in essere dagli atenei (attinenti alle procedure e alle assunzioni, non- ché alle spese per indebitamento), prevedendo una penalizzazione nelle as- segnazioni del FFO. Peraltro, con alcune disposizioni del D.L. 95/2012, convertito con modificazioni dalla L. 135/2012, si è sancito il definitivo 18 Il quadro costituzionale delinea un’ampia libertà nello svolgimento della didattica e della ricerca: art. 33, co. 1, Cost. 19 D. L. 49/2012; D. L. 95/2012, convertito con modificazioni dalla L. 135/2012. 20 Art. ������������������������� 3, D. Lgs. 49/2012. 21 Art. 4, D. Lgs. 49/2012. 22 Art. 2, co. 1, D. Lgs. 49/2012. 23 D. M. 22 ottobre 2012, n. 297. 12 Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
ridimensionamento della dotazione organica degli atenei con una perdita irreversibile di capitale umano. Gli ultimi decreti ministeriali lasciano emergere un quadro relativo alle assunzioni particolarmente complesso per la limitatezza delle risorse a disposizione e per il loro attento “dosaggio” nelle percentuali per le assun- zioni: senza entrare nel merito della violazione del principio costituzionale di autonomia universitaria, leso evidentemente da un’articolazione detta- gliata e talvolta cervellotica circa la strutturazione dell’organico docente, si sottolinea l’oggettiva difficoltà di muoversi entro paletti così rigidamente predeterminati. Nel complesso si avverte una sensazione di eccesso di burocratiz- zazione, che sta ormai progressivamente permeando i profili essenziali della vita del sistema universitario: dalla pluralità di vincoli di difficilissima conciliabilità tra loro (vincoli previsti dalla normativa sul reclutamento di professori e ricercatori universitari) alla farraginosità del processo sulla va- lutazione della ricerca. Emerge un’impostazione finalizzata a considerare le spese del sistema universitario solo ed esclusivamente quale costo e non quale opportunità: il rischio è che si obliterino o ridimensionino le funzioni primarie del sistema universitario (ricerca, didattica e assistenza sanitaria), nonché quelle di volano per la crescita culturale-scientifica e lo sviluppo socio-economico del paese. La nostra ambizione è un’Università come culla di progresso: progresso che sia gestione responsabile, autonoma, corretta, trasparente, collaborazione strategica con gli altri Rettori, qualità ed efficienza ammini- strativa, trasferimento tecnologico e innovazione, azioni di sostegno e po- tenziamento della ricerca e della sua internazionalizzazione24 (il riferimento è in quest’ultimo caso al nuovo programma Erasmus Plus 2014-2020; per incidens, ‘in entrata’ il nostro ateneo registra l’iscrizione di studenti prove- nienti da 17 regioni italiane, una massiccia presenza25), qualità della didat- tica26, corretta applicazione delle norme che tutelano il diritto allo studio (un dovere morale, questo, prima ancora che amministrativo, salvaguardato oggi dalla convenzione tra l’Università di Foggia e il Comando Provinciale della Guardia di Finanza, per consentire a chi ne abbia veramente diritto l’accesso ai programmi di sostegno in ossequio al principio di legalità), va- 24 Grazie anche alle opportunità offerte dal programma UE Horizon 2020 per la ricerca e l’innovazione. Vorrei altresì ricordare, tra i più recenti successi, il progetto editoriale dell’Università di Foggia ESP Across Cultures, rivista che ha recentemente ottenuto dall’ANVUR il ranking di classe A nel settore L1 - Lingue, letterature e culture inglese e anglo-americana. 25 Secondo il report 2012-2013 relativo all’Erasmus di studenti spagnoli e all’exploit di studenti turchi. 26 In tale ottica si colloca l’impegnativa istituzione, in collaborazione con il Politecnico di Bari e il contributo finanziario della Regione Puglia, del corso di laurea interateneo in “Ingegneria dei sistemi logistici per l’agroalimentare” (inserito nell’offerta formativa 2014-2015), afferente al Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente. Sempre di questo Dipartimento è la proposta del nuovo corso di laurea triennale in “Scienze gastronomiche”. Università degli Studi di Foggia 13
lorizzazione del merito, potenziamento dei servizi a favore degli studenti27, tirocini formativi o curriculari, sostegno agli studenti diversamente abili, attività di orientamento in entrata, in itinere e in uscita anche perché, come sistema universitario, registriamo ancora sensibili ritardi nel numero di lau- reati28, promozione dell’alta formazione29, pianificazione degli interventi edilizi e consolidamento dei nostri poli universitari, sviluppo di uno stabile sistema di relazioni sindacali. La nostra ambizione è un'Università come culla di cultura: cultura che sia confronto sereno e costruttivo tra comuni- tà scientifica e istituzioni, enti locali e imprese, dialogo interdisciplinare, promozione culturale30, condivisione e abnegazione, curiosità e coraggio, cultura dell’ospitalità e della comprensione, competitività, interazioni vir- tuose che rendano l’Università fulcro e volano del territorio, strumento di sviluppo e promozione umana. La nostra sfida è un Ateneo protagonista in sede regionale, na- zionale e internazionale: protagonista di un rilancio che si misura in azioni concrete, lungo vie antiche e nuove, che mirino alla paziente costruzione di un ‘futuro dal cuore antico’ (per citare il titolo della nota opera di Carlo Levi). Da parte mia, convinto della necessità di “coltivare il nostro giardino”31, perché è il lavoro a rendere il nostro il “migliore de’ mondi possibili” (ibidem), perché “la storia non passa la mano” e “la storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano”32, sento tutta la responsabilità della ‘bellezza’ dell’Università. Da parte mia, metterò in questo progetto tutto l’affetto che nutro per questa realtà e che non è mai venuto meno nel tempo; metterò in questa sfida tutto quell’“entusiasmo ragionevole” di cui parlava Voltaire nel suo Dizionario filosofico (s. v. Entusiasmo), convinto che la ragione corra lungo la strada regolarmente tracciata, ma che alla ragione subentri la forza delle passioni e dei sogni, quei sogni che danno forma al mondo33. 27 Ci si intende riferire a un Centro Servizi Informatici, al CLA (Centro Linguistico di Ateneo), al CUS (Centro Universitario Sportivo), al CUT (Centro Universitario Teatrale), allo sviluppo dell’e-learning e alle summer e winter school. 28 Nel 2012, secondo il rapporto Anvur del 2013 (slides), nel tasso di laurea, il nostro paese è al terzultimo posto, con il 13,8% di laureati tra i 15 e i 64 anni (a fronte di una media UE del 25%), e al penultimo posto, con il 22,3% di laureati tra i 25 e i 34 anni (a fronte di una media europea che supera il 35%). 29 Dottorati di ricerca e scuole mediche di specializzazione, master, corsi di perfezionamento, tirocini formativi e di orientamento al lavoro, tirocini per l’abilitazione all’insegnamento nella scuola media inferiore e superiore, spin-off, stage, servizio per job placement… 30 Il riferimento è alla collaborazione con il neo Cineporto dell’Apulia Film Commission di Foggia tramite il progetto Comtainer. 31 Voltaire, Candido, o l’ottimismo, cap. 30. 32 F. De Gregori, La storia siamo noi, in Scacchi e tarocchi – 1985. 33 L. Ligabue, Sono sempre i sogni a dare forma al mondo, in Mondovisione – 2013. 14 Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
Ringraziando chi in questo tempo mi ha sostenuto, chi ha partecipa- to e partecipa a lavori mai facili, chi non mi lascia passare la ‘frase’ inesatta o ‘rilegge’ con me la ‘pagina’ incerta, e augurando buon lavoro a tutti noi, dichiaro aperto il 15°anno accademico dell’Università di Foggia *prof. Maurizio Ricci Rettore dell’Università degli Studi di Foggia Università degli Studi di Foggia 15
16 Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
Il senso delle inaugurazioni Le cerimonie ai tempi di Livio Una inaugurazione a volo d’uccello * “C’erano [una volta, ndr] tre fratelli che lavoravano alla costruzione di una torre di vedetta contro i predoni turchi….”: con questa movenza ti- pica dei racconti di fiaba, Marguerite Yourcenar dimostrava concretamente - in una delle sue Novelle orientali dal titolo Il latte della morte - come il mito possa davvero abbandonare le pagine di un libro e cessare, d’emblée, di essere il sublime contenuto del canto di un aedo per diventare parte in- tegrante della vita di un qualsiasi individuo reale, fino al punto da costituire addirittura, insieme al vissuto di ogni singolo uomo, un intimo e inestri- cabile groviglio. In questo processo di reificazione non per questo il mito avrebbe perso la sua cifra aulica; tutt’altro: esso infatti finisce per acquistare ancor più credibilità e si concede la libertà di migrare in terre lontane rispet- to alla Grecia, terra mitopoietica per vocazione, terra genitrice e culla insie- me di civiltà e di cultura. “Quando vedo una biblioteca, una scuola,” - ebbe a scrivere la Yourcenar in una delle sue Lettere ai contemporanei - “non posso che pensare che questo è il vero retaggio della Grecia”. Ed è proprio sulla ‘scia’ di una crociera che la porta, in compagnia di Andreas Embirikos (poeta surrealista e psicoanalista greco), nella sua diletta Grecia, attraverso i Balcani, che la Yourcenar progetta di confondersi fra i passeggeri a bordo della nave e si mette metaforicamente ad ‘origliare’ il racconto di una bal- lata balcanica imbevuta di mistero, quello stesso mistero che, a suo parere, avvolge il Medioevo; quella ballata, però, per quanto dislocata in un’epoca più vicina a quella contemporanea, non riesce a non tradire le ‘classiche’ matrici arcaiche, né riesce a celare - più di tanto - la suggestiva ipoteca tipica dei miti greci e, sia pure per graziosa concessione, di qualche raro ‘mito’ ro- mano. Il racconto de Il latte della morte è ambientato in Albania, a Ragusa: in una sosta a terra, davanti a uno spicchio di mare Adriatico e al frastuono provocato dai gabbiani all’attacco di resti di pesce in via di putrefazione, Philip Mild chiede al suo compagno di cabina di raccontargli “la storia più bella e meno vera che sia possibile”, non senza prima averlo interrogato su cosa avesse fatto il giorno precedente in giro per Scutari. “Niente”: disse l’ingegnere. “A parte un’occhiata a certi vaghi lavori di una diga, ho dedi- cato il meglio del mio tempo a cercare una torre. Ho sentito tante vecchie serve raccontare la storia della Torre di Scutari che avevo proprio bisogno di ritrovarne i mattoni sbrecciati e di esaminare se per caso non conservino, come si dice, una striscia bianca... ma il tempo, le guerre e i contadini dei dintorni preoccupati di consolidare i muri delle loro fattorie l’hanno demo- lita pietra dopo pietra, e soltanto nei racconti il suo ricordo resiste...”. Di lì a poco la Yourcenar fa diventare il suo personaggio, professio- Università degli Studi di Foggia 17
nalmente esperto di costruzioni, il reale depositario di una vicenda esem- plare di rito di fondazione; la differenza è che qui il rito di fondazione non è più quello archiviato in qualche celeberrimo mito, quale quello che affidava alla memoria collettiva la avventurosa fondazione di Troia o quella di Tebe, entrambe siglate da sacrifici umani; qui, al contrario, il rito è ambientato nel- la memoria della gente comune, capace di agglutinare - avvolgendole della stessa patina di meraviglioso stupore e di stupita meraviglia che accompa- gna la redazione di imprese di eroi e di semidei - rocambolesche vicende di individui normali alle prese con gesti e con eventi che ricalcano quelli dei personaggi archetipici, che affollano ad esempio la intricata raccolta curata da un ‘mitomane’ come lo pseudo-Apollodoro, raccolta giudicata dagli An- tichi come un ‘libriccino’ e meglio nota a noi invece come Biblioteca. Nel caso da cui qui si prendono le mosse, l’erudizione degli antichi mitografi si è trasformata in tradizione popolare, si è spostata dalla Grecia arcaica per andarsi ad insediare in un contesto ambientale ravvivato da turisti a caccia di souvenirs e morbosamente assetati di storie ‘locali’ (che poi - come si diceva - ‘locali’ non sono affatto). “C’erano” - dunque - “tre fratelli che lavoravano alla costruzione di una torre di vedetta contro i predoni turchi. Si erano messi loro stessi all’o- pera, sia che la mano d’opera fosse rara, e cara, sia che da bravi contadini non si fidassero che delle loro stesse braccia, e le loro mogli venivano a tur- no a portare da mangiare. Ma ogni volta che riuscivano a concludere tanto bene il loro lavoro da issare un ciuffo d’erba sul tetto, il vento della notte e le streghe della montagna rovesciavano la loro torre proprio come Dio fece crollare Babele. Ci sono buone ragioni sì perché una torre non si regga in piedi, e si può incolpare l’inettitudine degli operai, la cattiva volontà del ter- reno e l’insufficienza del cemento che tiene insieme le pietre. Ma i contadini serbi, albanesi o bulgari non attribuiscono a questo disastro che un’unica causa: sanno che un edificio crolla se non si è preso cura di chiudere nelle fondamenta un uomo o una donna il cui scheletro sostenga fino al giorno del Giudizio Universale quella pesante carne di pietre. Ad Arta, in Grecia, si mostra un ponte in cui fu murata una ragazza: qualche filamento dei suoi capelli esce da una fessura e pende sull’acqua come una pianta bionda. I tre fratelli cominciarono a guardarsi con diffidenza e facevano attenzione a non proiettare la loro ombra sul muro incompiuto perché è possibile, in man- canza di meglio, chiudere in un edificio in costruzione quel nero prolun- gamento dell’uomo che potrebbe corrispondere alla sua anima. E l’uomo la cui ombra viene imprigionata così, muore come un disgraziato colpito da una pena d’amore. La sera ognuno dei tre fratelli si sedeva dunque il più lontano possibile dal fuoco, per timore che qualcuno gli s’avvicinasse silen- ziosamente alle spalle, gettasse un sacco di tela sulla sua ombra e se la por- tasse via semistrozzata, come un piccione nero. Il loro ardore per il lavoro languiva, e a bagnare di sudore la loro fronte bruna non era più la stanchezza ma l’angoscia. Finalmente, un giorno, il primogenito riunì intorno a sé i fratelli più giovani e disse: «Fratelli miei di sangue, di latte e di battesimo, 18 Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
fratellini miei, se la nostra torre resta incompiuta i Turchi si insinueranno di nuovo sulle rive di questo lago, dissimulati dietro le canne. Violenteranno le ragazze della nostra fattoria; ci bruceranno nei campi la promessa del pane futuro; crocifiggeranno i nostri contadini agli spauracchi dei frutteti, che così saranno ghiotta preda dei porci. Fratellini miei, noi abbiamo bisogno gli uni degli altri. Non si può chiedere al trifoglio di sacrificare una delle sue tre foglie, ma ognuno di noi ha una moglie giovane e forte, con le spalle e una bella nuca abituate a portare fardelli. Non prendiamo decisioni, fratelli: lasciamo scegliere al Caso, questo simulacro di Dio. Domani, all’alba, noi prenderemo per murarla viva nelle fondamenta della torre quella delle no- stre donne che verrà a portarci da mangiare. Vi chiedo soltanto il silenzio di una notte, o miei fratelli più giovani, e guardiamoci dall’abbracciare con troppe lacrime e sospiri quella che, dopo tutto, ha due possibilità su tre di respirare ancora al tramonto». Il resto della storia è struggente, e non solo perché conduce al sacri- ficio di una donna, che aveva diritto a vivere e a godere ancora a lungo del- la vista del suo bimbo ancora bisognoso di essere allattato; quel che rende ancor più patetico il suo destino è la perfidia umana, attiva in uomini senza scrupoli, che, pur sotto la giustificata urgenza di raggiungere un fine supe- riore, subdolamente ‘addomesticano’ il caso (quel caso che pure dovrebbe essere cieco e imperscrutabile) e danno stabilità alla torre conferendo, an- tifrasticamente, una spietata precarietà alla vita di una giovane donna, resa ancor più indifesa dal preventivo assassinio perpetrato, a danno di suo mari- to, dai fratelli di quest’ultimo. Il mito, quello classico, insegna che tra fratelli (si pensi ad Atreo e a Tieste), entrambi aspiranti al potere (o al trono), a nulla servono i vincoli di sangue: sulla legge di natura in questo mito dei Pe- lopidi ha la meglio il desiderio di comando, così come accade nella vicenda mitica di Romolo e Remo, la cui gemellarità faceva ancor più da elemento detonatore nel far scoppiare la rivalità e, di conseguenza, il bisogno dell’e- liminazione di colui che era troppo ‘uguale’ all’altro per poter continuare a contendergli il primato. Qui, come nella novella appena in parte ricordata, si ripete lo stesso ineludibile e tragico schema che subordina alla pratica di un sacrificio umano (anche qui della cerchia famigliare) la saldezza e la resistenza di una fondazione. Il modo stesso con cui Livio racconta il rito che porta alla fondazione di Roma non lascia dubbi sulla copresenza, in un atroce fatto di sangue, di un doppia ‘fondamentale’ istituzione, quella della nascita di una città e quella della conquista del potere. “Affidato così a Numitore lo Stato albano, Romolo e Remo” - annota Tito Livio - “furono presi dal desiderio di fondare una città in quei luoghi in cui erano stati esposti ed allevati. Sovrabbondava infatti la popolazione degli Albani e dei Latini, e ad essi per di più si erano aggiunti i pastori, sì che tutti senz’altro speravano che sarebbe stata piccola Alba, piccola Lavi- nio, in confronto con la città che si voleva fondare. S’insinuò poi tra queste considerazioni quel male ereditario che è la cupidigia di regnare, e in con- seguenza di ciò nacque l’indegna contesa originata da motivi futili. Poiché Università degli Studi di Foggia 19
erano gemelli, e non valeva dunque come criterio risolutivo il rispetto dovu- to all’età, affinché gli dèi sotto la cui protezione erano quei luoghi indicas- sero con segni augurali (auguriis) chi doveva dare il nome alla nuova città, chi dopo averla fondata doveva regnarvi, Romolo, per prendere gli auspici (ad inaugurandum), occupò come luogo d’osservazione il Palatino, Remo l’Aventino. Si dice che a Remo apparvero come segno augurale (augurium) sei avvoltoi; e poiché, quando ormai l’augurio era stato annunziato (nun- tiato augurio), se n’erano offerti alla vista di Romolo il doppio, le rispettive schiere li avevano acclamati re entrambi: gli uni pretendevano d’aver diritto al regno per la priorità nel tempo, gli altri per il numero degli uccelli. Ve- nuti quindi a parole, dalla foga della discussione furono spinti alla strage; fu allora che Remo cadde colpito nella mischia. E’ più diffusa tradizione che Remo, in atto di scherno verso il fratello, abbia varcato con un salto le nuo- ve mura; che per questo egli sia stato ucciso da Romolo infuriato, il quale, inveendo anche con le parole, avrebbe aggiunto: «Così d’ora in poi peri- sca chiunque altro varcherà le mie mura!». Pertanto Romolo ebbe da solo il potere; fondata la città, essa ebbe nome dal suo fondatore. Innanzitutto fortificò il Palatino, dov’egli era stato allevato, poi offrì sacrifici: agli altri dei sacrificò seguendo il rito albano; ad Ercole sacrificò secondo il rito greco, seguendo quanto era stato istituito da Evandro”. Il racconto fatto da Livio, al di là di qualche - solo apparente - inge- nuità e oggettività, si rivela una formidabile e istruttiva lezione di storia del costume, del pensiero e della religione nel mondo romano, una lezione che ha i suoi punti fermi e duraturi nella lessicografia e nella annessa mentalità, quella mentalità che fa da solido ancoraggio a vocaboli, che, pur così simili ai nostri attuali dal punto di vista morfologico, se ne distanziano poi così tanto dal punto di vista semantico. Il fatto che la contesa sia avvenuta fra due gemelli è giustamente ‘il debito’ che si doveva pagare in nome della nascita di una società gerar- chizzata, dove due individui biologicamente e sociologicamente simili non potevano di certo coesistere. In piena coerenza con una concezione antica, che vedeva nella nascita gemellare un evento come minimo stupefacente, se non addiriturra inquietante, la sopravvivenza di entrambi finiva per costitu- ire insomma una inaccetabile contraddizione con la previsione della nasci- ta di una società, dove di rigore doveva necessariamente configurarsi una netta differenziazione fra il detentore del potere politico e gli altri membri della comunità. Il gesto stesso di Remo è una palese minaccia nei confronti dell’atto e del senso della fondazione della città voluta da Romolo: attraver- sando il muro di cinta, Remo simula o, se si vuole, anticipa fin troppo quel- lo che potrebbe (e non deve) avvenire, ossia che una popolazione nemica abbatta quella città o ne annulli l’esistenza: di qui la necessità di ‘trovare’ una vittima sacrificale all’atto della fondazione, una vittima che funga come una sorta di memento o di exemplum idoneo a distogliere chiunque abbia in futuro quella maledetta intenzione. Rispetto alla ‘ingenua’ versione che deresponsabilizza Romolo dal 20 Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
reato di fratricidio e che attribuisce alla confusione di una strage e ad una mano anonima (a meno che non si creda che sia quella del centurione Ce- lere) l’assassinio di Remo, lo scontro fra i due fratelli, qual è veicolato dalla tradizione preferita da Livio, permette di creare il ponte fra la necessaria violenza legata alla fondazione e la conseguente istituzione di una sacralità che incanala l’assassinio in un evento rituale e fa dell’assassino un eroe; è successo insomma che il sacrificio, in quanto capace di arginare ed orien- tare la violenza istintiva e selvaggia, si configura come il primo atto di una civiltà con delle regole, dei riti e delle istituzioni, insomma con una sua cul- tura. Non è un caso che il primo atto compiuto da Romolo sia quello di ripe- tere o, più semplicemente, di fare sacrifici agli dèi, attivando un processo di sostituzione anch’esso fondamentale, quello che vedeva offrire alle divinità un sacrificio comprendente vittime animali, anziché vittime umane. La stes- sa cerimonia che racconta le fasi della fondazione vera e propria di Roma, così come è raccontata da Ovidio, introduce in un contesto in cui la vicenda di Remo, per quanto purgata dal suo atto di derisione e di contestazione dell’operato del fratello, appare ormai inserita nella nascente vita di una cit- tà, che istituzionalmente pone le basi per il rispetto delle leggi e per l’osser- vanza delle pratiche cultuali: “Si scava un fossato sino a trovare la pietra”, - questo il racconto di Ovidio - “si gettano biade nel fondo, e si porta terra dal vicino suolo; si riempie di zolle il fossato; colmatolo, vi si erige un altare, e quel nuovo focolare fa bene il suo ufficio con la ardente fiamma. Poi, pre- mendo la stiva, Romolo traccia con un solco le mura; trascinano l’aratro una vacca bianca e un niveo bue. Queste le parole del re: «Assistetemi, o Giove, nel fondare la città, e tu, o padre Marte, e tu, o madre Vesta! Volgete a me la mente voi tutti, o dèi, a cui è pio rivolgere l’invocazione! La mia opera sorga con il vostro auspicio (auspicibus vobis). Duri a lungo la sua potenza sul mondo conquistato e siano a lei sottomessi l’Oriente e l’Occidente». Egli pregava, e Giove espresse l’augurio con un tuono a sinistra, e scagliò un fulmine dalla parte sinistra del cielo. I cittadini, lieti del presagio (augurio laeti), gettano le fondamenta, e in brevissimo tempo già sorgevano le nuove mura. Affrettava l’opera Celere, che Romolo aveva chiamato e a cui aveva detto: «Quest’impresa si compia a cura tua. Bada che nessuno oltrepassi le mura e il fosso scavato dal vomere; se qualcuno osasse tale gesto, mettilo a morte». Ignorando ciò, Remo prese a disprezzare le umili mura e a dire: «Sarà sicuro il popolo al riparo di esse?» E senza indugio le supera d’un balzo: Celere con la marra abbatte il temerario, che ora insanguinato preme la dura terra”. E’ indubitabile, d’altronde, che a dirimere l’agone fra i due preten- denti il titolo di rex, secondo la ricostruzione della fonte per cui di volta in volta si opta (Livio o altri scrittori greci e latini poco importa), fu senz’altro la volontà divina, quella volontà che, sollecitata e indirizzata verso una se- zione del cielo, ebbe poi modo di manifestarsi per il tramite del volo degli avvoltoi. In tutta questa fase di preparazione e di analisi dei modi con cui la divinità pretende di rendere nota la propria volontà, ha modo di esplicarsi la Università degli Studi di Foggia 21
strategia religiosa con cui i Romani intercettavano il consenso dei celesti e ne vedevano il riflesso nell’azione che essi andavano ad intraprendere, atto di fondazione o di inaugurazione compreso. Nel frangente è proprio il les- sico usato dai latini e il sottile ‘distinguo’ da essi imposto alle varie espres- sioni della nomenclatura adoperata a indurci a credere che essi abbiano dato vita ad un linguaggio tecnico, che già ai loro tempi si era comunque evoluto raggiungendo ulteriore forma di specializzazione, prima di giungere fino a noi quasi del tutto privo dei necessari riferimenti a quegli elementi con- creti o astratti che costituivano la base della loro fede e del loro dialogo con gli dèi. Il fatto che Romolo e Remo si siano divisi i luoghi, da cui guardare verso il cielo e apprendere - riconoscendo i segni inviati dagli dèi - il consenso dato ad ognuno di loro, è il primo indizio di una meti- colosa e puntuale ricerca di spazi dedicati all’osservazione dei presagi. Val la pena entrare in questo fondo arcaico del linguaggio reli- gioso dei Romani per cogliervi quel principio di cautela che sarà poi il segno distintivo di quella popolazione; vale altrettanto la pena seguire, nella circostanza, un vero esperto di storia della lingua latina quale fu Marco Terenzio Varrone. “Sulla terra” - scrive Varrone, de lingua Latina - “si chiama templum il luogo delimitato con determinate formule al fine di trarvi i presagi o prendervi gli auspici (in terris dictum templum locus augurii aut auspicii causa quibusdam conceptis verbis finitus). Le parole della formula non sono dappertutto le stesse. Quella usata sulla Rocca è la seguente: «Templi e luoghi augurali per me siano quelli dentro i con- fini che io con la mia lingua indicherò nel modo rituale. Per l’appunto quell’albero lì, di qualunque genere sia, che io intendo da me indicato a sinistra sia per me templum e luogo augurale. Per l’appunto quell’albero lì, di qualunque genere sia, che io intendo da me indicato a destra sia per me templum e luogo augurale. Lo spazio racchiuso fra questi punti ho inteso realmente indicare nel modo rituale per direzione, visione e intuizione della mente»”. Nella loro visione dei rapporti fra volta celeste e sede terrena, dunque, per i Romani il circoscrivere il templum sulla terra equivale- va, a livello speculare, ad aver individuato e circoscritto il corrispettivo spazio celeste in cui rintracciare i segni inviati dalla divinità grazie al ricorso agli avvoltoi. A chiarire meglio il processo mentale dei latini può servire la citazione del rituale osservato allorché si trattò di nominare re di Roma Numa Pompilio. Teste Livio, “quando i senatori decisero per il suo nome e lo mandarono a chiamare, Numa volle che, come Romolo nel fondare la città aveva assunto il potere dopo aver preso gli augùri (augu- rato), anche per lui si consultassero gli dèi. Condotto quindi sulla rocca da un àugure (ab augure), che da allora in segno di onore ebbe sempre quella carica sacerdotale, si sedette su una pietra, rivolto a mezzogior- no. L’àugure prese posto alla sua sinistra, col capo velato, tenendo nella mano destra un bastoncino ricurvo, senza nodi, che fu chiamto ‘lituo’. 22 Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
Quando, poi, rivolto lo sguardo alla città e alla campagna, e invocati gli dèi, ebbe delimitato le zone da oriente ad occidente, e proclamate fauste quelle verso mezzogiorno, infauste quelle verso settentrione, fissò men- talmente il punto più lontano cui poteva spingersi lo sguardo; allora, passato il lituo nella mano sinistra e posata la destra sul capo di Numa, così pregò: «Giove padre, se è destino che questo Numa Pompilio, di cui io tocco il capo, sia re di Roma, daccene segni sicuri entro i limiti che ho tracciato». Enumerò gli auspici (auspicia) che desiderava gli fossero in- viati. Quando li ebbe ricevuti, Numa, proclamato re, discese dal recinto augurale (de templo descendit)”. Sarebbe comunque da ingenui, nell’avventurarsi all’interno della selva degli atti cultuali che costituiscono il sostrato più certo della teologia romana, il prescindere dal tener conto di un tratto assolutamente distinti- vo che caratterizza il loro rapporto con la rappresentazione che essi hanno della divinità: questo vale sia per l’organizzazione dei singoli gesti che pre- suppongono l’intavolarsi di ‘trattative’ con gli dèi dai quali si aspettano la conferma della bontà dell’iniziativa intrapresa, sia per la mai accantonata in- tenzione di ‘dirigere’ la volontà divina o, se si preferisce, di incalanarla lun- go il binario da loro stessi desiderato, per non parlare di alcune prescrizioni così meticolose e arzigogolate da non essere poi facilmente decifrabili, nel tempo, nemmeno da loro stessi. Un esempio, a quest’ultimo proposito, è costituito da una coppia di vocaboli che talvolta figura nei testi così forte- mente appaiata da dare l’impressione di essere una coppia sinonimica: sto alludendo a vocaboli come auguria e auspicia, vocaboli che d’altronde con qualche leggera modifica ricorrono nel nostro linguaggio ‘beneaugurante’. Su auguria e la connessa famiglia di derivati mi soffermerò fra poco; a pro- posito di auspicia, vale appena la pena ricordare che, quando noi usiamo ad esempio l’espressione “sotto i migliori auspici”, non siamo affatto reduci dall’aver avvistato uccelli, poco importa se avvoltoi o aquile. Eppure i Latini avevano da subito costruito il termine sulla base di ‘aves’ (“uccelli”) e di *specio (“io vedo”), vocabolo non registrato nelle fonti a noi giunte nell’a- spetto morfologico appena riportato, ma di fatto risultante come incorpo- rato in verbi ben attestati come aspicio, respicio, conspicio, inspicio, etc. Peraltro, essi stessi avevano poi ipotizzato una sorta di ‘distinguo’, allorché si trattava di dedicarsi all’avvistamento di volatili per decifrare l’eventuale predisposizione degli dèi ad assecondare i progetti degli uomini: sicché, a loro dire, si doveva chiamare augurium quello che volutamente si richiede agli dèi e che si traduce nell’apparizione di ben determinati uccelli; auspi- cium invece è confinato a indicare l’avvistamento di qualsiasi uccello, senza che ci sia stata una precisa richiesta alla divinità perché si manifestasse; non solo: per i Romani gli auguria si possono trarre solo in patria e in precisi àmbiti spaziali; gli auspicia, invece, il cittadino li può trarre anche quando è all’estero. Alla base di augures e di auguria, oltre che del verbo latino inaugurare, c’è sicuramente la stessa radice presente nel verbo latino augeo (“aumentare, Università degli Studi di Foggia 23
accrescere”), imparentato a sua volta con un antico astratto *augos/*augus, che era chiamato ad indicare non tanto l’idea dell’accrescersi quanto il risulta- to di questa azione, ossia l’avvenuto aumento e per espansione l’essere in atto della forza. L’augurium, in questa prospettiva e nel momento stesso in cui si esplica in previsione di un fatto straordinario quale può essere la fondazione di una città, è esso stesso impregnato e carico di *augus; anzi ne è talmente do- tato da ‘sprizzare’ potenza da ogni poro e da meritare l’aggettivo di augustus: “Septingenti sunt paulo plus aut minus anni / augusto augurio postquam in- clita condita Roma est” dirà Ennio in un celeberrimo passo dei suoi Annales; il fatto che poi la denominazione di augustus sia stata trasferita ad Ottaviano ha semplicemente segnato il distacco del lessema dall’ambito religioso per servire a connotare un individuo dotato di una qualità altamente foriera di successo e di potenza. Il Romano d’un tempo, insomma, aveva una aspirazione, quella di conferire e quindi di reperire una siffatta ‘pienezza’ (di forza) in tutte le azioni o i meccanismi che poneva in essere; era altresì consapevole che non bastava la sua aspirazione a ‘riempire di forza’ il suo atto e che a tal fine era indispensabile l’apporto della divinità; ed è per questo motivo che egli si attrezzò, attraverso procedure e tecniche di relazione con il sacro, per scoprire se gli dèi avessero accettato di introdurre ‘la pienezza’ nelle cose programmate dagli uomini e se pertanto avessero attribuito ai loro proget- ti la tanto ‘auspicata’ condizione di successo: di qui l’importanza dell’arte augurale, coincidente di fatto con una raffinata tecnica di consultazione. L’augur (inizialmente vocabolo di genere neutro), a sua volta, per poter passare ad indicare l’addetto alla succitata consultazione [scopo dell’àu- gure è riconoscere che gli dèi hanno introdotto nei contingenti referenti della vita religiosa, economica e militare la pienezza della forza sacra, della forza riproduttiva e della forza offensiva/difensiva funzionale a svolgere al massimo grado le prerogative richieste], ha finito per cedere la sua primi- tiva accezione al termine augurium, che pertanto all’inizio ha dovuto si- gnificare l’atto di augurare, ossia di trasmettere o di scoprire in un essere vivente o in una cosa “la pienezza”, quella appunto che i Latini chiamavano *augos/*augus e che loro stessi fiduciosamente ambientavano nella pratica della inauguratio. E’ dunque l’inauguratio la cerimonia deputata per l’appunto a deci- frare e a comunicare l’avvenuta conferma del successo dell’iniziativa in atto, un successo - com’è facile ora comprendere- non solo auspicato, ma punti- gliosamente accarezzato, inseguito, costruito e pertanto meritato. * Prof. Giovanni Cipriani Ordinario di Lingua e Letteratura Latina Dipartimento di Studi Umanistici, Lettere, Beni Culturali, Scienze della Formazione Università degli Studi di Foggia 24 Inaugurazione anno accademico 2013 / 2014
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