Papa Francesco nel giorno di Angelo e Karol, così Santi, così diversi

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Papa Francesco nel giorno di Angelo e Karol, così Santi, così diversi
Domenica 27 Aprile 214
   Papa Francesco nel giorno di Angelo e Karol,
             così Santi, così diversi

Omelia del Santo Padre Francesco
II Domenica di Pasqua (o della Divina Misericordia)

Al centro di questa domenica che conclude l’Ottava di Pasqua, e che san Giovanni Paolo II ha voluto intitolare alla
Divina Misericordia, ci sono le piaghe gloriose di Gesù risorto.
Egli le mostrò già la prima volta in cui apparve agli Apostoli, la sera stessa del giorno dopo il sabato, il giorno della
Risurrezione. Ma quella sera, come abbiamo sentito, non c’era Tommaso; e quando gli altri gli dissero che
avevano visto il Signore, lui rispose che se non avesse visto e toccato quelle ferite, non avrebbe creduto. Otto
giorni dopo, Gesù apparve di nuovo nel cenacolo, in mezzo ai discepoli: c’era anche Tommaso; si rivolse a lui e lo
invitò a toccare le sue piaghe. E allora quell’uomo sincero, quell’uomo abituato a verificare di persona, si
inginocchiò davanti a Gesù e disse: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28).
Le piaghe di Gesù sono scandalo per la fede, ma sono anche la verifica della fede. Per questo nel corpo di Cristo
risorto le piaghe non scompaiono, rimangono, perché quelle piaghe sono il segno permanente dell’amore di Dio
per noi, e sono indispensabili per credere in Dio. Non per credere che Dio esiste, ma per credere che Dio è amore,
misericordia, fedeltà. San Pietro, riprendendo Isaia, scrive ai cristiani: «Dalle sue piaghe siete stati guariti» (1 Pt
2,24; cfr Is 53,5).
San Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue
mani piagate e il suo costato trafitto. Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di
Lui, della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello (cfr Is 58,7), perché in ogni persona
sofferente vedevano Gesù. Sono stati due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito Santo, e hanno dato
testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia.
Sono stati sacerdoti, e vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati
sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentore dell’uomo e Signore della
storia; più forte in loro era la misericordia di Dio che si manifesta in queste cinque piaghe; più forte era la
vicinanza materna di Maria.

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Papa Francesco nel giorno di Angelo e Karol, così Santi, così diversi
In questi due uomini contemplativi delle piaghe di Cristo e testimoni della sua misericordia dimorava «una
speranza viva», insieme con una «gioia indicibile e gloriosa» (1 Pt 1,3.8). La speranza e la gioia che Cristo risorto
dà ai suoi discepoli, e delle quali nulla e nessuno può privarli. La speranza e la gioia pasquali, passate attraverso il
crogiolo della spogliazione, dello svuotamento, della vicinanza ai peccatori fino all’estremo, fino alla nausea per
l’amarezza di quel calice. Queste sono la speranza e la gioia che i due santi Papi hanno ricevuto in dono dal
Signore risorto e a loro volta hanno donato in abbondanza al Popolo di Dio, ricevendone eterna riconoscenza.
Questa speranza e questa gioia si respiravano nella prima comunità dei credenti, a Gerusalemme, di cui parlano gli
Atti degli Apostoli (cfr 2,42-47), che abbiamo ascoltato nella seconda Lettura. E’ una comunità in cui si vive
l’essenziale del Vangelo, vale a dire l’amore, la misericordia, in semplicità e fraternità.
E questa è l’immagine di Chiesa che il Concilio Vaticano II ha tenuto davanti a sé. Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II
hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria,
la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli. Non dimentichiamo che sono proprio i santi che
mandano avanti e fanno crescere la Chiesa. Nella convocazione del Concilio san Giovanni XXIII ha dimostrato una
delicata docilità allo Spirito Santo, si è lasciato condurre ed è stato per la Chiesa un pastore, una guida-guidata,
guidata dallo Spirito. Questo è stato il suo grande servizio alla Chiesa; per questo a me piace pensarlo come il
Papa della docilità allo Spirito Santo.
In questo servizio al Popolo di Dio, san Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia. Così lui stesso, una volta,
disse che avrebbe voluto essere ricordato, come il Papa della famiglia. Mi piace sottolinearlo mentre stiamo
vivendo un cammino sinodale sulla famiglia e con le famiglie, un cammino che sicuramente dal Cielo lui
accompagna e sostiene.
Che entrambi questi nuovi santi Pastori del Popolo di Dio intercedano per la Chiesa affinché, durante questi due
anni di cammino sinodale, sia docile allo Spirito Santo nel servizio pastorale alla famiglia. Che entrambi ci
insegnino a non scandalizzarci delle piaghe di Cristo, ad addentrarci nel mistero della misericordia divina che
sempre spera, sempre perdona, perché sempre ama.

Angelo e Karol, così diversi, cosi Santi
di Giuseppe GRAMPA (da “Il Segno” della Arcidiocesi di Milano, Aprile 2014)

Domenica 27 aprile, in Piazza San Pietro a Roma, papa Francesco ha proclamato santi Angelo Giuseppe Roncalli e
Karol Wojtyla, due Pontefici che hanno guidato la Chiesa: il primo per cinque anni (dal 1958 al 1963), il secondo
per ventisette (dal 1978 al 2005). Ma perché celebrare insieme due uomini, due santi, tanto diversi? La risposta
per me è semplice: perché è proprio della santità cristiana non essere affatto uniforme, ma anzi varia e molteplice
come i colori di un caleidoscopio.
  Davvero diversi, Roncalli e Wojtyla. Bergamasco il primo, profondamente legato alla sua terra, alla sua famiglia
contadina, una figura solida, un po' pingue, un volto rassicurante e paterno. Diplomatico esperto: prima a Sofia, in

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Bulgaria: poi a Istanbul, in Turchia; infine a Parigi, dove condusse in porto la spinosa questione dei Vescovi
compromessi col governo "collaborazionista" di Viichy, che il generale De Gaulle avrebbe voluto "epurare".
Poi Patriarca a Venezia, e infine Pontefice, col nome piuttosto inatteso - ma di famiglia - di Giovanni. I suoi
confratelli Cardinali lo scelsero proprio per la sua età avanzata, perché fosse un Papa di transizione: una sorta di
pausa breve, in vista di nuove e più impegnative scelte.
Sappiamo come andarono le cose: davvero lo Spirito Santo si prese gioco dei Cardinali e nei suoi brevi anni
Giovanni XXIII operò la transizione più importante per la Chiesa degli ultimi secoli, il Concilio Ecumenico Vaticano
Il. Karol Wojtyla arrivò sul soglio di Pietro dalla Polonia: primo Papa straniero dopo più di cinquecento anni. La sua
storia è stata segnata dalla condizione del suo Paese negli anni della follia nazista e poi dell'occupazione sovietica.
Più volte, nel suo Diario, scrive: Perché in quegli anni la mia vita è stata risparmiata e non sono finito né al fronte,
né nei campi di sterminio? Perché? La risposta è la scoperta di un disegno provvidenziale che guidava la sua vita.
Una mano lo guidava, la stessa che lo avrebbe sottratto alla morte in occasione dell'attentato perpetrato da AIì
Agca in Piazza San Pietro. Per volere del Papa, il proiettile è stato incastonato nella corona della Madonna di
Fatima: per grazia ricevuta! Anche Wojtyla Pontefice di transizione, perché ha certamente propiziato uno dei
"passaggi" più importanti della storia contemporanea: la caduta del Muro di Berlino, la fine del blocco sovietico.
A chi gli chiedeva quale era stato il suo ruolo in quella transizione, papa Wojtyla non rispondeva, sottraendosi al
ruolo di protagonista; ma senza un Papa polacco sul soglio di Pietro la Polonia avrebbe patito la sorte della
Ungheria prima, e della Cecoslovacchia poi, schiacciate dalle truppe sovietiche nel loro disperato tentativo di
libertà.

Wojtyla così diverso da Roncalli anche nel fisico: scattante e atletico, alpinista e sciatore provetto, viaggiatore
instancabile. Destò grande sorpresa la decisione di papa Giovanni di recarsi in treno a Loreto: era il primo
Pontefice a compiere un viaggio fuori dal Vaticano. Papa Wojtyla, invece, effettuò 104 viaggi in tutto il mondo e
ben 146 in Italia. Non dimenticheremo le sue Giornate mondiali della Gioventù, quando, con ampi gesti delle
braccia, guidava i canti di milioni di giovani. Così come non dimenticheremo la carezza di Giovanni ai bambini in
quella memorabile sera del primo giorno del Concilio. Il suo segretario monsignor Capovilla - ora Cardinale - ci ha
raccontato la riluttanza di Giovanni, che proprio non voleva affacciarsi alla finestra per salutare la folla; ma poi
cedette, improvvisando quella indimenticabile confidenza del cuore.

Davvero difficile immaginare due personalità più diverse. Ma così è della santità cristiana. Francesco d'Assisi
proprio non somiglia a Tommaso d'Aquino. Nel primo scopriamo una sorta di follia nella radicale dedizione ai
poveri, nel secondo una lucida e illuminata dedizione alla ricerca della verità nello studio teologico. Due stili di
santità diversi, quello di Teresa di Calcutta china a lavare i piedi e ad assistere i moribondi, e quella di Edith Stein,
filosofa raffinata, monaca carmelitana e infine martire ad Auschwitz. Possiamo assimilare il focoso soldato Ignazio
di Loyola al giocoso Filippo Neri? La lieta santità di don Bosco non è quella intrisa di sofferenza di padre Pio. Tutti
santi, eppure così diversi. La santità cristiana è di sua natura varia perché nessun uomo e nessuna donna è in
grado di riproporre nella sua modesta vicenda terrena l'unica santità di Gesù. E allora c'è chi rivive nei suoi giorni
il suo lavoro nella bottega del falegname Giuseppe, le lunghe ore di preghiera solitaria, l'amore per i malati, il
tenero affetto per i bambini, l'andare instancabile per annunciare l'evangelo, la cura sollecita per chi è smarrito o
lontano, la lieta condivisione delle gioie familiari. .. Ogni discepolo di Gesù è affascinato da questo o da quel tratto
della sua umanità e tenta di riviverlo. A nessuno è dato di poter esaurire l'altezza, la profondità, l'ampiezza del
mistero di Gesù. Ma a tutti è dato di poter vivere in quel frammento che è la propria esistenza il tutto
dell'evangelo: l'amore.

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Papa Francesco nel giorno di Angelo e Karol, così Santi, così diversi
Giovanni XXIII:
                                              Un uomo che visse sempre
                                              con Dio
                                              e con le cose di Dio
                                           di Marco RONCALLI
                                           (da “Il Segno” della Arcidiocesi di Milano, Aprile 2014)

Meditando un giorno sull'elogio tributato dal Breviario Romano a Sant'Eugenio papa (dove si legge: «Fu benevolo,
mite e mansueto e, ciò che più conta, fu distinto per santità di vita»), Giovanni XXIII si appuntò la frase: «Non
sarebbe bello arrivare almeno sin là?». E in un'altra occasione scrisse: «Poiché dappertutto mi chiamano Santo
Padre, come se questo fosse il mio primo titolo, ebbene, devo e voglio esserlo per davvero».

Erano in molti a credere che aveva raggiunto questa mèta e ora ecco, papa Giovanni è stato canonizzato. Santo
senza il consueto «secondo miracolo», si è ripetuto per settimane. Poi il cardinale Angelo Amato, prefetto della
Congregazione per le cause dei santi, ha specificato che erano parecchie e rilevanti le segnalazioni di guarigioni
accompagnate da abbondante documentazione medica e che papa Francesco ha solo ridotto i tempi. Il motivo?
«La grande opportunità data alla Chiesa intera di celebrare nel 2014 con Giovanni XXIII l'iniziatore del Concilio
Vaticano II e con Giovanni Paolo II, il realizzatore dei fermenti pastorali, spirituali e dottrinali dei documenti
conciliari». Dunque nessuno sconto. E non esattamente una canonizzazione "equipollente".

In ogni caso, la decisione del Pontefice ha reso inutili nuove attese e unito le canonizzazioni di Giovanni XXIII e
Giovanni Paolo II. Gli storici che hanno studiato la "causa Roncalli" ricordano bene che l'invito a farlo "santo
subito" (espressione inventata molto dopo) nacque già durante la sua agonia e venne rilanciato subito dopo la sua
morte. Vi furono pure alcuni Padri conciliari che invocarono una canonizzazione "per acclamazione", fatta insieme
dal Papa e dai vescovi riuniti in Concilio, o ipotizzata nella sua giornata conclusiva.

Si era verso la metà degli anni Sessanta, e proprio in quel periodo Divo Barsotti scriveva in una lettera del 27
marzo 1964: «Provo invidia di tanta grandezza, che è grandezza soltanto di Santità. Di lui non rimarrà forse che la
santità, lui stesso. Mai la Chiesa cattolica aveva dato una testimonianza così alta e così pura; forse aveva avuto
altri grandi santi come lui, ma nessuno che con tanta santità la impersonasse».

Angelo Roncalli nacque a Sotto il Monte (Bg) il 25 novembre 1881, fu eletto Papa il 28
ottobre 1958 e morì il 3 giugno 1963. È stato beatifìcato il 3 settembre 2000.
Del resto ripercorrere tutta la parabola umana e spirituale roncalliana significa anche scoprire che il filo rosso che
l'attraversa è l'anelito alla santità. Cosa significasse davvero per Angelo Giuseppe Ronncalli essere santo lo spiegò
lui stesso, ad appena 26 anni, durante una conferenza per il 111 centenario della morte del cardinale Baronio:
«Sapersi annientare costantemente, distruggendo dentro e intorrno a sé ciò in cui altri cercherebbero argomento
di lode innanzi al mondo; mantener viva nel proprio petto la fiamma di un amore purissimo verso Dio, al di sopra
dei languidi amori della terra; dare tutto, sacrificarsi per il bene dei propri fratelli, e nell'umiliazione, nella carità di
Dio e del prossimo seguire fedelmente le vie segnate dalla Provvidenza, la quale conduce le anime elette al
compimento della propria missione: tutta la santità sta qui».

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Papa Francesco nel giorno di Angelo e Karol, così Santi, così diversi
A queste regole Roncalli si è attenuto per tutta la sua vita: in Seminario, quando cominciò ad appuntare i suoi
proponimenti angelici; nei dieci anni accanto a monsignor Radini Tedeschi, vescovo di Bergamo; nel breve periodo
in cui, sempre nella sua città, guidò la "Casa dello studente" e poi a Roma il Consiglio per l'Italia dell'Opera per la
propagazione della fede; nei decenni in cui fu prima visitatore e poi delegato apostolico in Bulgaria, Turchia e
Grecia, quindi nunzio in Francia e poi Patriarca di Venezia. E infine sulla cattedra petrina da quando, il 28 ottobre
1958, uscì dal Conclave caricandosi sulle spalle «l'onore e il peso del pontificato, con la gioia di poter dire di nulla
aver fatto per provocarlo». Una santità pubblica e privata, la sua. Quella di un uomo vissuto «sempre con Dio e
con le cose di Dio», nell'adesione completa alla Parola, sorgente di pensiero e di azione. E nella consapevolezza di
una fraternità universale, della necessità di innalzare ponti piuttosto che barriere, in uno spirito di servizio «sotto
il segno dell'obbedienza, al servizio della santa Chiesa universale» (17 maggio 1962). Una Chiesa decisa a servire
«l'uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere anzitutto e dovunque i diritti della persona umana e non
solamente quelli della Chiesa cattolica». Una Chiesa madre e maestra, dallo sguardo spalancato sul mondo,
sostenuta dalla continua attenzione alla Storia nella quale il Vangelo deve essere calato.

.. .la gente l'ha amato e continua ad amarlo. Aveva ragione il poeta Giuseppe Ungaretti:
Giovanni XXIII ha reso visibile agli occhi di tutti la santità ...
Non è tutto. La gente ha capito ciò che papa Roncalli desiderava, in lui si è riconosciuta, l'ha amato e continua ad
amarlo. Aveva ragione il poeta Giuseppe Ungaretti: Giovanni XXIII ha reso visibile agli occhi di tutti la santità. Un
fenomeno che si ripete nella storia, appunto attraverso la sopravvivenza dei santi che appartengono all'umanità,
e hanno un loro spazio geografico e temporale.

E tuttavia sarà bene aggiungere qui una piccola glossa: papa Giovanni non è stato "santo per sé". Ripete da
settimane il neocardinale Loris Franceesco Capovilla, già suo segretario: «La sua santità deve indicarci cosa
davvero conta nella vita e giova alla salvezza. Il riconoscimento tributatogli da papa Francesco non serve a lui, ma
a noi, invitati a percorrere tutti i giorni della nostra vita sulle strade di Dio».

                                                               Giovanni XXIII:
                                                               Era come una fonte
                                                               d’acqua
                                                               per gli assetati
                                                               colloquio di Alberto MANZONI
                                                               col cardinale Loris F. CAPOVI LLA
                                                               (“Il Segno” della Arcidiocesi di Milano, Aprile 2014)

                                                            Da 25 anni abita nel paese natale dell'uomo che ha
                                                                segnato la sua vita: il neo-cardinale Loris Francesco
                                                                Capovilla, Arcivescovo titolare di Mesembria - già di
                                                                Chieti-Vasto e di Loreto -, vive dal 1989 a Sotto il
Monte Giovanni XXIII (Bg) , la località che da mezzo secolo ha aggiunto al proprio nome originario quello da Papa
del suo figlio più illustre. Segretario di Angelo Roncalli Patriarca di Venezia (1953-1958) e Pontefice (1958-1963),
Capovilla lo è ancora - per così dire -, perché conserva e diffonde i "segreti" di papa Giovanni. Ma come possono

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Papa Francesco nel giorno di Angelo e Karol, così Santi, così diversi
essere segreti se vengono diffusi? Perché quando racconta gli episodi della vita di Roncalli, padre Loris li sussurra
come quando si confida qualcosa di intimo e personale a una persona cara. In questo modo egli ha raccontato
papa Giovanni tante volte a molte persone andate a visitarlo a Camaitino (la sua dimora-casa dei ricordi, già di
Roncalli): familiari e amici, pellegrini e in particolare bambini e ragazzi - di scuole od oratori - che concludono la
visita chiedendo una benedizione.

Incontrandolo ci pare di parlare con la Storia.
Prima che di Roncalli, però, chiediamo di lui: che senso ha diventare Cardinale a 98 anni? «La fede dice che si può
collaborare col Papa anche soffrendo, pregando, tacendo», risponde. E aggiunge che la sua porpora ha il
significato di un richiamo preciso: «Sembra che papa Francesco abbia inteso dire: io parto di là, da quel 25
gennaio 1959, quando sotto l'ispirazione di due grandi parole - unitas et sanctitas - papa Giovanni annunciò il XXI
Concilio Ecumenico, che sarebbe stato poi il Vaticano II».

Essendo stato così vicino ad Angelo Roncalli, quali tratti distintivi della sua persona può evidenziare? «Egli visse
con l'atteggiamento di Saulo, san Paolo, che, folgorato da Gesù sulla via di Damasco, ubbidisce a questa parola del
Signore: "Alzati, entra nella città e ascolta". Papa Giovanni ha sempre parlato con semplicità, lo ascoltavano come
persone assetate a una sorgente d'acqua. Ma lui fu anzitutto uomo dell'ascolto. Questo gli consentì sia di formarsi
dal punto di vista culturale e spirituale, sia di captare quei "segni dei tempi", che poi il Concilio avrebbe
sottolineato».
Quanto ha contato la sua origine umile? «Nacque in una famiglia di coltivatori. Grazie a Dio accadde così. La sera
della sua nascita il vecchio di casa disse ai suoi: "Gente, questa mattina, quando suonava l'Angelus alle cinque, ci
siamo alzati ed eravamo in 32, questa sera per grazia del Signore siamo 33". Diceva papa Giovanni: "Eravamo
poveri, non miserabili. A casa mia c'era povertà di cose materiali, ma c'era il santo timor di Dio". E questo regolava
tutta la giornata. Alla famiglia d'origine dedicò sempre affettuosi e profondi pensieri».

« ... anzitutto fu uomo dell' ascolto. Questo gli consentì di formarsi dal punto di vista
culturale e spirituale, e di captare quel segni dei tempi", che poi il Concilio avrebbe
sottolineato ... »
La preghiera era fondamentale per i Roncalli. E anche qui Capovilla cita ricordi confidatigli. I genitori del futuro
Papa, Giovanni Battista e Marianna, sposatisi a 23 anni in una fredda mattina di gennaio, andarono in viaggio di
nozze a Bergamo - a piedi - e trascorsero la giornata visitando chiese e pranzando in una trattoria per la prima
volta in vita loro. Papa Giovanni scrisse nelle sue memorie: «Tutte le sere era come una musica il Rosario, recitato
insieme, e si stendeva come un velo a coprire tutte le miserie della giornata, un giorno dopo l'altro, col desiderio
di riprendere domani ancora la giornata nel nome del Signore». La carità veniva di conseguenza: «I bambini hanno
sempre fame -ricordava ancora papa Giovanni -, ma la mia mamma metteva una fila di scodelle e una sempre in
più, perché il primo povero che si affacciava alla porta diceva: "Fate la carità per amor di Dio"; e ogni giorno c'era
un estraneo che sedeva con noi a mangiare».

Quali libri teneva accanto a sé papa Giovanni? «La Bibbia, anzitutto; poi I Fioretti di san Francesco, L'Imitazione di
Cristo e le opere di Dante e Manzoni, i volumi della Patrologia Greca e Latina. Adesso alcuni di questi libri li tengo
vicini a me, come una reliquia», dice padre Loris. «Il Papa - ripeteva Roncalli - dev'essere anzitutto un prete, il
quale ogni giorno si pone sull'altare tra due oggetti sacri: il libro e il calice, ossia la Parola di Dio e il Sangue della
Croce per la redenzione del mondo intero».

È ricordato come "Papa Buono". Precisa Capovilla: «Non nel senso di uno che chiude un occhio, che lascia correre.
La sua bontà era umiltà, fortezza, prudenza, giustizia; fede come roccia, speranza inespugnabile, carità dilatata
sino agli estremi confini della terra». Quando morì aveva 81 anni, ma Capovilla dice: «Aveva due occhi puri, puliti
e casti come quelli di un bimbo». E conclude con un consiglio ai giovani, in stile giovanneo: «Fare tante belle cose
serve a poco, se non c'è la conversione. Papa Giovanni ha vissuto con questo costante pensiero: tutto è Grazia.
Costruite la vita come un poema, come un tabernacolo, dove mettiamo il Signore».

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Giovanni Paolo II:
                                                          Una fede capace
                                                          di smuovere le
                                                          montagne
                                                          di Aldo Maria VALLI
                                                          (da “Il Segno” della Arcidiocesi di Milano, Aprile 2014)

...in virtù del suo rapporto intimo con Dio milioni e milioni di persone l'hanno avvertito
come un padre e un fratello. in grado di sostenere e incoraggiare, di confortare e donare
speranza ...
Se dal punto di vista canonico Giovanni Paolo II è diventato santo grazie a due miracoli ufficialmente riconosciuti,
la sua è una santità che, a prescindere dal sigillo formale, è stata avvertita in modo nitido da molti, in ogni parte
del mondo, fin dai momenti immediatamente successivi alla sua morte. È stata riscontrata in modo naturale,
potremmo dire, come da sempre succede per i grandi santi che il popolo di Dio avverte più vicini a sé.

Sicuramente papa Wojtyla ha avuto a disposizione un periodo di tempo molto lungo per entrare nei cuori di tante
persone, non solo cattoliche e non solo credenti. La sua immagine e le sue parole hanno segnato le vite di milioni
di uomini e donne di diverse generazioni. E importante è stato il suo modo nuovo di proporre la santità, non come
traguardo per spiriti eccezionali, ma come obiettivo al quale deve aspirare ogni battezzato. Tuttavia, al di là di
questi fattori, l'elemento davvero decisivo è che Papa Wojtyla è stato avvertito come un uomo di Dio.

La credibilità dell'uomo
Questo riconoscimento è stato davvero globale. Ha scavalcato i confini culturali e linguistici come quelli religiosi.
Nell'Europa dell'Ovest come in quella dell'Est, nelle Americhe come in Medio Oriente e in Asia, nelle sedi politiche
e istituzionali così come nelle piazze, nelle metropoli come nelle campagne, nei Paesi ricchi come in quelli più
poveri, Giovanni Paolo Il è stato, ed è ancora, sinonimo di fede. Una fede incrollabile, robusta (molto polacca,
indubbiamente), capace veramente di spostare le montagne e di interpellare tutti, anche a costo di inquietare.

La fede espressa da Giovanni Paolo II è riuscita in questa impresa anche grazie ai mass media che l'hanno
mostrata a un pubblico planetario. Ma nemmeno i mass media più incisivi avrebbero potuto ottenere questo
risultato senza la credibilità dell'uomo Wojtyla, e la credibilità è stata a sua volta il frutto di un rapporto diretto e
costante con Dio. Tutti coloro che hanno conosciuto Giovanni Paolo II sono rimasti colpiti dal modo in cui riusciva
a ricavarsi spazi di preghiera e a mantenere il contatto con Dio anche nelle situazioni apparentemente meno
favorevoli. Passato alla storia come Papa eminentemente politico, capace di far crollare con la propria azione
nientemeno che l'impero sovietico, in realtà Wojtyla è stato, prima di tutto, un mistico, un contemplativo. Questa
la sua vera forza, ed è proprio in virtù di questo rapporto intimo con Dio che milioni e milioni di persone l'hanno
avvertito come un padre e un fratello, in grado di sostenere e incoraggiare, di confortare e donare speranza.

... passato alla storia come Papa eminentemente politico. capace di far crollare
nientemeno che l'impero sovietico, in realtà è stato. prima di tutto. un mistico. un
contemplativo ...

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I fedeli che, come si ricorderà, durante i suoi funerali innalzarono striscioni con la scritta «Santo subito» non
fecero che esprimere un sentimento diffuso, testimoniato in modo incredibilmente efficace dalle persone rimaste
in coda ore e ore, nelle strade di Roma, pur di potergli tributare un ultimo saluto. All'epoca si disse che in quella
partecipazione ci fu una componente di protagonismo, dettata dal desiderio di prendere parte a un evento
avvertito come storico. Ma chi scrive, avendo vissuto quelle ore e avendo potuto raccogliere tante testimonianze,
ricorda bene che il sentimento più diffuso non era la voglia di esserci, magari per farsi immortalare dalle
telecamere: era la gratitudine. Non si trattava di una folla anonima, riunita dall'emozione del momento e
dall'eccitazione che si propaga in certe occasioni. Era un popolo che voleva dire grazie al padre e al fratello.

Forse la maggior parte di quella folla neppure sapeva che Giovanni Paolo Il, nella sua prima enciclica, aveva scritto
che la prima e fondamentale via della Chiesa è l’uomo, ogni uomo, e che nessuno può vivere senza amore, perché
la nostra vita è semplicemente priva di significato se non ci viene rivelato l'amore. Però lo aveva avvertito, lo
aveva capito dalla testimonianza che il Papa ha dato fino all'ultimo.

Intuizione, anzi fiuto
«Dio è amore, amore più grande del peccato e della debolezza, più forte della morte; amore sempre pronto a
sollevare e a perdonare». Sta scritto così nella Redemptor hominis (n.10) e a questo punto è evidente che è la
parola misericordia, così centrale nell'esempio di entrambi, il legame più forte tra Giovanni Paolo II e papa
Francesco. È stato lo stesso Francesco a sottolinearlo quando, rivolto ai parroci di Roma, ha detto che il merito più
grande di Wojtyla è proprio l'aver intuito che il nostro è il tempo della misericordia.

A riprova di questa intuizione (anzi, di questo «fiuto», come ha detto Francesco) ci sono la canonizzazione di suor
Faustina Kowalska e l'introduzione della festa della Divina Misericordia, ma tutto il magistero di papa Wojtyla è un
inno alla misericordia di Dio. Inno composto in modo quanto mai appassionato da un uomo che, vissuto in mezzo
alle grandi tragedie del Novecento (il comunismo sovietico, il nazismo, la Shoà), fu particolarmente consapevole
della sofferenza umana.

Opportunamente Francesco ha citato le parole pronunciate da Giovanni Paolo II durante la Messa per la
canonizzazione di suor Faustina, nel 2000: interrogandosi sul futuro, Wojtyla si diceva certo che, «nonostante le
immancabili esperienze dolorose, la luce della divina misericordia non mancherà di illuminare il cammino degli
uomini del terzo millennio». Ecco perché papa Wojtyla è santo e, soprattutto, è un santo attuale.

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Mi ha insegnato
Il valore
straordinario
della persona
Intervista di Rita SALERNO
A Joaquìn NAVARRO-VALLS

Per due decenni è stato tra i più stretti collaboratori di Papa Wojtyla: Joaquìn Navarro-ValIs, medico e psichiatra
oltre che giornalista, ha diretto la Sala stampa della Santa Sede dal 1984 al 2006. Ha fatto parte della delegazione
vaticana alle Conferenze Onu al Cairo, Copenaghen, Pechino e Istanbul. Membro dell'Opus Dei, è tornato alla sua
professione e oggi lavora all'Università Campus Bio Medico di Roma, presiedendo l'Advisory Board dell'ateneo.
Ma non ha dimenticato gli anni trascorsi a fianco di Giovanni Paolo Il, che seguì anche nei 245 viaggi internazionali
e del cui magistero fu interprete e portavoce fino agli ultimi istanti di vita.

Ricorda il primo incontro con Giovanni Paolo Il?
Avvenne a pranzo: lui mi aveva invitato nel suo appartamento. Mi chiese come migliorare il modo di comunicare
della Santa Sede. Fu qualcosa di inaspettato da parte mia. L'impressione era quella di una persona, anzi di un
Papa, molto intelligente, ma molto pratico, che quando arrivava il momento di decidere si documentava bene e
poi decideva.

Qual era il suo stile di lavoro?
Incredibilmente intenso, ma sempre ordinato. Sapeva non perdere mai un minuto. E allo stesso tempo, sembrava
non avere mai fretta. Ogni cosa richiamava tutta la sua attenzione per il tempo necessario. Ma quando aveva
finito, non si tornava indietro; semplicemente, si concentrava sul tema successivo.

« ... una volta entrai in cappella senza che se ne rendesse conto. Cantava di fronte al
tabernacolo. Mi pareva di trovarmi di fronte a un bambino che con tenerezza racconta
delle cose al papà ... »

È noto il valore della preghiera per Karol Wojtyla. Può raccontare qualcosa in merito?
Mi hanno chiesto qualche volta se era vero che lui pregava 4-5 ore al giorno. In realtà lui pregava sempre: anche
quando stava con le persone e anche mentre parlava alla folla. Una volta entrai nella sua cappella senza che lui se
ne rendesse conto. Lo vidi di fronte al tabernacolo che cantava. E non era un canto liturgico. In quel momento mi
sembrava di trovarmi di fronte non solo a un grande teologo, ma anche a un bambino che con tenerezza racconta
delle cose a suo papà ...

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Per tanti è stato "l'Atleta di Dio" e "Il Papa globetrotter", poi "L'icona della sofferenza". AI di là delle facili
attribuzioni, qual è la vera essenza del Pontefice e dell'uomo Karol Wojtyla?
Quegli appellativi erano semplificazioni didattiche forgiate da e per l'opinione pubblica. Tutte avevano qualcosa di
lui, ma nessuna era la sua vera descrizione. L’identità dell'uomo e del Papa si faceva evidente quando lo vedevi
pregare. La sua peculiarità personale appariva principalmente nel suo rapporto diretto con Dio. Per questo la
celebrazione della Messa per lui non era soltanto un atto di devozione, ma, come mi disse un giorno, «il bisogno
più grande della mia anima». Sono sicuro che solo a partire da questo bisogno si può capire qualcosa dell'uomo
Karol Wojtyla.

Come spiega la capacità di papa Wojtyla di bucare lo schermo?
L’espressione «Giovanni Paolo Il, il grande comunicatore» è vera, ma può indurre in inganno. Era un grande
comunicatore non tanto per il modo - pure splendido - di comunicare, quanto per ciò che comunicava.
Ascoltandolo, la gente pensava e diceva: «Ha ragione». Ma non si dà ragione a una bella voce, né a una magnifica
forma espressiva. Si dà ragione a chi dichiara la verità. A chi afferma il vero.
In base alla sua esperienza di portavoce vaticano per ventidue anni, quali differenze vede nel modo di
comunicare di Giovanni Paolo Il rispetto a Benedetto XVI e Francesco?
Ogni Papa è chiamato a sottolineare alcuni aspetti specifici dell'universo di valori umani e cristiani di cui è
depositario. Con Giovanni Paolo Il l'istituzione del Pontificato è entrata con inusitata forza e audacia nella
modernità. Con Benedetto XVI la pastorale si è fatta specificamente pastorale dell'intelligenza. Con papa
Francesco la misericordia si fa protagonista del rapporto di Dio con gli uomini e con gli uomini tra loro. In questo
contesto, il modo di comunicare è secondario; quello che conta è il contenuto della comunicazione.

In che modo Papa Wojtyla ha cambiato la sua vita e la sua visione del mondo?
Non ho ricevuto da lui la mia fede, ma lui l'ha illuminata, arricchita, stimolata con le sue parole e, soprattutto, con
il suo esempio, che potevo vedere tutti i giorni. Ho potuto condividere con lui una visione del mondo meno
enigmatica e più provvidenziale; dove le cose non accadono accidentalmente, ma a causa di azioni o di omissioni
nostre in rapporto alla provvidenza di Dio. Mi ha insegnato il valore straordinario della persona umana; la
ricchezza enorme, inesauribile che è ogni essere umano. Ma l'elenco sarebbe troppo lungo: forse nemmeno io
sono del tutto consapevole di quanto ho ricevuto stando accanto a lui per tanti anni...

Nel libro firmato con Gianfranco Svidercoschi il cardinale Dziwisz ha raccontato la sua vita con un santo. E lei?
Dovrei farlo pure io, anzi avrei dovuto già averlo fatto. Per adesso vivo di quei ricordi, cercando che i ricordi non
rimangano nella nostalgia, ma si facciano vita. Aver vissuto accanto a un santo non è solamente una fortuna; è
anche una responsabilità.

«.. .l'identità dell'uomo e del Papa si faceva evidente quando lo vedevi pregare, la sua
peculiarità personale appariva nel suo rapporto diretto co Dio ... »

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