VEDENDO LE FOLLE, GESU' SALI' SUL MONTE, SI POSE A SEDERE

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CHIESA CATTEDRALE DI TREVISO
       PREDICAZIONE QUARESIMALE 2014

                 Prima domenica

    VEDENDO LE FOLLE, GESU’ SALI’ SUL MONTE,
                SI POSE A SEDERE…
SI MISE A PARLARE E INSEGNARE: BEATI… ( Matteo, 5, 1-
                        3)

           Il monte delle beatitudini
           il passaporto per il Regno
                mons. Giuseppe Rizzo

             DOMENICA 9 MARZO 2014

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1. Il tema delle catechesi
   L’ispirazione iniziale per la scelta del tema mi è venuta da una
   citazione del profeta Michea nella quale, peraltro, ho raccolto una
   serie di costatazioni e riflessioni personali, cresciute in me nella
   frequentazione della Sacra Scrittura, dell’Antico e Nuovo
   Testamento, sulla centralità di monti e colline nell’ambientazione
   geografica/spirituale delle vicende e dei personaggi; ma soprattutto
   per la portata simbolica di tale contesto, significata proprio dalla
   citazione del profeta Michea in forma sintetica e suggestiva:
    “…ecco il Signore esce dalla sua dimora
         e scende e cammina
        sulle alture della terra…” (1,3).
   I monti confinano con il cielo, partecipano quasi della sua sublimità e
   del suo mistero, come tutto ciò che sta in alto.
   E alla conclusione dell’Esodo, Dio sceglierà di abitare sul monte
   Sion, stabilendovi la sua santa dimora., come recitano numerosi testi
   (cfr.Mi 4,7; Salmo 132,13; Salmo 48,3; Isaia4,5; ecc…).
   Nel Nuovo Testamento lo scenario geografico si restringe, si
   raccoglie nella Terra Promessa, ma ancora una volta viene in
   evidenza il significato simbolico dei monti che vengono scelti da
   Gesù come scenari della sua manifestazione progressiva agli apostoli
   e a tutto il popolo che lo segue.
   Anche noi saliremo idealmente, spiritualmente, sui monti su cui è
   salito Gesù per attingere alla grazia che in quei luoghi fu consegnata
   all’umanità di ieri, di oggi e di domani.
2. Il monte delle Beatitudini: il passaporto del regno (Matteo 5, 1-11)
   Dal punto di vista redazionale, il capitolo 5, 1-11 rappresenta l’acme,
   l’approdo dei primi quattro capitoli, nei quali Gesù appare sempre in
   movimento:” Lasciò Nazareht e andò ad abitare a Cafarnao…”
   (4,12); “Mentre camminava lungo il mare di Galilea…” (4,18);
   “Gesù percorreva tutta la Galilea…” (4,23).
   Al movimento di Gesù corrisponde il grande movimento di gente:”
   Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decapoli, da
   Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano “ (4,25). E’
   cominciata la corsa della Parola, inarrestabile, travolgente.
   Ma ora, finalmente , Gesù si ferma”…si pose a sedere e si
   avvicinarono a lui i suoi discepoli…” .

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Egli, in questa salita, porta con sé la gente che ha incontrato,
benedetto, guarito, consolato. Le otto beatitudini di Matteo sono
come l’appello che egli rivolge agli ascoltatori, immaginando che
siano presenti sul monte tutti coloro che ha incontrato in pianura.
Egli ha convocato e convoca anche noi per spiegare a loro e a noi il
senso della vita, per trovarne la verità profonda, per consacrare la
loro e nostra esistenza all’avventura del Regno che è venuto a
proclamare.
I titolari delle Beatitudini, i marginali e gli emarginati, rientrano in
gioco, la loro vita è valutata alla luce del Regno, il vero tribunale
della storia.
Il primo tocco di Gesù è di una delicatezza sublime, divina. Egli
cerca, e trova, il motivo di comunione con coloro che l’ascoltano.
Non vuole parlare da fuori, dall’alto, ma da dentro. E ciò che unisce
il Maestro/discepoli/le folle è la povertà. Chi più povero di lui, Gesù,
dalla nascita alla morte, se è vero quello che egli dice di sé: “…il
Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo…”(Matteo8, 20) ; o
quello che Paolo dice del nostro Redentore:” …da ricco che era, si è
fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua
povertà…?” (2Cor 8,9).
Qual è dunque la regalità che caratterizza questo Regno? E’ la
povertà. E non sono pochi i commentatori, antichi e recenti, che
ritengono che nella prima Beatitudine sia racchiuso tutto il Regno e
che le altre Beatitudini altro non siano che varianti della prima.
Sul tavolo di lavoro di Lutero, trovato morto nella sua stanza, fu
rinvenuto un biglietto con un frammento di pensiero, la sua ultima
confessione, “Noi siamo mendicanti”.
Dio, avendo scelto la povertà, come sigillo della sua regalità,
coerentemente sceglie i poveri: è il rovesciamento di ogni logica
umana che entra, con prospettiva escatologica, sia nel cantico di
Maria, il Magnificat (cfr.Luca 1,46-55), sia nella scena del giudizio
universale (cfr.Matteo 25,31-46).
E’ stato anche notato che la prima e l’ottava beatitudine, la povertà e
la persecuzione, sono al presente perché sono esperienza quotidiana,
normale per i credenti. E questa doppia segnalazione ci consente di
mettere uno sguardo sulla identità ed esperienza della prima
comunità, la prima Chiesa.

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L’appartenere alle Beatitudini è il passaporto al Regno la cui “Magna
  Charta” sono il resto del capitolo V e i capitoli VI e VII di Matteo.
  Comprendiamo immediatamente che l’appartenenza al Regno è,
  contestualmente, anche l’affidamento di una missione, espressa in
  forma sapienziale: “Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce del
  mondo” (Matteo 5, 13-14).
  Sale e luce sono elementi primari, quotidiani, intrecciano
  continuamente la vita della gente, la rendono possibile e umana.
  Senza sale i cibi sono immangiabili, senza luce non si può fare
  esperienza né di luoghi o distanze, né di colori; né si può prendere
  qualche direzione…
  Per questo Dio diede inizio alla creazione con la luce, perché la luce
  è Dio, è il mestiere di Dio; e per questo diventa il mestiere dei
  cristiani e li trasforma in luce, in riflesso della gloria di Dio.

3. Ma qual è il cuore di questo grande scenario aperto dal Discorso
   della montagna? E’ una proposta vertiginosa: la perfezione, concetto
   antico ma qui declinato in maniera diversa. Si scopre la differenza
   dal termine usato da Gesù per dire perfezione, ponendola anzitutto in
   Dio che viene definito “perfetto” in quanto “ téleios”, cioè capace di
   “dare un fine alla creazione”.
   Tale “perfezione “esprime perfettamente la cura di Dio per la sua
   creazione. E se dobbiamo essere “ perfetti come Dio”, ciò deve
   tradursi in cura per noi stessi anzitutto e per le creature di Dio. Come
   a dire che gli uomini e le cose non vanno asservite, strumentalizzate,
   ma ricondotte continuamente al loro significato creaturale.
   Gesù pertanto non abolisce la Legge, perché egli sa che tutto ciò che
   è vivo ha una legge, solo ciò che è morto è senza legge: “Non sono
   venuto ad abolire la Legge o i Profeti…ma a dare
   compimento…”(5,17).
   Il segreto del Regno, della perfezione evangelica, è dunque dare
   compimento, dare, anzi ridare, un fine, perché il peccato ha distolto
   le creature dal loro fine. La Legge del Regno è la ricomposizione
   armoniosa del disegno creatore, l’unità dinamica della Creazione che
   esiste per riproporre, a diversi livelli di consapevolezza e
   intenzionalità, l’immagine somiglianza con Dio.
   Ora è proprio l’intera Creazione che viene chiamata ad entrare nella
   prospettiva, nella nuova “forma”, del Regno, che apre una visione
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diversa, di Dio anzitutto, il quale va cercando nelle sue creature la
traccia creaturale, l’immagine e somiglianza con sé.
Tutto viene rivisto in questa luce: l’offerta portata all’altare ha
bisogno di una condizione previa, un cuore senza nodi, senza
chiusure; anche la preghiera va convertita in quanto noi pensiamo
che pregando dovremmo convincere Dio con le nostre parole, mentre
la prospettiva è diversa: è l’ingresso nella lode di Dio, nella sua
volontà, nella sua lode. Poiché sappiamo che tutto ottiene la
preghiera che non chiede nulla. E poi l’elemosina e il digiuno nei
quali spesso introduciamo la speranza/pretesa di accumulare meriti
nei confronti di Dio, mentre elemosina e preghiera sono la
professione della nostra attitudine religiosa realistica: noi siamo
debitori di Dio e del prossimo, non creditori, per questo digiuniamo e
facciamo l’elemosina, per restituire a Dio e al prossimo ciò che è
loro, anche se provvisoriamente affidato a noi.
Ma in questo rapporto con Dio, quello che è in gioco è il ritorno
all’integrità creaturale, al fine che Dio ha dato al vertice della sua
creazione, all’uomo.
A tal punto che per questo scopo, per la salvezza integrale dell’uomo,
è giusto mettere in gioco una parte di sé, occhio o mano, che
impedisce il conseguimento del fine, cioè della perfezione
evangelicamente intesa.
Ugualmente esigente la nuova prospettiva dei rapporti interpersonali
e sociali: anzitutto il rapporto uomo/donna (5,27. 31-32); il
rapporto/contesa con un avversario (5,25. 38-48);l’abuso del
giuramento, nel quale, dice Gesù, si cercano garanzie improprie,
perché nessuno può appropriarsi di ciò che appartiene solo a
Dio.(5,33-37).
C’è un’altra tentazione che Gesù individua: vivere davanti agli altri,
per farsene quasi un palco sul quale recitare se stessi (cfr.6,1-4).
Bisogna vivere davanti a Dio.
Infine il Regno è esperienza della Provvidenza divina. Noi che
veniamo dal nulla possiamo vivere solo nella luce e nel calore del
costante atto creatore di Dio : se lui ci abbandona cadiamo di nuovo
nel nulla. Proprio su questo punto essenziale Javhé rassicura Israele:
“Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato, le tue mura sono
sempre davanti a me” (Isaia 49,16).

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Nel Discorso della Montagna Dio lancia ai suoi ascoltatori la sfida
della Provvidenza (cfr. Matteo 6,25-34).
Ci viene un dubbio: o Dio ha detto cose ardue impossibili e
incomprensibili, o noi abbiamo perduto la capacità di ascoltare e
comprendere queste parole: di qui nasce la sfida tra il Vangelo e la
nostra capacità di comprensione, cioè un progressivo salvifico
avvicinamento. In realtà il cuore della Parola non è tanto da attuarsi
in una interpretazione materiale, ma in una attitudine interiore, un
vero e proprio salto di qualità, uscire dalle domande che generano
ansia e farne una preghiera, eco della sapiente e incessante preghiera
dei salmi, voce universale di tutti coloro che chiedono. E’ vero, la
Provvidenza lascia molte domande aperte, molte risposte sospese, in
attesa di compimento. Quando e come?
Il compimento si ha quando la supplica non è più individuale ma
comunitaria: di tutti, per dar voce anche a chi non ha voce e la
Provvidenza prende i gesti e il cuore degli uomini, per cui, nel
disegno divino, la provvidenza umana è chiamata a prendere il posto,
a dare compimento alla Provvidenza divina. Non ci esca dal cuore la
parola profetica di Gesù: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mt 14,
16).

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