30 ANNI 50 ANNI FA - Sport Tribune Magazine
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
MIL E ANO C A LC I O C I T Y > 3 2 PAG I N I N S E R TO S P E C I A L E • 30 ANNI 50 ANNI FA 100 ANNI DELL’UNION BERLIN IL CATANIA DI GIANNI SENZA IL MURO DI MASSIMINO BRERA
IN D ICE EDITOR IN CHIEF Simone Stenti s.stenti@soccerillustrated.eu GRAFICO Federico Achilli SOCIAL MEDIA Federica Visconti Alice Zanfardino SEGRETERIA Laura Mandelli RESPONSABILE DI TESTATA PENSIERI > 05 Simone Marchini s.marchini@belviveremedia.com STORIA BRERA 100 > 06 UFFICIO TRAFFICO Franca Ghetti f.ghetti@belviveremedia.com ABBONAMENTI info@belviveremedia.com TESTI Nicola Calzaretta Francesco Caremani Gino Cervi PROSPETTIVE COLORED BOYS > 10 Bruno Cianci Egle Priolo Alessandro Riccini Ricci TERRITORI ISTANBUL > 14 Domenico Valli Giuseppe Wrzy ILLUSTRAZIONI Massimiliano Marzucco Massimiliano Aurelio Osvaldo Casanova EDITORE Bel Vivere srl Corso Colombo 9, 20144 MIlano SPECIALE MILANO CALCIOCITY > 20 T. 02 833112111 www.belviveremedia.com info@belviveremedia.com CHAIRMAN Diego Valisi d.valisi@belviveremedia.com TERRITORI UNION BERLIN > 52 ASSISTANT PUBLISHER Patrizia Zerbo p.zerbo@belviveremedia.com STAMPA Rotopress International srl Via Brecce – 60025 Loreto (AN) T. 071 9747511 PROTAGONISTI BANGLADESH DAY > 56 Via E. Mattei, 106 – 40138 Bologna T. 051 4592111 WEBSITE sportribune.it/soccerillustrated MITI MASSIMINO 50 > 60 FACEBOOK @soccerillustratedmagazine INSTAGRAM @soccerillustratedmagazine_ita Illustrazione cover di MASSIMILIANO MARZUCCO Registrazione al tribunale di Milano Nessuna parte della pubblicazione può essere riprodotta in qualsiasi forma rielaborata con l’uso di sistemi elettronici senza l’autorizzazione dell’editore. n.366 del 20/12/2017 Testi, fotografie e disegni: riproduzione vietata. Qualsiasi tipo di materiale inviato in redazione, anche se non pubblicato, non verrà in alcun modo restituito. Tutti diritti riservati. Tutte le immagini contenuta in questo progetto sono a puro scopo illustrativo e tutti i diritti appartengono ai rispettivi autori. 3
PENSIERI EDITORIALE Coabitazione alla Parole di SIMONE STENTI Con un colpo a sorpresa il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, alla nostalgia trasferendosi allo Stade de France. ha messo in vendita il Meazza: 70 milioni di euro. Quest’estate Insomma, entrambi gli schieramenti hanno ampie l’Atlético Madrid ha acquistato Joao Felix per 126. I 19 anni argomentazioni a sostegno. La questione che sembra risolta del campioncino sono stati valutati circa il doppio dei 90 però è la condivisione dello stesso stadio per le due squadre della Scala del Calcio. Nonostante un prezzo a prima vista milanesi. Comunque andrà si resterà assieme. Una fedeltà accessibile, in questo tira e molla con gli attuali inquilini, Inter coniugale che non si registra fuori dai confini nazionali, e Milan, San Siro sembra davvero destinato alla demolizione. dove invece anche a Roma, Genova e Verona si persiste Come in tutte le vicende complesse, bisogna saper prendere a vivere sotto lo stesso tetto. le distanze dalle ragioni del cuore, altrimenti diventa Senza arrivare al parossismo londinese (vado a memoria, inconcepibile la rinuncia a un impianto che sulle sue storiche ma conto almeno 14 stadi nelle varie leghe), a Madrid rampe esibisce dieci Coppe dei Campioni. e Barcellona non ci pensano neanche di giocare i derby Il Real Madrid ha dato il via alla ristrutturazione del Bernabeu, sullo stesso campo. A Monaco ci avevano provato all’Allianz impianto per molti versi simile al Meazza. La scorsa primavera Arena, ma poi ci ha pensato il Monaco 1860 a implodere il Cda dei Blancos ha dato l’okay a un prestito monstre e a trasferirsi al Grünwalder Stadion. A Parigi il problema di 575 milioni che lo porterà a vantare uno stadio ai confini neanche si pone, visto che a fronte del solo PSG la capitale della fantascienza. vanta due stadi cinque stelle. In Inghilterra, la patria delle tradizioni calcistiche, invece A Milano sembra invece che anche l’eventuale nuovo stadio non ci hanno pensato un attimo a demolire gli storici Wembley, sarà in coabitazione. Basta un solo impianto a una metropoli? White Hart Lane e Highbury per dar spazio a impianti nuovi, Per il calcio sì, lo dimostra la storia. Ma negli stadi non si gioca più funzionali e meno impattanti su abitazioni e cittadini. soltanto a pallone. Con un impianto di proprietà, la città rischia A suo modo, pur senza demolire lo storico Parco dei Principi, di rimanere senza riferimenti per concerti ed eventi. anche a Parigi la Nazionale francese ha saputo rinunciare Questa tuttavia non è materia per i club. 5
S OCCER IL LUSTRAT E D FUCARLO CENTENNALE Da Peppino Meazza e Valentino Mazzola, da Pelè a Schiaffino, fino all’abatino Gianni Rivera, con cui la polemica tenne banco per un ventennio. Anche se poi ammise: «Non fosse stato grande, Rivera non mi avrebbe dato la minima noia: I CAMPIONI DI non mi sarei accorto di lui». A cent’anni esatti dalla sua nascita, ripercorriamo le passioni pedatorie di Gianni Brera. Nella sua cinquantennale carriera di scriba sportivo, quale sarà stato il primo grande calciatore che gli si è parato dinnanzi in tutto lo splendore tecnico-atletico? Chi per primo ne avrà suscitato l’ammirazione critica ma soprattutto gli estri inventivi GIOÂNN da gran fabulatore del «gioco più bello del mondo»? Peppin Meazza o gli uruguagi del Bologna che tremare il mondo facevano (Andreolo, Sansone, Fedullo e «testina d’oro» MASSIMILIANO MARZUCCO Puricelli)? Gli juventini dei cinque scudetti consecutivi nei primi cinque campionati degli anni Trenta (Gianpiero Combi, Rosetta e Caligaris, Luisito Monti e Mumo Orsi, Giovannino Ferrari o Renato Cesarini, altro talentuoso oriundo, marchigiano- argentino, quello che anni dopo alla Juve portò El Cabezon Illustrazione di Sivori)? O per uscir di frontiera Matthias Sindelar, il Mozart del calcio, l’incantatore di attaccanti Ricardo Zamora, l’universale György Sarosi ungherese-triestino, o infine il diamante nero brasiliano Leônidas da Silva, l’inventore dell’em bycicleta, la sforbiciata con salto mortale all’indietro? Ma negli anni Trenta, Giovanni Brera, detto Gianni, anzi Gioânnbrerafucarlo, come amava firmarsi, nato cent’anni esatti fa (8 settembre 1919) a San Zenone Po, Bassa pavese, dove GINO CERVI il torbido Olona si getta nelle acque ancor più torbide del Gran Fiume Padano, era un giovane studente liceale a Pavia Parole di e se scriveva di calcio lo faceva soltanto sulle pagine di giornali > pg. 8 6
S OCCER IL LUSTRAT E D locali, o al massimo su quelle del Guerin Sportivo come cronista del «catenaccio»; ovvero di quella disposizione tattica tesa prima di partite di categorie minori accanitamente disputate di tutto a contenere gli attacchi avversari, che vengono invitati su sperduti campetti della provincia tra Lombardia, Piemonte a scoprirsi in difesa in modo da essere poi puniti con rapidi e Liguria. E all’epoca, per vedere all’opera un calciatore, l’unico capovolgimenti di fronte: difesa e contropiede, gli assiomi modo era andare alla partita. Niente Tv, né tanto meno YouTube. della teoria difensivista della scuola all’italiana. A dire il vero, un fuoriclasse del football d’anteguerra il giovane Gianni l’aveva incontrato da vicino. Era Adolfo Baloncieri, alessandrino figlio di emigrati in Argentina, dove a inizio Novecento imparò l’arte del fùtbol, prima di tornare a casa a mostrare mirabilie nel campionato italiano del primo dopoguerra, con la maglia dei grigi e poi soprattutto col Torino. Terminata la carriera, Adolfo fu gran pedagogo e allevò stuoli di giovani calciatori prima coi granata (i Balon Boys) e poi a Milano, sponda rossonera. Quando Baloncieri allenava il Milan, Brera quindicenne era tra gli allievi, assieme all’amico e coetaneo Luigi Bonizzoni, poi lui stesso allenatore rossonero dello scudetto 1958-59. In una forse un poco leggendaria ricostruzione autobiografica si descrive come promettente centromediano di buona tecnica e impostazione, poco propenso al vigore atletico: insomma, lui stesso, un abatino ante-litteram. Ma Brera avrà certo potuto ammirare, da spettatore all’Arena Civica, le evoluzioni di Peppino Meazza, che celebrerà in un inarrivabile epicedio in occasione della sua scomparsa nell’agosto del 1979 dal titolo Meazza era il fòlber, primo suo pezzo su Il giornale di Indro Montanelli. «Grandi giocatori esistevano al mondo, magari più tosti e continui di lui, però non pareva a noi che si potesse andar Quello a cui più sta a cuore a Brera è la geometrica armonizzazione oltre le sue invenzioni improvvise, gli scatti geniali, i dribbling delle distanze tra i reparti e, nei singoli, l’attitudine all’abnegazione perentori e tuttavia mai irridenti, le fughe solitarie verso atletica, in forma di corsa e di tenuta nel contrasto all’avversario. la sua smarrita vittima di sempre, il portiere avversario». Chi a queste caratteristiche sa combinare anche una raffinata tecnica Dopo gli studi (liceo scientifico Taramelli e laurea in Scienze di base, è il suo campione perfetto. Lo è, ad esempio, Pepe Schiaffino, politiche a Pavia) e dopo la guerra passata post 8 settembre leader della nazionale uruguagia che Brera ammira ai Mondiali tra i partigiani dell’Ossola, Brera entra nella Gazzetta dello Sport, del 1954 in quella che, a suo dire, fu la più bella partita dove però si occupa dapprima soprattutto di atletica leggera a cui avesse mai assistito: la semifinale tra la Celeste e la grande e di ciclismo. Gli straordinari reportage sull’altrettanto Ungheria di Puskás. Vinsero i magiari, ma in quell’occasione Brera strabiliante vittoria di Fausto Coppi al Tour del 1949 gli valgono celebrò in questo modo il Pepe. «Forse non è mai esistito regista l’incarico a co-direttore dalla Rosea a soli trent’anni. di tanto valore. Schiaffino pareva nascondere torce elettriche Il campione di football per eccellenza in quegli anninon poteva nei piedi. Illuminava e inventava gioco con la semplicità che è propria che essere Valentino Mazzola, anima e capitano dei grandi. Aveva innato il senso geometrico, trovava la posizione quasi del Grande Torino. d’istinto […]. Schiaffino è rimasto nella mia memoria come uno dei massimi facitori di gioco mai conosciuti: ogni suo appoggio SCHIAFFINO È RIMASTO accendeva la luce. Giocava benissimo in difesa e in attacco: quando occorreva sapeva anche goleare.» Come accadde nella finale NELLA MIA MEMORIA COME del 1950, quando il Pepe fu tra gli artefici del Maracanazo ai danni dei brasiliani, sconfitti in casa propria dagli uruguagi. E poi, altro UNO DEI MASSIMI FACITORI inarrivabile archetipo del football secondo Brera, fu Alfredo Di Stefano, tuttocampista argentino – ma di origini italiane, capresi DI GIOCO MAI CONOSCIUTI: per la precisione – che fece grande il Real Madrid tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. A proposito di «Saeta Rubia», questo OGNI SUO APPOGGIO il soprannome di Di Stefano, Brera ricorda un aneddoto di quando il fuoriclasse argentino giocava nei Millionarios colombiani: ACCENDEVA LA LUCE. «Un giorno Pedernera, ineguagliato bombardiere bonaerense, vide Alfredo fare qualcosa del genere: tornare nella propria area, conquistare palla, scambiare con il mediano e chiedere triangolo, riprendere palla, «Era un traccagno di piccola statura e tuttavia così dotato correre a distese falcate verso la porta avversaria, toccare in corsa senza atleticamente da strabiliare. Scattava da velocista, correva sbilanciarsi di un ette, chiedere di nuovo triangolo e balzare sulla palla da fondista, tirava con i due piedi come uno specialista per sparare imparabilmente in rete. […] Visto in azione quel mostro del gol, staccava e incornava con mosse da grande acrobata, di abilità e di fondo atletico, Pedernera gli andò vicino e gli disse: Ohei recuperava in difesa, impostava l’attacco e vi rientrava spesso ragazzolo, di questo passo tu rovinerai il mestiere a todos, e voleva dire per concludere. Era insieme regista e match-winner». che facendo con tanta abilità quelle prodezze, in fondo sminuiva Ma Brera, a differenza di molti colleghi, approccia il tema il calcio.» Fondo atletico e tempra agonistica che non riconosceva football con inedite analisi tecnico-tattiche e per quanto invece ad alcuni grandi stilisti del calcio, come Rivera, con cui riconosca l’eccezionalità della formidabile compagina granata per quasi un ventennio accese una polemica che, onestamente, ne indica già i difetti in una propensione al gioco d’attacco una testimonianza come le seguente rivela la parzialità della che, a suo avviso, è mal congeniale alla natura atletica fondatezza. Brera amava Rivera e lo voleva semplicemente diverso e psicologica della squadre italiane. Diventa così teorico da quello che in realtà era. 8
STORIA «Rivera era dotato di grandissima eleganza. In certe pose ed eroica a dispetto delle origini umili: di attesa ricordava il David di Michelangelo. Batteva il destro «Proprio io, tra i primi, l’avevo visto sbozzarsi a fatica con sublime nitore. Aveva il tiro forte, non potente. da un ossuto traccagno del mio paese lombardo. Fasci Non correva al recupero con la dedizione necessaria. Costruiva di muscoli guizzavano imperiosi fuor dell’impianto rozzo da lontano con efficacia rara. […] Avrò criticato Giovannino e quasi greve. Non molti lo capirono e dovette emigrare. Rivera cinquanta volte e lodato cento (come minimo: ma forse Lo fece bellissimo l’esercizio, peraltro scavandolo a vantaggio sono troppo severo con me stesso). Non fosse stato grande, di prominenze decisamente michelangiolesche se non addirittura Rivera non mi avrebbe dato la minima noia: non mi sarei accorto barocche. Nonché esaltarsi di questa nuova realtà della sua vita, di lui come non mi sono accorto di mille e mille mediocri visti egli era fatto cauto dal ricordo di troppe miserie vissute e sofferte in giro per il mondo. Giovannino era un po’ la mia Lesbia. a Leggiuno. Ancor oggi lo vedo sollevarsi da un bulicame confuso Non si spaventi. Catullo, mio poeta latino preferito, aveva e informe di vittime predestinate alla fame e all’umiliazione. un’innamorata con quel nome. Come giornalista sportivo Si è ribellato come usano i romantici e gli eroi, troppo facilmente io ho avuto Giovannino: e bastava il suo minimo sgarro apparentati con quelli. Nel suo viso incavato erano scritti infiniti per infuriarmi. Avrei voluto che conservasse il suo stile ricordi di dolore. Nessun pericolo ha mai potuto arrestarlo. armonioso e disponesse invece di un dinamismo paragonabile Ha sempre considerato possibili le acrobazie più temerarie, a quello di Mazzola padre. Avrei voluto recuperasse per giovare tanto più temibili e pericolose in quanto più vicine all’arcigna alla difesa come sapeva Schiaffino e anche, non dico piaggeria, durezza della terra.» il figlio maggiore del citato Valentino Mazzola. Giovannino Brera, dalla metà degli anni Settanta, iniziò a staccarsi innamorava di sé tutti coloro che, amando il calcio, non stavano lentamente dalla travolgente passione per il calcio, a ragionarci troppo. Molti ingenui milanisti mi tacciavano di cui aveva forse notato prima di altri l’inevitabile di disonestà perché, elencandone i pregi, osavo anche citarne trasformazione antropologica. Si entusiasmò, riconoscendo i difetti: non consideravano, ciechi com’erano, che per dire onestamente i suoi errori critici, alla vittoria dell’Italia di Bearzot sempre quanto pensavo facevo perdere molti lettori (forse loro ai Mondiali del 1982, esaltandosi per la elettrica nevrilità stessi) al mio giornale.» di un campione come Marco Tardelli, centrocampista Per un fuoriclasse come Pelé, Brera scomodò addirittura mai-morto, o per l’olimpica eleganza di Gaetano Scirea o ancora Leopardi per descriverne l’armonia delle movenze in occasione per la fantasia tutta italica di un misirizzi come Bruno Conti, di un suo gol al Benfica in una finale di Coppa Intercontinentale detto Pelasgio. E in fondo trovando in quella vittoria di inizio anni Sessanta. la certificazione delle sue teorie di storia culturale del football, «Guardate Pelè. Dolcechiaré: ha alzato il piedino prensile: per la quale il calcio nazionale si esalta in quella forma di gioco, lanotte: la palla si è fermata al primo contatto e senza vento: difensivo ma al contempo mai rinunciatario. Negli ultimi stanchi ricade ammansita sull’erba: un piedino prensile l’accarezza anni si confrontò polemicamente con l’eretismo podistico mentre l’altro spinge: echetasovraitetti: accorreva un avversario: del Milan di Sacchi che gli sembrava quanto più alieno all’etnos si è coricato come un birillo: tettiposalà: avanza un altro: piroetta; pedatorio nazionale – e infatti era un ibrido batavo-italico – lalùna: ecco un compagno smarcato: oppure, ecco e trovando apprezzamenti forse solo per l’estro pragmatico una nuova battuta di dribbling: si corica il secondo birillo: e lombardo del pais Donadoni. o magari no, questa volta il birillo non si corica e vince il tackle: Manca Brera, in questo centesimo anniversario della sua nascita. Pelè ha sbagliato il dribbling: capita: anch’io ho dimenticato: Non tanto, o non solo per le sue invenzioni linguistiche, sovr’ai tetti e dentro gli orti. Ripetizione: posalalunedì lontàn per le sue aperture culturali che dalle pagine di calcio, e rivèla: ora parte Pelè in progressivo. Serenognì montàgna. o in genere di sport, facevano intuire altri mondi (la storia, Correndo, senza sforzo apparente, ha fissato i bulloni in terra ed ha la letteratura, la cultura materiale) e che a loro modo offrivano scaricato fulmineo la pedata: ha mirato, si è visto: mentre correva ai lettori spunti di nuove curiosità, a volte vere e proprie lezioni ha mirato e battuto a rete. Serenognì montàgna. Punto. Gol.» di umanesimo. Manca soprattutto per l’esempio di onestà L’ultimo grande eroe della pedata a cui Brera sacrificò intellettuale con cui per mezzo secolo svolse il suo lavoro la sua immaginosa penna fu forse Gigi Riva, ribattezzato di cronista, critico e narratore di quella cosa inessenziale Rombo-di-tuono. In lui s’incarnava la sua visione eroica ma irrinunciabile che è il football. del calcio, la forza popolare che si afferma e diventa grande 9
PROSPET TIVE E I FRATELLI MAGGIORI Il primo fu Fabio Liverani. Oggi tocca a Balotelli e al giovanissimo neo-citizen, Moise Kean. La storia dei colored in Azzurro è recente e per nulla comoda. Ma non saranno certo gli striscioni che recitano «Il mio capitano è di sangue italiano» a rallentare una marcia inarrestabile. Parole di Illustrazioni di NICOLA CALZARETTA MASSIMILIANO MARZUCCO Alla domanda politicamente corretta, Fabio Liverani risponde comodo, visto l’infortunio di Albertini e gli acciacchi di Di Biagio. dritto per dritto: «Io il primo calciatore non bianco in nazionale A? La notizia, però, non è questa. Gli aspetti tecnici, nonostante Dite pure il primo di colore». Lo fa con il massimo candore il pragmatismo del Trap, vengono messi in secondo piano rispetto e con la sua curiosa «zeppola» che lo fa scivolare sulla zeta alla novità cromatica relativa al colore della pelle del nuovo di nazionale. debuttante. Con tutte le problematiche che si trascina dietro, Una giocata semplice, ma efficace. Un preciso piatto di prima dagli ululati razzisti in giù per un fenomeno di intolleranza intenzione per lanciare in verticale il centravanti, al netto assurdo quanto purtroppo molto diffuso alle nostre latitudini, di inutili barocchismi. Un tempo di gioco guadagnato e maggiori e non solo. possibilità di arrivare a bersaglio. Ma sì, andiamo al cuore Fabio Liverani, dunque. Primo giocatore di colore in Nazionale A. del problema senza coloranti artificiali, né conservanti dannosi Vero. Per la precisione, primo calciatore cittadino italiano alla salute. Liverani, figlio di padre italiano e madre somala, di colore in Nazionale A. ha la pelle scura. Lo sa e ne è fiero. È nato a Roma, il 29 aprile Nel passato, anni Cinquanta, c’era stato un altro giocatore 1976. Alla vigilia del suo venticinquesimo compleanno il ct. con la pelle scura vestito con l’azzurro della massima selezione: Giovanni Trapattoni, lo chiama in azzurro per un’amichevole. l’attaccante della Fiorentina Miguel Angel Montuori, dodici È il 20 aprile 2001. Fabio è il regista del Perugia di mister Cosmi presenze e due reti, perfino la fascia di capitano una volta. e in quella sua prima stagione di A si è guadagnato Ma lui era un oriundo, giocatore proveniente da altra federazione le attenzioni del Trap che va detto, lo conosce dai tempi comuni calcistica (di fatto uno straniero, argentino nel caso di specie), di Cagliari, lui mister della prima squadra, Liverani promettente ma che godeva della doppia cittadinanza grazie al padre italiano. centrocampista della Primavera. Alla nazionale, in corsa per un Quello degli oriundi è stato un fenomeno molto in voga fino posto per i Mondiali nippocoreani del 2002, un giocatore così fa al 1962 con nomi di big quali Cesarini, Orsi, Guaita e poi Altafini, 11
S OCCER IL LUSTRAT E D Sivori, Sormani. Un fenomeno riaffiorato in epoche recentissime LIVERANI (nella Nazionale campione del mondo del 2006, c’era l’italo- argentino Mauro Camoranesi, giusto per citare il più titolato). Liverani, invece, è il primo colored boy tutto italiano della storia della selezione azzurra maggiore. La cronaca, tuttavia, impone È IL PRIMO di ricordare che nelle rappresentative giovanili, prima dell’attuale allenatore del Lecce, si erano già affacciati altri due calciatori di colore, entrambi difensori: Dayo Oshadogan, nato a Genova il 27 giugno 1976 da padre nigeriano e madre ligure (primo COLORED BOY ragazzo con la pelle nera a giocare per l’Under 21 azzurra con Cesare Maldini commissario tecnico) e Matteo Ferrari, nato in Algeria da padre italiano e madre guineana che, fin dall’età di 15 anni, scelse di rappresentare calcisticamente l’Italia, TUTTO ITALIANO facendo tutta la trafila delle varie Under per poi arrivare al debutto nella Nazionale A nel novembre del 2002, anche lui convocato da Giovanni Trapattoni. Fabio Liverani, quindi. Primo giocatore di colore in Nazionale A. DELLA STORIA Per una incredibile e suggestiva coincidenza debutta il 25 aprile 2001, non una data qualsiasi per la storia della nostra patria. E debutta contro il Sudafrica, paese simbolo nella lotta contro l’apartheid. I corsi e i ricorsi che il calcio, e lo sport in generale, DELLA SELEZIONE amano regalare in ogni tempo e luogo sono ricchi di magia e suggestioni. A quella presenza, con tanto di numero 10 sulle spalle (per la cronaca, vittoria dell’Italia per 1-0), ne seguiranno soltanto altre due. Poi stop per Liverani, il primo AZZURRA uomo di colore sulla luna azzurra. Un passaggio rapido, una meteora nel cielo blu della Nazionale, la cui luce fiammante, però, è riuscita a tracciare una precisa linea di confine aprendo la strada ad una nuova era. Quella caratterizzata dagli italiani MAGGIORE. di seconda generazione, figli di immigrati, ma nati nel nostro territorio e quindi, con il compimento del diciottesimo anno di età, cittadini tricolori a tutti gli effetti. Anche con la pelle nerissima. Un fenomeno sociale nuovo (e tormentato) 12
PROSPET TIVE per l’Italia, anche per quella del calcio, al pari della Germania. progressivamente da quella naturale (con futuri strascichi Una realtà consolidata, invece, per la Francia da sempre polemici). Nel frattempo, cresce anche come calciatore, multietnica e colorata (a caso tra le figurine peschiamo quelle bruciando le tappe grazie ad un talento innato e a una struttura di Marius Tresor, libero della Nazionale del ’78; di Jean Tigana, fisica da paura. Se ne accorge l’Inter che a 16 anni inserisce centrocampista dei blues nel 1982 e dei campioni del mondo il promettentissimo attaccante di colore nel suo vivaio. L’anno Lilian Thuram nel ’98 e Paul Pogba la scorsa estate). Anche dopo il mister Roberto Mancini, uno che di baby se ne intende, l’Inghilterra è un bel pezzo avanti: il primo colored debuttò lo fa debuttare in Prima Squadra. L’escalation da lì è immediata. con la maglia della Nazionale maggiore nel novembre 1978 La nota stonata è che alle giocate di Balotelli in campo, molto (si trattò del terzino del Nottingham Forest Viv Anderson, spesso decisive e spettacolari, si accoppiano anche le variegate origini giamaicane, un giorno ne riparleremo). esuberanze del suo carattere. A 18 anni, intanto, acquisisce Fabio Liverani, si diceva. Dopo di lui, ecco altri giocatori la cittadinanza italiana. Per lui è una svolta decisiva. «Sono dalla pelle nera vestire l’azzurro della Nazionale maggiore. italiano, mi sento italiano, giocherò sempre con la Nazionale Nel 2011 fa il suo debutto il difensore centrale Angelo italiana»: questo il suo voto, deciso e sicuro. Le intemperanze Ogbonna, classe 1988, nato a Cassino da genitori nigeriani. di una personalità complessa, però, non lo aiutano. Né aiutano Lo convoca il ct. Cesare Prandelli, mentre si deve al suo quel processo di integrazione che in Italia appare ancora più successore Antonio Conte la prima chiamata per l’attaccante faticoso, anche nel mondo del calcio. E quando viene proposta Stefano Okaka, anche lui figlio di genitori della Nigeria e nato l’idea di dargli la fascia di capitano in Nazionale, la risposta - Castel del Lago (Perugia) il 9 agosto 1989. maleducata, becera e cattiva - viene affidata ad uno striscione Prima di loro, il 10 agosto 2010, ecco il primo dei trentasei con scritto: «Il mio capitano è di sangue italiano». gettoni azzurri per Mario Balotelli. Il commissario tecnico Adesso è la volta di Moise Kean, l’ultimo arrivato alla corte è Prandelli chiamato a ridare nuova vita all’Italia dopo azzurra (il debutto è datato 20 novembre 2018). Classe 2000, la tremenda delusione dei mondiali del 2010 in Sudafrica «Mosè» è nato a Vercelli da genitori originari della Costa (fuori al primo turno, da campioni del mondo uscenti). d’Avorio. Inserito fin da piccolissimo nelle giovanili dell’Asti, Uno dei tasselli del nuovo puzzle tricolore che Prandelli è transitato nel vivaio del Torino prima di approdare a quello intende ricostruire è rappresentato da questo colosso d’ebano, della Juve. Kean è l’ultimo crack del calcio italiano. Talento puro, venti anni, centravanti rivelazione dell’Inter. ha battuto ogni tipo di record in fatto di precocità. Adesso per lui La storia di Mario è singolare: nato a Palermo il 12 agosto 1990 si sono aperte le porte della Premier League, ottima palestra da una coppia di genitori ghanesi (Barwuah il loro cognome), per la sua completa maturazione, anche in chiave azzurra. dopo tre anni si trasferisce nel bresciano. Qui, per le difficoltà economiche dei Barwuah e seri problemi di salute che lo affliggono, il piccolo Mario viene dato in affido ai Balotelli. È in questo ambito che il bambino si forma, stringendo sempre e più forti legami con la famiglia affidataria, e allontanandosi 13
S OCCER IL LUSTRAT E D Il futbol e la Mezzaluna Dopo dieci anni di assenza dai palcoscenici internazionali, Istanbul è stata scelta dall’UEFA per le finali di Supercoppa Europea e Champions League, ovvero l’apertura e la chiusura di stagione. Una sorpresa inaspettata e meritata per la metropoli del Bosforo. Parole di BRUNO CIANCI 14
TERRITORI Fotografie di GETTY IMAGES La stagione internazionale in corso, com’è noto, ha avuto inizio il già menzionato stadio del Fenerbahçe SK, una polisportiva il 14 agosto scorso con la finale di Supercoppa Europea vinta fondata nel 1907. Il «Fener» è presente in un ampio spettro dal Liverpool al Vodafone Park, la casa del Beşiktaş, e terminerà di discipline sportive e fa del basketbol (la pallacanestro) il prossimo 30 maggio con la finale di Champions League allo il proprio cavallo di battaglia. Non a caso si tratta dell’unico stadio olimpico Atatürk, l’impianto da settantacinquemila posti club turco ad avere vinto l’Eurolega maschile, nel 2017. che nel 2005 fu teatro della più incredibile finale di Champions Gli inglesi, pur se inconsapevolmente, giocarono un ruolo League che si ricordi: il successo ottenuto ai rigori dai Reds importante nella storia di un altro grande club polisportivo (ancora loro) su un Milan straripante, forse un po’ troppo sicuro della città a cavallo di Oriente e Occidente: il Galatasaray SK. di sé, al termine di una rocambolesca rimonta. Fondato nel 1905 su iniziativa di una élite colta e francofona Per la prima volta in sessantacinque anni di UEFA, quindi, di Pera, l’odierno quartiere di Beyoğlu, il club iniziò le attività una stagione si aprirà e si chiuderà nella medesima città, vestendo casacche biancorosse e giallonere prima di adottare nello specifico a Istanbul. Sorprende che il massimo organo la celeberrima bicromia giallorossa. Lo fecero in occasione calcistico europeo abbia operato una scelta di questo tipo: di un incontro disputato alla fine del 1908 contro la selezione già, perché nei dieci anni che hanno preceduto il derby inglese dell’equipaggio di una nave da guerra di Sua Maestà Edoardo dello scorso Ferragosto, la città del Bosforo non aveva ospitato VII, il bisnonno di Elisabetta II. alcun match del calcio che conta, fatta eccezione, naturalmente, Da allora quelli del «Gala» non hanno più cambiato i colori per qualche gara di Champions League giocata dalle squadre sociali. La loro squadra è la più titolata in Turchia: vanta di casa. L’ultima finale di un trofeo UEFA disputata a Istanbul, ventidue titoli nazionali (contro i diciannove del Fenerbahçe, per dovere d’informazione, era stata quella di Coppa Uefa i quindici del Beşiktaş, i sei del Trabzonspor e l’unico vinto del 2009, vinta dallo Shakhtar Donetsk di Mircea Lucescu dal Bursaspor) e per questo è l’unica a fregiarsi di quattro stelle a spese del Werder Brema, partita disputata nello stadio Sükrü sulla maglia. In Turchia, infatti, vengono assegnate Saraçoğlu, che è la casa del Fenerbahçe. Dopo di allora, ogni cinque campionati vinti e non già ogni dieci come in Italia. e così fino alla scorsa estate, il nulla; poi, a sorpresa, il giusto Il Galatasaray, inoltre, è l’unica squadra della Mezzaluna ad aver riconoscimento a una città che impazzisce letteralmente vinto titoli internazionali di rango, nella fattispecie una Coppa per il calcio. Uefa e una Supercoppa Europea, trofei sollevati nel 2000, ai tempi in cui l’allenatore era l’«Imperatore» Fatih Terim PAZZI PER IL FUTBOL (lo stesso di oggi!), mentre le sue stelle si chiamavano Claudio Taffarel, Gheorge Hagi, Emre Belözoğlu, e Hakan Sükür. L’amore degli istanbulioti per il futbol (come lo chiamano loro) Qualcuno, di quella stagione forse irripetibile, ricorderà ha origini antiche ma non antichissime. Pare sia stato un gruppo anche la pagina più deplorevole: l’uccisione per accoltellamento di espatriati inglesi, alla fine dell’Ottocento, a disputare le prime di due tifosi del Leeds, la squadra che il «Gala» incontrò partite di pallone in un’area non lontana da dove oggi si trova in semifinale. 15
S OCCER IL LUSTRAT E D Fotografie di GETTY IMAGES Dal 2011 il Galatasaray gioca nel suo nuovo impianto dall’irresistibile profumo delle polpette cucinate da un ambulante da cinquantaduemila posti, costruito nel distretto finanziario al di fuori dello stadio, lasciò la struttura senza preavviso e assalì di Maslak e collegato alla rete metropolitana attraverso il povero venditore che, coltello alla mano, difese la mercanzia la fermata di Seyrantepe. Come il precedente stadio del 1944, dal rapace fendendo l’aria a sciabolate. demolito per fare spazio a un grande progetto residenziale, Ma le curiosità non finiscono qui. Quando nella primavera 2016 anche la nuova struttura è intitolata ad Ali Sami Yen, storico fu ultimato il nuovo Vodafone Park, che sorge nel medesimo calciatore e allenatore di origini albanesi; in virtù punto in cui si trovava il vecchio stadio Ismet Inönü (in riva di una milionaria sponsorizzazione, però, la denominazione al Bosforo e a pochi passi dal sontuoso palazzo Dolmabahçe, è stata mutata in Türk Telekom Arena. In questo stadio una cornice che non ha eguali al mondo), il presidente che sfonda letteralmente i timpani, nel 2013, la Juventus della repubblica Recep Tayyip Erdoğan decise d’inaugurarlo di Conte subì l’eliminazione dalla Champions League per mano senza pubblico, con un giorno di anticipo sui programmi, degli ex interisti Mancini e Sneijder. Gli italiani, dal canto per evitare d’incorrere nei fischi e negli insulti che la calda loro, scoprirono con somma sorpresa che a Istanbul tifoseria del Beşiktaş, storicamente affine al retaggio del padre può anche nevicare. laico della patria Kemal Atatürk (1881-1938) e del suo vice Se il Galatasaray è la squadra più titolata di Turchia, Inönü, gli avrebbe inevitabilmente riservato. la più antica è il Beşiktaş JK, club fondato nel 1903. Non solo fu la prima squadra della città, ma fu anche la prima dell’allora CALCIO E POTERE Impero ottomano (che cessò di esistere dopo la Prima guerra mondiale) a inserire nel proprio stemma la mezzaluna: com’è Qualche anno dopo il Beşiktaş, anche il Kasımpaşa SK (1921), noto si tratta di un emblema turco per antonomasia, sebbene società attiva nel calcio e nella lotta, un altro sport assai popolare esso abbia origini preislamiche molto più antiche che lo rendono in Turchia, fu autorizzato a fregiarsi della mezzaluna, simbolo ancora più carico di mistero. che è tuttora presente nello stemma sociale di colore blu. Anche il Beşiktaş, la cui maglia storica è simile a quella Il Kasımpaşa deve il nome al quartiere in cui il club fu fondato tradizionale della Juventus, ha per simbolo un’aquila. Per questo, e in cui tuttora ha la sede sociale e lo stadio. L’impianto in occasione di alcune partite casalinghe delle kara kartallar fu teatro nel 2011 di un due a zero dell’Italia under 21 (le «aquile nere»), si svolge un rituale che accomuna questa sui coetanei turchi, con doppietta di Mattia Destro. Vanta società alla Lazio e al Benfica: i giri di campo di un rapace una posizione assai centrale ma ha dimensioni modeste ammaestrato in volo, sotto gli occhi spiritati di una folla (solo quattordicimila posti a sedere) ed è intitolato a Recep in delirio. Qualche anno fa, uno di questi grandi pennuti, attratto Tayyip Erdoğan. A questo punto viene spontaneo domandarsi: 16
TERRITORI come mai un leader notoriamente megalomane e dotato e tre vecchie conoscenze della Serie A: il brasiliano Robinho, di poteri così ampi non ha pensato di intitolarsi un impianto più lo svizzero Gökhan Inler e la «meteora» olandese Eljero Elia. grande, magari lo stadio olimpico che porta il nome di Atatürk, Curiosamente lo stadio, modesto nelle dimensioni (conta appena di cui il conservatore Erdoğan intende cancellare la memoria? diciassettemila posti a sedere), è intitolato a Fatih Terim La risposta è semplice: perché prima di darsi alla politica che non è mai stato l’allenatore di questa squadra né, men e di fondare il partito d’ispirazione religiosa AKP, «Tayyip» che meno, è originario del distretto istanbuliota di Başakşehir, ha tirato i primi calci a un pallone proprio in quel quartiere, essendo nativo della remota città anatolica di Adana. viatico verso la carriera di calciatore professionista A rappresentare la Turchia in Champions League non c’è che l’ha visto raggiungere livelli di tutto rispetto. Proveniente il Başakşehir, che disputa l’Europa League (assieme al Beşiktaş da una famiglia originaria di Rize, una città del mar Nero e al Trabzonspor) nel medesimo girone della Roma. Spetta così orientale, Erdoğan è nativo proprio di Kasımpaşa. Da giovane, al solo Galatasaray il difficile compito di rappresentare il Paese tra le altre attività, ha lavorato come venditore di bibite in un momento di grave difficoltà finanziaria e debitoria e di ciambelle al sesamo, i celebri simit, ma deve al calcio per il movimento calcistico turco. La finale dello stadio olimpico e agli studi in economia e commercio una fetta delle proprie Atatürk sembra essere un miraggio, come del resto sarà per il 94 fortune. Pare che il presidente sia anche tifoso del Fenerbahçe, percento delle squadre che vi stanno partecipando. ma nel corso della sua lunga carriera politica è stato fotografato Per fortuna, però, c’è Istanbul, con la sua bellezza sempiterna con centinaia di sciarpe variopinte al collo: perché per prendere dal fascino orientale, i suoi mille suoni e i suoi profumi di spezie, voti in Turchia, innanzitutto, devi fare breccia nel cuore di caffè e di simit appena sfornati, a tenere alto il vessillo dei tifosi di calcio. della Mezzaluna. E a ricordarci che nella vita, oltre al calcio, Una squadra particolarmente vicina a Erdoğan e ai membri ci sono altre cose belle: come, per esempio, quella grande città del suo partito è l’Istanbul Başakşehir FK. Le affinità sono a cavallo di Oriente e Occidente, già capitale di quattro grandi riscontrabili sia nella natura delle sponsorizzazioni sia imperi (Romano, Bizantino, Latino e Ottomano), che a ventisette nell’arancione e nel blu delle casacche, guarda caso i medesimi secoli dalla sua fondazione non smette ancora di emozionare. colori del partito AKP. Nata per fusione nel 2014, questa squadra è divenuta in brevissimo tempo, grazie a grandi investimenti, un’importante realtà del calcio nazionale. Ha all’attivo due secondi posti in Süper Lig (la massima serie turca), piazzamenti ottenuti nel corso delle stagioni 2016-17 e 2018-19. Tra gli altri, militano oggi in questa squadra la stella Arda Turan 17
N OM E RU BRIC A INSERTO 32 PAGINE SPECIALE STACCABILI - ANTEPRIMA 26 SETTEMBRE - VI ASPETTIAMO AL SOCCER CIRCUS > vedi pagina 30 valdo Casanova Illustrazione Os ND PER UN WEEKE MILANO Nel 1968 Inter e Milan giocarono CAPITALE all’Arena Civica con un’unica maglia contro la Nazionale Militare e il Chelsea. Di quella che ad oggi è l’unica volta LC I O in cui il derby si giocò Tutti dalla stessa D E L C A parte, resta questa casacca bianca attraversata dalle strisce rosse nere e azzurre. Unite insieme. 19
INSERTO SPECIA LE MANIFESTO #NOISIAMOCALCIO Questo è un manifesto di valori a cui il calcio dovrebbe È rispetto degli avversari e rispetto dell’ambiente attenersi. Dal giocatore al tifoso, dal bambino e delle nostre città. al Presidente. È per questo che non basta solo avere delle regole Ricordando sempre che è un gioco, per grandi e piccini, per sapere quando sia rigore o quando sia fuori gioco. che il calcio unisce e non divide, che gli unici colori Occorre avere delle regole e dei valori che ci permettano che contano non sono quelli della pelle, ma solo quelli di orientarci nel mondo. E il calcio, un universo delle maglie. Il calcio è il nostro diritto ad essere bambini nel quale ci immergiamo ogni giorno, può diventare e ad essere felici. la nostra mappa per viaggiare nella vita. IL CALCIO Il calcio è il nostro diritto ad essere bambini e ad essere felici. È GIOCO Da grandi e da piccini. Per chi ama il calcio l’unico colore che conta è quello arlecchino della maglia della propria squadra. Il calcio è essere una squadra. Il calcio ci insegna IL CALCIO a vincere e perdere. Il calcio è rispettare gli avversari. Magari un giorno È RISPETTO E saranno tuoi compagni di squadra. Il campo da calcio è ovunque ci sia una pallone. Non ha limiti se non la nostra immaginazione. RESPONSABILITÀ Il calcio è sostenibilità, ama i prati e il verde. Non ha bisogno solo di stadi e cemento e si può giocare anche per strada. A calcio possono giocare tutti. Ma a calcio non si gioca da soli. Bisogna IL CALCIO essere almeno in due. Nel calcio le differenze si annullano. Tutto ruota È INCLUSIONE intorno alla palla. Il calcio è un gioco per tutti: bambine e bambini, uomini e donne. Nel calcio ognuno è abile in qualcosa anche se diversamente. Il calcio è anche il nostro diritto ad essere di parte e irrazionali. Illustrazione di MASSIMILIANO AURELIO IL CALCIO Ma solo per amore e per gioco. E solo per sostenere la propria squadra. È FOLLE Il calcio è contro la violenza. Il calcio non tifa contro. Il calcio ama le folle, non la follia. IL CALCIO Il calcio è di tutti, per tutti. #NOISIAMOCALCIO È NOSTRO DIRETTORI ARTISTICI STEFANO BOERI ALESSANDRO RICCINI RICCI PIERLUIGI PARDO Architetto, creatore Founder AC Immaginario srls, Giornalista del Bosco verticale, creatore del Football Fest e telecronista Mediaset Presidente di Triennale Milano di Perugia e di Firenze 21 | 3
MIL A NO C A LCIOCI T Y IL CALCIO NASCE IN ORATORIO A Milano CSI vuol dire Sport in oratorio. Non solo, ovvio, ma è innegabile che il cuore dell’attività sportiva di base della città e del CSI Milano risieda qui. Lo sport in oratorio non è in crisi, come a volte si pensa È innegabile: c’è un’intera città di volontari che ogni settimana nell’immaginario collettivo. Anzi, rappresenta uno dei volti belli spende sui campi sportivi decine di ore e lo fa gratuitamente dello sport italiano. e con infinita passione, per il bene dei ragazzi. Non servono grandi parole, basta qualche numero a dimostrarlo Eppure, ecco il paradosso: Il bene ed il bello del servizio e Milano, in fatto di numeri, è un esempio significativo: il CSI educativo delle nostre società sportive sono destinati a rimanere Milano conta 630 società sportive, 2.100 squadre iscritte, oltre nell’ombra. Nessuno ne parla, nessuno conosce numeri centomila tesserati, più di quarantamila partite in una stagione e potenzialità, nessuno percepisce lo sforzo educativo e l’impegno sportiva. Questi numeri fanno del CSI e dello sport in oratorio attivo che queste realtà promuovono in favore della crescita una delle realtà più significative dello sport milanese. umana dei più giovani. Il punto però è che non si tratta solo di numeri: dietro alle cifre, Lo sport in oratorio è destinato a rimanere la cenerentola c’è una macchina sempre attiva che produce bellezza, educazione dello sport italiano? e tonnellate di relazioni umane. Il CSI Milano, che tocca ogni giorno con mano tutta questa I gruppi sportivi di oratorio sono vere agenzie educative bellezza, non ci sta. che producono «bene educativo» per i ragazzi, per la comunità Lo sport in oratorio non è lo «sport degli ultimi»: semplicemente e per il territorio. Le esperienze di crescita che il CSI Milano siamo quelli a cui vincere non basta, o meglio, quelli per cui offre alle società sportive sono diverse, al di là dei classici vincere non può mai essere la cosa più importante. Per noi – campionati e delle competizioni sportive: allenamenti integrati e per tutte le persone che spendono la loro passione sui nostri tra ragazzi disabili e ragazzi normodotati, la possibilità campi – vincere è un obiettivo modesto rapportato alla grande di sperimentare discipline ad alto tasso di inclusione, come sfida di utilizzare lo sport come strumento educativo per i ragazzi il baskin, la possibilità di disputare turni di campionato e per la comunità. all’interno delle carceri della città, o ancora proposte di un «terzo Tenere tutta questa bellezza educativa chiusa in cantina, allenamento» alternativo, vissuto all’insegna del servizio lontana dai riflettori, nascosta alla gente è davvero una follia in favore di fasce deboli delle nostre comunità… e via dicendo. ed una scelta da irresponsabili. Dall’altro lato, il CSI Milano trova nelle società sportive Ecco perché vogliamo raccontare tutto il bello del «nostro» del territorio infinita disponibilità ad accogliere queste proposte. mondo sportivo. Dobbiamo accendere i riflettori sul buono Attenzione, non è scontato. e sul bello delle società sportive. Questo patrimonio di umanità Immaginate la vita quotidiana di una di queste piccole o grandi non può continuare a restare nascosto nell’anonimato. società sportive: allenatori che, finita la loro giornata lavorativa, Sarà dura, ma noi ci proviamo. Noi ci crediamo. corrono sul campo a preparare l’allenamento, presidenti volontari che nella vita fanno tutt’altro e che scelgono di impegnarsi E ci credono anche gli amici di Milano CalcioCity, che hanno in un ruolo di grande responsabilità, mamme, nonne e nonni scelto di aprire le giornate di questo straordinario evento proprio che terminati gli allenamenti puliscono gli spogliatoi, prima in un oratorio. Come a dire che «il Calcio a Milano, parte anche di riportare a casa figli e nipoti, dirigenti che arrivano al campo da qui!». un’ora prima dei ragazzi per preparare magliette, distinte, E poi, per chiudere con un pizzico di orgoglio «oratoriano»: materiale, visite mediche… eppure, tra le mille incombenze Rivera, Boninsegna, Scirea, Albertini, Baresi, Bergomi… tutti della vita di una società sportiva d’oratorio, presidenti e dirigenti nomi che ci insegnano un’importante verità: un campetto scelgono di far vivere ai loro ragazzi esperienze che «vanno d’oratorio può riservare grandi sorprese. oltre». Che vanno oltre il campo e la crescita tecnica e sportiva, perché educano alla vita. MASSIMO ACHINI Presidente del Comitato di Milano CSI 22 | 4
INSERTO SPECIA LE EDITORIALE MiCC Guarda, ascolta, mangia, gioca, divertiti Dal 27 al 30 settembre, in quattro giorni di appuntamenti, Uno spazio nel quartiere di San Lorenzo, tra la Basilica più anteprime e posticipi, Milano CalcioCity si conferma e le Colonne romane, fulcro dell’attività di gioco e incontro il primo evento dedicato alla cultura e al gioco del calcio: di MiCC. La piazza diventa un campo da calcio dove incontrarsi, parlato, raccontato e giocato, in tutte le sue forme. giocare e divertirsi in collaborazione con FIGC, Quarta Nel programma Stories, dai grandi protagonisti del calcio di ieri Categoria, Confcommercio Milano, Associazione Le Colonne e di oggi a chi, attraverso letteratura, giornalismo, cinema, di San Lorenzo Ticinese e l’Oratorio della Basilica di San musica e teatro, ha raccontato e racconta questo sport. Lorenzo. Tutti insieme per raccontare il calcio e lo sport in un evento Viene inoltre creato il circuito food&beverage Foodball diffuso che ha come sede principale Triennale Milano e coinvolge dove ogni bar e ristorante dedica un cocktail o un piatto tutta la città, con momenti pensati per famiglie, bambini alla propria squadra del cuore: parte del ricavato sarà devoluto e ragazzi. in beneficenza. Ma a Milano CalcioCity lo sport non è solo raccontato: Elegante club house di MiCC è la sede di Milano Fashion con il programma Play è anche vissuto e giocato, grazie Library, zona Navigli, capace di trasformarsi per l’occasione a una serie di appuntamenti e attività aperte a tutti. in Soccer Circus, con rassegne cinematografiche, mostre Dal biliardino al padel, dal Subbuteo al bubble soccer, tante fotografiche ed eventi del piacere calcistico. occasioni per provarsi sul campo e divertirsi, grazie anche al Villaggio Azzurro – Le Colonne del calcio organizzato La manifestazione è prodotta da Triennale Milano in collaborazione con la FIGC. e Agenzia Creativa Immaginario. Milano CalcioCity, in collaborazione con Coldiretti, dona che vi partecipano attraverso strumenti social e digitali. cinquanta alberi maturi alla città di Milano per il progetto Da qui nasce «Calcio, un gioco senza frontiere»: i campi di riforestazione urbana. Inoltre ospita «ricetta QuBì» da gioco andranno da piazzale Corvetto a Milano sino per il contrasto alla povertà infantile. In Milano CalcioCity a Rozzano, Pioltello, San Giuliano, San Donato. viene anche lanciato il progetto di mappatura dei campi La manifestazione, con la direzione artistica di Stefano Boeri, da calcio (da basket, da volley) della città per un progetto Alessandro Riccini Ricci e Pierluigi Pardo, farà parte di loro adozione e manutenzione. Ogni campetto è una piazza del palinsesto YESMILANO e si avvale del patrocinio È RESPONSABILE, al centro di una rete sociale sulla quale costruire inclusione e del contributo, tra gli altri, del Comune di Milano e integrazione. E proprio per questo progetto nasce «Calcio, e della Regione Lombardia. Oltre al supporto di Lega Serie A, un gioco senza frontiere», assieme a Fondazione di Comunità Lega Nazionale Professionisti Serie B, Lega Pro e Associazione e Inter Campus. Un progetto che opera in aree critiche Italiana Calciatori, che promuoveranno diversi appuntamenti «FOOTURO» È IL NOSTRO o in aree periferiche, in sinergia con gli interventi già con tanti protagonisti del mondo del calcio, quest’anno sostenuti da Cariplo e Fondazione di Comunità, per creare per la prima volta la manifestazione vanta la collaborazione IL CALCIO o rafforzare le reti di persone e associazioni presenti con la FIGC. Milano CalcioCity è stata anche inserita nei territori. Il primo obiettivo è creare eventi ed attività nell’elenco ufficiale delle manifestazioni che aderiscono all’interno delle comunità con la finalità di seminare alla Settimana Europea dello Sport 2019. Un’iniziativa e innescare meccanismi partecipativi e di innovazione sociale. promossa dalla Commissione Europea con l’Ufficio Il secondo è offrire strumenti e competenze a team di persone per lo sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri che li rendano potenzialmente autonomi nello sviluppare per stimolare i cittadini dell’Unione ad una corretta azioni analoghe, formando a loro volta altre persone. e consapevole attività fisica, indipendentemente dall’età Il terzo obiettivo è raccontare questi progetti e le persone o dal livello di forma. 23 | 5
Le illustrazioni dell'inserto sono di Massimiliano Aurelio. Tarantino di nascita e milanese di attività, ha collaborato con The Guardian, Monocle, Rolling Stone e Campari.
INSERTO SPECIA LE EDITORIALE Milano capitale del calcio diffuso Milano e il calcio, un legame molto stretto, un connubio Amicizia, rispetto e parità di genere. Il calcio è anche questo. che ha radici antiche e che vanta un contributo decisivo Lo abbiamo visto con gli ultimi mondiali femminili in Francia, alla storia di questo sport nel mondo. L’Inter e il Milan, i loro lo vediamo con la crescente passione femminile verso questo tifosi, l’Arena civica e San Siro, certo. Ma non solo: il calcio sport, anche a Milano. E anche qui, non solo Inter e Milan in città è soprattutto la passione di padri, madri, figlie e figli, ma tante altre formazioni minori ogni giorno accolgono tante di nonni e nipoti, di pomeriggi giocati nei campetti degli oratori, sportive. in quelli comunali e negli impianti cittadini, dove sono numerose A implementare tutto questo, a sviluppare la cultura del calcio le squadre che disputano campionati minori e giovanili. sano sono molto utili manifestazioni come Calcio City, Una passione italiana, che ogni giorno è alimentata dalle corse che si svolge in questi giorni e fa di Milano la capitale del calcio e dai calci di piccoli e grandi sportivi, dalle emozioni dei tifosi diffuso, non solo città che ospita la Scala del calcio. e dalle imprese dei loro idoli. Incontri, appuntamenti e ovviamente partite per grandi e piccoli, per vecchi e nuovi tifosi. Un evento che sposa in pieno la filosofia Milano e il calcio è anche vita di quartiere, coesione, rispetto delle Week e delle City milanesi, le settimane a tema, durante reciproco: quello che spesso non si vede negli stadi le quali si concentrano qui professionisti e appassionati delle serie maggiori lo si trova nelle partitelle tra amici, per diffondere e aprire settori specifici a tutta la città: dall’ormai tra piccoli soprattutto. Bimbi milanesi ma di origini, culture classico Salone del Mobile, che ha ispirato tutto questo, e provenienze diverse, uniti da un pallone e due porte senza rete, a Piano City, passando per Milano Montagna, la Fashion Week avversari ma amici, compagni di squadra e di scuola. o Bike City. E da oggi, Calcio City. Il calcio come collante sociale, dunque, strumento di coesione Buona festa a tutti, buon calcio a tutti noi. e amicizia, come del resto è tutto lo sport. È per questo che Milano punta molto sulla riqualificazione delle strutture dei quartieri, oltre che sui grandi impianti. A volte basta un campo ben sistemato, un impianto accessibile per tenere viva e presidiata una strada, un quartiere. Illustrazione di MASSIMILIANO AURELIO ROBERTA GUAINERI Assessore al Turismo, Sport e Qualità della vita del Comune di Milano 25 | 7
INSERTO SPECIA LE IL METRONOMO NON SI FERMA MAI Dal rigore nella finale mondiale ai campi da padel, passando per lo sport-marketing e la presidenza del settore tecnico a Coverciano. I mille talenti di Demetrio Albertini. Intervista di EGLE PRIOLO Negli anni Novanta lo chiamavano il Metronomo ci vuole una costanza incredibile. Gli approcci ruffiano? Può essere, ma solo all’inizio. Poi diventa ed è ancora precisissimo. Sa dove vuole andare sono diversi, ma è chiaro che vincere chiaro come sia uno sport per tutti, non classista, e ci va. Diretto, pochi fronzoli, idee chiare. la Champions per un giocatore è un’esperienza molto diretto e soprattutto “sociale”, conviviale. E non avrebbe potuto essere diverso per diventare incredibile, un riconoscimento straordinario». Una partita e poi una birra con gli amici». una star del Milan, il cervello della Nazionale, un rigorista rigoroso e cecchino, maestro Più di un secondo posto ai Mondiali? È anche presidente del settore tecnico dei calci piazzati e delle punizioni. Vicecampione «Ai giovani dico sempre che nella vita si hanno di Coverciano, un’eccellenza riconosciuta del mondo a USA ’94, il primo mondiale belle esperienze o vittorie. Tutto poi dipende in tutto il mondo, cosa significa per lei dare della storia deciso ai rigori. E il primo a stampare da te e da quello che potrai raccontare. Io posso un contributo alle nuove leve? il pallone sulla rete del Brasile fu proprio lui, raccontare di essere arrivato secondo al Mondiale, «Il mio è un ruolo e un contributo organizzativo, Demetrio Albertini. Centrocampista di gambe ma la vittoria è la vittoria: è questa la bellezza da cui soprattutto io per primo cerco di imparare, e cuore, milanese doc, con i piedi cresciuti dello sport. Se mi si chiede di raccontarla, dirò è uno stimolo a prepararsi e informarsi. Ma quello sui campi dell’oratorio prima di arrivare sempre che negli USA è stata un’esperienza che posso dare, vorrei dare, è un impulso un po’ alle giovanili del Milan. meravigliosa. Ma quando stavo salendo meno politico e più pratico. Vorrei scardinare Albertini, dal campetto di Villa Raverio al Milan la gradinata per andare a prendere la medaglia la situazione in cui diciamo solo “siamo bravi”. degli invincibili di Fabio Capello. Tutti ricordiamo d’argento, con la Coppa del Mondo lì che Siamo bravi, ok, ma possiamo migliorare». le 58 partite senza sconfitte dal maggio ’91 non potevo alzare, non è stato proprio bello. al marzo ’93. Ma quando scendevate in campo Ma in quanti hanno giocato un Mondiale? Per chiudere, uno sguardo al campionato vi sentivate davvero invincibili? «La forza In quanti possono raccontare di aver segnato italiano: le milanesi sono ancora così distanti di quel gruppo era proprio di non sentirsi un rigore in finale?» da Juve e Napoli? invincibili. Ci si preparava bene partita dopo «Una milanese sì. L’altra si è attrezzata partita. La nostra forza era quella di avere sempre Ha dato molto al calcio, non solo italiano, per avvicinarsi». il timore di perdere, di non pensare affatto ma con la sua agenzia di sport-marketing di essere invincibili. E infatti la nostra celebrazione negli anni ha saputo ricrearsi Nessun margine di miglioramento per il Milan? era sempre alla fine del campionato». una professionalità anche fuori dal campo... «In questo momento no. Il miglioramento andava «Sì. E per il piacere di non stare mai fermo, fatto dai singoli e poi con l’inserimento Uno schema che si può riproporre per non essere capace forse a stare fermo. di qualcuno. Soprattutto se ci sono tre squadre, anche nella vita? L’importante è sempre l’impegno e la passione. Juve, Napoli e Inter, che sono disegnate «Assolutamente sì. Anzi, è doveroso». Sono stato fortunato nel poter fare quello che per vincere lo scudetto, con la carta di avere mi piaceva. Ma ad appagarmi è sempre l’impegno, giocatori preparati qualitativamente per la vittoria: Ancora oggi, a 25 anni distanza, i tifosi le esperienze importanti. Questo è importante una può fallire, due possono fallire. Tre no». rossoneri ricordano la punizione in semifinale nella vita». di Champions League che spianò la strada alla finale di Atene: 4-0 al Barcellona Restando nelle attività extracalcistiche, CONFERENCE ASSOCIAZIONE di Cruijff. Vincere una Champions è più bello dal calcio è passato al padel, con City Padel ITALIANA CALCIATORI che vincere lo scudetto? Milano. Come spiega il successo di questa IL PRESENTE DEL CALCIO E LE «Ci sono tanti fattori di differenza. Da una parte nuova attività, di questa moda che impazza? CONSEGUENZE DEL FUTURO c’è una sfida da dentro o fuori, dall’altra pensi «In ogni attività sportiva ci vogliono due sempre di poter recuperare, o di essere recuperato, ingredienti: competizione e soddisfazione. 30 SETTEMBRE | 17.30 nel corso della stagione. Non è detto che sia più E il padel, da subito, dal primo giorno che prendi > BASE < facile vincere una sola partita, ma dall’altra in mano la racchetta, li offre entrambi. È uno sport Via Bergognone, 34 - Milano Fotografia di GETTY IMAGES 27 | 9
Puoi anche leggere