Truffa: il profilo fantasma - Filodiritto

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752
                                               Direttore responsabile: Antonio Zama

                              Truffa: il profilo fantasma
                                                   19 Aprile 2022
                                                 Alessia De Marchis

Truffa: il profilo fantasma

Introduzione
I banchetti agli angoli delle strade dove l’abile prestigiatore fa il gioco delle tre carte e i complici vincono
barcate di soldi al prestigiatore indovinando dove si nasconda la carta fortunata, sono rimasti una pittoresca
realtà ancora resistente nelle località turistiche dove qualche malcapitato ancora spera che qualcuno gli
regali delle banconote sonanti.
Oggi le truffe si sono spostate nel web, ma le dinamiche umane sono sempre le stesse. Carpire la fiducia
del malcapitato e, a mano a mano che il rapporto di fiducia cresce, spillargli sempre più soldi. Quando il
malcapitato si rende finalmente conto della truffa ha già perso parte del suo patrimonio. Le fasi sono le
identiche: le informazioni, l’esca, l’attacco.
Nella prima fase il truffatore raccoglie le informazioni utili per poter poi lanciare l’esca alla sua vittima.
Cosa le piace, di quali servizi online si serve e le sue disponibilità economiche per poter calibrare il tiro. Se
la richiesta di denaro è superiore alle possibilità della vittima, questa non abboccherà mai. È pertanto
necessario procedere gradualmente, con piccole somme e piano piano alzare il tiro. Si arriva così all’
attacco, ovvero la richiesta di soldi.
È popolare in questi giorni un documentario che spopola sulle piattaforme on demand, il truffatore di
Tinder. Dai meccanismi psicologici che si insidiano nella mente delle vittime è facile notare una
leggerissima analogia con i meccanismi mentali della mente di un ludopatico. Infatti, il giocatore
compulsivo, dopo aver perso una certa somma di denaro, non continua più a giocare con l’auspicio di
capitalizzare “l’investimento”, ma gioca con la vana speranza di rifarsi di quello che ha perso fino a quel
momento con la tragica conseguenza di continuare a perdere ancora e ancora.

Il caso
Questa è la storia di Giulia (nome di fantasia) che è stata vittima di una truffa. Non su Tinder, ma su
Facebook, il noto social network con oltre 2,80 miliardi di utenti. Giulia voleva regalare alla sua migliore
amica i biglietti per il concerto del suo cantante preferito. Giulia si è quindi iscritta ad un gruppo privato
dove gli utenti comprano e rivendono biglietti per i vari concerti in giro per l’Italia. Vediamo qui in un
attimo fondersi le prime due fasi della truffa. Il truffatore, infatti, non ha la necessità di ricercare
attivamente informazioni sulla vittima, ma è la vittima stessa a fornirle, manifestando interesse per un
determinato prodotto e chi appartiene al gruppo Facebook condivide l’interesse per questo o quel concerto.
Pertanto, Licia (questo è il nome di fantasia scelto per il profilo facebook del truffatore) si è iscritta allo
stesso gruppo Facebook di Giulia ed è rimasta pazientemente ad aspettare - neppure troppo a lungo. Ed
eccolo che arriva il post di Giulia: “Ciao! Sto cercando dei biglietti per il concerto dei Bee Hive del
01.01.2021”. Puntualissima, scalzando altri venditori di quel gruppo, Licia risponde a Giulia che ha
proprio due biglietti pronti per lei e che se interessata possono sentirsi in privato.
La due chattano prima su Facebook e poi si scambiano i numeri di cellulare, e si da inizio alla trattativa. I
biglietti non sono particolarmente economici, ma sui canali ufficiali sono già terminati e Lucia racconta a
Giulia di averli acquistati molto tempo prima, per andarci con il marito, ma poi purtroppo un imprevisto le
ha impedito di andare e pertanto è costretta a rivenderli.
La spiegazione è plausibile e Giulia, che ci teneva tanto a regalare i biglietti per il concerto dei Bee Hive
alla sua migliore amica è sempre più convinta di aver avuto un inaspettato colpo di fortuna. Stava quasi
per rinunciare a quel regalo quando la provvidenza si è palesata con il nome di Licia. Dalle foto su
facebook Licia è coetanea di Giulia e ha un bambino di pochi mesi. Giulia, che non è nata ieri, prima di
fidarsi ciecamente di Licia ha spulciato più e più volte le fotografie di Licia. Effettivamente il profilo di
Licia non sembra affatto un profilo fake. Il profilo non è stato creato di recente, ma da almeno dieci anni ed
è pieno di fotografie scattate in situazioni e momenti diversi con amiche storiche, tutte proprietarie di
altrettanto profili Facebook, altrettanto ricchi di fotografie. Licia ha molte fotografie con il suo bambino e
ciascuna fotografia ha molti commenti ai quali Licia risponde. Dagli scambi pubblici è facile determinare
che le persone con cui interagisce sono persone che conosce anche nella vita reale, con la quale sembra che
abbia una particolare confidenza. Non contenta, Giulia ha ricercato il nome e cognome di Licia su internet
e ha scoperto che lavora in un noto negozio di abbigliamento nel centro di Milano. “Figuriamoci dunque se
un’onesta lavoratrice come me, madre di famiglia, va a fregarmi quattro soldi!” si è detta Giulia e ha dato
il via alle trattative con Licia ed ha accettato il costo della compravendita, ancorché un po’ esoso. Ma non
poteva mica permettere che Licia vendesse i biglietti a qualcun altro più interessato e disponibile di lei.
Giulia chiede se prima di pagare può ricevere la ricevuta della spedizione, ma Licia si mostra spazientita
per la diffidenza di Giulia e vengono ad un accordo. 50 % subito e 50% dopo la spedizione. “Sembra
ragionevole. D’altro canto, se io non mi fido di lei perché lei dovrebbe fidarsi di me” pensa Giulia.
Qualche giorno dopo, anziché trasmettere la foto della ricevuta della spedizione, come da accordi, Licia
scrive a Giulia spiegando di aver avuto a che discutere con il marito, il quale pretendeva il pagamento della
somma intera prima di inviare i biglietti. Licia si scusa ma non può fare diversamente. I biglietti li ha
acquistati il marito ed è lui che decide. Pertanto, se Giulia avesse voluto i biglietti avrebbe dovuto saldare
la cifra per intero. Ormai preoccupata di perdere capra e cavoli, Giulia effettua il pagamento della seconda
e ultima tranche, sperando di ricevere quello per cui ha pagato.
Segue un altro paio di messaggi in cui Licia tranquillizza Giulia sulla buona riuscita della transazione e
sulla spedizione dei biglietti poi Licia sparisce e non risponde più ai messaggi e alle chiamate. Licia ha
bloccato il numero di Giulia.
Qualche settimana più tardi Giulia viene contattata da un utente di Facebook, Andrea, che ha visto lo
scambio pubblico tra Licia e Giulia nel gruppo Facebook ed anche lui ha avuto contatti con Licia ed anche
lui ha pagato una prima tranche del biglietto dei Bee Hive e Licia aveva insistito per ricevere la seconda
tranche. Andrea, insospettitosi, prima di completare la transazione si è informato sul personaggio e Giulia
l’ha subito messo in guardia sul soggetto, risparmiando così ad Andrea almeno metà del maltolto. Andrea è
piemontese ed è stato adescato con le medesime modalità con le quali è stata adescata Giulia.
Entrambi decidono perciò di mettere insieme le informazioni e di rivolgersi ad un investigatore privato per
scoprire chi ci sia dietro al profilo Facebook di Licia, chi scrivesse i messaggi WhatsApp. Non è stato
facile mettersi in contatto direttamente con Licia, perché scrivendole su facebook avrebbe senz’altro
risposto la stessa persona che fino a quel momento ha chattato con Giulia. Pertanto, tramite le sue amicizie
sui social abbiamo scoperto che il profilo di Licia era stato letteralmente rubato e ignoti lo utilizzavano al
suo posto da diversi mesi. Licia, peraltro, non si era mai preoccupata di inoltrare alcuna segnalazione a
Facebook e neppure di segnalare l’evento all’autorità giudiziaria, procrastinando e sottovalutando la portata
di questo fatto. Si è semplicemente limitata a creare un nuovo profilo e avvisare i suoi contatti che il
precedente “non era più in uso”.
Tramite alcune semplici ricerche del numero di telefono si è inoltre scoperto chi c’era dall’altra parte del
telefono. Non era Licia, bensì un giovane di nome Mirco, disoccupato e residente in tutt’altro luogo. Non
aveva nulla a che fare con Licia ed era dedito a truffe da pochi soldi. Una persona nota alle autorità del
luogo con piccoli precedenti penali.

Epilogo
Andrea e Giulia, ciascuno nella propria Questura di riferimento, hanno presentato denuncia alla polizia
postale. Entrambi non hanno ricevuto particolari rassicurazioni in merito alla possibilità di recuperare il
maltolto, ma sia a Giulia che ad Andrea hanno detto che le probabilità di recuperare i soldi erano
estremamente esigue. Qualche mese più tardi, il profilo di Licia compare ancora nei gruppi Facebook di
compravendita e scambio e ancora offre biglietti di concerti e qualunque altra cosa sia di interesse degli
utenti che interagiscono sui vari gruppi. Tuttavia, ha cambiato nome. Non è più Licia, bensì Cristina, ma la
foto profilo è rimasta la stessa e anche l’URL del profilo Facebook contiene ancora il nome originale di
Licia.

Conclusioni
Quello che ci piacerebbe però approfondire in questa sede non è tanto l’aspetto investigativo quanto
piuttosto quello normativo intorno al caso trattato. Il truffatore, per i suoi scopi di compravendita, utilizza
un profilo Facebook rubato. Come sia entrato in possesso della disponibilità del profilo di Licia non ci è
dato saperlo, ma conosciamo bene l’utilizzo fraudolento che ne ha fatto. Questo configura a tutti gli effetti
il reato di furto d’identità digitale.
Se l’identità personale è un bene consistente nella proiezione sociale della personalità dell’individuo, l’
identità digitale è “la rappresentazione informatica della corrispondenza biunivoca tra un utente e i
suoi attributi identificativi, verificata attraverso l’insieme dei dati raccolti e registrati in forma digitale”.
Concetto che comprende quindi, da un lato, la proiezione dell’identità personale di un individuo sul web,
dall’altro l’insieme delle tecniche di identificazione del soggetto che gli consentono di agire nella realtà
virtuale tramite strumenti informatici e profili sui social network.
Pertanto, esattamente come è possibile il configurarsi il furto di identità, parimenti è configurabile il
furto d’identità digitale. Questo è un fenomeno criminoso prodromico alla commissione di ulteriori
illeciti, tra cui appunto la Truffa (Art. 640 Codice penale.)
Il Codice penale vigente non prevede una specifica norma incriminatrice, ma attualmente la giurisprudenza
è orientata verso il combinato disposto della Sostituzione di persona (Art. 494 Codice penale) e della
Frode Informatica (Art. 640 ter, co. 3 Codice penale). Pertanto, ad oggi, l’indebito utilizzo di identità
digitale altrui appare costituisce una mera aggravante della frode informatica ma non un reato meritevole
di una sua propria dignità penale.
Non conosciamo ancora il destino al quale sia andato incontro Mirco, in quanto è passato solo un anno
, ma è probabile che non andrà incontro a gravi conseguenze penali. Dalla sua giocano sicuramente la
tenuità del fatto, ma soprattutto le lunghe tempistiche dell’indagine prima e ancor più quelle del circuito
giudiziario poi. Tutti elementi che incentivano questo genere di frodi su larga scala e che danno vita ad un
malsano circolo vizioso, in quanto con l’aumentare degli illeciti analoghi, aumenta il carico di lavoro della
Polizia Postale, giustamente impegnata nella persecuzione di reati ben più gravi. Ciò a sua volta comporta
un aumento della sfiducia nei confronti dell’istituto della denuncia e di riflesso un sempre maggiore
sentimento di impunità dei malfattori. Sono nati ormai da diverso tempo sui social gruppi spontanei di
persone che tendono a tutelarsi vicendevolmente, mettendo in guardia gli utenti sulle truffe che circolano in
rete. Una sorta di ronda di vicinato, ma senza divise né armi bianche, ma solo un forte senso di solidarietà
reciproca.

TAG: Truffa, Frode, social network

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