Atti del convegno 2015 - www.tuttaunaltrascuola.it 1 - Scuola-Città Pestalozzi

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2015

Atti del convegno

 www.tuttaunaltrascuola.it

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Tutta Un’Altra Scuola 2015 – atti del convegno

Sbobinatura ed editing: Alice Borali, Valeria Dei, Sabrina Scrobogna

© 2015 Editrice Aam Terra Nuova srl, via Ponte di Mezzo 1, 50127 Firenze
tel 055 3215729 – fax 055 3215793

libri@aamterranuova.it – www.terranuovalibri.it

ISBN 9788866811305

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Indice

4     Introduzione - Nicholas Bawtree e Claudia Benatti

6     Un’altra educazione è possibile - Paolo Mottana

9     Senza zaino, per una scuola comunità - Iselda Barghini

15    Le scuole Steiner Waldorf - Sabino Pavone

21    Per iniziare diamogli il mondo - Micaela Mecocci

27    Scuola Città-Pestalozzi, comunità educante - Valentina Giovannini

31    L’arte della nuova pedagogia - Adele Caprio

33    Cos’è Summerhill - Michaeal Newman

36    Homeschooling, la scuola non è un obbligo - Erika Di Martino

40    L’educazione parentale - Cecilia Fazioli e Valerio Donati

45    L’educazione libertaria: un modello di educazione alternativa - Andrea Sola

50    Un approccio esperienziale all’educazione - Christian Mancini

54    Educare alla felicità e alla decrescita: Alice Project - Gloria Germani

56    Domande e risposte. Prima parte

64    Domande e risposte. Seconda parte

I VIDEO DEL CONVEGNO

Sul canale YouTube di Terra Nuova Edizioni www.youtube.com/terranuovaedizioni
trovate i video integrali di tutti gli interventi.
Un ringraziamento va a tutti coloro che hanno acquistato questi atti, aiutandoci a rendere
il materiale video disponibile gratuitamente.

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Introduzione

Nicholas Bawtree, caporedattore Terra Nuova
Il primo ringraziamento va a voi che siete venuti fin qui, anche da molto lontano! Vorrei
poi ringraziare il Comune di Vaiano che ci ha offerto questo magnifico spazio, insieme
all’associazione Terra Semplice e al collettivo Alchemia e vorrei ringraziare i relatori, che
hanno fatto un bel viaggio per essere qui e hanno messo insieme oggi qualcosa di vera-
mente speciale. Grazie anche a tutti i volontari, che si sono dati da fare per sistemare que-
sto spazio, e ai nostri sponsor, Ecor NaturaSì, Montessori Ticino Net e Vastarredo, che han-
no avuto la lungimiranza di appoggiare quest’iniziativa, ma anche a tutti i lettori di Terra
Nuova e alle altre persone vicine a questi argomenti che, partecipando al nostro crowdfun-
ding, hanno finanziato questo progetto.
Terra Nuova da tempo si occupa di raccogliere esperienze e raccontare le possibili alterna-
tive a un sistema educativo che si mostra sempre meno adeguato. Oggi qui abbiamo tante
esperienze diverse e vorrei partire, per rompere il ghiaccio, dalla mia: io ho avuto un pro-
gressivo disadattamento nei confronti della scuola convenzionale che ho frequentato. Ave-
vo iniziato a dare la colpa prima di tutto a me stesso, poi agli insegnanti, poi ai miei com-
pagni di banco… poi ho iniziato invece a pensare che forse c’era qualche cosa da cambiare
nel sistema intero. Ad aiutarmi nella ricerca di un’alternativa è stato un insegnante, che mi
ha detto: «Dovresti leggere qualcosa sulla scuola di Summerhill». Da lì mi si è aperto un
mondo, perché tutte le riflessioni che avevo fatto personalmente le ritrovavo scritte, le ri-
trovavo collegate a esperienze concrete e quindi mi si è proprio illuminata la via, tanto che
poi all’Università ho studiato questi argomenti. Proprio all’Università ricordo di aver letto,
su un periodico dedicato agli stessi temi di cui parleremo oggi, una frase che diceva in so-
stanza che, soprattutto riguardo alla scuola, se si pensa di aver trovato la verità, cioè la
strada più giusta, immediatamente la si è persa; quindi quello che faremo oggi è mettere
insieme esperienze concrete, ricerche, ognuna delle quali, però, non ha la pretesa di essere
la verità ultima. L’opportunità di oggi è quella di incrociare i nostri percorsi, di confrontar-
ci, per andare ancora oltre, con l’auspicio che la cosa non finisca qui ma sia l’inizio di una
continua ricerca.
Un ultimo ringraziamento speciale, con affetto, lo vorrei fare a Claudia Benatti, che ha ve-
ramente creduto in questa bellissima avventura.
Buon incontro, buona giornata a tutti, passo la parola a Claudia.

Claudia Benatti, Terra Nuova.
Coordinatrice del gruppo promotore
Siamo tantissimi oggi e neanche immaginate quanto ci faccia piacere. Quando un anno fa
abbiamo cominciato a pensare a come avrebbe potuto essere questo giorno, ce lo eravamo
immaginati così, tante persone insieme che si ascoltano, si parlano, si raccontano e poi tor-
nano a casa raccontando quello che hanno sentito qui. E via così, per seminare e diffonde-
re. Per citare una bella frase di Sabino Pavone, uno dei relatori di stamattina, siamo qui an-
che per seminare il futuro oltre che per costruire il presente. Suona ambizioso, ma in realtà
è quello che si fa tutti i giorni facendo ciò in cui si crede e credendo in ciò che si fa.

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L’idea di un anno fa, che oggi si concretizza in una sua prima parte, non è solo quella di far
parlare un giorno qualche esperto, ma era ed è anche quella di cucire una rete di realtà e
persone che si scambiano le loro esperienze, le loro riflessioni, le risposte che hanno prova-
to a dare alle tante domande che si sono posti. Noi speriamo di iniziare qui un’opera di
tessitura e, badate, non per uniformare o omologare alcunché né tantomeno per incasella-
re. Persone che si conoscono, approcci educativi che si confrontano, esperienze da parti di-
verse dell’Italia che scoprono magari di avere tanti punti in comune con altre o magari
qualcosa da imparare o insegnare. A me piace pensare che noi oggi, qui, siamo la «scuola»
che vorremmo per i nostri figli, un esempio di educazione continua e sempre in movimen-
to, perché tiriamo fuori da noi stessi quanto di meglio abbiamo fatto e lo condividiamo. Ex
ducere è quello che facciamo noi oggi qui.
La nostra intenzione è di proseguire l’anno prossimo con un’altra edizione di questo con-
fronto-racconto, dando spazio a tante altre realtà ma soprattutto con l’obiettivo di coinvol-
gere tanti operatori, genitori e cittadini. Perché la differenza la si fa se si parla, se ci si cono-
sce. Quale sia il comune denominatore delle differenti esperienze che oggi si raccontano a
me pare chiarissimo: si parte dal bambino, dal ragazzo come individuo, una persona che
attraverso l’educazione e la scuola (che abbia o no le mura) acquisisca fiducia, senso criti-
co, maturità, consapevolezza; non solo nozioni e non solo per superare l’esame impietoso
di chi con un voto o due parole pretende di sintetizzare cosa c’è dentro, fuori e intorno a
ciascun bambino.
Ringrazio, ma lo farò anche al termine della giornata, con il cuore le persone che hanno
fatto parte di questo gruppo promotore, che hanno lavorato insieme per un anno e che ho
avuto il piacere e l’onore di conoscere. Una grandissima opportunità. Saranno tutte sul
palco oggi.

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Paolo Mottana
Paolo Mottana è professore ordinario di filosofia dell’educazione all’Università di Milano Bicocca.
Ha insegnato Filosofia immaginale e didattica artistica all’Accademia di Brera e da anni si occupa
dei rapporti tra immaginario, filosofia ed educazione. Ha fondato il Gruppo di ricerca immaginale
presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Milano Bicocca e presiede l’associa -
zione Istituto di Ricerche Immaginali e Simboliche (IRIS). Nel suo blog dal titolo Controeducazione
sviluppa una politica culturale all’insegna dell’affermazione vitale dei sogget ti in formazione e in
conflitto con le pratiche di disciplinamento diffuse nelle agenzie di formazione istituzionali. Dirige
un Master universitario all’Università di Milano Bicocca dal titolo «Culture simboliche per le pro-
fessioni dell’arte, dell’educazione e della cura».
Tra le sue pubblicazioni: Formazione e affetti (Armando, 1993); Il mèntore come antimaestro (a
cura di, CLUEB 1996); Miti d’oggi nell’educazione. E opportune contromisure (Angeli 2000);
L’opera dello sguardo (Moretti e Vitali, 2002); La visione smeraldina. Introduzione alla pedagogia
immaginale (Mimesis, 2004); Antipedagogie del piacere: Sade e Fourier e altri erotismi (Angeli,
2008); L’immaginario della scuola (a cura di Mimesis 2009); L’arte che non muore. L’immaginale
contemporaneo (Mimesis, 2010); Eros, Dioniso e altri bambini. Scorribande pedagogiche (Angeli,
2010); Piccolo manuale di controeducazione (Mimesis, 2012); Spacco tutto. Violenza e educazione
(a cura di, Mimesis,2013); Cattivi maestri. La controeducazione di René Schérer, Raoul Vaneigem,
Hakim Bey (Castelvecchi, Roma, 2014).

Un’altra educazione è possibile
Mai come in questo nostro tempo appare evidente a chi possieda una sensibilità pedagogi -
ca non normativa e autoritaria che la scuola, da istituzione da sempre disciplinare e sog-
giogante, è anche diventata terribilmente obsoleta e inadeguata. Non solo le sue procedu -
re, le sue strutture e la considerazione dei suoi ospiti, bambini e bambine, ragazzi e ragaz -
ze, drammaticamente subalterna alle logiche socioeconomiche oltre che a quelle di una ci -
viltà ancora fondamentalmente patriarcale, appaiono ormai inaccettabili. Ma più in gene -
rale rispetto agli obiettivi dichiarati, anche la sua credibilità ed efficacia è entrata definiti -
vamente in crisi.
La scuola, come istituzione, pubblica e privata, nei suoi fondamenti tradizionali, non ha
mai davvero avuto a cuore l’interesse peculiare di bambini e ragazzi che sono stati obbli-
gati a frequentarla. Non li ha mai davvero coinvolti nella sua organizzazione e nella scelta
delle attività da fare al suo interno, non si è mai soprattutto preoccupata di coltivare la sin -
golarità, la vocazione, il germoglio di unicità racchiuso in ciascuno di loro.
Ciò che è peggio, è che la scuola, nella sua formula tradizionale, pubblica o privata che sia,
di ascendenza religiosa e normativa, è sempre stata concepita come un luogo che assegna
il primato alla mente, immobilizza i corpi, fa tacere le emozioni e l’immaginazione, castra i
desideri, impedisce un’attiva e plurale partecipazione, allinea le differenze. Non solo, il
suo apparato è di fatto costruito come un sistema di fatturazione della dimensione orga-
nizzativa di ogni esperienza, sezionata per discipline (rese astratte e disincarnate dal corpo
del sapere e della realtà), per livelli, per ordini, per classi, per generi, per orari, per età. La
scuola assoggetta chi vi entra a un dispositivo che impedisce di vivere un’esperienza che
abbia davvero qualcosa a che fare con la struttura organica e integra della realtà. Ed è que -
sta la spiegazione anche della sua inefficacia: mortifica la dimensione vitale ed esperien -
ziale dell’imparare.

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Nel tempo, nonostante le molte riforme e anche contro le buone sperimentazioni che, so-
prattutto in alcuni periodi, l’hanno almeno parzialmente costretta a ripensarsi, la scuola è
tornata ad essere un luogo schiacciato dal primato dell’economia e del mercato e mai come
oggi questi impongono ad essa i contenuti, i metodi, le procedure di selezione.
D’altra parte col tempo è cresciuta anche la consapevolezza, nei bambini, nei ragazzi stessi
e nelle loro famiglie che la proposta educativa della scuola è appunto povera, inadeguata e
molto spesso mortificante. Una proposta che non è nella maggior parte dei casi capace di
coinvolgere, di interessare, di motivare adeguatamente i suoi ospiti.
Di fronte a tutto questo da molto tempo ma con particolare veemenza più recentemente,
sono nate esperienze alternative di educazione per bambini e ragazzi. Proposte certamente
anche molto differenziate tra loro ma in generale accomunate da una preoccupazione co-
mune: quella di fornire a bambini e ragazzi, a bambine e ragazze, risposte a quello che essi
sono più autenticamente, ai loro interessi, alla loro natura, alle loro potenzialità.
Esiste un arcipelago esteso e frastagliato di esperienze e iniziative educative anche di lun -
go periodo e rivolte a differenti fasce d’età, al momento ancora poco conosciuto e spesso
sommerso ma vivo e desideroso di affermare la sua identità e le sue idee, oltre che le sue
pratiche.
Questo mondo, che annovera vere e proprie scuole di antica fondazione, come le scuole
ispirate al metodo Waldorf, le scuole Montessori, la scuola Pestalozzi e molte altre accanto
a germogli più dispersi e talora molto recenti come le scuole parentali, quelle libertarie, le
«scuole senza zaino» o le molteplici esperienze di homeschooling, almeno qui in Italia, fi-
nora ha dialogato relativamente poco.
Appare invece urgente, anche e proprio per fornire risposte organizzate, un lavoro di
orientamento e anche approfondimenti in un campo solcato da proposte esemplari ma an -
che molto diverse. É necessario attivare iniziative che consentano agli attori di questo
mondo sommerso di incontrarsi, di conoscersi, di confrontarsi, con lo specifico obiettivo di
affermare nuove idee per la formazione dei bambini e dei ragazzi, per riparare ai guasti
dell’educazione scolastica, per rivendicare nei confronti dei più giovani, che non hanno
parola e ben poche sedi ove farsi valere, il sacrosanto diritto a godere di un’infanzia e di
un’adolescenza a loro misura, disegnata effettivamente sul loro profilo, sulle loro esigenze,
sulle loro possibilità.
E’ urgente e vitale conoscere e valorizzare tutti quei percorsi dove i bambini e i ragazzi
possano finalmente essere davvero pienamente coinvolti, come soggetti a pieno titolo, nel-
la loro «ciascunità» irriducibile (Hillman), come persone che possiedono intelligenza ma
anche emozioni, intuizioni, immaginazione e creatività e soprattutto un corpo, un corpo
vivo, senziente e desiderante che da sempre appare trascurato e soggiogato dagli apparati
educativi tradizionali. Si deve fare in modo di creare spazi dove finalmente i bambini e i
ragazzi abbiano il diritto di esprimersi, di partecipare, di decidere, di far valere la propria
soggettività, dove sia scongiurata la paura, che domina i contesti della formazione tradi -
zionale attraverso le infinite e insostenibili procedure della misurazione e della valutazio -
ne, e dove sia invece incentivata la passione di imparare, di comunicare, di condividere.
A questo fine, un fine cruciale, perché è nei primi anni di vita, a contatto con insegnanti e
educatori, che molte delle abitudini e dei comportamenti fondamentali di tutti noi e dei fu-
turi abitanti di questo mondo vengono plasmati - e questo le istituzioni politiche ed econo-
miche lo sanno benissimo-, crediamo sia opportuno organizzare un evento come «Tutta
un’altra scuola» in cui finalmente queste realtà, quelle di più antica fondazione e quelle
più giovani, possano iniziare a dialogare, porsi in comunicazione, attivarsi per affermare

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in modo sempre più visibile ed efficace la propria presenza e la presenza delle proprie idee
coraggiose e in controtendenza. Perché oggi occorre fare «massa critica», non basta coltiva-
re orticelli aristocratici e separati tra di loro, dove gruppi di genitori e educatori sensibili
edificano realtà belle e indipendenti. Occorre che tutto questo si renda visibile e cominci a
rappresentare per tutti un’alternativa credibile, percorribile, sostenibile, integrata (pur nel -
le differenze). E’ su questo terreno che bisogna muoversi, attraverso gesti visibili, «iperge-
sti» (Citton), attraverso azioni politiche e di informazione, attraverso la rivendicazione che
nel mondo del pubblico l’attenzione effettiva per le esigenze di bambine e bambini, ragaz -
ze e ragazzi, siano finalmente tenute in considerazione.
Le idee che accomunano la maggior parte di queste realtà in continua evoluzione, di ciò
che anche supera il concetto di scuola, rappresentano una radicale differenza rispetto a
quelle dell’educazione tradizionale presenti nel dibattito pedagogico più diffuso e propa-
gandato. Un dibattito che a tutt’oggi appare attardato, chiuso e aggrappato alla realtà sco -
lastica maggioritaria invece di guardare con attenzione e speranza verso chi davvero si
prende cura delle possibilità, delle peculiarità e dei desideri delle giovani generazioni.
E’ dunque per favorire un decisivo rinnovamento dell’educazione dell’infanzia e dell’ado -
lescenza che «Tutta un’altra scuola» nasce e ha intenzione di battersi con tutte le sue forze,
per non abbandonare il nostro futuro nelle mani delle burocrazie, degli apparati di potere
e delle esigenze acefale e brutali dell’economia del profitto e della distruzione.

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Iselda Barghini
Docente distaccata sulla Rete Nazionale Scuole Senza Zaino - Istituto Comprensivo di Fauglia (Pi).
Coordinamento e organizzazione della Rete, organizzazione e gestione albo formatori.
Info: www.senzazaino.it

Senza zaino, per una scuola comunità
Il bambino/ragazzo, cittadino costruttore del proprio apprendimento, insieme ad altri, è la
missione delle scuole Senza Zaino, per una scuola comunità.
Un movimento di scuole pubbliche, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado, che co -
stituisce una rete diffusa in tredici regioni italiane da Nord a Sud del paese.
Le scuole partecipanti alla rete sono 300 e sono coinvolti 2200 docenti e 16.000 ragazzi cir -
ca.
Il modello di scuola nasce da un gruppo promotore formato da docenti e dirigenti scolasti-
ci che nel 2002 hanno provato a ripensare l’intera organizzazione della scuola (dagli spazi
delle aule e dei corridoi, alla scansione del tempo-attività nella giornata scolastica, alle re -
lazioni affettive fra bambini e fra adulti e bambini, al «cosa e come» si insegna ma soprat-
tutto «al cosa e come si apprende»).
La scuola Senza Zaino si è consolidata e cresce proprio come movimento dal basso perché
sono i docenti, che in queste scuole studiano e realizzano pratiche didattiche, ad essere i
principali attori del cambiamento. Essi hanno come riferimenti teorici autori e teorie diver -
se, italiane e straniere, messe insieme dopo un’attenta riflessione sulla pratica nelle moda -
lità della ricerca condivisa fra i colleghi della scuola e delle scuole della rete.
Quale idea di scuola da realizzare e quale idea di bambino/ragazzo hanno i docenti che
aderiscono al movimento? Queste sono le prime domande che ci poniamo e poniamo ogni
volta che apriamo un percorso educativo di innovazione in nuove scuole.
Hanno gli adulti «coscienza dell’infanzia» , così definita negli anni ’70 da Idana Pescioli,
pedagogista alla facoltà di Magistero dell’Università di Firenze? Diceva Pescioli: «Coscien-
za dell’infanzia come consapevolezza specifica degli adulti dei valori che portano in sé i
bambini, in quanto dotati di una straordinaria ricchezza di potenzialità di apprendimento
e sviluppo, di capacità competenze logico-inventive tramite soprattutto il lavoro di grup-
po, e quindi come soggetti produttori di una cultura originale e cooperativa. Coscienza
dell’infanzia, dunque «per il tempo dei bambini» con i loro diritti al rispetto e alla difesa
della paura di ogni giorno: verso una civiltà «altra» di cooperazione e solidarietà». I valori
fondamentali del modello di scuola Senza Zaino sono l’ospitalità, la responsabilità, la co -
munità all’interno di una cornice culturale che abbiamo definito di Approccio globale al cur-
riculum.
Vediamo come traduciamo i tre valori in proposte didattiche.
Nell’esperienza Senza Zaino, l’ospitalità richiama l’attenzione agli ambienti scolastici (aule
e spazi comuni) dove i ragazzi trascorrono molte ore del loro tempo di vita: spazi quindi
accoglienti, ordinati, curati anche esteticamente, «spazi pensati».
Le scuole senza zaino nel loro percorso di innovazione partono a ripensare, riprogettare,
modificare le aule prima, e gli altri spazi poi, coniugando l’organizzazione dello spazio
alle pratiche didattiche per l’apprendimento.

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Niente più cattedre (sembra un’azione scontata, ma non lo è, soprattutto nella secondaria),
niente banchi individuali sostituiti nell’infanzia e nella primaria da tavoli quadrati dove
lavorano insieme sempre dei gruppi fino a cinque, sei bambini.
Il tavolo da lavoro è il luogo dell’incontro, dello scambio di idee, della progettazione co -
mune, dell’aiuto reciproco, della condivisione del materiale, del lavoro in piccolo gruppo,
dell’ascolto, del dialogo.
Nella scuola secondaria sono stati introdotti tavoli link che stanno uniti ma possono divi-
dersi ogni volta che i ragazzini devono o vogliono lavorare in autonomia, da soli.
Nell’aula è posta un’agorà, cioè uno spazio dove si ritrovano i bambini per conversare in
grande gruppo ma anche per leggere storie da soli mentre gli altri stanno ancora lavoran -
do ai tavoli. Nelle classi quarte e quinte l’agorà è sostituita da divanetti e poltrone. Nelle
scuole superiori divanetti e poltrone invece sono in altri spazi dell’edificio. Poiché il mate-
riale è comune e rimane quasi tutto in classe, ogni bambino ha un proprio spazio nei mobi -
letti (buchette) presenti in classe che gestisce in autonomia portando anche oggetti perso -
nali a lui cari.
Ma, l’altro aspetto importante, per lo «spazio pensato» è l’aula suddivisa in aree di lavoro
attrezzate, ricche di materiali - anche prodotti nelle «Fabbriche degli strumenti» - a cui i ra-
gazzi possono accedere in autonomia e in libertà scegliendo che cosa fare e come fare (ogni
area di lavoro è accompagnata dalle istruzioni per l’uso costruite con i ragazzi).
L’organizzazione dell’aula in aree distinte rende così possibile più attività in contempora-
nea, lo sviluppo dell’autonomia e la possibilità di scelta dei ragazzi.
Il valore dell’ospitalità è inteso anche in un’accezione più ampia. Esso ha a che fare con
l’accoglienza delle diversità di culture, genere, lingue, interessi, intelligenze, competenze,
abilità: si tratta di ospitare l’essere umano nella sua interezza fatta di doni, di talenti, di
predisposizioni ma anche di bisogni, debolezze e fragilità.
Concretamente poi l’ospitalità impegna a realizzare un insegnamento differenziato e prati-
che di gestione personalizzata della classe dando spazio alla varietà delle intelligenze e de -
gli stili cognitivi realizzando così una scuola inclusiva «per tutti e per ciascuno».
Il secondo valore è quello della responsabilità. Abbiamo provato a declinarlo in azioni for-
mative rivolte ai ragazzi e agli adulti, siano essi insegnanti e genitori.
Pensiamo ai piccoli compiti di responsabilità in una classe di scuola primaria: dall’annaf -
fiatura delle piante alla messa in ordine del materiale nelle aree di lavoro. A ogni tavolo
viene assegnato un responsabile, ogni classe due rappresentanti eletti per partecipare al
consiglio della scuola con le idee-proposte della propria classe. Gli impegni vengono scelti
dai ragazzi, scanditi temporalmente, auto valutati, ripensati, riproposti in forme diverse.
Il CRA (Consiglio Rappresentanti Alunni oppure - visto dalla parte degli adulti - Respon-
sabilità Consapevolmente Agita) porta i ragazzi delle classi a discutere insieme dell’orga-
nizzazione della scuola, delle sue regole ma anche delle sue libertà. Il CRA rende i ragazzi
partecipi, consapevoli, responsabili.
Naturalmente il tema della responsabilità dei ragazzi passa anche attraverso la scelta delle
attività e nelle attività stesse che costituiscono il percorso di apprendimento dei ragazzi.
Coinvolgere bambini e ragazzi nella costruzione «su misura» del loro percorso di appren-
dimento per renderli responsabili delle scelte che fanno, significa anche mettere a loro di -
sposizione tante possibilità di scelta di attività per sollecitare la loro curiosità, stimolare la
motivazione, renderli indipendenti.
Qui entra in gioco la responsabilità degli adulti di saper organizzare e gestire la classe dif -
ferenziando l’insegnamento. La formazione dei gruppi classe e all’interno della classe,

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l’alternanza del lavoro fra piccolo gruppo, coppia, lavoro individuale e grande gruppo, la
divisione dei compiti per un progetto, le stazioni per discipline, il tutoring e il rapporto tra
quelli che entrano e gli anziani della scuola, sono aspetti didattici che mettono fortemente
in relazione autonomia e responsabilità.
Ma nessun bambino sarà in grado di coniugare autonomia, partecipazione e responsabilità
se gli adulti che stanno al suo fianco non sono in grado di tradurre dentro le loro scuole i
valori di cui sopra in azioni concrete. E l’insegnante a scuola ha necessità di lavorare insie-
me agli altri colleghi per raggiungere traguardi significativi.
Ecco perché il modello di scuola Senza Zaino è portatore di un grande significato culturale
e propone pratiche didattiche per costruire la comunità dei docenti e dei bambini nelle
classi.
La metafora che utilizziamo (che nelle nostre scuole è concretezza) è l’aula docenti. L’aula
docenti è il luogo dell’incontro fra i docenti di quella scuola, dello scambio dei materiali,
del riposo fra un’ora e l’altra, della lettura individuale, della progettazione di gruppo; in -
somma è uno spazio comune che identifica la comunità della scuola perché insieme si cre-
sce in cooperazione, in solidarietà, in responsabilità. Ma l’intera scuola è comunità (com-
presi i genitori) e l’opera educativa è l’azione nonviolenta per eccellenza.

Senza zaino e la nonviolenza attiva
Il Modello di Scuola Senza zaino ha nel proprio Dna le strutture teoriche e pratiche portan-
ti per costruire atteggiamenti e comportamenti di nonviolenza attiva.
Provo ad evidenziarli.
NO allo zaino simbolo di conformismo e di peso specifico.
Abbiamo sostituito lo zaino con piccole cartelle costruite per il nostro istituto dal laborato-
rio della comunità dei tossicodipendenti presente nel territorio. La cartella è piccola perché
poche devono essere le cose che il ragazzino si porta da casa a scuola e viceversa. Gli og -
getti per l’apprendimento e i libri trovano posto a scuola e a casa per usarli quando servo -
no. Appesantire le spalle dei nostri bambini è violenza e prevaricazione dell’adulto che fra
l’altro è consapevole che il bagaglio sulle spalle non produce cultura.
Vorrei riportare qui un brano di un libro di Idana Pescioli che più volte ho citato perché
esemplificativo di come oggi funziona ancora tanta scuola italiana: «Ormai tutti i bambini
portano sulle spalle – in zainetti coloratissimi e allegri - il peso “specifico” che la scuola ri-
chiede. Cioè tanti quaderni: oggi più belli e colorati ma accresciuti di dimensione e numero
(per la “brutta” e la “bella”, almeno due per ogni materia... arrivando anche fino a dieci!) e
tanti libri (anch’essi più belli e colorati, ma aumentati di numero e di spessore); oltre alle
non poche schede di verifica fotocopiate (per lo più con disegni stereotipi da riempire di
colori o di segni convenzionali di assenso o dissenso a quiz... uguali per tutti!). Ebbene,
questo mucchio pesantissimo di oggetti cartacei è ciò che si usa chiamare il bagaglio cultu-
rale: oggi per certo metafora del peso enorme che la scuola lascia ogni giorno sulle spalle
dei bambini... poco attivizzati... In altre parole, gli oggetti del bagaglio culturale restano
per lo più preponderanti mezzi di apprendimento faticoso e ripetitivo il quale, per
l’appunto non esalta i bambini come soggetti di cultura ma li opprime costringendoli a
sforzi... senza coinvolgerli in un impegno profondo ed in una gioia autentica».
Noi e le altre scuole Senza Zaino, utilizzando borse e cartelle piccole e artigianali (a filiera
corta), vogliamo collegare concettualmente la cartella leggera con una scuola a misura dei
bambini e dei ragazzi. Una scuola mite, autentica, che richiede sforzo e impegno coniugato
a gioco e lavoro per la salute, la libertà, la giustizia, la nonviolenza, la cooperazione.

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Una lente di ingrandimento sulla qualità degli spazi dell’aula e della scuola
La strutturazione dello spazio aula e della scuola realizzato nelle modalità che vedono i
bambini autonomi, responsabili, partecipi permette da subito la costruzione di un clima
educante. «I bambini vengono volentieri a scuola» dicono i genitori nelle nostre scuole e in
quelle della rete nazionale. È importante essere soddisfatti di quello che stiamo facendo e
l’influenza reciproca fra bambini soddisfatti e insegnanti motivate è molto forte, tale da
creare da subito relazioni affettive importanti e quindi nonviolente.
L’insegnante non alza più la voce e sta con i ragazzi girando tra i tavoli, i ragazzi dialoga-
no guardandosi in faccia, ma i ragazzi vanno anche a lavorare da soli o in coppia in altri
luoghi dell’aula attrezzati per le loro attività: dall’agorà per la discussione e la progettazio -
ne della giornata, ai divanetti per la lettura, al tavolo con gli strumenti tattili per giochi di
approfondimento sulle discipline e all’angolo con i computer per le attività con strumenti
digitali.
In questi luoghi si esercita l’autonomia delle scelte e la responsabilità nel portare a termine
il proprio lavoro, si cresce rispettando tutti. Inoltre, l’attenzione verso questi luoghi e que-
sti oggetti da parte dei bambini e degli adulti è un altro aspetto che costruisce atteggia-
menti e comportamenti di nonviolenza attiva: dalla cura degli oggetti al prendersi cura
delle persone; il bambino più grande che accompagna il piccolo nella realizzazione di tan -
te attività diventa una consuetudine favorendo l’organizzazione di laboratori dall’infanzia
alla secondaria con ragazzi di età diverse. Curare significa anche rendere belle le scuole
per l’aspetto estetico (colorate, pulite, con comunicazioni visuali chiare) e per la formazio-
ne di una comunità di intenti educativi e pratiche didattiche.

La cura delle relazioni determina «il clima» della scuola
Di fatto i rapporti fra gli adulti prima ancora che fra i bambini e fra gli adulti e i bambini
sono uno degli aspetti fondamentali per la costruzione di un clima di nonviolenza attiva.
Sono gli adulti, siano essi gli insegnanti, i custodi, i genitori e finanche il personale ammi-
nistrativo e il dirigente, coloro che determinano le scelte educative che si traducono in
comportamenti ogni giorno dentro e fuori la scuola. Favorire e curare queste relazioni è
compito del dirigente ma anche di ogni membro del grande e piccolo gruppo, dell’intero
istituto e della singola scuola.
La cura delle relazioni parte dall’ascolto delle diverse, molteplici richieste, opinioni, idee
di adulti differenti per storie personali e per ruoli educativi, ma anche dalle attenzioni che
i docenti hanno tra di loro e verso i genitori e tra quest’ultimi e la scuola nelle sue varie
componenti. Il concetto di cura implica l’accoglienza, l’ospitalità, la costruzione della co-
munità che sono tutti valori delle scuole senza zaino ma sono presenti con forza anche nel-
le indicazioni del Ministero. Nella pratica quotidiana è necessario abbandonare i pregiudi -
zi e non giudicare l’altro per come si comporta, per quello che dice ma cercare di capire ciò
che l’altro vuol esprimere anche quando le idee e le pratiche sono diverse. La risoluzione
dei conflitti passa sempre attraverso la mediazione e la scuola è il luogo dove fare media-
zione è didattica quotidiana. Ciò vale per adulti e bambini e quello della mediazione è per
noi un aspetto della cura delle relazioni, con la convinzione che il vero motore del cambia-
mento sono gli adulti nonviolenti, gli adulti che rispettano i bambini nel loro essere porta-
tori di diritti, gli adulti che ritengono la lentezza una virtù, gli adulti che si abbassano a
parlare all’altezza dei bambini per guardarsi negli occhi.

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Naturalmente la formazione degli adulti per raggiungere la nonviolenza attiva va rinnova-
ta spesso perché gli adulti cambiano e i bambini stessi sono portatori di esperienze diverse
sulla base dei differenti stimoli che ricevono in famiglia e nel contesto sociale. La scuola,
però, è un’ancora importante per la crescita nonviolenta dei ragazzini e le pratiche didatti-
che possono aiutare molto per formare persone miti.

I tempi dei bambini sostituiscono i tempi delle discipline
Obiettivo difficile da raggiungere soprattutto quando gli orari scolastici sono scanditi
(come nella scuola secondaria) da cattedre orarie con insegnanti impegnati su più scuole.
La complessità di ridefinire i tempi della scuola tenendo conto dei tempi di apprendimen -
to dei ragazzi non impedisce di provare a modificare alcune forme organizzative: ecco al-
lora orari adattati alle attività di apprendimento in classe e nei laboratori dove le classi si
mescolano e si riorganizzano; e ancora organizzazioni legate alla progettazione della classe
dove i docenti fanno insieme le attività previste dalla mappa generatrice piuttosto che la
separazione per discipline e infine anche interruzioni delle ore disciplinari per dar vita alla
settimana della responsabilità in ogni scuola secondaria.
Queste in sintesi sono alcune delle forme organizzative per migliorare la gestione dei tem -
pi in funzione delle scelte educative seguite dalle scuole ma l’aspetto che più mi preme
sottolineare è il concetto di tempo slow su cui lavoriamo da alcuni anni.
La fretta è la costante comportamentale che accompagna gli adulti nella quotidianità della
vita, la fretta di arrivare a mete individuali spesso legate a comportamenti esteriori .
La fretta con cui ogni adulto vive le proprie scelte portandosi dietro i bambini e i ragazzini
che avrebbero tutt’altri bisogni. Anche i docenti non sono immuni dalla fretta di «insegna-
re a leggere in classe prima di Natale», «riempire i quaderni di schede fotocopiate per di -
mostrare di fare il programma», «assegnare molti compiti a casa per esercitarsi»: esempi
questi che testimoniano quanto poco gli insegnanti nelle scuole italiane tengono conto dei
tempi di apprendimento dei bambini e soprattutto non valorizzano la «lentezza» che può
invece essere utile per l’approfondimento, la riflessione, l’attenzione alle cose e alle perso -
ne, la consapevolezza di ritmi individuali e la conseguente organizzazione autonoma delle
attività.
Le scuole Senza Zaino sono tornate più volte a riflettere e studiare come impostare il ritmo
della giornata a scuola dei bambini e dei ragazzi come fare collettivo e come momento in -
dividuale di apprendimento. La scuola senza zaino si impegna molto nel rispetto dei ritmi
individuali (autonomia e responsabilità dei bambini, partecipazione alla progettazione
della giornata, individualizzazione dei percorsi, strutturazione degli spazi) ma i docenti
hanno lavorato con gli adulti e in molte situazioni anche con i ragazzi sul concetto di tem-
po lento, di scuola slow .

Né premi né punizioni; e il voto?
Idana Pescioli scriveva a questo proposito nel 1954 a Settignano «senza voti né pagelle;
senza premi né castighi... ma lavoro libero attuato individualmente o in piccoli gruppi».
Nelle scuole primarie che adottano il modello Senza Zaino non vengono dati voti, il voto
non viene adoperato come pratica di valutazione dei prodotti dei bambini. Purtroppo sulla
scheda di valutazione ministeriale il voto è stato reintrodotto in maniera obbligatoria dalla
legge nazionale, per cui tutti i docenti della primaria hanno anche il compito di aiutare
bambini e genitori a comprendere la relazione fra il voto sulla pagella e le pratiche di auto-
valutazione che vengono stabilite con i ragazzi sulla base dei criteri di lettura di un dise -

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gno, di un dettato, di un problema. I diversi docenti hanno deciso insieme ai loro ragazzi
differenti pratiche di autovalutazione che riportano tutte alla definizione dell’acquisizione
di competenze prevista dalle Indicazioni ministeriali e, nelle articolazioni di coordinamen-
to zonale delle scuole Senza Zaino, il tema dell’autovalutazione dei ragazzini e della valu -
tazione dei docenti è un tema oggetto di discussione, di confronto, di ricerca (anche in que -
sto caso è la comunità dei docenti che cresce insieme confrontandosi).
Da una relazione della maestra Cristina: « È in atto un percorso di ricerca per la messa a
punto dei materiali e degli strumenti per la valutazione e, soprattutto, per l’autovalutazio -
ne.
Da subito i bambini sono orientati a riflettere sul proprio lavoro focalizzando l’attenzione
sull’attività svolta più che sugli esiti. Se l’obiettivo condiviso è lavorare bene, con impe-
gno, ma senza pressione, per il piacere di svolgere le attività, allora il voto si svuota, non
serve. E non è utile, anzi talvolta esprimere giudizi sulla persona può rivelarsi psicologica-
mente dannoso. Tutta l’attenzione è invece rivolta in modo più oggettivo alla prova speci-
fica effettuata (punteggio riportato, numero di errori...), così, insieme alla trasparenza e
gradualmente alla consapevolezza del traguardo da dover raggiungere, è più facile ripro -
vare, tappa dopo tappa, a superare un ostacolo attraverso l’impegno personale e la parteci-
pazione attiva.
Riteniamo estremamente importante anche il coinvolgimento dei genitori affinché com-
prendano e condividano le valutazioni dei docenti e soprattutto l’idea di fondo che le ha
prodotte. Per questo curiamo la trasmissione (settimanale e/o periodica) delle attività
svolte a scuola, per una presa visione e riflessione a casa, per far sì che, anche nel contesto
familiare, i bambini siano supportati nella ricerca e valorizzazione di atteggiamenti re-
sponsabili, non competitivi, ma finalizzati alla promozione culturale».
Insomma, le scuole Senza Zaino sono una bella realtà che va curata, coltivata, verificata, ri-
progettata se cambiano le situazioni di contesto: è davvero tutta un’altra scuola.
Alcune ricerche svolte dall’Università di Firenze e da quella di Bari testimoniano dell’esito
positivo delle pratiche didattiche realizzate soprattutto rispetto alle competenze di cittadi-
nanza acquisite dai nostri ragazzini senza tralasciare ovviamente il tema degli apprendi -
menti disciplinari.

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Sabino Pavone
Sabino Pavone è presidente della scuola Waldorf Novalis di Conegliano Veneto e docente dell’istitu-
to. Nasce nel 1956, vive e si forma a Milano in ambito tecnico scientifico ma coltiva l’arte musicale.
Frequenta la Facoltà di Scienze Agrarie all’Università Statale. Fa esperienze prevalentemente in
Africa, prima lavorando in Libia come tecnico di cantiere e poi in Senegal facendo ricerca musicale.
Rientrato in Italia nel 1980, si trasferisce nell’entroterra ligure e qui vive dieci anni coltivando la
terra e «ricevendo bellissimi doni, una figlia, Luna e l’Antroposofia di Rudolf Steiner» spiega lui
stesso. Insegna a Ventimiglia in un istituto professionale dove ha il primo incontro «con una classe
di giovani adolescenti desiderosi di avviarsi alla professione, ma posti in una condizione educativa
tanto toccante quanto appassionante». Crea poi un’associazione per la pedagogia steineriana dalla
quale è nato un asilo Waldorf tuttora esistente.
Si avvicina alla scuola Steiner Waldorf di Oriago di Mira (Ve); qui insegna di giorno frequentando
di sera il corso di formazione e poi nel 1995 si trasferisce a Conegliano Veneto dove esisteva già una
comunità di agricoltori biodinamici e con loro avvia la Libera Associazione pedagogica Steiner-Wal-
dorf La Cruna che ben presto dà vita all’asilo, poi alla scuola primaria e secondaria di primo grado e
poi alla scuola superiore con due indirizzi. Intanto collabora con l’associazione nazionale degli inse-
gnanti, opera nel corso di formazione SW Accademia Carlo Rizzi di Oriago di Mira e dal 2004
coordina le attività della formazione Stenier Waldorf in Italia. È vicepresidente della Federazione
nazionale delle Scuole Steiner Waldorf nella quale opera prevalentemente come rappresentante per
le attività scolastiche del III settennio e cerca di trovare il tempo «per sostenere la Libertà di educa-
zione», da lui ritenuta «la battaglia più importante di una guerra invisibile i cui effetti purtroppo
sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere».

Le scuole Steiner Waldorf
Una breve considerazione su come ognuno di noi è giunto qui per spendere la libertà di
oggi 13 settembre 2015. Probabilmente avete ricevuto l’informazione, ci avete pensato su,
l’avete sentita una cosa interessante, entusiasmante e avete mosso la vostra volontà fino
nel fisico per appunto giungere ad organizzarvi: dove dormo, dove sistemo i bambini, il
viaggio, gli imprevisti di uno sciopero dei treni, ecc. Pensare, sentire e volere: questo, in li -
nea generale, il percorso di attivazione che consente di passare dal pensare al volere, attra-
verso il sentimento. Chi è venuto qui con bambini molto piccoli non ha certamente chiesto
il loro parere, forse si è solo dovuto assicurare che stessero bene fisicamente. Se aveste vo-
luto portare con voi un ragazzino o un adolescente, avreste dovuto certamente fare i conti
con la sua libertà di esprimere un’opinione, altrimenti sarebbe stata una via crucis,
tutt’altro convegno! Quando viaggiando in treno mi viene chiesto che cosa faccio nella vita
e devo rispondere alla domanda «Che cosa caratterizza la scuola Steiner-Waldorf?», la pri-
ma immagine che mi viene è quella di descrivere il percorso dello sviluppo di crescita del
bambino. Da piccolo il bambino impara imitando, vivendo nel libero movimento di volon-
tà, privo di una coscienza di sé, in quanto la sua coscienza è nella periferia, è negli adulti
che lo accompagnano. Man mano che cresce, questa coscienza si dischiude creando uno
spazio interiore germe di coscienza sognante e, dopo le richieste di perché, perché, perché,
il bambino si avvia all’età scolare e la intraprende lasciando dietro di sé un blando ricordo
colorato di sensazioni, profumi di ambienti, colori, rumori. Ma ancora di più restano in lui
le sensazioni scaturite dall’atteggiamento con cui gli insegnanti gli si avvicinavano, ciò che

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erano gli educatori nella nostra infanzia si imprime in modo significativo. E’ difficile sepa-
rare con contorni definiti cosa si è appreso da chi ci ha insegnato. Più avanti, nell’adole -
scenza, ciò che maggiormente caratterizza la tappa di sviluppo è la capacità di un pensiero
individuale; ai giovani viene richiesto di sorvolare sull’atteggiamento dell’insegnante e di
rimanere concentrati sul contenuto da questi trasmesso. Possiamo dire in linea generale
che le tre facoltà con cui opera l’adulto (pensare, sentire e volere) nella fase di forma-azio -
ne, ovvero nei primi vent’anni circa, è invertita. Il bambino porta la sua naturale volontà di
movimento nei primi sei o sette anni, poi si dischiude la vita del sentimento e solo dopo la
maturità post-puberale arriva un tipo di pensiero rivolto alla conoscenza per affrontare i
misteri del mondo vero. In queste tre fasi, vediamo in primis che il bambino rovescia il pa-
radigma dell’adulto, volontà-sentimento-pensiero, naturalmente con una progressività ben
più complessa di quanto qui solo accennato. In un certo senso per il bambino piccolo il
mondo è buono e la sua fiducia verso il mondo è quasi religiosa, poi quando scopre la gio-
ia di realizzare il bello, nei primi anni di scuola, si muove alla ricerca di esperienze di ciò
che è bello fare, canta, disegna, impara a scrivere, a calcolare, ad ascoltare dei bei racconti
storico mitologici o geografici. Più avanti, con lo sviluppo della coscienza si innesta il desi-
derio di avventurarsi nel mondo per scoprirlo nella sua realtà, nel suo essere vero: è il mo -
mento dei grandi ideali di libertà, di giustizia ecc. così come dei piatti lasciati sporchi, de-
gli orari non rispettati, dello sguardo ai genitori degli altri considerati migliori dei propri e
infine è in questa fase che la responsabilità dei propri insuccessi viene attribuita ad altri.
Dunque pensare, sentire e volere sono legati dal corpo di memoria che ci porta nell’evolu -
zione, dalla memoria dell’io, quel filo rosso che ci permette di essere oggi il risultato di tut -
to ciò che abbiamo pensato, sentito e voluto fino a ieri. E la lingua italiana in questo è
splendida: rammentare (il ricordo della mente), ricordare (del cuore), rimembrare (delle
membra).
Educare alla libertà dunque è un percorso, non un dato di natura in primis, è insito
nell’essere umano come anelito, come potenzialità, ma resta un percorso, un educare alla
libertà. Naturalmente non siamo a un convegno di filosofia, altrimenti ognuno di noi do-
vrebbe chiedersi che cos’è la libertà e trovare una definizione. Il mondo in realtà oggi vive
questa sfida, la sfida di vivere in libertà, necessita di una “filosofia della libertà”. Di solito,
quando la si scopre, si può provare una gioia frammista a dolore. Pensate a quella che pro -
pone Rudolf Steiner: «Un uomo è tanto più libero quanto è in grado di sostenere le conse-
guenze dei pensieri, dei sentimenti e degli atti volitivi che esplica ». Scomodissimo, ma la
vita è così: ci restituisce ciò che immettiamo nel mondo.
D’altro canto aumenta il numero di persone, questo in linea generale e in tutti gli ambiti,
dalla scelta del modo di curarsi, di alimentarsi, al modo con cui concepire il mondo del la -
voro, all’educazione dei propri figli, che non si vogliono più lasciare al caso, a una tradi-
zione che viene da lontano. In altri termini, si tende a voler determinare, essere artefici,
protagonisti del proprio destino, lasciando il minor spazio possibile al perpetuarsi di stili
di vita che giungono dalla tradizione e dall’educazione ricevuta. Si tende a vivere più pie -
namente l’esercizio della propria libertà. Credo che tra di voi, o noi, quest’esperienza pos -
sa essere condivisibile e in questo contesto è centrale, sia come esperienza genitoriale, sia
come fatto pedagogico, in quanto, a ben pensarci, è la libertà ciò che maggiormente auspi-
chiamo sia il viatico per i vostri figli, per le future generazioni. Certamente, oggi occorre ri -
flettere anche sul fatto che più o meno coscientemente l’influenza dei pensieri, delle idee e
rappresentazioni che l’adulto ha di che cosa è l’essere umano, come si sviluppa, quali do -
mande latenti porta con sé per realizzare il suo progetto individuale, è al massimo grado

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di importanza. Anche la volontà di non lasciare al caso l’educazione dei nostri bambini, di
fare una scelta consapevole e quindi pregna di responsabilità è un fatto che oggi sempre
più si presenta nell’animo dei genitori, quando sono piccoli prevalentemente per volontà
piena di sentimento da parte della mamma e poi, col tempo, man mano che si avvicina la
formazione professionalizzante, necessaria ad entrare nel mondo, anche del padre (non me
ne vogliano i papà presenti, ma questo dato mi giunge dall’esperienza ultra ventennale in-
segnando in una scuola che parte con la scuola materna - suggestivo il termine - fino alla
scuola superiore).
Dunque pensieri, sentimenti e atti volitivi costituiscono una triade che, in ogni istante del-
la nostra esistenza, ci vengono in soccorso per cogliere qual è il bene e saranno orientati
verso la realizzazione di questo bene.
Del resto, qualsiasi offerta formativa non può prescindere da una visione, da un’immagine
dell’uomo e del suo sviluppo personale e quindi sociale, da ciò che si chiama antropologia.
La didattica nel senso curricolare e di metodo giunge solo a seguito di una visione antro-
pologica. Ci sono persone che nascono maestri, altri che cercano di diventarlo, altri che
proprio non possono. Ci sono appunto persone che sviluppano o sono portatori di un
buonsenso pedagogico, che suggerisce nelle varie circostanze come comportarsi con i bam-
bini, sanno correggere incoraggiando, proteggere senza limitarne lo sviluppo, senza spia-
nare troppo la strada e non c’è bisogno di fare esempi.
Ci sono persone che con la loro stessa presenza fisica, con uno sguardo creano atmosfere
accoglienti, altri ancora che, senza aprire bocca, sanno creare atmosfere di disagio, di di -
pendenza. Da cosa dipende tutto questo? Forse dalle nostre convinzioni intime, addirittu-
ra direi corporali, sul mondo e sull’uomo che vivono in noi e agiscono più o meno consa -
pevolmente. Oggi possiamo avere la consapevolezza che, entrando in classe, insieme alla
materia di insegnamento entra un essere umano con le sue visioni di come dovrebbe esse -
re il mondo e come dovrebbero diventare i ragazzi. Fino a qualche decennio fa queste af -
fermazioni sarebbero state ritenute poco scientifiche, romantiche, per nulla attinenti alla
realtà sensibile, oggi, con l’avvento e lo sviluppo delle neuroscienze con Daniel Goleman
fino a Bandura e Rizzolatti (di quest’ultimo si veda il libro So quel che fai. Il cervello che agi-
sce e i neuroni specchio) con la dimostrata teoria dei neuroni specchio, sono diventate scien -
za. Il comportamento dei bambini dipende in gran parte dai miei pensieri, dai miei senti-
menti e dai miei gesti. Dunque, per alcuni decenni nel mondo della scuola si è celebrato
l’atto cognitivo unidirezionalmente facendo leva sulle forze del pensare, del sistema neuro
sensoriale, poi sono giunti aspetti sulla vita del sentimento (Empatia-l’amigdala, ecc) e si è
trattato di una sorta di educazione del sentimento. Nei prossimi decenni potremo parlare
di come educare non solo il pensare e il sentire, ma anche il volere, e capire da cosa dipen -
de l’attivazione della volontà nel perseguire uno scopo, un obiettivo.
Molti di noi ricordano frasi del tipo: il ragazzo è intelligente, sensibile, ma non si attiva! Di
fronte a quest’affermazione solo oggi ci si comincia a chiedere perché. Saranno gli insegna-
menti che porto, sarà il metodo sbagliato, sarà il mio atteggiamento nei suoi confronti che
non lo incoraggia, sarà che la mia motivazione di essere insegnante non è adeguata? Forse
un po’ di tutto, ma certamente contenuti, metodi, atteggiamenti interiori e motivazioni co -
stituiscono un quadrivio, un paradigma il cui ordine di partenza non può essere costituito
dai contenuti. È infatti dal suo opposto, ovvero dalla motivazione, che scaturisce un atteg-
giamento interiore desideroso di trovare metodi e contenuti digeribili, la digestione degli
apprendimenti, “trasformare i sassi in pane”.

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Qui bisogna distinguere - su questo si gioca tutta la partita di «Tutta un’altra scuola» - tra
le aspettative degli adulti e le aspettative dei bambini, delle nuove generazioni. E, a propo -
sito di aspettative nuove, formuliamo delle domande alle quali poi diamo una risposta.
Dobbiamo porci la domanda giusta, dal momento che non sempre le domande che si affac-
ciano nella vita sono quelle giuste, ovvero rispondono al nostro esercizio di libertà. Nel
1919 Rudolf Steiner pone la questione nei termini di una scelta di campo ben precisa (da I
punti essenziali della questione sociale, pag. 214).
1 – Cosa occorre che l’uomo sappia e sappia fare per inserirsi nell’ordinamento e nello sta -
to sociale ora esistente?
2 – Quali disposizioni l’uomo porta con sé e come possono essere sviluppate in lui in
modo che l’individuo apporti nuove forze di sviluppo all’ordinamento sociale esistente?
Se ci concentriamo sulla prima domanda e pensiamo che sia la domanda giusta, in poco
tempo arriviamo a conclusioni che diventano già programmi e curricula ben scanditi nel
percorso scolastico, nei confronti dei quali il buon senso pedagogico salva fino a un certo
punto. Gli impulsi conoscitivi che giungono dal mondo accademico sono improntati ad
un’epistemologia di tipo naturalista, genetico, ereditario, una miriade di elementi molto
ordinati fino a un certo grado che decretano una genesi dell’essenza dell’essere umano.
Oppure possiamo chiederci: «Perché il bambino si presenta, già dall’inizio della sua esi-
stenza terrena con peculiarità che lo rendono unico e irripetibile?». Ma ciò che è unico e ir-
ripetibile presuppone un principio individualizzante, né derivato né di natura psicologica,
la presenza di un’individualità, di un io che non si costituisce come conseguenza di un’ela-
borazione delle nostre esperienze nel mondo, ma che precede, che appartiene a un tempo,
a una dimensione, a una diversità che il bambino ancora condivide nei primi anni della
sua vita. Guardando negli occhi un bambino, un allievo, un figlio, ci si può davvero chie-
dere:«Chi sei?».
Parliamo ora di Spirito. Con la “s” minuscola si è sempre parlato di spirito individuale,
presenza di spirito, spirito di iniziativa, spirito di accoglienza, spirito di gruppo, spirito di
popolo, spirito europeo, spirito del tempo, ma in modo semplicistico e innocente, non in
riferimento a una dimensione reale, esplorabile, dunque come insieme di forze indefinite
che agiscono nell’animo umano. In tutti i più importanti documenti ufficiali il termine spi-
rito appare e viene nominato senza una valenza conoscitiva adeguata. Le conseguenze
dell’aver ignorato la dimensione spirituale del singolo, dei popoli, del senso di apparte-
nenza europeo, ha generato e sta generando un bisogno estremo di essere riconosciuti
come esseri umani con una biografia unica e irripetibile, senza confronti di sorta (nei nostri
giorni il fenomeno è imponente). L’ambito che ha maggiormente sofferto di questa priva -
zione è quello dell’educazione e dell’istruzione. Per indagare lo Spirito ci vuole una Scien -
za, Steiner inaugura la Scienza dello Spirito, al di là degli elementi confessionali e religiosi.
Anche la dimensione dell’anima ha seguito progressivamente la sorte dello Spirito.
All’anima si è sostituita la psiche, ma l’anima è negata. Che cosa è l’anima se non il palco -
scenico in cui si incontra la vita dello Spirito con la vita terrestre sensibile? Il dramma che
stiamo vivendo non si risolverà fino a quando all’essere umano non verrà restituita la di-
gnità che lo riconosce come spirito agente, come anima pulsante che vive nella sostanza
organica della sua corporeità. Se pensiamo l’educazione e l’istruzione ancora rispondendo
alla prima domanda e non alla seconda, l’anima dell’uomo si limiterà all’appagamento fi-
sico; soddisfare l’anima attraverso il corpo significa coltivare una sorta di darwinismo pra-
tico, un materialismo sfrenato che aumenta la sete di riconoscimento individuale. Senza
questa visione è davvero dura affrontare domande suggerite dalla cronaca di questi giorni

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