Sulla contabilizzazione del TFR secondo gli IAS19: alcuni problemi

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Sulla contabilizzazione del TFR secondo gli IAS19: alcuni problemi

                                 (Fabrizio Cacciafesta - Roma "Tor Vergata")

1.       La legge istitutiva del TFR quale lo si intendeva fino a ieri (e cioè, fino alla entrata in vigore
del D.L. 252/2005) è la 297/1982; la quale all'art. 1 recita:
         In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha
diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno
di servizio una quota pari... all'importo delle retribuzioni dovute per l'anno stesso divisa per 13,5
[ciò che fa circa il 7,41% della retribuzione annua] ... Il trattamento... è incrementato, su base
composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5% in misura
fissa e dal 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo...1
         In presenza di quello che per il datore di lavoro è un debito in via di formazione, si pone - da
una parte - il problema di scegliere una modalità per il suo ammortamento: dal punto di vista della
tecnica finanziaria ed attuariale, le soluzioni legittime sono numerose. D'altra parte, c'è l'obbligo
giuridico di dare contezza di questa situazione debitoria nei bilanci periodici. Qui i vincoli sono più
numerosi: c'è da rispettare il principio di competenza (e c'è il fisco, che vuol dire la sua).
         Nel caso del TFR, il metodo universalmente impiegato era il più semplice possibile: si
adottava, come piano d'ammortamento, la logica che la legge prescrive per il calcolo del capitale
finale dovuto. Corrispondentemente, per ciascun dipendente si iscriveva nello stato patrimoniale l'
indennità maturata alla data, la quota di competenza di ciascun esercizio essendo precisamente
determinata dalla norma.
         Questo modo "ingenuo", contabile e non attuariale, di impostare le cose, viene (o veniva)
ovviamente a configurare una sorta di finanziamento verticale tra gli esercizi. Procedendo così,
infatti, ogni esercizio si trova a ricevere, dal precedente, una quota di TFR accumulato, da
remunerare secondo un tasso convenzionale in genere ben inferiore a quello in base a cui quello
stesso capitale viene impiegato nella normale attività aziendale (o che, alternativamente, consente -
o consentiva - di evitare il ricorso ad un indebitamento esterno ad un prezzo assai superiore).
         E' noto come si sia, invece, affermato il punto di vista in base al quale ci si troverebbe di
fronte ad un finanziamento agevolato a favore delle imprese a spese dei prestatori d'opera: i quali
sarebbero costretti a prestare a un tasso artificialmente basso il 7,41% della loro retribuzione ai
datori di lavoro, fino al termine del rapporto. Si tratta di un vero e proprio equivoco (più o meno
involontario), basato su una lettura erronea del testo di legge citato sopra. Quell'articolo descrive,
infatti, soltanto la maniera in cui va calcolata la somma cui il dipendente ha diritto al momento della
cessazione del rapporto di lavoro (e non prima!)2. Ora, se si stipula un contratto in base al quale si
accetta di venire retribuiti mensilmente in ragione di 100 euro per giorno lavorato nel corso del
mese, non si può poi pensare di aver diritto a ricevere 100 euro ogni sera.
         Questa evoluzione non si sarebbe forse verificata, se le imprese avessero impostato la
questione in modo, dal nostro punto di vista, più corretto. Esagerando un po', si potrebbe sostenere
che, se le imprese avessero fin dall'inizio chiesto consiglio a un attuario, a nessuno sarebbe mai
venuto in mente di porre in discussione il loro diritto a detenere fino alla scadenza prevista tutto il
TFR in maturazione. Oggi, gli IAS impongono finalmente il ricorso ad una valutazione di tipo
attuariale: ma ormai il danno, per le aziende, è compiuto3.

1
  La struttura è, come si vede, esattamente la stessa usata per il calcolo della cosiddetta "pensione contributiva";
torneremo appresso su questa osservazione.
2
  A ulteriore riprova di ciò, la possibilità per il dipendente di riscuotere anticipatamente la quota di TFR già maturata è
regolata a parte e sottoposta a diverse restrizioni, come fatto straordinario.
3
  Questo danno per le aziende corrisponde naturalmente, almeno in teoria, ad un vantaggio per i dipendenti, e ad un
vantaggio - crediamo, ancor maggiore - per i nuovi intermediari. Né sono mancate forme di compensazione per le stesse
aziende.

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2.       Non solo gli IAS impongono di valutare attuarialmente l'onere connesso al servizo del TFR;
ma intendono anche prescrivere - in modo imperativo - come la valutazione vada effettuata.
         Vale forse la pena fermarsi un attimo a riflettere su questa questione, che per noi non è di
poco conto.
         Abbiamo tutti imparato, e molti di noi continuano ad insegnare, ad esempio, che un fondo
pensioni può essere amministrato non solo a ripartizione anziché a capitalizzazione, ma anche che -
se capitalizzazione deve essere - si può procedere col metodo del contributo medio d'equilibrio, o
dei capitali di copertura delle pensioni liquidate, o in tanti altri modi. In corrispondenza, appunto, al
fatto che tante sono le diverse, legittime procedure per l'ammortamento di un debito. Al di là di
quanto viene prescritto, al riguardo, dalla normativa fiscale, la teoria attuariale non si è mai, o quasi
mai, occupata di problemi di "competenza": di quale sia cioè il metodo non tecnicamente più
equilibrato, ma contabilmente più "giusto" di ripartire l'onere tra gli esercizi4. La ragione di ciò è
forse da ricercare nel fatto che la questione non ammette, in generale, una soluzione che non sia in
qualche misura convenzionale. Ma notiamo subito che la situazione si presenta, per il TFR (come
del resto per la "pensione contributiva" INPS), in modo sostanzialmente diverso: la definizione
stessa del TFR suggerisce una divisione "naturale" dell'onere complessivo tra le competenze dei
singoli esercizi.
         Adesso, gli IAS prescriverebbero l'adozione obbligatoria di un metodo specifico: perché, se i
bilanci devono essere leggibili e confrontabili, i margini di discrezionalità lasciati a chi li redige
vanno ridotti5. Resta per noi il dovere (intanto, di dare un addio a tutti i metodi classici di gestione
dei fondi pensione citati prima, meno uno; ma soprattutto) di capire bene, quanto meno, che cosa ci
verrebbe ordinato. Abbiamo però anche il diritto di chiederci se il metodo prescritto abbia senso, o
sia quanto meno accettabile; direi anzi che abbiamo il dovere di chiedercelo, per il rispetto che
dobbiamo alla nostra professione. Non possiamo ridurci al rango di esecutori acritici di decisioni
altrui, perché se c'è qualcuno in grado di dire come vadano in teoria fatti questi calcoli, quelli siamo
noi.

3.      L'espressione "dovere di capire" è dettata dal fatto che la situazione si presenta in realtà tutt'
altro che chiara.
        Non intendiamo tornare sulla questione se il TFR sia una forma previdenziale "a prestazioni
definite" o "a contributi definiti". Possiamo accettare quanto stabilito nello "IFRIC Draft
Interpretation D9", emanato nel 2004 - appunto dallo International Financial Reporting
Interpretations Committee: secondo il quale siamo in presenza di una forma "a prestazioni
definite"6. Questa classificazione ci interessa infatti solo per le sue conseguenze sul piano operativo;
e qui la situazione è, secondo noi, ben lontana dall'essere definita in modo soddisfacente.
        Molti ritengono che l'iscrizione del TFR nel novero delle forme a prestazioni definita renda
obbligatoria l'adozione di un'impostazione secondo la quale ogni esercizio è tenuto - come sua
quota di competenza, o Current Service Cost - a fornire un contributo uguale in montante finale. Il
CSC esaurisce l'onere annuo; il montante via via accumulato si capitalizza senza alcun aggravio per
l'azienda (e senza portarle, ben inteso, alcun beneficio: si cancella, così, la possibilità che un
esercizio ha di lucrare la differenza tra rendimento effettivo del "montante contributivo"
accumulato, e rendimento convenzionalmente dovutogli7).

4
  Possiamo citare F. Cacciafesta, I problemi tecnico-attuariali dei Fondi pensione,con riferimento agli aspetti gestionali
e fiscali, in Rivista dei Dottori Commercialisti (1984).
5
  C'è magari da osservare che, quando si compila un bilancio tecnico, di "margini di discrezionalità" ne rimangono
comunque talmente tanti, che l'obiettivo di ottenere una piena oggettività va comunque largamente fallito.
6
  A essere pignoli: nel documento viene detto (pag. 6) che vi è un "consensus" sul fatto che An employee benefit plan
with a promised return on contributions or notional contributions is a defined benefit plan under IAS 19. Si potrebbe,
volendo, disquisire sul significato da attribuire alla parola "consensus".
7
  Facciamo l'ipotesi che il tasso tecnico sia quello di rendimento effettivo del capitale investito nell'azienda. In realtà, gli
IAS vorrebbero che si facesse riferimento ad un tasso d'impiego senza rischi (ed alcuni arrivano a scomodare la struttura

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Questo metodo (che denoteremo come "IAS") viene fatto discendere dal "combinato
disposto" del par. 83 degli IAS 19 (secondo il quale gli oneri vanno misurati con un criterio che
rifletta gli incrementi retributivi stimati) e del par. 67, che tratta della "attribuzione dei benefici ai
periodi di lavoro" (ossia della determinazione delle quote di competenza dei diversi esercizi). Il par.
67 recita: …l'impresa deve attribuire il beneficio ai periodi di lavoro secondo la formula dei
benefici del piano. Tuttavia, se l'attività lavorativa prestata da un dipendente negli ultimi anni
porterà ad un beneficio sostanzialmente più elevato di quello dei periodi precedenti, l'impresa deve
attribuire il beneficio con un criterio a quote costanti nell'intervallo compreso tra il momento in cui
l'attività lavorativa …ha per la prima volta fatto maturare il diritto al beneficio …fino alla data in
cui l'attività … prestata successivamente … farà maturare un ammontare non significativo di altri
benefici secondo le condizioni del piano, diversi da nuovi incrementi retributivi.
         Il par. 67 contiene, come si vede, una parte chiarissima (l'impresa deve attribuire il beneficio
ai periodi di lavoro secondo la formula dei benefici del piano) facilmente applicabile al caso del
TFR: la "formula dei benefici" prevede infatti che ogni esercizio fornisca, al montante complessivo,
il 7,41% della retribuzione dell'anno, rivalutato in modo convenzionale. La seconda parte
(Tuttavia…) è vaga (quand'è che un beneficio è "sostanzialmente" più elevato?) e - almeno per chi
scrive - alquanto oscura (l'ultima frase).
         Consideriamo il caso di un dipendente che guadagni 10.000 euro il primo anno, essendo già
previsto che il secondo (e ultimo) ne guadagnerà 100.000. Se ipotizziamo un tasso di rivalutazione
legale del 3%, avrà diritto a riscuotere un TFR di

                      [(10.000 × 0,074074) × 1,03] +100.000 × 0,074074 = 8.170,36.

Crediamo fuori dubbio che il secondo anno porti ad un beneficio "sostanzialmente più elevato" di
quello ascrivibile al primo. Allora il dettato del par. 67 (seconda parte) si applica; il beneficio finale
va diviso in parti uguali: 8.170,36/2 = 4.085,18 euro caricati al secondo; il valor attuale di
altrettanti, e cioè - se scegliamo il 7,50% come tasso tecnico - 3.800,17, attributi al primo.
"Civilisticamente" parlando, il primo esercizio dovrebbe accantonare 740,74 euro, e siamo partiti
dall'osservazione che questo sarebbe troppo: configurerebbe un finanziamento verticale a favore del
secondo esercizio. Ora si chiede che paghi non 740,74, ma 3.800,17.
        Si obietterà che l'esempio proposto è assurdo, e la realtà prevede incrementi retributivi molto
meno bruschi. Le risposte sono ovvie. Una prima è che o il "metodo IAS" è davvero obbligatorio in
materia di TFR oppure, se lo è solo "in condizioni normali", chi lo propone deve precisare per bene
che cosa intende per "condizioni normali".
        La seconda risposta è che la equipartizione dell'onere tra tutte gli esercizi è, secondo la
lettera del par. 67, obbligatoria solo nel caso - appunto - dei "sostanziali" aumenti di retribuzione. E'
quanto meno legittimo argomentare che in caso di una carriera "normale" è possibile applicare la
prima parte dello stesso paragrafo, e determinare le quote di competenza dei diversi esercizi
secondo la formula dei benefici del piano.
        E' in realtà possibile ragionare, a questo riguardo, in due modi diversi. Il modo che diremmo
"naturale" è il seguente: il primo esercizio deve provvedere i mezzi per pagare, alla scadenza,

a termine). Così operando, naturalmente, il problema del finanziamento verticale torna a proporsi; né mi pare che ci sia
un'esigenza logica o giuridica di procedere in questo senso. Se il CSC annuo venisse depositato in un fondo esterno, o
comunque investito a parte con il solo scopo di generare il montante dovuto alla scadenza, si porrebbe il problema di
ipotizzare forme d'impiego che garantissero il lavoratore; ma il diritto del dipendente a ricevere il TFR nella misura
stabilita dalla legge è garantito dal patrimonio complessivo dell'azienda, la quale non ha certo alcun interesse ad
investire una parte delle sue disponibilità in modo non ottimale per lei.
A proposito del tasso tecnico segnaliamo, nella versione italiana degli IAS 19 (paragrafi 78-82), il cedimento alla
cattiva abitudine di usare la locuzione "tasso di sconto" per indicare quello che, con tutta probabilità, è un "tasso
d'interesse impiegato per un' operazione di sconto".

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740,74 × 1,03 = 762,96; dunque, deve farsi carico del valor attuale di questa somma (762,96/1,075
= 709,73).
        Un'impostazione diversa è invece suggerita da un gruppo di colleghi (che designeremo con
la sigla BZ, dalle iniziali dei cognomi del primo e dell'ultimo di essi secondo l'ordine alfabetico:
Baione e Zappari). La logica che essi propongono8 è che la rivalutazione legale annua del TFR via
via maturato sia da ritenere di competenza dell'esercizio in corso; dunque, nel nostro esempio, a
carico del primo anno va soltanto la somma 740,74/1,075 = 689,06. La quota di rivalutazione del
second'anno, e cioè 740,74 × 0,03 = 22,22, è a carico del secondo esercizio.
        Questa impostazione è molto simile alla naturale: non segue la logica IAS (di tagliare il
mucchio con l'accetta); ma si pone, correttamente, il problema di una giusta attribuzione della
competenza.
        A titolo di confronto, riassumiamo in una tabella gli oneri netti di competenza dei due
esercizi (Current Service Cost, secondo la terminologia IAS) nelle quattro diverse impostazioni. La
seconda colonna riporta le "quote legali" calcolate, a termini di legge, sulla retribuzione dell'anno.

                      quote legali      civilistica9         IAS            naturale             BZ
               1        740,74            740,74           3.800,17          709,73            689,06
               2       7.407,41          7.374,06          4.085,36         7.407,41          7.429,63

        Entrambe le soluzioni IFRIC e BZ sembrano a chi scrive assai preferibili alla IAS: intanto,
perché rispettano (o almeno si propongono, ognuna a suo modo, di rispettare) il principio di
competenza (ciascun esercizio paga tutta e sola "la parte sua"); e poi, perché hanno il pregio di
essere assai meno "invasive". Le valutazioni a discrezione dell'attuario riguardano soltanto la durata
della permanenza in servizio, e il verificarsi o meno di eventi quali la richiesta di un'anticipazione, o
il cambio di destinazione delle quote di TFR di maturazione futura.
        A prescindere dalla sua - assai dubbia - obbligatorietà, il "sistema IAS" si fonda su un
assunto base che lascia alquanto perplessi. Infatti, i diversi esercizi contribuiscono in misura diversa
alla formazione del TFR finale: non si vede perché mai ciascuno debba fornire un contributo uguale
(sia pure solo in montante). Se è vero - come spesso si dice - che l'accantonamento al TFR altro non
è che una parte della retribuzione dovuta per l'anno, il cui pagamento viene differito, procedere nel
modo proposto vuol dire mettere a carico dei primi esercizi (sia pure solo in valor attuale) una quota
delle retribuzioni dovute dagli esercizi successivi. Seppure questo rappresenta una perequazione
dell'onere, forse desiderabile dal punto di vista aziendale, non si può negare che configuri una forma
di finanziamento verticale tra gli esercizi: diversa da quella prima segnalata, ma non meno
discutibile; nel nostro esempio, anzi, molto molto più accentuata.
        Se lo scopo è quello di distribuire uniformemente un peso complessivo, perché - allora - non
ricorrere al metodo del "premio medio d'equilibrio", che è10 quello pressoché standard per
finanziare i fondi pensione? Si osservi che - lo abbiamo già segnalato - la logica del TFR è la stessa
in base alla quale si addiviene alla formazione del "montante contributivo individuale" per le nuove
pensioni INPS: dunque, applicare al TFR uno dei metodi classici per la gestione dei fondi pensione
(forse, il più classico di tutti) sembra una scelta del tutto naturale. Al contrario, nessuno - a quan to
sappiamo - ha mai sognato di finanziare un fondo pensioni con questo "metodo IAS". Col premio
medio d'equilibrio, l'onere complessivo non viene semplicisticamente diviso in parti uguali, ma in

8
   Teniamo a precisare che quanto segue rappresenta un'interpretazione, dovuta a chi scrive, di un intervento di BZ
relativo ad una questione di cui parleremo al n. 4.
9
  Il secondo esercizio riceve 740,74 dal primo, e deve pagare 8.170,36. La differenza tra questa somma e il montante
generato dalla quota del primo anno (8.170,36 – (740,74×1,075) = 7.374,06) dà il netto a carico: che risulta inferiore a
quanto legalmente dovuto (7.407,41): è il "finanziamento verticale segnalato all'inizio.
10
   Dovremmo forse dire "era". Secondo gli IAS, il metodo andrebbe infatti considerato "non a norma".

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parti proporzionali all'ammontare della retribuzione dovuta per ogni anno. Si ha, così, perequazione;
ma ogni esercizio contribuisce in relazione a quanto paga il dipendente (e, dunque, a come lo
impiega). Nel nostro esempio, il contributo d'equilibrio risulta pari al 7,38% e i CSC rispettivamente
a 737,73 e 7.377,30.

4.      Un'osservazione di contorno.
        E' attualmente oggetto di dibattito la maniera di contabilizzare, "a norma IAS", gli oneri
connessi al servizio del TFR nella situazione, ormai standard, di un dipendente che, dopo aver
accumulato un determinato montante, "esporti" altrove il TFR di maturazione successivo ad una
certa data. Nessun dubbio che, a partire da questo istante, la "forma previdenziale" si trasforma in
una "a contributi definiti": l'azienza paga periodicamente il 7,41% delle retribuzioni, ed è libera da
qualunque altra forma di impegno; ma che ne è del debito corrispondente al periodo pregresso?
        Se l'ultima parte del citato par. 67 ha un senso, sembra proprio riferirsi a questa situazione:
in cui il trascorrere del tempo non apporta se non modesti miglioramenti al beneficio (la
rivalutazione di legge). La norma impone allora di ripartire l'onere tra tutti gli esercizi, fino alla
data in cui l'attività prestata successivamente farà maturare un ammontare non significativo ecc.
ecc.: ne segue, ci pare, che gli esercizi successivi a questa data non partecipano alla suddivisione
degli oneri, e il CSC per essi è zero (se non, eventualmente, nel caso che questa evoluzione non
fosse stata prevista, e vi siano allora da ammortizzare delle perdite attuariali). Questa è la soluzione
suggerita da una "Nota" apparsa nella pagina web dell'Ordine; ed è anche quella cui si perviene se si
adotta l'impostazione "naturale": gli esercizi precedenti il momento dell'opzione hanno già
provveduto ad accantonare quanto serve a produrre, a scadenza, l'ammontare di TFR corrispondente
all'anzianità raggiunta: il CSC a carico degli esercizi successivi è 0, e resta da preoccuparsi del solo
Interest Cost (che però, come detto, non costa in teoria nulla).
        BZ hanno invece proprio in relazione a questa questione proposto il punto di vista che
abbiamo presentato al n. precedente, secondo il quale gli esercizi della seconda fase devono farsi
carico, a titolo di CSC, della rivalutazione del TFR accumulato durante la prima. A riprova,
diremmo, del fatto che il loro metodo è "non IAS".
        Viene anche argomentato che, qualora le quote TFR di nuova maturazione siano versate
presso il Fondo di tesoreria INPS, la situazione si presenti in modo ancora diverso. Non è più
possibile considerare in un certo senso chiuso il rapporto, e applicare (come sopra indicato) l'ultima
parte del par.67. In questo caso, infatti, l'azienda rimane responsabile in prima battuta del
pagamento del TFR complessivo; resta dunque titolare dell'intero debito, parzialmente compensato
dal credito nei confronti dell'INPS corrispondente alla seconda parte del rapporto di lavoro.
        Questo modo di ragionare - del quale è difficile contestare la correttezza - porta un ulteriore
argomento contro l'impostazione IAS. Come va calcolato il debito dell'INPS? In altri termini: se, su
N totali di servizio, m sono stati gli anni di TFR versato all'INPS, come va suddiviso tra azienda ed
INPS l'onere complessivo? A norma IAS, questi m anni pesano per m/N. D'altra parte l'INPS, che
riscuote la trattenuta sulle retribuzioni degli ultimi m anni di servizio, non può non essere ritenuta
responsabile di tutti e soli questi anni: che vanno quindi considerati "a parte", e dunque
rigorosamente secondo il punto di vista "naturale".
        Sembra, in definitiva, confermato che la ripartizione IAS ("lineare") abbia una valenza di
puro comodo: serva più ad ammortizzare uniformemente un onere in capo ad un soggetto ben
determinato, che a perseguire l'obiettivo di una ripartizione dello stesso onere quando siano più di
uno i soggetti tenuti a risponderne. L'obiezione finale è, allora, che due esercizi diversi hanno buon
diritto ad essere considerati soggetti diversi, e non si vede ragione perché uno debba farsi carico di
un peso che tocca ad un altro.
        Per riassumere il nostro, personale punto di vista: se davvero il metodo IAS fosse
obbligatorio - ciò che non crediamo - dovremmo impegnarci per farlo cambiare.

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