Brevi note su musica e dramma nella Commedia - Federico Schneider MLN, Volume 127, Number 1, January 2012 Italian Issue Supplement , pp ...
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Brevi note su musica e dramma nella Commedia Federico Schneider MLN, Volume 127, Number 1, January 2012 (Italian Issue Supplement)) , pp. S110-S118 (Article) Published by Johns Hopkins University Press DOI: https://doi.org/10.1353/mln.2012.0021 For additional information about this article https://muse.jhu.edu/article/472607 [ Access provided at 14 Apr 2020 20:42 GMT with no institutional affiliation ]
Brevi note su musica e dramma nella Commedia1 ❦ Federico Schneider Che la musica occupi uno spazio importante nell’universo semantico della Commedia è cosa ormai assodata. Infatti, sia che ad essa si guardi da una prospettiva storica, si finisce comunque sempre per sottoline- are il complesso sistema di significazione per musica che caratterizza la poesia dantesca. Di questo complesso sistema di significazione il presente saggio intende esplorare la dimensione drammatica. In questo senso, molto già si deve agli studi di Salvetti, il quale, descrivendo il grande rito di purificazione rappresentato negli ultimi cinque canti del Purgatorio—dal canto degli uccelli cui fanno bordone le fronde mosse dal vento del canto 28, fino al Deus venerunt gentes del canto 33 che fa da coda musicale alla famosa allegoria della puttana e del gigante—giustamente pone l’accento sull’importanza drammatica della musica nell’azione liturgica: [i]n questa vasta azione liturgica la musica crea i momenti di tripudio e i momenti di attesa, commenta gli atti, fa tutt’uno con la luce, e quindi con il simbolo della Grazia. Insomma, l’attenzione non è rivolta alla musica per il suo valore autonomo, ma tutto (quindi anche la musica) contribu- isce a creare il vasto dramma, che va dalla penitenza, alla purificazione, all’ascesa alle stelle.2 1 Questo mio contributo, in seguito elaborato e pubblicato in forma estesa con il titolo “Ancora su «Dante musicus»: musica e dramma nella Commedia” (Studi Medievali e Moderni 14.2 [2010]: 5–24), è dedicato a Giuseppe Mazzotta, con profonda gratitudine per la sua ostinata fiducia nella mia sensibilità musicale. 2 Salvetti, Componente musicale, 23. MLN 127 Supplement (2012): S110–S118 © 2012 by The Johns Hopkins University Press
M LN S111 Con questa brillante intuizione il critico indica la musica come vera e propria parte integrante dell’azione “drammatico-liturgica”; in altre parole, le conferisce una funzione non solo coreografica, ma addirit- tura semantica rispetto al “vasto dramma” della Commedia—quello che Singleton chiama il dramma della giustificazione.3 Un’osservazione che, senza nulla togliere alla componente testuale della citazione liturgica, mette finalmente in giusto rilievo ciò che del complesso sistema di significazione per musica della poesia dantesca pertiene strettamente all’aspetto drammatico, in altre parole ciò che la musica contribui- sce al dramma che connota il particolare itinerarium di conversione descritto nella Commedia. A voler ben vedere, è già Dante stesso a darci delle indicazioni piut- tosto chiare in questo senso. Tanto è vero che nel Purgatorio esordisce con un’invocazione alla Calliope del ben noto episodio ovidiano—la quale, ricordo, è musa dal canto ineguagliabile, nonché madre di Orfeo—e la prega, affinché accompagni ai suoi versi […] quel suono di cui le Piche misere sentiro lo colpo tal, che disperar perdono (Purg. 1.10–12). Dunque mentre, come è noto, rilegge l’episodio ovidiano in chiave liturgica, il poeta dà anche delle chiare indicazioni sul fatto che si tratta di una rilettura imbevuta di melodia: cioè una lettura in cui la musica è componente indispensabile del dramma che qui si vuole rappresentare e del significato profondo che a questo dramma si vuole attribuire.4 Si potrebbe dunque dire che è Dante stesso a suggerire l’idea che le citazioni liturgiche disseminate nella seconda cantica abbiano anch’esse una loro valenza semantica, complementare alla parola, e dunque che implicitamente ci inviti a considerare le melodie di un salmo, un inno o un’antifona anch’esse come eventi significativi, non solo meramente coreografici, del dramma di espiazione che qui si rappresenta. Ma c’è di più. Nella Commedia non sono solo i riferimenti alla musica liturgica ad avere una funzione drammatica, ma, più in generale, ogni evento performativo contenuto nel testo. Questa idea, cui Dante non accenna, ce la suggeriscono invece gli studiosi che si sono occupati della questione della performance nel poema dantesco. A questo punto la lista dei riferimenti musicali con funzione drammatica si allunga, 3 Si veda Salvetti, Componente musicale, 21; di Singleton se ne veda, per esempio, il capitolo “Justificiation” dello studio Journey to Beatrice, 57–71. 4 Si veda Raimondi, Canto I del Purgatorio, 7–8.
S112 Federico SchNeider visto che ad essa vanno necessariamente aggiunti anche episodi come, per esempio, il tanto discusso Vexilla regis prodeunt inferni di Inferno 34 o l’altrettanto controverso Amor che nella mente mi ragiona di Purgatorio 2, per non dire della musica nel Paradiso, cui si è fatto riferimento usando il termine “unmusical”.5 Alla luce degli studi sulla performance, anche questi riferimenti, come quelli liturgici, sono performativi e quindi hanno una funzione drammatica accuratamente espressa attraverso la musica. Ne deriva di conseguenza che, anche per questi episodi, la musica debba avere un significato profondo; in altre parole, anche per questi riferimenti la musica non è mera coreografia, ma significa e dunque diventa una componente indispensabile del vasto dramma della conversione che la Commedia intende rappresentare. Per la critica la sfida ora consiste nel cercare di mettere a fuoco il particolare rapporto tra dramma profondo e musica in queste situa- zioni; in altre parole, dopo aver constatato l’esistenza della musica come condizione necessaria della performance nella poesia dantesca, valutare in che modo questa musica di note vere e proprie, oltre ad esistere, significa, facendosi tutt’uno con la poesia. Il che è ciò che si propone di fare questo saggio. In questo senso, è importante precisare che qui s’intende affrontare il discorso della musica nella Commedia al fine di mettere in luce l’intelligenza ‘melodrammatica’ (se mi si consente l’anacronismo) di Dante. In altre parole, si vuole mettere in luce il genio di un poeta che confeziona un messaggio poetico di natura performativa, di cui la musica è non solo vestito ma vera e pro- pria essenza; un poeta tanto geniale da cooptare non solo la musica liturgica, ma addirittura tutta la musica, per darle una funzione poe- tica o generatrice, per usare un termine più cónsono all’impostazione critica ispirata a Singleton che qui si è scelto di seguire. Si potrebbe dunque dire che il presente saggio intende essere un’occasione per tornare a riflettere sul felice epiteto ‘Dante musicus,’ coniato più di trent’anni fa da Nino Pirrotta, per saggiarne significati ancora non esplorati, e in particolare per mettere in evidenza come la musica nella Commedia contribuisca concretamente a quel ben noto processo di generatio ad formam che gli studi di Freccero, elaborando quelli già ricordati di Singleton, hanno messo in evidenza, cioè, il processo di corruzione del vecchio e di generazione del nuovo che, secondo la teologia della grazia, contraddistingue il motus ad formam, nelle sue due fasi di corruptio e generatio.6 Pirrotta, “Dante Musicus”, 255. 5 Cfr. Pirrotta, “Dante Musicus”, e Freccero, Poetics of Conversion, 173–174. 6
M LN S113 Un primo importante spunto per la suddetta riflessione critica si trova certamente nel notissimo e già citato Vexilla regis prodeunt inferni che preannuncia l’incontro con Satana in Inferno 34. Sul significato della famosa parodia dell’inno di Venanzio Fortunato è stato già scritto parecchio. Rimane invece ancora qualcosa da dire sia sul tipo di effetto musicale che Dante vuole creare con questa strana citazione liturgica—che a questo punto vogliamo considerare performativa e dunque corredata di musica—sia riguardo alla funzione drammatica profonda di detto effetto. Per quanto riguarda il primo aspetto, va subito notato che, in generale, la critica musicologica è da tempo arroccata su posizioni risolutamente negazioniste rispetto ad una presenza del canto nell’Inferno. Ciò è dovuto alla convinzione che la prima cantica rimane circoscritta nell’ambito della disarmonia e che dunque nessuna forma di canto può risuonarvi. C’è, però, anche chi si dimostra più possibilista in questo senso ed è addirittura propenso ad attribuire a Vexilla regis prodeunt inferni un “tacito rinvio melodico”.7 La posizione che qui si propone intende approfondire quest’ultima ipotesi e si basa sul fatto che, se è vero che l’Inferno è per definizione il luogo della disarmonia e dunque dell’antimusica, ciò non impedi- sce che il canto possa farvi una momentanea, repentina apparizione, subito distorta nonché soffocata, proprio a sottolineare con ancor maggior veemenza drammatica la disarmonia che qui, nel regno della corruzione, regna incontrastata. Ed è proprio questa drammatica disarmonia dell’antimusica infernale, in questo caso tutta giocata sull’apparizione e corruzione di una melodia, che questa lettura intende mettere in giusto rilievo, meditando anche sul suo profondo significato nel contesto del vasto dramma della Commedia. Ecco dunque Dante e Virgilio in fondo al pozzo infernale. Hanno appena assistito alla scena raccapricciante “del fero pasto” (Inf. 33.1) di Ugolino, emblematico sovvertimento e negazione della salvazione cristiana che l’Inferno nella sua interezza inscena, sancendo inequi- vocabilmente la tragicità della storia. Il suono di quell’abominevole emblema, che Dante addirittura trascrive mediante una geniale ono- matopeia—“che furo a l’osso come d’un can forti” (33.78)—ancora risuona nelle loro orecchie, quando si levano le note di quel ben noto Vexilla regis prodeunt, quasi immediatamente storpiate dal blasfemo “inferni” (Inf. 34.1), Dante, per bocca di Virgilio, richiama alla memo- ria una melodia intrisa di significati salvifici (l’inno è notoriamente dedicato al simbolo salvifico della croce e nel calendario liturgico si Sanguineti, “Canzone sacra e Canzone profana”, 211. 7
S114 Federico SchNeider canta nel periodo della Quaresima che va dalla Domenica delle Palme al giovedì santo) solo per corromperla sul nascere e nella maniera più assoluta—si noti che si tratta di una corruzione sia di significato sia di significante—con una distorsione che la soffoca del tutto. Quale migliore effetto per rappresentare sinteticamente l’Inferno come sistematico sovvertimento della parola liturgica e della potenzialità salvifica che ad essa pertiene? Come meglio anticipare la visione della croce di Satana, vero e proprio emblema della corruzione, in tutta la sua terribile storicità? Ma ‘Dante musicus’ ha appena cominciato a stupirci con i suoi effetti musicali. Ecco allora che, subito dopo la storpiatura al canto appena accennato da Virgilio, subentra immediatamente il silenzio; e con esso un senso di smarrimento totale che è sia visivo (Inf. 34.4–5: “Come quando una grossa nebbia spira, / o quando l’emisperio nostro annotta”) sia auditivo (Inf. 34.8–9: “poi per lo vento mi ristrinsi retro / al duca mio”). E mentre, di lì a poco, la vista comincia a registrare qualche debole e ancora erronea immagine—“veder mi parve un tal dificio allotta” (Inf. 34.7)—il fragoroso rumore del vento infernale non solo non accenna a scemare; anzi continua ad aumentare gra- dualmente, man mano che il pellegrino e la sua guida avanzano verso Satana che ne è la fonte, e diventa massimo proprio nel momento in cui Virgilio, che finora aveva fatto da scudo a Dante, si fa improvvisa- mente da parte—“d’innanzi mi si tolse e fé restarmi” (Inf. 34.19)—e gli annuncia perentoriamente: “Ecco Dite [...] ed ecco il loco / ove convien che di fortezza t’armi” (Inf. 34.20–21). Con quest’altro effetto musicale, che grazie all’uso ripetuto del deit- tico ‘ecco’ assume anche una straordinaria forza teatrale, Dante crea quello che si potrebbe considerare la vera e propria climax dell’anti- musica infernale. Infatti, dopo aver accompagnato il pellegrino e la sua guida (e noi con loro) per trentatré canti infernali, la suddetta antimusica o, come dice bene Morelli, “l’assordante rumoristica «reale»” e non musicale dell’Inferno va, sì, come sostiene la Schurr, “a spegnersi nel centro della terra”,8 ma in uno straordinario crescendo; e culmina nell’assordante fragore del vento che accompagna la visione di Satana. Fragoroso e disumano silenzio, dunque, che Dante, con una mossa da vero e proprio genio del silenzio musicale crea, evocando per un attimo il canto, per poi soffocarlo o corromperlo con una storpiatura che è al tempo stesso perentoria negazione della musica humana e preludio all’acme della terrificante musica dis/Dis-humana.9 8 Si vedano Morelli, “Immagini dell’udire”, 11, e Schurr, Dante e la musica, 17. 9 Monterosso, “Musica”, 3:1062.
M LN S115 La musica viene dunque a significare sia, come si è detto, la corru- zione infernale esperita in tutta la sua storicità nell’emblema di Satana sia il relativo senso di smarrimento, d’inquietudine e addirittura di terrore di cui il testo—basti per tutti il noto verso “Io non mori’ e non rimasi vivo” (Inf. 34.25)—ci dà tutta una serie di segnali inconfondibili. Essa è quindi espressione reale e simbolica dell’Engpass vero e proprio, con cui si compie quel processo di “negative transcendence” che è caratteristica fondamentale dell’itinerario salvifico cristiano dantesco, dove, come si sa, l’esperienza del male è luogo di passo necessario.10 Con quel “rinvio melodico” all’inconfondibile inno di Venanzio Fortunato corrotto sul nascere dall’ironica variatio e fatto seguire dal terribile fragore ancestrale del vento, è proprio la musica, forse ancora più del testo, a fornirci la mappa affettiva più precisa per navigare le acque di quel terribile culmine della trascendenza negativa che è la “zero point”—ovvero il momento, nel dramma della conversione, in cui giunge a compimento il processo di predisposizione del pellegrino alla generazione di una forma nuova.11 È dunque proprio la musica a svelare, nel fondo dell’inferno, il senso profondo dell’esperienza del male e ad esprimere in maniera stringente il senso di totale annichi- limento del soggetto che ad essa pertiene. Ma il discorso non si esaurisce di certo qui. Avere capito l’importanza strategica della musica laddove, nel vasto dramma della conversione, giunge a compimento il processo di predisposizione ad una forma nuova, è soltanto il primo passo verso una presa di coscienza rispetto alla funzione drammatica della musica nella Commedia. Rimane, infatti, da chiedersi in che modo la musica contribuisca a significare anche il processo di generazione della forma nuova. A questo riguardo, alcune considerazioni del tutto preliminari e che non hanno certo la pretesa di essere esaustive si potrebbero fare ritornando brevemente sull’epi- sodio musicale immediatamente successivo a quello appena discusso: e cioè, il famoso In exitu Isräel de Aegypto. Come è stato notato, al tempo di Dante il Salmo 113 (114) era parte della liturgia penitenziale e pasquale. Sembra dunque più che logico che la citazione dantesca del suo incipit, nel secondo canto del Purgatorio, abbia mirato innanzitutto a trasportare il lettore in questo particolare tipo di atmosfera. Giusta, in questo senso, l’analisi musicale di Salvetti che, soffermandosi in particolare sulla staticità ritmica della salmodia del canto del primo gruppo di anime purganti, e ancor più sull’esecuzione strettamente 10 Freccero, Poetics of Conversion, 167. 11 Freccero, Poetics of Conversion, 174.
S116 Federico SchNeider corale—che priva il canto anche di quel minimo movimento interno che l’esecuzione in responsorio o in antifona avrebbe potuto confe- rirgli—sottolineava le qualità penitenziali dell’allusione musicale e dunque stabiliva un chiaro legame tra musica e funzione poetica.12 Sull’aspetto penitenziale di questo canto insistono con ragione anche la Schurr e la Santarelli.13 Resta però il fatto che In exitu Isräel de Aegypto non è soltanto il primo evento musicale del Purgatorio; è anche il primo episodio nell’intero poema in cui la musica, come dice bene Pirrotta, “regains its voice”,14 dunque il momento in cui sull’antimusica infernale trionfa definitiva- mente quella musica instrumentalis che, com’è noto, secondo Boezio rappresenta, sia pure nella sua forma più elementare, la quintessenza dell’armonia. A fronte di ciò, è senz’altro lecito pensare che una pur legittima lettura di questo episodio musicale ristretta al solo ambito dell’esperienza penitenziale possa rischiare di isolarlo forse eccessi- vamente dal vasto dramma della Commedia, trascurando un po’ il suo significato globale rispetto ad un grande cammino di conversione che dall’inferno porta al paradiso e in cui, come dice bene anche Single- ton, ad un certo punto, con l’arrivo in Purgatorio, nasce la “hope in the promise”.15 Occorre dunque una lettura di maggior respiro, che ponga l’accento innanzitutto sul contrasto il quale In exitu Isräel de Aegypto stabilisce con l’acme dell’antimusica di Dis che chiude la prima cantica e di cui Vexilla regis prodeunt inferni è il prologo. Occorre, in altre parole, mettere in giusto rilievo il contrasto che viene a crearsi quando, a breve giro di poco più di un canto, al fragoroso silenzio che fa da sfondo alla visione di Satana si contrappone l’armonico coro di “più di cento spirti” (Purg. 2.45), e dunque quando il noto contrasto a livello intertestuale tra la parodia dell’inno di Venanzio Fortunato ed il Salmo 113 (114) assume anche una veste musicale.16 Una volta stabilito un nesso musico-poetico tra l’episodio musicale che chiude la prima cantica e quello che apre la seconda, risulta evi- dente che In exitu Isräel de Aegypto è non solo il mezzo per significare per musica la condizione di penitenza tipica del purgatorio; esso è anche il mezzo per esprimere per musica ciò che di questa condizione di penitenza rappresenta il significato drammatico più profondo di quanto ora si tenterà di illustrare. Può senz’altro giovare, a questo 12 Si veda Salvetti, Componente musicale, 25–26. 13 Si vedano Schurr, Dante e la musica, 83, e Santarelli, “Musica”, 152. 14 Pirrotta, “Dante Musicus”, 253. 15 Singleton, Elements of Structure, 23. 16 Si veda Ardissino, “Canti liturgici”, 40–46.
M LN S117 proposito, ricordare certi spunti critici che, riguardo alla grande scena musicale con cui si apre il Purgatorio, si sono espressi in termini ben più forti, evocando, per esempio, l’immagine di un “colossale monastero salmeggiante” o la “solenne grandiosità” della salmodia.17 Rivalutare l’aspetto solenne e grandioso di questo straordinario momento musi- cale è infatti il primo passo per capire che esso non solo inaugura l’economia penitenziale, ma rivela anche il senso salvifico che la penitenza assume nell’itinerarium descritto nel poema. Quindi se, com’è noto, questo è il momento dell’Esodo, del nuovo inizio (che questa volta, al contrario di quello della “selva oscura” di Inferno 1.2, porta in effetti fino in paradiso), con tutte le sue simboliche implicazioni; se, in altre parole, siamo ad un momento di straordinaria importanza nella struttura del poema—in quanto inizio del processo di generatio nel nuovo che comincia con la seconda cantica—va notato che la musica, tutta giocata, come si è detto, sul contrasto tra l’assor- dante silenzio con cui culmina la disarmonica antimusica infernale e l’imponente performance melodica vera e propria di In exitu Isräel de Aegypto, viene magistralmente utilizzata dal poeta proprio per comu- nicare tutto il senso di sollievo e liberazione che pertiene a questa condizione nuova e salvifica, che ha superato il tragico contrappasso e si è trasformata in dolorosa ma fiduciosa penitenza, dunque una condizione che ha superato la tragica economia della dannazione per entrare nella fiduciosa economia della salvazione. In questo senso, l’intonazione del salmo a questo punto del poema serve non solo ad esprimere l’idea di penitenza, ma tutto il respiro e la “hope in the promise” che a questa penitenza appartengono in questo particolare momento rigenerativo e rigenerante del poema.18 Quella di In exitu Isräel de Aegypto è dunque una musica della sal- vezza, non solo della penitenza; una musica della rigenerazione che si contrappone a quella della corruzione del vecchio e che, è il caso di dirlo, ha nel ben noto raddolcirsi di tutta la musica verbale che caratterizza la prima cantica un primo meraviglioso movimento sug- gestivo, sul quale poi s’innesta, in un bellissimo crescendo, il canto del salmo. E proprio in quest’atmosfera finalmente distesa, musica e luce—fondamentali agenti estetici ad azione integrata per tutto il resto del poema—fanno il loro drammatico ingresso: canto e aurora non appaiono semplicemente, ma si contrappongono drammaticamente al lungo travaglio della buia cacofonia infernale e ne sanciscono inequivocabilmente la fine. 17 Si vedano D’Ovidio, Purgatorio e il suo preludio, 158, e Bonaventura, Dante e la mu- sica, 77. 18 Singleton, Elements of Structure, 23.
S118 Federico SchNeider Sembrerebbe quindi proprio di essere alle prese con una straordi- naria partitura musicale che non solo serve a dare al testo un sensibile impulso drammatico, ma che è anche attentamente studiata al fine di interpretare fedelmente il vasto dramma del testo. Ancora una volta Dante si rivela drammaturgo attentissimo a sottolineare prontamente un punto cruciale del suo poema con una musica verbale e melo- dica perfettamente adatta, trasformandolo così in uno straordinario momento poetico. A questo punto si potrebbe concludere dicendo che, se è indubbio che la citazione del Salmo 113 (114) intenda celebrare nell’Esodo la prefigurazione della salvezza portata dalla Croce di Cri- sto, è altrettanto chiaro che la musica di questo salmo e soprattutto le particolari contrastanti circostanze musicali in cui questa musica viene intonata o performata rispetto alla cacofonia infernale sono espressione non meno indicativa e significativa in questo senso. Testo e musica si fondono dunque in un evento performativo sapientemente studiato per dare al grande momento di rigenerazione con cui comincia il Purgatorio tutta la sua straordinaria intensità drammatica. E il segno della croce del “celestial nocchiero” (Purg. 2.43) che lo suggella san- cisce in tutta la sua pregnanza simbolica la restituzione della musica al testo—quella musica o meglio il suono “di cui le Piche misere sentiro / lo colpo tal, che disperar perdono”—dunque la liberazione dalla disarmonica antimusica infernale. Con il perentorio ingresso nel mondo della musica instrumentalis, ed in particolare nel mondo di quella musica che Ruggero Bacone chiamava “de sono humano” (“in cantu” and “in sermone”), Dante restituisce all’universo umano una musica sia dell’armonia delle parole sia di note non più corrotte, realizzando proprio in questo stupendo connubio retorico/melodico una suprema e fondamentale dolcezza.19 Concludendo, una volta data ad In exitu Isräel de Aegypto la propria giusta collocazione nel vasto dramma della conversione che la Commedia ci propone, una volta data ad esso anche la giusta collocazione nella complessa sequenza secondo la quale il suddetto dramma si articola— cioè, la sequenza relativa al processo di corruzione del soggetto vecchio e di generazione del soggetto nuovo che contraddistingue il motus ad formam—è finalmente venuto il momento di sottolineare quanto tutto ciò sia anche immediatamente significato per musica, grazie al genio ‘melodrammatico’ dantesco, di cui in queste pagine si è voluto dare un primo sintetico saggio. University of Mary Washington Si veda Pirrotta, Music and Culture, 365n17. 19
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