30 ANNI 50 ANNI FA - Sport Tribune Magazine

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             ANO C
                     A LC I O C I T Y >                                3 2 PAG I N
                                        I N S E R TO S P E C I A L E •

   30 ANNI                          50 ANNI FA                            100 ANNI
DELL’UNION BERLIN                    IL CATANIA                            DI GIANNI
  SENZA IL MURO                     DI MASSIMINO                            BRERA
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n.366 del 20/12/2017                   Testi, fotografie e disegni: riproduzione vietata. Qualsiasi tipo di materiale inviato in redazione, anche se non pubblicato, non verrà in alcun modo restituito.
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PENSIERI

                                                           EDITORIALE

                        Coabitazione
                        alla
                                                                 Parole di
                                                              SIMONE STENTI

Con un colpo a sorpresa il sindaco di Milano, Giuseppe Sala,           alla nostalgia trasferendosi allo Stade de France.
ha messo in vendita il Meazza: 70 milioni di euro. Quest’estate        Insomma, entrambi gli schieramenti hanno ampie
l’Atlético Madrid ha acquistato Joao Felix per 126. I 19 anni          argomentazioni a sostegno. La questione che sembra risolta
del campioncino sono stati valutati circa il doppio dei 90             però è la condivisione dello stesso stadio per le due squadre
della Scala del Calcio. Nonostante un prezzo a prima vista             milanesi. Comunque andrà si resterà assieme. Una fedeltà
accessibile, in questo tira e molla con gli attuali inquilini, Inter   coniugale che non si registra fuori dai confini nazionali,
e Milan, San Siro sembra davvero destinato alla demolizione.           dove invece anche a Roma, Genova e Verona si persiste
Come in tutte le vicende complesse, bisogna saper prendere             a vivere sotto lo stesso tetto.
le distanze dalle ragioni del cuore, altrimenti diventa                Senza arrivare al parossismo londinese (vado a memoria,
inconcepibile la rinuncia a un impianto che sulle sue storiche         ma conto almeno 14 stadi nelle varie leghe), a Madrid
rampe esibisce dieci Coppe dei Campioni.                               e Barcellona non ci pensano neanche di giocare i derby
Il Real Madrid ha dato il via alla ristrutturazione del Bernabeu,      sullo stesso campo. A Monaco ci avevano provato all’Allianz
impianto per molti versi simile al Meazza. La scorsa primavera         Arena, ma poi ci ha pensato il Monaco 1860 a implodere
il Cda dei Blancos ha dato l’okay a un prestito monstre                e a trasferirsi al Grünwalder Stadion. A Parigi il problema
di 575 milioni che lo porterà a vantare uno stadio ai confini          neanche si pone, visto che a fronte del solo PSG la capitale
della fantascienza.                                                    vanta due stadi cinque stelle.
In Inghilterra, la patria delle tradizioni calcistiche, invece         A Milano sembra invece che anche l’eventuale nuovo stadio
non ci hanno pensato un attimo a demolire gli storici Wembley,         sarà in coabitazione. Basta un solo impianto a una metropoli?
White Hart Lane e Highbury per dar spazio a impianti nuovi,            Per il calcio sì, lo dimostra la storia. Ma negli stadi non si gioca
più funzionali e meno impattanti su abitazioni e cittadini.            soltanto a pallone. Con un impianto di proprietà, la città rischia
A suo modo, pur senza demolire lo storico Parco dei Principi,          di rimanere senza riferimenti per concerti ed eventi.
anche a Parigi la Nazionale francese ha saputo rinunciare              Questa tuttavia non è materia per i club.

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              FUCARLO
                          CENTENNALE

                        Da Peppino Meazza e Valentino Mazzola,
                        da Pelè a Schiaffino, fino all’abatino Gianni Rivera,
                        con cui la polemica tenne banco per un ventennio.
                        Anche se poi ammise: «Non fosse stato grande,
                        Rivera non mi avrebbe dato la minima noia:
I CAMPIONI DI

                        non mi sarei accorto di lui». A cent’anni esatti
                        dalla sua nascita, ripercorriamo le passioni
                        pedatorie di Gianni Brera.

                        Nella sua cinquantennale carriera di scriba sportivo, quale sarà
                        stato il primo grande calciatore che gli si è parato dinnanzi
                        in tutto lo splendore tecnico-atletico? Chi per primo ne avrà
                        suscitato l’ammirazione critica ma soprattutto gli estri inventivi
GIOÂNN

                        da gran fabulatore del «gioco più bello del mondo»?
                        Peppin Meazza o gli uruguagi del Bologna che tremare
                        il mondo facevano (Andreolo, Sansone, Fedullo e «testina d’oro»        MASSIMILIANO MARZUCCO
                        Puricelli)? Gli juventini dei cinque scudetti consecutivi
                        nei primi cinque campionati degli anni Trenta (Gianpiero Combi,
                        Rosetta e Caligaris, Luisito Monti e Mumo Orsi, Giovannino
                        Ferrari o Renato Cesarini, altro talentuoso oriundo, marchigiano-
                        argentino, quello che anni dopo alla Juve portò El Cabezon
                                                                                               Illustrazione di

                        Sivori)? O per uscir di frontiera Matthias Sindelar, il Mozart
                        del calcio, l’incantatore di attaccanti Ricardo Zamora, l’universale
                        György Sarosi ungherese-triestino, o infine il diamante nero
                        brasiliano Leônidas da Silva, l’inventore dell’em bycicleta,
                        la sforbiciata con salto mortale all’indietro?
                        Ma negli anni Trenta, Giovanni Brera, detto Gianni, anzi
                        Gioânnbrerafucarlo, come amava firmarsi, nato cent’anni esatti
                        fa (8 settembre 1919) a San Zenone Po, Bassa pavese, dove
                                                                                               GINO CERVI

                        il torbido Olona si getta nelle acque ancor più torbide del Gran
                        Fiume Padano, era un giovane studente liceale a Pavia
                                                                                               Parole di

                        e se scriveva di calcio lo faceva soltanto sulle pagine di giornali

                                                                                     > pg. 8

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locali, o al massimo su quelle del Guerin Sportivo come cronista        del «catenaccio»; ovvero di quella disposizione tattica tesa prima
di partite di categorie minori accanitamente disputate                  di tutto a contenere gli attacchi avversari, che vengono invitati
su sperduti campetti della provincia tra Lombardia, Piemonte            a scoprirsi in difesa in modo da essere poi puniti con rapidi
e Liguria. E all’epoca, per vedere all’opera un calciatore, l’unico     capovolgimenti di fronte: difesa e contropiede, gli assiomi
modo era andare alla partita. Niente Tv, né tanto meno YouTube.         della teoria difensivista della scuola all’italiana.
A dire il vero, un fuoriclasse del football d’anteguerra il giovane
Gianni l’aveva incontrato da vicino. Era Adolfo Baloncieri,
alessandrino figlio di emigrati in Argentina, dove a inizio
Novecento imparò l’arte del fùtbol, prima di tornare a casa
a mostrare mirabilie nel campionato italiano del primo
dopoguerra, con la maglia dei grigi e poi soprattutto col Torino.
Terminata la carriera, Adolfo fu gran pedagogo e allevò stuoli
di giovani calciatori prima coi granata (i Balon Boys) e poi
a Milano, sponda rossonera. Quando Baloncieri allenava
il Milan, Brera quindicenne era tra gli allievi, assieme all’amico
e coetaneo Luigi Bonizzoni, poi lui stesso allenatore rossonero
dello scudetto 1958-59. In una forse un poco leggendaria
ricostruzione autobiografica si descrive come promettente
centromediano di buona tecnica e impostazione, poco propenso
al vigore atletico: insomma, lui stesso, un abatino ante-litteram.
Ma Brera avrà certo potuto ammirare, da spettatore all’Arena
Civica, le evoluzioni di Peppino Meazza, che celebrerà
in un inarrivabile epicedio in occasione della sua scomparsa
nell’agosto del 1979 dal titolo Meazza era il fòlber, primo
suo pezzo su Il giornale di Indro Montanelli.
«Grandi giocatori esistevano al mondo, magari più tosti
e continui di lui, però non pareva a noi che si potesse andar           Quello a cui più sta a cuore a Brera è la geometrica armonizzazione
oltre le sue invenzioni improvvise, gli scatti geniali, i dribbling     delle distanze tra i reparti e, nei singoli, l’attitudine all’abnegazione
perentori e tuttavia mai irridenti, le fughe solitarie verso            atletica, in forma di corsa e di tenuta nel contrasto all’avversario.
la sua smarrita vittima di sempre, il portiere avversario».             Chi a queste caratteristiche sa combinare anche una raffinata tecnica
Dopo gli studi (liceo scientifico Taramelli e laurea in Scienze         di base, è il suo campione perfetto. Lo è, ad esempio, Pepe Schiaffino,
politiche a Pavia) e dopo la guerra passata post 8 settembre            leader della nazionale uruguagia che Brera ammira ai Mondiali
tra i partigiani dell’Ossola, Brera entra nella Gazzetta dello Sport,   del 1954 in quella che, a suo dire, fu la più bella partita
dove però si occupa dapprima soprattutto di atletica leggera            a cui avesse mai assistito: la semifinale tra la Celeste e la grande
e di ciclismo. Gli straordinari reportage sull’altrettanto              Ungheria di Puskás. Vinsero i magiari, ma in quell’occasione Brera
strabiliante vittoria di Fausto Coppi al Tour del 1949 gli valgono      celebrò in questo modo il Pepe. «Forse non è mai esistito regista
l’incarico a co-direttore dalla Rosea a soli trent’anni.                di tanto valore. Schiaffino pareva nascondere torce elettriche
Il campione di football per eccellenza in quegli anninon poteva         nei piedi. Illuminava e inventava gioco con la semplicità che è propria
che essere Valentino Mazzola, anima e capitano                          dei grandi. Aveva innato il senso geometrico, trovava la posizione quasi
del Grande Torino.                                                      d’istinto […]. Schiaffino è rimasto nella mia memoria come
                                                                        uno dei massimi facitori di gioco mai conosciuti: ogni suo appoggio

  SCHIAFFINO È RIMASTO                                                  accendeva la luce. Giocava benissimo in difesa e in attacco: quando
                                                                        occorreva sapeva anche goleare.» Come accadde nella finale

  NELLA MIA MEMORIA COME                                                del 1950, quando il Pepe fu tra gli artefici del Maracanazo ai danni
                                                                        dei brasiliani, sconfitti in casa propria dagli uruguagi. E poi, altro

  UNO DEI MASSIMI FACITORI                                              inarrivabile archetipo del football secondo Brera, fu Alfredo Di Stefano,
                                                                        tuttocampista argentino – ma di origini italiane, capresi

  DI GIOCO MAI CONOSCIUTI:                                              per la precisione – che fece grande il Real Madrid tra la fine degli anni
                                                                        Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. A proposito di «Saeta Rubia», questo

  OGNI SUO APPOGGIO                                                     il soprannome di Di Stefano, Brera ricorda un aneddoto di quando
                                                                        il fuoriclasse argentino giocava nei Millionarios colombiani:

  ACCENDEVA LA LUCE.                                                    «Un giorno Pedernera, ineguagliato bombardiere bonaerense, vide
                                                                        Alfredo fare qualcosa del genere: tornare nella propria area, conquistare
                                                                        palla, scambiare con il mediano e chiedere triangolo, riprendere palla,
«Era un traccagno di piccola statura e tuttavia così dotato             correre a distese falcate verso la porta avversaria, toccare in corsa senza
atleticamente da strabiliare. Scattava da velocista, correva            sbilanciarsi di un ette, chiedere di nuovo triangolo e balzare sulla palla
da fondista, tirava con i due piedi come uno specialista                per sparare imparabilmente in rete. […] Visto in azione quel mostro
del gol, staccava e incornava con mosse da grande acrobata,             di abilità e di fondo atletico, Pedernera gli andò vicino e gli disse: Ohei
recuperava in difesa, impostava l’attacco e vi rientrava spesso         ragazzolo, di questo passo tu rovinerai il mestiere a todos, e voleva dire
per concludere. Era insieme regista e match-winner».                    che facendo con tanta abilità quelle prodezze, in fondo sminuiva
Ma Brera, a differenza di molti colleghi, approccia il tema             il calcio.» Fondo atletico e tempra agonistica che non riconosceva
football con inedite analisi tecnico-tattiche e per quanto              invece ad alcuni grandi stilisti del calcio, come Rivera, con cui
riconosca l’eccezionalità della formidabile compagina granata           per quasi un ventennio accese una polemica che, onestamente,
ne indica già i difetti in una propensione al gioco d’attacco           una testimonianza come le seguente rivela la parzialità della
che, a suo avviso, è mal congeniale alla natura atletica                fondatezza. Brera amava Rivera e lo voleva semplicemente diverso
e psicologica della squadre italiane. Diventa così teorico              da quello che in realtà era.

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STORIA

«Rivera era dotato di grandissima eleganza. In certe pose                ed eroica a dispetto delle origini umili:
di attesa ricordava il David di Michelangelo. Batteva il destro          «Proprio io, tra i primi, l’avevo visto sbozzarsi a fatica
con sublime nitore. Aveva il tiro forte, non potente.                    da un ossuto traccagno del mio paese lombardo. Fasci
Non correva al recupero con la dedizione necessaria. Costruiva           di muscoli guizzavano imperiosi fuor dell’impianto rozzo
da lontano con efficacia rara. […] Avrò criticato Giovannino             e quasi greve. Non molti lo capirono e dovette emigrare.
Rivera cinquanta volte e lodato cento (come minimo: ma forse             Lo fece bellissimo l’esercizio, peraltro scavandolo a vantaggio
sono troppo severo con me stesso). Non fosse stato grande,               di prominenze decisamente michelangiolesche se non addirittura
Rivera non mi avrebbe dato la minima noia: non mi sarei accorto          barocche. Nonché esaltarsi di questa nuova realtà della sua vita,
di lui come non mi sono accorto di mille e mille mediocri visti          egli era fatto cauto dal ricordo di troppe miserie vissute e sofferte
in giro per il mondo. Giovannino era un po’ la mia Lesbia.               a Leggiuno. Ancor oggi lo vedo sollevarsi da un bulicame confuso
Non si spaventi. Catullo, mio poeta latino preferito, aveva              e informe di vittime predestinate alla fame e all’umiliazione.
un’innamorata con quel nome. Come giornalista sportivo                   Si è ribellato come usano i romantici e gli eroi, troppo facilmente
io ho avuto Giovannino: e bastava il suo minimo sgarro                   apparentati con quelli. Nel suo viso incavato erano scritti infiniti
per infuriarmi. Avrei voluto che conservasse il suo stile                ricordi di dolore. Nessun pericolo ha mai potuto arrestarlo.
armonioso e disponesse invece di un dinamismo paragonabile               Ha sempre considerato possibili le acrobazie più temerarie,
a quello di Mazzola padre. Avrei voluto recuperasse per giovare          tanto più temibili e pericolose in quanto più vicine all’arcigna
alla difesa come sapeva Schiaffino e anche, non dico piaggeria,          durezza della terra.»
il figlio maggiore del citato Valentino Mazzola. Giovannino              Brera, dalla metà degli anni Settanta, iniziò a staccarsi
innamorava di sé tutti coloro che, amando il calcio, non stavano         lentamente dalla travolgente passione per il calcio,
a ragionarci troppo. Molti ingenui milanisti mi tacciavano               di cui aveva forse notato prima di altri l’inevitabile
di disonestà perché, elencandone i pregi, osavo anche citarne            trasformazione antropologica. Si entusiasmò, riconoscendo
i difetti: non consideravano, ciechi com’erano, che per dire             onestamente i suoi errori critici, alla vittoria dell’Italia di Bearzot
sempre quanto pensavo facevo perdere molti lettori (forse loro           ai Mondiali del 1982, esaltandosi per la elettrica nevrilità
stessi) al mio giornale.»                                                di un campione come Marco Tardelli, centrocampista
Per un fuoriclasse come Pelé, Brera scomodò addirittura                  mai-morto, o per l’olimpica eleganza di Gaetano Scirea o ancora
Leopardi per descriverne l’armonia delle movenze in occasione            per la fantasia tutta italica di un misirizzi come Bruno Conti,
di un suo gol al Benfica in una finale di Coppa Intercontinentale        detto Pelasgio. E in fondo trovando in quella vittoria
di inizio anni Sessanta.                                                 la certificazione delle sue teorie di storia culturale del football,
«Guardate Pelè. Dolcechiaré: ha alzato il piedino prensile:              per la quale il calcio nazionale si esalta in quella forma di gioco,
lanotte: la palla si è fermata al primo contatto e senza vento:          difensivo ma al contempo mai rinunciatario. Negli ultimi stanchi
ricade ammansita sull’erba: un piedino prensile l’accarezza              anni si confrontò polemicamente con l’eretismo podistico
mentre l’altro spinge: echetasovraitetti: accorreva un avversario:       del Milan di Sacchi che gli sembrava quanto più alieno all’etnos
si è coricato come un birillo: tettiposalà: avanza un altro: piroetta;   pedatorio nazionale – e infatti era un ibrido batavo-italico –
lalùna: ecco un compagno smarcato: oppure, ecco                          e trovando apprezzamenti forse solo per l’estro pragmatico
una nuova battuta di dribbling: si corica il secondo birillo:            e lombardo del pais Donadoni.
o magari no, questa volta il birillo non si corica e vince il tackle:    Manca Brera, in questo centesimo anniversario della sua nascita.
Pelè ha sbagliato il dribbling: capita: anch’io ho dimenticato:          Non tanto, o non solo per le sue invenzioni linguistiche,
sovr’ai tetti e dentro gli orti. Ripetizione: posalalunedì lontàn        per le sue aperture culturali che dalle pagine di calcio,
e rivèla: ora parte Pelè in progressivo. Serenognì montàgna.             o in genere di sport, facevano intuire altri mondi (la storia,
Correndo, senza sforzo apparente, ha fissato i bulloni in terra ed ha    la letteratura, la cultura materiale) e che a loro modo offrivano
scaricato fulmineo la pedata: ha mirato, si è visto: mentre correva      ai lettori spunti di nuove curiosità, a volte vere e proprie lezioni
ha mirato e battuto a rete. Serenognì montàgna. Punto. Gol.»             di umanesimo. Manca soprattutto per l’esempio di onestà
L’ultimo grande eroe della pedata a cui Brera sacrificò                  intellettuale con cui per mezzo secolo svolse il suo lavoro
la sua immaginosa penna fu forse Gigi Riva, ribattezzato                 di cronista, critico e narratore di quella cosa inessenziale
Rombo-di-tuono. In lui s’incarnava la sua visione eroica                 ma irrinunciabile che è il football.
del calcio, la forza popolare che si afferma e diventa grande

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PROSPET TIVE

                         E I FRATELLI
                          MAGGIORI
         Il primo fu Fabio Liverani. Oggi tocca a Balotelli e al giovanissimo
        neo-citizen, Moise Kean. La storia dei colored in Azzurro è recente
       e per nulla comoda. Ma non saranno certo gli striscioni che recitano
«Il mio capitano è di sangue italiano» a rallentare una marcia inarrestabile.

                                         Parole di                              Illustrazioni di
                              NICOLA CALZARETTA                                 MASSIMILIANO MARZUCCO

Alla domanda politicamente corretta, Fabio Liverani risponde            comodo, visto l’infortunio di Albertini e gli acciacchi di Di Biagio.
dritto per dritto: «Io il primo calciatore non bianco in nazionale A?   La notizia, però, non è questa. Gli aspetti tecnici, nonostante
Dite pure il primo di colore». Lo fa con il massimo candore             il pragmatismo del Trap, vengono messi in secondo piano rispetto
e con la sua curiosa «zeppola» che lo fa scivolare sulla zeta           alla novità cromatica relativa al colore della pelle del nuovo
di nazionale.                                                           debuttante. Con tutte le problematiche che si trascina dietro,
Una giocata semplice, ma efficace. Un preciso piatto di prima           dagli ululati razzisti in giù per un fenomeno di intolleranza
intenzione per lanciare in verticale il centravanti, al netto           assurdo quanto purtroppo molto diffuso alle nostre latitudini,
di inutili barocchismi. Un tempo di gioco guadagnato e maggiori         e non solo.
possibilità di arrivare a bersaglio. Ma sì, andiamo al cuore            Fabio Liverani, dunque. Primo giocatore di colore in Nazionale A.
del problema senza coloranti artificiali, né conservanti dannosi        Vero. Per la precisione, primo calciatore cittadino italiano
alla salute. Liverani, figlio di padre italiano e madre somala,         di colore in Nazionale A.
ha la pelle scura. Lo sa e ne è fiero. È nato a Roma, il 29 aprile      Nel passato, anni Cinquanta, c’era stato un altro giocatore
1976. Alla vigilia del suo venticinquesimo compleanno il ct.            con la pelle scura vestito con l’azzurro della massima selezione:
Giovanni Trapattoni, lo chiama in azzurro per un’amichevole.            l’attaccante della Fiorentina Miguel Angel Montuori, dodici
È il 20 aprile 2001. Fabio è il regista del Perugia di mister Cosmi     presenze e due reti, perfino la fascia di capitano una volta.
e in quella sua prima stagione di A si è guadagnato                     Ma lui era un oriundo, giocatore proveniente da altra federazione
le attenzioni del Trap che va detto, lo conosce dai tempi comuni        calcistica (di fatto uno straniero, argentino nel caso di specie),
di Cagliari, lui mister della prima squadra, Liverani promettente       ma che godeva della doppia cittadinanza grazie al padre italiano.
centrocampista della Primavera. Alla nazionale, in corsa per un         Quello degli oriundi è stato un fenomeno molto in voga fino
posto per i Mondiali nippocoreani del 2002, un giocatore così fa        al 1962 con nomi di big quali Cesarini, Orsi, Guaita e poi Altafini,

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S OCCER IL LUSTRAT E D

Sivori, Sormani. Un fenomeno riaffiorato in epoche recentissime

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(nella Nazionale campione del mondo del 2006, c’era l’italo-
argentino Mauro Camoranesi, giusto per citare il più titolato).
Liverani, invece, è il primo colored boy tutto italiano della storia
della selezione azzurra maggiore. La cronaca, tuttavia, impone

                                                                          È IL PRIMO
di ricordare che nelle rappresentative giovanili, prima dell’attuale
allenatore del Lecce, si erano già affacciati altri due calciatori
di colore, entrambi difensori: Dayo Oshadogan, nato a Genova
il 27 giugno 1976 da padre nigeriano e madre ligure (primo

                                                                          COLORED BOY
ragazzo con la pelle nera a giocare per l’Under 21 azzurra
con Cesare Maldini commissario tecnico) e Matteo Ferrari, nato
in Algeria da padre italiano e madre guineana che, fin dall’età
di 15 anni, scelse di rappresentare calcisticamente l’Italia,

                                                                          TUTTO ITALIANO
facendo tutta la trafila delle varie Under per poi arrivare
al debutto nella Nazionale A nel novembre del 2002, anche
lui convocato da Giovanni Trapattoni.
Fabio Liverani, quindi. Primo giocatore di colore in Nazionale A.

                                                                          DELLA STORIA
Per una incredibile e suggestiva coincidenza debutta il 25 aprile
2001, non una data qualsiasi per la storia della nostra patria.
E debutta contro il Sudafrica, paese simbolo nella lotta contro
l’apartheid. I corsi e i ricorsi che il calcio, e lo sport in generale,

                                                                          DELLA SELEZIONE
amano regalare in ogni tempo e luogo sono ricchi di magia
e suggestioni. A quella presenza, con tanto di numero 10
sulle spalle (per la cronaca, vittoria dell’Italia per 1-0),
ne seguiranno soltanto altre due. Poi stop per Liverani, il primo

                                                                          AZZURRA
uomo di colore sulla luna azzurra. Un passaggio rapido,
una meteora nel cielo blu della Nazionale, la cui luce fiammante,
però, è riuscita a tracciare una precisa linea di confine aprendo
la strada ad una nuova era. Quella caratterizzata dagli italiani

                                                                          MAGGIORE.
di seconda generazione, figli di immigrati, ma nati nel nostro
territorio e quindi, con il compimento del diciottesimo anno
di età, cittadini tricolori a tutti gli effetti. Anche con la pelle
nerissima. Un fenomeno sociale nuovo (e tormentato)

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PROSPET TIVE

per l’Italia, anche per quella del calcio, al pari della Germania.          progressivamente da quella naturale (con futuri strascichi
Una realtà consolidata, invece, per la Francia da sempre                    polemici). Nel frattempo, cresce anche come calciatore,
multietnica e colorata (a caso tra le figurine peschiamo quelle             bruciando le tappe grazie ad un talento innato e a una struttura
di Marius Tresor, libero della Nazionale del ’78; di Jean Tigana,           fisica da paura. Se ne accorge l’Inter che a 16 anni inserisce
centrocampista dei blues nel 1982 e dei campioni del mondo                  il promettentissimo attaccante di colore nel suo vivaio. L’anno
Lilian Thuram nel ’98 e Paul Pogba la scorsa estate). Anche                 dopo il mister Roberto Mancini, uno che di baby se ne intende,
l’Inghilterra è un bel pezzo avanti: il primo colored debuttò               lo fa debuttare in Prima Squadra. L’escalation da lì è immediata.
con la maglia della Nazionale maggiore nel novembre 1978                    La nota stonata è che alle giocate di Balotelli in campo, molto
(si trattò del terzino del Nottingham Forest Viv Anderson,                  spesso decisive e spettacolari, si accoppiano anche le variegate
origini giamaicane, un giorno ne riparleremo).                              esuberanze del suo carattere. A 18 anni, intanto, acquisisce
Fabio Liverani, si diceva. Dopo di lui, ecco altri giocatori                la cittadinanza italiana. Per lui è una svolta decisiva. «Sono
dalla pelle nera vestire l’azzurro della Nazionale maggiore.                italiano, mi sento italiano, giocherò sempre con la Nazionale
Nel 2011 fa il suo debutto il difensore centrale Angelo                     italiana»: questo il suo voto, deciso e sicuro. Le intemperanze
Ogbonna, classe 1988, nato a Cassino da genitori nigeriani.                 di una personalità complessa, però, non lo aiutano. Né aiutano
Lo convoca il ct. Cesare Prandelli, mentre si deve al suo                   quel processo di integrazione che in Italia appare ancora più
successore Antonio Conte la prima chiamata per l’attaccante                 faticoso, anche nel mondo del calcio. E quando viene proposta
Stefano Okaka, anche lui figlio di genitori della Nigeria e nato            l’idea di dargli la fascia di capitano in Nazionale, la risposta -
Castel del Lago (Perugia) il 9 agosto 1989.                                 maleducata, becera e cattiva - viene affidata ad uno striscione
Prima di loro, il 10 agosto 2010, ecco il primo dei trentasei               con scritto: «Il mio capitano è di sangue italiano».
gettoni azzurri per Mario Balotelli. Il commissario tecnico                 Adesso è la volta di Moise Kean, l’ultimo arrivato alla corte
è Prandelli chiamato a ridare nuova vita all’Italia dopo                    azzurra (il debutto è datato 20 novembre 2018). Classe 2000,
la tremenda delusione dei mondiali del 2010 in Sudafrica                    «Mosè» è nato a Vercelli da genitori originari della Costa
(fuori al primo turno, da campioni del mondo uscenti).                      d’Avorio. Inserito fin da piccolissimo nelle giovanili dell’Asti,
Uno dei tasselli del nuovo puzzle tricolore che Prandelli                   è transitato nel vivaio del Torino prima di approdare a quello
intende ricostruire è rappresentato da questo colosso d’ebano,              della Juve. Kean è l’ultimo crack del calcio italiano. Talento puro,
venti anni, centravanti rivelazione dell’Inter.                             ha battuto ogni tipo di record in fatto di precocità. Adesso per lui
La storia di Mario è singolare: nato a Palermo il 12 agosto 1990            si sono aperte le porte della Premier League, ottima palestra
da una coppia di genitori ghanesi (Barwuah il loro cognome),                per la sua completa maturazione, anche in chiave azzurra.
dopo tre anni si trasferisce nel bresciano. Qui, per le difficoltà
economiche dei Barwuah e seri problemi di salute che lo
affliggono, il piccolo Mario viene dato in affido ai Balotelli.
È in questo ambito che il bambino si forma, stringendo sempre
e più forti legami con la famiglia affidataria, e allontanandosi

                                                                                                                                          13
S OCCER IL LUSTRAT E D

               Il futbol
           e la Mezzaluna
 Dopo dieci anni di assenza dai palcoscenici internazionali, Istanbul è stata
 scelta dall’UEFA per le finali di Supercoppa Europea e Champions League,
     ovvero l’apertura e la chiusura di stagione. Una sorpresa inaspettata
                   e meritata per la metropoli del Bosforo.

                                     Parole di
                                  BRUNO CIANCI

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TERRITORI

Fotografie di GETTY IMAGES

                             La stagione internazionale in corso, com’è noto, ha avuto inizio        il già menzionato stadio del Fenerbahçe SK, una polisportiva
                             il 14 agosto scorso con la finale di Supercoppa Europea vinta           fondata nel 1907. Il «Fener» è presente in un ampio spettro
                             dal Liverpool al Vodafone Park, la casa del Beşiktaş, e terminerà       di discipline sportive e fa del basketbol (la pallacanestro)
                             il prossimo 30 maggio con la finale di Champions League allo            il proprio cavallo di battaglia. Non a caso si tratta dell’unico
                             stadio olimpico Atatürk, l’impianto da settantacinquemila posti         club turco ad avere vinto l’Eurolega maschile, nel 2017.
                             che nel 2005 fu teatro della più incredibile finale di Champions        Gli inglesi, pur se inconsapevolmente, giocarono un ruolo
                             League che si ricordi: il successo ottenuto ai rigori dai Reds          importante nella storia di un altro grande club polisportivo
                             (ancora loro) su un Milan straripante, forse un po’ troppo sicuro       della città a cavallo di Oriente e Occidente: il Galatasaray SK.
                             di sé, al termine di una rocambolesca rimonta.                          Fondato nel 1905 su iniziativa di una élite colta e francofona
                             Per la prima volta in sessantacinque anni di UEFA, quindi,              di Pera, l’odierno quartiere di Beyoğlu, il club iniziò le attività
                             una stagione si aprirà e si chiuderà nella medesima città,              vestendo casacche biancorosse e giallonere prima di adottare
                             nello specifico a Istanbul. Sorprende che il massimo organo             la celeberrima bicromia giallorossa. Lo fecero in occasione
                             calcistico europeo abbia operato una scelta di questo tipo:             di un incontro disputato alla fine del 1908 contro la selezione
                             già, perché nei dieci anni che hanno preceduto il derby inglese         dell’equipaggio di una nave da guerra di Sua Maestà Edoardo
                             dello scorso Ferragosto, la città del Bosforo non aveva ospitato        VII, il bisnonno di Elisabetta II.
                             alcun match del calcio che conta, fatta eccezione, naturalmente,        Da allora quelli del «Gala» non hanno più cambiato i colori
                             per qualche gara di Champions League giocata dalle squadre              sociali. La loro squadra è la più titolata in Turchia: vanta
                             di casa. L’ultima finale di un trofeo UEFA disputata a Istanbul,        ventidue titoli nazionali (contro i diciannove del Fenerbahçe,
                             per dovere d’informazione, era stata quella di Coppa Uefa               i quindici del Beşiktaş, i sei del Trabzonspor e l’unico vinto
                             del 2009, vinta dallo Shakhtar Donetsk di Mircea Lucescu                dal Bursaspor) e per questo è l’unica a fregiarsi di quattro stelle
                             a spese del Werder Brema, partita disputata nello stadio Sükrü          sulla maglia. In Turchia, infatti, vengono assegnate
                             Saraçoğlu, che è la casa del Fenerbahçe. Dopo di allora,                ogni cinque campionati vinti e non già ogni dieci come in Italia.
                             e così fino alla scorsa estate, il nulla; poi, a sorpresa, il giusto    Il Galatasaray, inoltre, è l’unica squadra della Mezzaluna ad aver
                             riconoscimento a una città che impazzisce letteralmente                 vinto titoli internazionali di rango, nella fattispecie una Coppa
                             per il calcio.                                                          Uefa e una Supercoppa Europea, trofei sollevati nel 2000,
                                                                                                     ai tempi in cui l’allenatore era l’«Imperatore» Fatih Terim
                             PAZZI PER IL FUTBOL                                                     (lo stesso di oggi!), mentre le sue stelle si chiamavano Claudio
                                                                                                     Taffarel, Gheorge Hagi, Emre Belözoğlu, e Hakan Sükür.
                             L’amore degli istanbulioti per il futbol (come lo chiamano loro)        Qualcuno, di quella stagione forse irripetibile, ricorderà
                             ha origini antiche ma non antichissime. Pare sia stato un gruppo        anche la pagina più deplorevole: l’uccisione per accoltellamento
                             di espatriati inglesi, alla fine dell’Ottocento, a disputare le prime   di due tifosi del Leeds, la squadra che il «Gala» incontrò
                             partite di pallone in un’area non lontana da dove oggi si trova         in semifinale.

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S OCCER IL LUSTRAT E D

Fotografie di GETTY IMAGES

                             Dal 2011 il Galatasaray gioca nel suo nuovo impianto                  dall’irresistibile profumo delle polpette cucinate da un ambulante
                             da cinquantaduemila posti, costruito nel distretto finanziario        al di fuori dello stadio, lasciò la struttura senza preavviso e assalì
                             di Maslak e collegato alla rete metropolitana attraverso              il povero venditore che, coltello alla mano, difese la mercanzia
                             la fermata di Seyrantepe. Come il precedente stadio del 1944,         dal rapace fendendo l’aria a sciabolate.
                             demolito per fare spazio a un grande progetto residenziale,           Ma le curiosità non finiscono qui. Quando nella primavera 2016
                             anche la nuova struttura è intitolata ad Ali Sami Yen, storico        fu ultimato il nuovo Vodafone Park, che sorge nel medesimo
                             calciatore e allenatore di origini albanesi; in virtù                 punto in cui si trovava il vecchio stadio Ismet Inönü (in riva
                             di una milionaria sponsorizzazione, però, la denominazione            al Bosforo e a pochi passi dal sontuoso palazzo Dolmabahçe,
                             è stata mutata in Türk Telekom Arena. In questo stadio                una cornice che non ha eguali al mondo), il presidente
                             che sfonda letteralmente i timpani, nel 2013, la Juventus             della repubblica Recep Tayyip Erdoğan decise d’inaugurarlo
                             di Conte subì l’eliminazione dalla Champions League per mano          senza pubblico, con un giorno di anticipo sui programmi,
                             degli ex interisti Mancini e Sneijder. Gli italiani, dal canto        per evitare d’incorrere nei fischi e negli insulti che la calda
                             loro, scoprirono con somma sorpresa che a Istanbul                    tifoseria del Beşiktaş, storicamente affine al retaggio del padre
                             può anche nevicare.                                                   laico della patria Kemal Atatürk (1881-1938) e del suo vice
                             Se il Galatasaray è la squadra più titolata di Turchia,               Inönü, gli avrebbe inevitabilmente riservato.
                             la più antica è il Beşiktaş JK, club fondato nel 1903. Non solo
                             fu la prima squadra della città, ma fu anche la prima dell’allora     CALCIO E POTERE
                             Impero ottomano (che cessò di esistere dopo la Prima guerra
                             mondiale) a inserire nel proprio stemma la mezzaluna: com’è           Qualche anno dopo il Beşiktaş, anche il Kasımpaşa SK (1921),
                             noto si tratta di un emblema turco per antonomasia, sebbene           società attiva nel calcio e nella lotta, un altro sport assai popolare
                             esso abbia origini preislamiche molto più antiche che lo rendono      in Turchia, fu autorizzato a fregiarsi della mezzaluna, simbolo
                             ancora più carico di mistero.                                         che è tuttora presente nello stemma sociale di colore blu.
                             Anche il Beşiktaş, la cui maglia storica è simile a quella            Il Kasımpaşa deve il nome al quartiere in cui il club fu fondato
                             tradizionale della Juventus, ha per simbolo un’aquila. Per questo,    e in cui tuttora ha la sede sociale e lo stadio. L’impianto
                             in occasione di alcune partite casalinghe delle kara kartallar        fu teatro nel 2011 di un due a zero dell’Italia under 21
                             (le «aquile nere»), si svolge un rituale che accomuna questa          sui coetanei turchi, con doppietta di Mattia Destro. Vanta
                             società alla Lazio e al Benfica: i giri di campo di un rapace         una posizione assai centrale ma ha dimensioni modeste
                             ammaestrato in volo, sotto gli occhi spiritati di una folla           (solo quattordicimila posti a sedere) ed è intitolato a Recep
                             in delirio. Qualche anno fa, uno di questi grandi pennuti, attratto   Tayyip Erdoğan. A questo punto viene spontaneo domandarsi:

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TERRITORI

come mai un leader notoriamente megalomane e dotato                   e tre vecchie conoscenze della Serie A: il brasiliano Robinho,
di poteri così ampi non ha pensato di intitolarsi un impianto più     lo svizzero Gökhan Inler e la «meteora» olandese Eljero Elia.
grande, magari lo stadio olimpico che porta il nome di Atatürk,       Curiosamente lo stadio, modesto nelle dimensioni (conta appena
di cui il conservatore Erdoğan intende cancellare la memoria?         diciassettemila posti a sedere), è intitolato a Fatih Terim
La risposta è semplice: perché prima di darsi alla politica           che non è mai stato l’allenatore di questa squadra né, men
e di fondare il partito d’ispirazione religiosa AKP, «Tayyip»         che meno, è originario del distretto istanbuliota di Başakşehir,
ha tirato i primi calci a un pallone proprio in quel quartiere,       essendo nativo della remota città anatolica di Adana.
viatico verso la carriera di calciatore professionista                A rappresentare la Turchia in Champions League non c’è
che l’ha visto raggiungere livelli di tutto rispetto. Proveniente     il Başakşehir, che disputa l’Europa League (assieme al Beşiktaş
da una famiglia originaria di Rize, una città del mar Nero            e al Trabzonspor) nel medesimo girone della Roma. Spetta così
orientale, Erdoğan è nativo proprio di Kasımpaşa. Da giovane,         al solo Galatasaray il difficile compito di rappresentare il Paese
tra le altre attività, ha lavorato come venditore di bibite           in un momento di grave difficoltà finanziaria e debitoria
e di ciambelle al sesamo, i celebri simit, ma deve al calcio          per il movimento calcistico turco. La finale dello stadio olimpico
e agli studi in economia e commercio una fetta delle proprie          Atatürk sembra essere un miraggio, come del resto sarà per il 94
fortune. Pare che il presidente sia anche tifoso del Fenerbahçe,      percento delle squadre che vi stanno partecipando.
ma nel corso della sua lunga carriera politica è stato fotografato    Per fortuna, però, c’è Istanbul, con la sua bellezza sempiterna
con centinaia di sciarpe variopinte al collo: perché per prendere     dal fascino orientale, i suoi mille suoni e i suoi profumi di spezie,
voti in Turchia, innanzitutto, devi fare breccia nel cuore            di caffè e di simit appena sfornati, a tenere alto il vessillo
dei tifosi di calcio.                                                 della Mezzaluna. E a ricordarci che nella vita, oltre al calcio,
Una squadra particolarmente vicina a Erdoğan e ai membri              ci sono altre cose belle: come, per esempio, quella grande città
del suo partito è l’Istanbul Başakşehir FK. Le affinità sono          a cavallo di Oriente e Occidente, già capitale di quattro grandi
riscontrabili sia nella natura delle sponsorizzazioni sia             imperi (Romano, Bizantino, Latino e Ottomano), che a ventisette
nell’arancione e nel blu delle casacche, guarda caso i medesimi       secoli dalla sua fondazione non smette ancora di emozionare.
colori del partito AKP. Nata per fusione nel 2014, questa squadra
è divenuta in brevissimo tempo, grazie a grandi investimenti,
un’importante realtà del calcio nazionale. Ha all’attivo due
secondi posti in Süper Lig (la massima serie turca), piazzamenti
ottenuti nel corso delle stagioni 2016-17 e 2018-19.
Tra gli altri, militano oggi in questa squadra la stella Arda Turan

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N OM E RU BRIC A

    INSERTO                                              32 PAGINE
    SPECIALE                                            STACCABILI

                   - ANTEPRIMA 26 SETTEMBRE -

                                                VI ASPETTIAMO
                                                AL SOCCER CIRCUS
                                                > vedi pagina 30

                                                                            valdo Casanova
                                                            Illustrazione Os

            ND
PER UN WEEKE

MILANO                                           Nel 1968 Inter e Milan giocarono

CAPITALE
                                                 all’Arena Civica con un’unica maglia
                                                 contro la Nazionale Militare e il Chelsea.
                                                 Di quella che ad oggi è l’unica volta

          LC I O
                                                 in cui il derby si giocò Tutti dalla stessa

D E L C A                                        parte, resta questa casacca bianca
                                                 attraversata dalle strisce rosse nere
                                                 e azzurre. Unite insieme.

                                                                           19
INSERTO SPECIA LE

                                                             MANIFESTO
                                                                         #NOISIAMOCALCIO

                                           Questo è un manifesto di valori a cui il calcio dovrebbe              È rispetto degli avversari e rispetto dell’ambiente
                                           attenersi. Dal giocatore al tifoso, dal bambino                       e delle nostre città.
                                           al Presidente.                                                        È per questo che non basta solo avere delle regole
                                           Ricordando sempre che è un gioco, per grandi e piccini,               per sapere quando sia rigore o quando sia fuori gioco.
                                           che il calcio unisce e non divide, che gli unici colori               Occorre avere delle regole e dei valori che ci permettano
                                           che contano non sono quelli della pelle, ma solo quelli               di orientarci nel mondo. E il calcio, un universo
                                           delle maglie. Il calcio è il nostro diritto ad essere bambini         nel quale ci immergiamo ogni giorno, può diventare
                                           e ad essere felici.                                                   la nostra mappa per viaggiare nella vita.

                                                     IL CALCIO                           Il calcio è il nostro diritto ad essere bambini e ad essere felici.
                                                      È GIOCO                            Da grandi e da piccini.

                                                                                         Per chi ama il calcio l’unico colore che conta è quello arlecchino della maglia
                                                                                         della propria squadra. Il calcio è essere una squadra. Il calcio ci insegna
                                                  IL CALCIO                              a vincere e perdere. Il calcio è rispettare gli avversari. Magari un giorno
                                                È RISPETTO E                             saranno tuoi compagni di squadra. Il campo da calcio è ovunque ci sia
                                                                                         una pallone. Non ha limiti se non la nostra immaginazione.
                                              RESPONSABILITÀ
                                                                                         Il calcio è sostenibilità, ama i prati e il verde. Non ha bisogno solo di stadi
                                                                                         e cemento e si può giocare anche per strada.

                                                                                         A calcio possono giocare tutti. Ma a calcio non si gioca da soli. Bisogna
                                                       IL CALCIO                         essere almeno in due. Nel calcio le differenze si annullano. Tutto ruota
                                                    È INCLUSIONE                         intorno alla palla. Il calcio è un gioco per tutti: bambine e bambini, uomini
                                                                                         e donne. Nel calcio ognuno è abile in qualcosa anche se diversamente.

                                                                                         Il calcio è anche il nostro diritto ad essere di parte e irrazionali.
Illustrazione di MASSIMILIANO AURELIO

                                                     IL CALCIO                           Ma solo per amore e per gioco. E solo per sostenere la propria squadra.
                                                      È FOLLE                            Il calcio è contro la violenza. Il calcio non tifa contro.
                                                                                         Il calcio ama le folle, non la follia.

                                                     IL CALCIO
                                                                                         Il calcio è di tutti, per tutti. #NOISIAMOCALCIO
                                                     È NOSTRO
                                        DIRETTORI
                                        ARTISTICI

                                                                 STEFANO BOERI                        ALESSANDRO RICCINI RICCI                          PIERLUIGI PARDO
                                                                 Architetto, creatore                      Founder AC Immaginario srls,                       Giornalista
                                                                 del Bosco verticale,                        creatore del Football Fest                e telecronista Mediaset
                                                            Presidente di Triennale Milano                     di Perugia e di Firenze

                                                                                                                                                                        21 | 3
MIL A NO C A LCIOCI T Y

         IL CALCIO NASCE
            IN ORATORIO
                                       A Milano CSI vuol dire Sport in oratorio.
                               Non solo, ovvio, ma è innegabile che il cuore dell’attività
                                sportiva di base della città e del CSI Milano risieda qui.

Lo sport in oratorio non è in crisi, come a volte si pensa              È innegabile: c’è un’intera città di volontari che ogni settimana
nell’immaginario collettivo. Anzi, rappresenta uno dei volti belli      spende sui campi sportivi decine di ore e lo fa gratuitamente
dello sport italiano.                                                   e con infinita passione, per il bene dei ragazzi.
Non servono grandi parole, basta qualche numero a dimostrarlo           Eppure, ecco il paradosso: Il bene ed il bello del servizio
e Milano, in fatto di numeri, è un esempio significativo: il CSI        educativo delle nostre società sportive sono destinati a rimanere
Milano conta 630 società sportive, 2.100 squadre iscritte, oltre        nell’ombra. Nessuno ne parla, nessuno conosce numeri
centomila tesserati, più di quarantamila partite in una stagione        e potenzialità, nessuno percepisce lo sforzo educativo e l’impegno
sportiva. Questi numeri fanno del CSI e dello sport in oratorio         attivo che queste realtà promuovono in favore della crescita
una delle realtà più significative dello sport milanese.                umana dei più giovani.
Il punto però è che non si tratta solo di numeri: dietro alle cifre,    Lo sport in oratorio è destinato a rimanere la cenerentola
c’è una macchina sempre attiva che produce bellezza, educazione         dello sport italiano?
e tonnellate di relazioni umane.                                        Il CSI Milano, che tocca ogni giorno con mano tutta questa
I gruppi sportivi di oratorio sono vere agenzie educative               bellezza, non ci sta.
che producono «bene educativo» per i ragazzi, per la comunità           Lo sport in oratorio non è lo «sport degli ultimi»: semplicemente
e per il territorio. Le esperienze di crescita che il CSI Milano        siamo quelli a cui vincere non basta, o meglio, quelli per cui
offre alle società sportive sono diverse, al di là dei classici         vincere non può mai essere la cosa più importante. Per noi –
campionati e delle competizioni sportive: allenamenti integrati         e per tutte le persone che spendono la loro passione sui nostri
tra ragazzi disabili e ragazzi normodotati, la possibilità              campi – vincere è un obiettivo modesto rapportato alla grande
di sperimentare discipline ad alto tasso di inclusione, come            sfida di utilizzare lo sport come strumento educativo per i ragazzi
il baskin, la possibilità di disputare turni di campionato              e per la comunità.
all’interno delle carceri della città, o ancora proposte di un «terzo   Tenere tutta questa bellezza educativa chiusa in cantina,
allenamento» alternativo, vissuto all’insegna del servizio              lontana dai riflettori, nascosta alla gente è davvero una follia
in favore di fasce deboli delle nostre comunità… e via dicendo.         ed una scelta da irresponsabili.
Dall’altro lato, il CSI Milano trova nelle società sportive             Ecco perché vogliamo raccontare tutto il bello del «nostro»
del territorio infinita disponibilità ad accogliere queste proposte.    mondo sportivo. Dobbiamo accendere i riflettori sul buono
Attenzione, non è scontato.                                             e sul bello delle società sportive. Questo patrimonio di umanità
Immaginate la vita quotidiana di una di queste piccole o grandi         non può continuare a restare nascosto nell’anonimato.
società sportive: allenatori che, finita la loro giornata lavorativa,   Sarà dura, ma noi ci proviamo. Noi ci crediamo.
corrono sul campo a preparare l’allenamento, presidenti volontari
che nella vita fanno tutt’altro e che scelgono di impegnarsi            E ci credono anche gli amici di Milano CalcioCity, che hanno
in un ruolo di grande responsabilità, mamme, nonne e nonni              scelto di aprire le giornate di questo straordinario evento proprio
che terminati gli allenamenti puliscono gli spogliatoi, prima           in un oratorio. Come a dire che «il Calcio a Milano, parte anche
di riportare a casa figli e nipoti, dirigenti che arrivano al campo     da qui!».
un’ora prima dei ragazzi per preparare magliette, distinte,             E poi, per chiudere con un pizzico di orgoglio «oratoriano»:
materiale, visite mediche… eppure, tra le mille incombenze              Rivera, Boninsegna, Scirea, Albertini, Baresi, Bergomi… tutti
della vita di una società sportiva d’oratorio, presidenti e dirigenti   nomi che ci insegnano un’importante verità: un campetto
scelgono di far vivere ai loro ragazzi esperienze che «vanno            d’oratorio può riservare grandi sorprese.
oltre». Che vanno oltre il campo e la crescita tecnica e sportiva,
perché educano alla vita.

                                                                                                              MASSIMO ACHINI
                                                                                            Presidente del Comitato di Milano CSI

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INSERTO SPECIA LE

                                                      EDITORIALE MiCC

               Guarda, ascolta,
             mangia, gioca, divertiti
Dal 27 al 30 settembre, in quattro giorni di appuntamenti,                       Uno spazio nel quartiere di San Lorenzo, tra la Basilica
più anteprime e posticipi, Milano CalcioCity si conferma                         e le Colonne romane, fulcro dell’attività di gioco e incontro
il primo evento dedicato alla cultura e al gioco del calcio:                     di MiCC. La piazza diventa un campo da calcio dove incontrarsi,
parlato, raccontato e giocato, in tutte le sue forme.                            giocare e divertirsi in collaborazione con FIGC, Quarta
Nel programma Stories, dai grandi protagonisti del calcio di ieri                Categoria, Confcommercio Milano, Associazione Le Colonne
e di oggi a chi, attraverso letteratura, giornalismo, cinema,                    di San Lorenzo Ticinese e l’Oratorio della Basilica di San
musica e teatro, ha raccontato e racconta questo sport.                          Lorenzo.

Tutti insieme per raccontare il calcio e lo sport in un evento                   Viene inoltre creato il circuito food&beverage Foodball
diffuso che ha come sede principale Triennale Milano e coinvolge                 dove ogni bar e ristorante dedica un cocktail o un piatto
tutta la città, con momenti pensati per famiglie, bambini                        alla propria squadra del cuore: parte del ricavato sarà devoluto
e ragazzi.                                                                       in beneficenza.

Ma a Milano CalcioCity lo sport non è solo raccontato:                           Elegante club house di MiCC è la sede di Milano Fashion
con il programma Play è anche vissuto e giocato, grazie                          Library, zona Navigli, capace di trasformarsi per l’occasione
a una serie di appuntamenti e attività aperte a tutti.                           in Soccer Circus, con rassegne cinematografiche, mostre
Dal biliardino al padel, dal Subbuteo al bubble soccer, tante                    fotografiche ed eventi del piacere calcistico.
occasioni per provarsi sul campo e divertirsi, grazie anche
al Villaggio Azzurro – Le Colonne del calcio organizzato                         La manifestazione è prodotta da Triennale Milano
in collaborazione con la FIGC.                                                   e Agenzia Creativa Immaginario.

                             Milano CalcioCity, in collaborazione con Coldiretti, dona         che vi partecipano attraverso strumenti social e digitali.
                             cinquanta alberi maturi alla città di Milano per il progetto      Da qui nasce «Calcio, un gioco senza frontiere»: i campi
                             di riforestazione urbana. Inoltre ospita «ricetta QuBì»           da gioco andranno da piazzale Corvetto a Milano sino
                             per il contrasto alla povertà infantile. In Milano CalcioCity     a Rozzano, Pioltello, San Giuliano, San Donato.
                             viene anche lanciato il progetto di mappatura dei campi           La manifestazione, con la direzione artistica di Stefano Boeri,
                             da calcio (da basket, da volley) della città per un progetto      Alessandro Riccini Ricci e Pierluigi Pardo, farà parte
                             di loro adozione e manutenzione. Ogni campetto è una piazza       del palinsesto YESMILANO e si avvale del patrocinio
 È RESPONSABILE,

                             al centro di una rete sociale sulla quale costruire inclusione    e del contributo, tra gli altri, del Comune di Milano
                             e integrazione. E proprio per questo progetto nasce «Calcio,      e della Regione Lombardia. Oltre al supporto di Lega Serie A,
                             un gioco senza frontiere», assieme a Fondazione di Comunità       Lega Nazionale Professionisti Serie B, Lega Pro e Associazione
                             e Inter Campus. Un progetto che opera in aree critiche            Italiana Calciatori, che promuoveranno diversi appuntamenti
 «FOOTURO»
 È IL NOSTRO

                             o in aree periferiche, in sinergia con gli interventi già         con tanti protagonisti del mondo del calcio, quest’anno
                             sostenuti da Cariplo e Fondazione di Comunità, per creare         per la prima volta la manifestazione vanta la collaborazione
 IL CALCIO

                             o rafforzare le reti di persone e associazioni presenti           con la FIGC. Milano CalcioCity è stata anche inserita
                             nei territori. Il primo obiettivo è creare eventi ed attività     nell’elenco ufficiale delle manifestazioni che aderiscono
                             all’interno delle comunità con la finalità di seminare            alla Settimana Europea dello Sport 2019. Un’iniziativa
                             e innescare meccanismi partecipativi e di innovazione sociale.    promossa dalla Commissione Europea con l’Ufficio
                             Il secondo è offrire strumenti e competenze a team di persone     per lo sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri
                             che li rendano potenzialmente autonomi nello sviluppare           per stimolare i cittadini dell’Unione ad una corretta
                             azioni analoghe, formando a loro volta altre persone.             e consapevole attività fisica, indipendentemente dall’età
                             Il terzo obiettivo è raccontare questi progetti e le persone      o dal livello di forma.

                                                                                                                                                23 | 5
Le illustrazioni dell'inserto
sono di Massimiliano Aurelio.
Tarantino di nascita e milanese
di attività, ha collaborato
con The Guardian, Monocle,
Rolling Stone e Campari.
INSERTO SPECIA LE

                                                                                                EDITORIALE

                                                     Milano capitale
                                                    del calcio diffuso
                                        Milano e il calcio, un legame molto stretto, un connubio              Amicizia, rispetto e parità di genere. Il calcio è anche questo.
                                        che ha radici antiche e che vanta un contributo decisivo              Lo abbiamo visto con gli ultimi mondiali femminili in Francia,
                                        alla storia di questo sport nel mondo. L’Inter e il Milan, i loro     lo vediamo con la crescente passione femminile verso questo
                                        tifosi, l’Arena civica e San Siro, certo. Ma non solo: il calcio      sport, anche a Milano. E anche qui, non solo Inter e Milan
                                        in città è soprattutto la passione di padri, madri, figlie e figli,   ma tante altre formazioni minori ogni giorno accolgono tante
                                        di nonni e nipoti, di pomeriggi giocati nei campetti degli oratori,   sportive.
                                        in quelli comunali e negli impianti cittadini, dove sono numerose     A implementare tutto questo, a sviluppare la cultura del calcio
                                        le squadre che disputano campionati minori e giovanili.               sano sono molto utili manifestazioni come Calcio City,
                                        Una passione italiana, che ogni giorno è alimentata dalle corse       che si svolge in questi giorni e fa di Milano la capitale del calcio
                                        e dai calci di piccoli e grandi sportivi, dalle emozioni dei tifosi   diffuso, non solo città che ospita la Scala del calcio.
                                        e dalle imprese dei loro idoli.                                       Incontri, appuntamenti e ovviamente partite per grandi e piccoli,
                                                                                                              per vecchi e nuovi tifosi. Un evento che sposa in pieno la filosofia
                                        Milano e il calcio è anche vita di quartiere, coesione, rispetto      delle Week e delle City milanesi, le settimane a tema, durante
                                        reciproco: quello che spesso non si vede negli stadi                  le quali si concentrano qui professionisti e appassionati
                                        delle serie maggiori lo si trova nelle partitelle tra amici,          per diffondere e aprire settori specifici a tutta la città: dall’ormai
                                        tra piccoli soprattutto. Bimbi milanesi ma di origini, culture        classico Salone del Mobile, che ha ispirato tutto questo,
                                        e provenienze diverse, uniti da un pallone e due porte senza rete,    a Piano City, passando per Milano Montagna, la Fashion Week
                                        avversari ma amici, compagni di squadra e di scuola.                  o Bike City. E da oggi, Calcio City.
                                        Il calcio come collante sociale, dunque, strumento di coesione        Buona festa a tutti, buon calcio a tutti noi.
                                        e amicizia, come del resto è tutto lo sport.
                                        È per questo che Milano punta molto sulla riqualificazione
                                        delle strutture dei quartieri, oltre che sui grandi impianti.
                                        A volte basta un campo ben sistemato, un impianto accessibile
                                        per tenere viva e presidiata una strada, un quartiere.
Illustrazione di MASSIMILIANO AURELIO

                                                                                                 ROBERTA GUAINERI
                                                                   Assessore al Turismo, Sport e Qualità della vita del Comune di Milano

                                                                                                                                                                        25 | 7
INSERTO SPECIA LE

               IL METRONOMO
               NON SI FERMA MAI
               Dal rigore nella finale mondiale ai campi da padel, passando
               per lo sport-marketing e la presidenza del settore tecnico a Coverciano.
               I mille talenti di Demetrio Albertini.

                                                                                                                                     Intervista di EGLE PRIOLO

Negli anni Novanta lo chiamavano il Metronomo             ci vuole una costanza incredibile. Gli approcci        ruffiano? Può essere, ma solo all’inizio. Poi diventa
ed è ancora precisissimo. Sa dove vuole andare            sono diversi, ma è chiaro che vincere                  chiaro come sia uno sport per tutti, non classista,
e ci va. Diretto, pochi fronzoli, idee chiare.            la Champions per un giocatore è un’esperienza          molto diretto e soprattutto “sociale”, conviviale.
E non avrebbe potuto essere diverso per diventare         incredibile, un riconoscimento straordinario».         Una partita e poi una birra con gli amici».
una star del Milan, il cervello della Nazionale,
un rigorista rigoroso e cecchino, maestro                 Più di un secondo posto ai Mondiali?                   È anche presidente del settore tecnico
dei calci piazzati e delle punizioni. Vicecampione        «Ai giovani dico sempre che nella vita si hanno        di Coverciano, un’eccellenza riconosciuta
del mondo a USA ’94, il primo mondiale                    belle esperienze o vittorie. Tutto poi dipende         in tutto il mondo, cosa significa per lei dare
della storia deciso ai rigori. E il primo a stampare      da te e da quello che potrai raccontare. Io posso      un contributo alle nuove leve?
il pallone sulla rete del Brasile fu proprio lui,         raccontare di essere arrivato secondo al Mondiale,     «Il mio è un ruolo e un contributo organizzativo,
Demetrio Albertini. Centrocampista di gambe               ma la vittoria è la vittoria: è questa la bellezza     da cui soprattutto io per primo cerco di imparare,
e cuore, milanese doc, con i piedi cresciuti              dello sport. Se mi si chiede di raccontarla, dirò      è uno stimolo a prepararsi e informarsi. Ma quello
sui campi dell’oratorio prima di arrivare                 sempre che negli USA è stata un’esperienza             che posso dare, vorrei dare, è un impulso un po’
alle giovanili del Milan.                                 meravigliosa. Ma quando stavo salendo                  meno politico e più pratico. Vorrei scardinare
Albertini, dal campetto di Villa Raverio al Milan         la gradinata per andare a prendere la medaglia         la situazione in cui diciamo solo “siamo bravi”.
degli invincibili di Fabio Capello. Tutti ricordiamo      d’argento, con la Coppa del Mondo lì che               Siamo bravi, ok, ma possiamo migliorare».
le 58 partite senza sconfitte dal maggio ’91              non potevo alzare, non è stato proprio bello.
al marzo ’93. Ma quando scendevate in campo               Ma in quanti hanno giocato un Mondiale?                Per chiudere, uno sguardo al campionato
vi sentivate davvero invincibili? «La forza               In quanti possono raccontare di aver segnato           italiano: le milanesi sono ancora così distanti
di quel gruppo era proprio di non sentirsi                un rigore in finale?»                                  da Juve e Napoli?
invincibili. Ci si preparava bene partita dopo                                                                   «Una milanese sì. L’altra si è attrezzata
partita. La nostra forza era quella di avere sempre       Ha dato molto al calcio, non solo italiano,            per avvicinarsi».
il timore di perdere, di non pensare affatto              ma con la sua agenzia di sport-marketing
di essere invincibili. E infatti la nostra celebrazione   negli anni ha saputo ricrearsi                         Nessun margine di miglioramento per il Milan?
era sempre alla fine del campionato».                     una professionalità anche fuori dal campo...           «In questo momento no. Il miglioramento andava
                                                          «Sì. E per il piacere di non stare mai fermo,          fatto dai singoli e poi con l’inserimento
Uno schema che si può riproporre                          per non essere capace forse a stare fermo.             di qualcuno. Soprattutto se ci sono tre squadre,
anche nella vita?                                         L’importante è sempre l’impegno e la passione.         Juve, Napoli e Inter, che sono disegnate
«Assolutamente sì. Anzi, è doveroso».                     Sono stato fortunato nel poter fare quello che         per vincere lo scudetto, con la carta di avere
                                                          mi piaceva. Ma ad appagarmi è sempre l’impegno,        giocatori preparati qualitativamente per la vittoria:
Ancora oggi, a 25 anni distanza, i tifosi                 le esperienze importanti. Questo è importante          una può fallire, due possono fallire. Tre no».
rossoneri ricordano la punizione in semifinale            nella vita».
di Champions League che spianò la strada
alla finale di Atene: 4-0 al Barcellona                   Restando nelle attività extracalcistiche,                        CONFERENCE ASSOCIAZIONE
di Cruijff. Vincere una Champions è più bello             dal calcio è passato al padel, con City Padel                        ITALIANA CALCIATORI
che vincere lo scudetto?                                  Milano. Come spiega il successo di questa                        IL PRESENTE DEL CALCIO E LE
«Ci sono tanti fattori di differenza. Da una parte        nuova attività, di questa moda che impazza?                       CONSEGUENZE DEL FUTURO
c’è una sfida da dentro o fuori, dall’altra pensi         «In ogni attività sportiva ci vogliono due
sempre di poter recuperare, o di essere recuperato,       ingredienti: competizione e soddisfazione.                        30 SETTEMBRE | 17.30
nel corso della stagione. Non è detto che sia più         E il padel, da subito, dal primo giorno che prendi                       > BASE <
facile vincere una sola partita, ma dall’altra            in mano la racchetta, li offre entrambi. È uno sport            Via Bergognone, 34 - Milano

Fotografia di GETTY IMAGES

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