Storia dell'abbandono e dell'infanticidio parte I - Zangoni

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Storia dell'abbandono e dell'infanticidio parte I - Zangoni
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                  Storia dell'abbandono e
                  dell'infanticidio parte I
La storia dell'abbandono e dell'infanticidio ci narra di violenze subite nei secoli dai bambini.
Ancor oggi il bambino è vittima di atrocità, anche se vi sono leggi internazionali atte a
proteggerlo.

                            Dal mito greco all’età di Giustiniano

Introduzione
Questa storia ha inizio nella notte dei tempi, quando gli dei divoravano i propri figli e gli
uomini sacrificavano al Dio Moloch (un dio dell’antichità, Cartaginese), i loro primogeniti.
Solo nel Corpus Iuri Civilis, promulgato da Giustiniano nel 529, al bambino sarà riconosciuta
personalità giuridica, cessando di essere semplicemente un oggetto di proprietà di cui ci si
potesse disfare senza problemi. Tuttavia, a distanza di secoli, ancor oggi il bambino è
vittima di ogni sorta di violenze anche se non mancano severe leggi internazionali che lo
proteggono e sanciscono i suoi inviolabili diritti. Ma se le leggi sono fatte per essere violate
(che senso avrebbe infatti una legge se quanto essa sancisce fosse connaturato ai costumi di
quella nazione?) allora bisogna essere convinti che solo un diverso approccio etico, culturale e
sociale, forse, potrà risolvere il problema.

Il mito greco
La letteratura mitologica greca, come si può apprendere dalla “Teogonia” (poema di
Esiodo: poeta greco antico), è ricca di episodi dove i figli sono sacrificati nei modi più
orrendi. Saturno-Kronos cui era stato profetizzato che sarebbe stato detronizzato da uno dei
figli, per non perdere il potere, si mise a divorarli. Tra questi solo Giove-Zeus si salvò, perché
a Kronos venne consegnata una pietra avvolta in un fardello al posto del neonato. In seguito
Zeus spodesterà il padre Kronos e lo obbligherà a rigurgitare i figli che aveva divorato, tra cui
Nettuno-Poseidon.
Pelope viene cucinato da suo padre Tantalo e dato in pasto agli dei dell’Olimpo per mettere
alla prova la loro onniscienza, ma essi se ne accorgono.
Eschilo nell’ ”Agamennone” e Seneca nel “Tieste” narrano la vicenda tragica di Tieste, figlio di
Pelope e di Ippodamia, fratello di Atreo, re di Micene. Tieste si ciba a sua insaputa delle carni
dei suoi tre figli che gli vengono dati in pasto per odio dal fratello Atreo. Sofocle ci racconta il
mito di Edipo, figlio di Laio, re di Tebe e di Giocasta. Edipo viene abbandonato dal padre per
un oracolo funesto e viene ritrovato dal pastore Forba. Il resto è arcinoto. Euripide racconta
invece, per primo, di Medea, la quale per vendicarsi del tradimento di Giasone suo sposo, che
la ripudia per sposare Creusa, figlia di Creonte re di Corinto, dopo avere avvelenato Creusa e
Creonte, per assicurarsi che Giasone non abbia discendenti, uccide i figli avuti da lui e ne
divora le carni.
Del mito greco, ma qui siamo già nella protostoria, fa parte anche Asclepio – Esculapio che il
padre Apollo consegna al centauro Chirone (che lo ammaestrerà nell’arte della medicina),
dopo averlo estratto dal ventre della madre Coronide che da Apollo stesso aveva concepito il
bambino. (ma Apollo sospettava un tradimento).
Tra la leggenda e la storia abbiamo l’episodio di Romolo e Remo. Essi vennero esposti sulle
rive del Tevere dopo che la madre Rea Silvia, vestale sedotta dal Dio Marte, venne fatta
uccidere da Amulio. Essi furono allattati da una lupa, secondo la leggenda, e verranno trovati
e adottati dal pastore Faustolo. Romolo, un bambino esposto, sarà il futuro fondatore di
Roma. A grandi destini andarono incontro alcuni di questi bambini abbandonati, se pensiamo a
Zeus, divenuto re dell’Olimpo, a Asclepio, divinizzato come dio della medicina, Mosè che
riceverà le tavole della legge da Dio stesso e Romolo, fondatore e primo re di Roma. La
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leggenda del Minotauro cui vengono dati in pasto i fanciulli va fatta risalire all’usanza di
sacrificare bambini al dio Moloch in ambito Medio-Orientale (Fenici e Cartaginesi). Gustave
Flaubert nel suo romanzo “Salammbò” fa una drammatica ricostruzione del rito sacrificale
cartaginese nel quale i bambini, legati mani e piedi, vengono fatti cadere nel fuoco per placare
le ire del dio Moloch. Lloyd de Mause riferisce che sacrifici di fanciulli erano praticati dai Celti
d’Irlanda, dai Galli, dagli Scandinavi, dagli Egizi, dai Fenici, dai Moabiti, dagli Ammoniti, e, fino
a un certo periodo, dagli Israeliti, finchè Mosè non ne impose la proibizione pena la
lapidazione. Lo stesso Mosè fu un trovatello, abbandonato in una cesta alle acque del Nilo per
salvarlo dalla persecuzione del faraone, nella speranza che fosse trovato, come infatti
avvenne.
Ma entriamo in ambito storico e andiamo a vedere quale fosse la condizione del bambino nella
Grecia antica.

L’abbandono e l'infanticidio nella Grecia antica
Nella Grecia antica le legislazioni di Licurgo e di Solone consentivano l’abbandono e
l’infanticidio. Il fenomeno riguardava soprattutto le figlie perché queste costituivano un peso
per la famiglia che doveva fornirle di dote perché potessero trovare marito. Solitamente
veniva fatta sopravvivere una sola femmina. La condizione di zitella costituiva una vergogna
sia per l’interessata che per la sua famiglia; perciò la legge prevedeva che il padre della
fanciulla potesse sbarazzarsene vendendola come schiava. Nulla veniva fatto per scoraggiare
l’aborto, l’infanticidio e l’abbandono che erano considerati comportamenti comuni.

Dalle “ Vite parallele, Vita di Licurgo” (Plutarco)
“Il genitore non era padrone di allevare il figlio, ma doveva prenderlo e portarlo in un luogo
chiamato “lesche”. Là erano in seduta i più anziani della tribù che esaminavano il piccolo: se
era ben conformato e robusto ordinavano di allevarlo e gli assegnavano uno dei novemila lotti
di terra. Se invece era malato e deforme lo inviavano ai cosiddetti “depositi”, una voragine
nelle pendici del Taigeto."

A questo modo di veder le cose non si sottraevano neppure i grandi
pensatori/filosofi. Platone, infatti, approvò l’infanticidio in caso di gravi malformazioni e
non ammise che ”i figli di nessuno” potessero entrare a far parte della sua Repubblica ideale.
Così si esprimeva Aristotele: ”Per ciò che riguarda l’abbandono o l’allevamento dei neonati,
deve esserci una legge che non permetta di allevare i figli deformi; ma circa il numero dei
bambini, se gli usi e i costumi impediscono il loro abbandono, dev’esserci un limite alla loro
procreazione”.
Aristippo a sua volta pensava che un uomo potesse fare ciò che voleva dei suoi figli
affermando cinicamente che essi: ”(…) eliminano saliva, pidocchi e simili, come cose inutili,
pur essendo prodotte ed avendo origine da noi stessi”.
Che il bambino fosse semplicemente un oggetto di cui facilmente sbarazzarsi, ma anche uno
strumento di spassoso divertimento lo si può vedere nella “Commedia nuova” dove spesso
l’infanticidio è considerato un motivo esilarante, come nella Samia di Menandro, dove il
divertimento e le risa degli spettatori sono suscitati da un uomo che cerca di fare a pezzi e di
arrostire un neonato.
Ma c’era anche qualche voce dissenziente, come quella dell’oratore ed educatore ateniese
Isocrate che era contrario all’abbandono dei neonati e lo citava insieme all’assassinio,
all’incesto, all’annegamento e all’accecamento.
A Tebe, inoltre, l’infanticidio era vietato, ma in caso di estrema miseria i genitori avevano la
facoltà di vendere il bambino attraverso un magistrato preposto. A Tebe l’esposizione dei
fanciulli era considerata un crimine punibile con la morte.
Le cause dell’abbandono nell’antica Grecia erano molteplici e potremmo riassumerle così:
   Malformazione fisica
   Frutto di una violenza carnale
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   Frutto di una relazione illecita
   Frutto di un incesto (che nel caso di Edipo poteva essere involontario, in quanto i
    comportamenti extra coniugali dei Greci e dei Romani furono influenzati dal fatto che
    l’amante poteva essere la figlia esposta alla nascita)
   Problemi economici (povertà, carestia)
   Problemi patrimoniali (per non frazionare il patrimonio famigliare)
   Un cattivo presagio
   Il destino degli esposti era variabile, riassumibile in questi modi:
   Adozione, per i più fortunati.
   Riduzione in schiavitù.
   Storpiamento per poter sfruttare il trovatello come mendicante o come fenomeno da
    baraccone.
   Prostituzione.
   Manodopera nelle campagne.
   Morte sopravvenuta durante l’esposizione (fame, freddo, eventi naturali, animali
    randagi).
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                       L’abbandono e l'infanticidio nell'antica Roma
Nell’antica Roma il fenomeno dell’abbandono ricalcava nelle motivazioni quello dell’antica
Grecia. Il bambino era un “nihil”, una cosa da nulla il cui destino era dipendente dalla
“patria potestas” esercitata dal padre (pater familias). Alla “levatio” ostetrica faceva seguito la
“elevatio” del padre che lo sollevava all’altezza degli occhi per il riconoscimento formale. Dopo
la elevatio il padre gli faceva il bagno lui stesso, lo avvolgeva nelle fasce e lo deponeva nella
culla. Il nome veniva imposto dal padre stesso in decima giornata festeggiando l’evento. Se il
bambino era rifiutato allora avveniva la “expositio” del neonato fuori dalla porta di casa. La
Legge delle XII tavole promulgata da Romolo, sanciva che un padre potesse vendere i figli fino
ad un numero massimo di tre, pena la perdita della patria potestà (patria potestas). La
patria potestà era incarnata dal padre del bambino (paterfamilias) che era l’unico ad avere
personalità giuridica in ambito famigliare ed esercitava il suo potere di vita e di morte (ius
vitae necisque) sulla moglie e sui figli. Tuttavia Romolo aveva vietato ai padri di uccidere i
figli di età inferiore ai tre anni (bontà sua!).
Seneca sosteneva che l’infanticidio dovesse riguardare soltanto i bambini malati e dichiarava:
”Uccidiamo i cani idrofobi con un colpo alla testa, abbattiamo il bue furioso e selvaggio,
accoltelliamo la pecora malata per evitare che infetti il gregge, distruggiamo la progenie
snaturata, affoghiamo anche i bambini che al momento della nascita siano deboli o anormali
!”.
I luoghi dell’abbandono in Roma erano le rive del Tevere oppure il Foro Olimpico. Nel Foro
Olimpico sorgeva la “Colonna lattaria”, attorno alla quale si aggiravano donne disposte ad
offrire latte ai bambini esposti, megere che li usavano per la preparazione di filtri e veleni,
aruspici (che controllavano le viscere per trarne segni divini), che ne facevano strumenti di
operazioni magiche, nutricatores che raccoglievano i piccoli derelitti e li allevavano per farne
schiavi da vendere, gladiatori, eunuchi, prostitute o fenomeni da baraccone dopo averne
deformate le sembianze con mutilazioni e storpiature.
Devono passare molti secoli prima che in Roma cominci a spirare un vento di maggiore
umanità verso i minori.
La legge Tutela Italiae promulgata da Traiano (53-117d.C.), proibiva di trattare come
schiavi i bambini trovati o comperati se erano nati liberi, ma se erano nati schiavi restavano
nella loro condizione di schiavi. Era una legge discriminante, ma dobbiamo tenere conto che la
schiavitù si protrasse nel nostro Mondo Occidentale evoluto fino al XIX secolo. Lo
stesso Traiano aprì a Velleja (in provincia di Piacenza), un grande ricovero degli esposti e
degli orfani abbandonati, istituì collegi per ragazze e ragazzi poveri e per gli orfani dei suoi
legionari.
I bambini avevano un elevato valore commerciale se allevati come schiavi o per altre mansioni
più o meno redditizie per non dire disumane, come quando l’acquirente apparteneva alla
specie dei nutricatores. Per questo motivo essi erano anche oggetto di rapimenti, esulando il
fenomeno da quello dell’abbandono. In questo caso la legge romana puniva con la morte i
rapitori di bambini, probabilmente perché in questo modo veniva ferita la patria potestà del
paterfamilias che era l’unico a poter decidere sulla sorte dei propri figli e anche perché si
voleva punire la speculazione commerciale che ne derivava.

                                 L’avvento del Cristianesimo
L’avvento del cristianesimo fece spirare un vento nuovo sulla società umana dei primi secoli
della nostra Era per un nuovo approccio all’essere umano e si diffusero modi di sentire fino ad
allora sconosciuti alla morale comune, come quello della “pietas” e della “caritas”. Con
questo non si vuol dire che nel passato pagano non potessero esserci state persone generose
e umane per il loro connaturato sentire, ma che era la filosofia di vita generale della cultura
pagana ad essere improntata alla legge del più forte. La legge del taglione tardò molto a
scomparire per essere sostituita dalla “proposta” evangelica del “porgi l’altra guancia”.
Ma questa passaggio è mai avvenuto?
Lo strumento attraverso il quale il Cristianesimo pose l’accento sulla necessità di rispettare la
vita umana fu l’affermazione della sacralità della vita umana stessa che veniva confermata
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dal rito battesimale. Per questo motivo la sollecitudine della Chiesa nei confronti dei bambini
abbandonati fu dettata non solo dalla preoccupazione per la loro sopravvivenza e la loro salute
fisica, ma anche dal timore che essi morissero senza essere stati battezzati. Questa
preoccupazione di ordine spirituale fu un incentivo alla ricerca di rimedi per il recupero dei
bambini esposti.
Il primo imperatore convertito al Cristianesimo, Costantino (260-337 d.C) fece varare una
legge che condannava con la pena dei parricidi, la morte, coloro che uccidevano i propri figli,
annullando l’antica legge dello ius vitae necisque che era stata per secoli diritto inviolabile del
paterfamilias. Tuttavia la legge romana non proibiva l’abbandono dei bambini neppure sotto
Costantino, anche se il primo padre della Chiesa, Atenagora (II sec.) aveva formulato una
dichiarazione di principio sul problema dell’abbandono scrivendo che ai cristiani è proibito
l’abbandono perché ciò equivale ad un omicidio; ma nel IV secolo (il secolo di Costantino)
S.Ambrogio considerava la povertà sia temporanea che permanente come una giustificazione
per l’abbandono.
In occasione del Concilio di Nicea, che Costantino aveva indetto nel 325 per risolvere problemi
di carattere teologico relativi all’eresia ariana (cioè che Cristo non era come il Padre), lo stesso
imperatore decretò che lo stato dovesse mantenere i bambini abbandonati, creando le
premesse per la costituzione degli orfanotrofi. Nelle province orientali dell’Impero Romano,
dopo l’avvento di Costantino, S.Basilio Magno (329-379), vescovo di Cesarea di Cappadocia in
Turchia, fondava un grande complesso ospedaliero che da lui prese il nome di Basiliade. In
quel grande complesso, definito dai contemporanei una delle meraviglie del mondo, S.Basilio
faceva accogliere sia i bambini allattati al seno (brefotrofio) che quelli orfani (orfanotrofio).
A livello privato c’erano le persone di buon cuore che raccoglievano i bambini abbandonati, li
adottavano e li allevavano come figli propri. Questi figli adottivi erano chiamati “alumni”.
Nel V secolo Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, accoglieva nel suo palazzo di
Ravenna       i   bambini    abbandonati       nelle   strade    e    sui   sagrati   delle    chiese.
Bisognerà attendere però l’epoca di Giustiniano (VI secolo ) perché i diritti del bambino siano
sanciti per legge, quando nel 529 lo stesso Giustiniano fece raccogliere e integrare le leggi
romane in un unico corpus che prese il nome di Corpus Iuri Civilis in cui, ricalcando una
disposizione di Valentiniano, Valente e Graziano del 374, sono approvate leggi in difesa
dell’infanzia abbandonata, equiparando, tra l’altro, l’abbandono all’infanticidio. Nel Corpus
Iuris Civilis è prevista anche la tutela da parte di un “tutor” per i ragazzi fino a 14 anni e le
fanciulle fino a 12 (impuberes). Col raggiungimento della pubertà la legge li considerava
capaci di assumersi la responsabilità dei loro atti, anche se si rendeva necessaria la presenza
di un “curator” che li assisteva negli affari pubblici fino all’età di 25 anni. Con Giustiniano per
la prima volta il bambino diventa “persona giuridica”.
Dopo il collasso del potere civile seguito alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (non fu
così nella parte orientale dell’Impero dove la “nuova Roma” era ormai Costantinopoli), l’unica
autorità presente nelle nostre contrade occidentali era rimasta quella della Chiesa che con le
sue parrocchie e i suoi monasteri fu per secoli il solo polo di attrazione e di aggregazione della
popolazione ormai preda delle invasioni barbariche e della miseria con conseguente regresso
sociale e culturale e la perdita del contatto con le proprie civili radici. Delle leggi di Giustiniano
si persero le tracce (che furono ritrovate con la rinascita del XII secolo) e furono sostituite
dalle leggi barbariche.
La religione comune era comunque quella cristiana e i bambini non verranno più appesi alle
piante per impedire che fosse divorato dagli animali selvatici e per far sì che qualcuno lo
vedesse e lo adottasse o abbandonati sui cigli delle strade o, come nell’antica Roma, nel Foro
Olimpico alla Colonna lattaria, ma deposti sui sagrati delle chiese prima, alla “ ruota degli
esposti” più tardi…ma le acque del Tevere erano sempre pronte ad accoglierne un certo
numero.
Sarà soprattutto la Chiesa a interessarsi di questo problema, almeno in un primo periodo, ma i
risultati della “ruota” non saranno incoraggianti e questa sarà una lunga storia che non finisce
qui.
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                                          GIUSTINIANO

                Storia dell'abbandono e
               dell'infanticidio - parte II
La storia dell'abbandono e dell'infanticidio nel Medioevo ci spiega come erano considerati e
trattati i bambini nelle diverse civiltà.

                                 L’abbandono nel Medioevo
Atenagora (II sec.) fu il primo padre della Chiesa a formulare una dichiarazione di principio sul
problema dell’abbandono, scrivendo che ai cristiani è proibito l’abbandono perché ciò equivale
ad un omicidio.
Tuttavia un grande Santo come S. Ambrogio considerava la povertà, sia temporanea che
permanente, come una giustificazione per l’abbandono e addirittura S. Agostino considerava
l’aborto e le pratiche contraccettive comportamenti assai più responsabili dell’abbandono
stesso, evidentemente consapevole che l’abbandono poteva corrispondere ad un omicidio o ad
una condizione di vita terribile (prostituzione, accattonaggio, castrazione, schiavitù).
L’imperatore Valentiniano II, nel 391, prese misure per far riscattare bambini nati liberi e
ridotti in schiavitù, ma senza che venisse dato alcun compenso, contrariamente a quanto
sancito da Costantino. La Chiesa istituzionale dei primi secoli, infine, consapevole che spesso
l’abbandono veniva ad essere per quei tempi una soluzione alla sopravvivenza del bambino,
non arrivò mai a pronunciarsi, preoccupandosi invece che gli “esposti” fossero accolti e trattati
con la massima cura.
Quando, dal V secolo in poi, in area mediterranea le chiese divennero gli edifici pubblici più
numerosi, fu su quei sagrati che i bambini cominciarono ad essere abbandonati e il destino di
questi ultimi passò definitivamente, per secoli, nelle mani della Chiesa istituzionale.
Nel Concilio di Nicea del 325 venne decretata la costituzione dei brefotrofi e nel 529
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Giustiniano, nelle stesura del CORPUS IURIS CIVILIS, dettò le nuove regole per la protezione
dell’infanzia, in virtù delle quali, per la prima volta nella storia, il bambino assunse
"personalità giuridica".
La nuova sensibilità verso il prossimo porterà a comportamenti nuovi e più protettivi nei
confronti dei bambini, senza peraltro riuscire a sradicare del tutto la barbarie dell’infanticidio e
dell’abbandono spesso, ma non solo, dovuti alla disperazione.
Il fenomeno si sarebbe amplificato in Occidente dopo la caduta dell’Impero Romano (476
a.D.), quando invasioni barbariche e collasso del potere civile avrebbero creato le condizioni
per la sofferenza dei più deboli, i bambini per primi.
Nelle provincie orientali dell’Impero Romano, dopo l’avvento di Costantino, S. Basilio Magno,
Vescovo di Cesarea di Cappadocia (329-379), edificava la Basiliade, considerata all’epoca una
delle meraviglie del mondo. In quel grande complesso ospedaliero S. Basilio accoglieva sia
bambini allattati al seno (brefotrofio) che quelli orfani (orfanotrofio).
Sull’esempio della Basiliade nelle provincie orientali dell’Impero pullularono iniziative simili
anche se non della stessa portata, mentre in Occidente passeranno ancora almeno otto secoli
prima che sull’esempio dell’Ordine di Santo Spirito fondato da Guido di Montpellier e adottato
da Papa Innocenzo III, nascessero i primi ospedali con ricoveri per bambini abbandonati e
brefotrofi, dotati della "ruota degli esposti", come vedremo più avanti.
Nel V secolo Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, accoglieva nel suo palazzo di
Ravenna      i    bambini    abbandonati     nelle   strade    e    sui   sagrati  delle    chiese.
Nello stesso periodo a Lione un certo Giberto apriva un asilo per bambini abbandonati.
Nel 787 Dateo, arciprete della cattedrale di Milano, fondava un ricovero per allevare e nutrire
con latte di balie stipendiate i bambini raccolti “per cloacas et sterquilinia fluminaque”.
Tuttavia queste lodevoli iniziative ebbero la durata dei loro fondatori non riuscendo mai a
diventare istituzioni a carattere permanente. Perciò il destino di quei poveri bambini era legato
al caso e alla fortuna. Al caso di essere trovati in tempo e alla fortuna di essere raccolti da
persone buone e generose.
Molte persone comuni e di buon cuore, infatti, raccoglievano i bambini abbandonati, li
adottavano e li allevavano come figli propri cui veniva dato l’appellativo di "alumni" e cioè di
figlio preferito. I bambini trovati dai religiosi sui sagrati delle chiese venivano accolti invece
nella "famiglia monastica" secondo il costume degli "alumni", in questo caso "alumni di Dio".
Su di loro i genitori naturali perdevano il diritto di reclamarli, nel caso che le motivazioni
dell’abbandono fossero mutate, oltre i dieci giorni dall’abbandono. Nel "Corpus" giustinianeo si
legge: "Nessuno può reclamare come proprio un neonato abbandonato. Ma senza distinzione,
quelli che sono allevati in questo modo, devono essere considerati come liberi o come persone
libere”.

Nel caos che subentrò alla caduta dell’Impero Romano la maggior parte degli aspetti che
riguardava la vita degli “expositi” dipendeva ormai più dalle circostanze che dalle leggi o dalle
istituzioni. Le leggi del Diritto Romano erano andate smarrite per essere sostituite dalle leggi
barbariche. Soltanto con la Rinascita del XII secolo il mondo Occidentale si riapproprierà del
“Digesto” giustinianeo, ma non sarà per questa riscoperta che le condizioni dell’infanzia
abbandonata andranno a migliorare, anche perché di lì a poco la peste nera sarebbe piombata
come un avvoltoio sulle popolazioni europee decimandole e sconvolgendo ancor più ogni
assetto civile.
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CHIESA SANTA SOFIA

Nell’Oriente europeo la cultura bizantina acquisì una sua autonomia, differenziandosi anche
sotto l’aspetto religioso dall’Occidente, in una società molto più avanzata e organizzata
rispetto a quella della parte occidentale dell’ex Impero romano; l’Impero bizantino non
conobbe infatti un Medioevo come il nostro e fu dotato di strutture assistenziali fin dai tempi di
S. Basilio. L’Impero bizantino cadde in mani turche nel 1453 quando l’Europa occidentale,
l’Italia per prima, si trovava in pieno Rinascimento.
Nell’area Medio-Orientale la nascente potenza islamica sottrasse al controllo delle potenze
cristiane     d’Oriente     e    d’Occidente,    vaste     aree   dell’ex   Impero       Romano.
In quest’ultima area le rovine della civiltà romana furono raccolte e rimodellate dall’Islam e
per quel che riguarda il fenomeno dell’abbandono e dell’infanticidio Maometto dettava: "Non
uccidete i figli per timore della povertà. Sostenteremo voi e loro. Ucciderli è un peccato
grave". Questo perché nella civiltà pre-islamica l’infanticidio era presente, come anche
l’indesiderabilità delle femmine, pensiero frequentemente espresso nel Corano, che però
condanna l’uccisione delle bambine. Maometto non si opponeva all’abbandono, ma si
preoccupava di dare disposizioni per la cura dei bambini abbandonati.
Nel mondo islamico, all’apogeo della sua civiltà quando l’Europa Occidentale stava vivendo il
suo lungo Medioevo, fiorirono numerose le strutture assistenziali in città come Bagdad,
capitale del califfato d’Oriente e Cordoba, capitale del califfato d’Occidente nella Spagna
musulmana, e nelle altre maggiori città islamiche.
Anche nel regno crociato di Gerusalemme, nel XIII secolo, esistevano strutture ospedaliere
dove erano previsti locali per l’accoglienza e la cura dell’infanzia abbandonata.
Nell’area germanica ancora pagana l’infanticidio era tollerato, come in tutte le civiltà pre-
moderne, ma solo se il neonato veniva soppresso prima che avesse toccato cibo.
Fonti letterarie irlandesi relative alle popolazioni celtiche e germaniche testimoniano inoltre
che i bambini venivano esposti a causa di profezie, adulterio, incesto, illegittimità, gelosia, e
venivano abbandonati nei campi, in canestri o esposti di fronte alle chiese nei territori
cristianizzati.
In tempi di carestia i figli venivano venduti per essere certi che non morissero di fame, ma
nessun trovatello poteva essere allevato in alcuna forma di servitù.
Mentre nell’Oriente cristiano era la voce dell’imperatore quella che contava, nell’Occidente,
dove l’autorità civile era venuta a mancare, era la Chiesa che suppliva a questa vuoto di
potere regolando anche i comportamenti umani, fenomeno che avrebbe fatto maturare quella
dicotomia (rigida divisione in due parti), fra potere civile e religioso che si fece sentire per
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secoli, ma che in quel periodo svolse una fondamentale funzione di collante per popolazioni
allo sbando.
Fu perciò la Chiesa a regolare nell’Europa occidentale l’esposizione e l’allevamento dei
bambini; essa si impegnò a trovare una nuova casa per gli "expositi" attraverso
l’organizzazione di chiese, parrocchie e monasteri.
Nel 906 Reginone di Prum compilò una raccolta di decreti canonici che prevedeva:
pene severe per l’infanticidio, per la morte accidentale per soffocamento o per incuria dei
genitori. Riguardo all’abbandono la raccolta comprendeva quattro canoni, che rappresentarono
però un regresso rispetto ai decreti di Giustiniano:
   chi raccoglie bambini abbandonati può allevarli come liberi o come schiavi, a suo
    piacimento;
   i padroni non possono riavere i bambini che erano stati abbandonati             con il loro
    consenso;
   ma un genitore o un padrone può riavere il bambino se lo rimpiazza con un servo ”dello
    stesso valore” o paga a chi lo ha raccolto il prezzo del bambino;
   il quarto canone è un’esortazione alle madri di bambini illegittimi a lasciarli sulla soglia
    delle chiese evitando di ucciderli.

L’oblazione
L’oblazione era l’offerta di un bambino a un monastero come dono permanente.
Già nella Regola di S. Benedetto della prima metà del VI secolo era prevista l’oblazione.
Essa aveva un duplice aspetto: quello sociale, con gli stessi fini dell’abbandono, di
regolazione demografica o ereditaria e quello religioso, con fini devozionali, per le ricompense
spirituali che avrebbero atteso i genitori degli oblati.
In merito al destino dei bambini oblati nel corso dell’Alto Medioevo, si ebbero regole
contrastanti, perché se S.Basilio prescriveva che i bambini non fossero formalmente impegnati
o “professi” nella vita religiosa prima di avere raggiunto l’età in cui potevano prendere
decisioni autonome, altri prelati prescrivevano la irreversibilità della condizione di oblato,
finchè diversi concili tra il VI e il VII secolo (Orlèans, Macon, Toledo), imposero quest’ultima
regola.
Nel 633 il IV concilio di Toledo sanciva:

“Sia la devozione dei genitori che la devozione personale possono fare un monaco; entrambe
sono vincolanti. Perciò rifiutiamo qualsiasi possibilità di tornare al mondo e ogni ripresa della
vita secolare”.

E chi avesse scelto di riprendere la vita secolare avrebbe ricevuto una sentenza di scomunica
come apostata.
Tuttavia, raffrontata con le altre forme di abbandono, per non parlare dell’infanticidio,
l’oblazione, rapportata a quei tempi, va vista come la forma più umana di abbandono che si
sia sviluppata in Occidente.
Inoltre va anche detto che l’oblazione si differenziava fortemente dall’abbandono vero e
proprio perché i genitori degli oblati non erano anonimi, gli oblati non andavano incontro a
tutti rischi dell’ “esposizione” (morte, schiavitù, prostituzione e altro), ma essi diventavano
alumni di una famiglia in cui tutti i figli erano adottivi: alumni della Chiesa.
L’oblato era consegnato per sempre ad una vita di povertà, obbedienza e castità.
Quest’ultima rinuncia era forse quella meno pesante per un’epoca in cui la sessualità era vista
come fonte di peccato e, comunque, finalizzata unicamente alla procreazione.
Alla luce del pensiero moderno questi aspetti dell’oblazione possono apparire terribili e lo
saranno stati sicuramente anche in quei tempi in molti casi (l’episodio manzoniano della
monaca di Monza è esemplare), ma molti servi della gleba avrebbero sicuramente scambiato il
loro posto con quello degli oblati. A questo proposito è bene comunque ricordare che in alcuni
casi si ebbero veramente risultati molto fecondi come quello di Beda il Venerabile (Inghilterra
VIII sec.), il quale, oblato all’età di sette anni al monastero di Monkwearmouth, trascorse tutta
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la sua vita tra quel monastero e quello vicino di Jarrow, nella preghiera e nello studio,
producendo una messe enorme di opere, tra cui quella “Historia Ecclesiae gentis Anglorum”
che gli valse il titolo di “Padre della Storia inglese”. Ma alla luce della morale e del diritto di
oggi questa non può essere una giustificazione.
L’oblazione precludeva certe possibilità aperte invece ad altri bambini abbandonati, come
quella del matrimonio, ma rendeva possibile l’accesso alle strutture di potere ecclesiastico
oltrechè alla salvezza eterna attraverso la donazione della propria vita a Dio, come fine ultimo
dell’esistenza umana.
Il convincimento generale, supportato anche da una letteratura che enfatizzava il fenomeno,
era che i bambini esposti andassero incontro a destini di gloria, diventando, santi, papi,
missionari, eroi, fondatori di dinastie reali e che spesso tornassero a riunirsi alla loro famiglia.
Tuttavia quella letteratura agiografica (e cioè ammirazione incondizionata), generalmente va
vista come un modo per giustificare a sé stessi un fenomeno, quale quello dell’abbandono, che
era molto frequente come mezzo per risolvere diversi problemi in ordine alla povertà o a
questioni      dinastiche,     secondo      la     condizione     sociale    di      appartenenza.
Boccaccio, in un passo del Corbaccio (narrazione in prosa), elenca in un modo
presumibilmente più attendibile i probabili destini che attendevano i bambini abbandonati e
scrive:

“Quanti parti, malgrado loro venuti a bene, nelle braccia della fortuna si gittano! Riguardinsi
gli spedali. Quanti ancora, prima che essi il materno latte abbino gustato, se n’uccidono!
Quanti a’ boschi, quanti alle fiere se ne concedono e agli uccelli! Tanti e in sì fatte maniere ne
periscono che, bene ogni cosa considerata, il minore peccato in loro è l’avere l’appetito della
lussuria seguito”.

Non va ignorato, inoltre, il fenomeno della schiavitù che negli ultimi secoli del Medioevo
divenne molto frequente come lo era stato in epoca romana ed è assodato che i bambini
fossero una parte cospicua del mercato degli schiavi anche ad opera dei pirati saraceni che
nelle loro scorribande, con molta frequenza, rapivano giovani donne, bambini e giovani
maschi. Ma non bisogna credere che il mercato degli schiavi fosse appannaggio dei soli pirati
saraceni. Fiorenti mercati di schiavi si erano sviluppati nei Balcani, ma anche in Sicilia, Napoli
e Venezia dove un terzo degli schiavi venduti aveva meno di tredici anni.
L’infanticidio assumeva talvolta l’aspetto di una morte accidentale, come quella che poteva
accadere per soffocamento del neonato nel letto dei genitori. Questa pratica assumeva
l’aspetto di un infanticidio selettivo ai danni delle femmine, ritenute meno desiderabili dei
maschi; in questo modo, infatti, venivano fatte morire più femmine che maschi in un rapporto
di 3/1. Nel complesso il comportamento della Chiesa verso il fenomeno
dell’abbandono, come verso la schiavitù e la povertà, fu orientato verso l’accettazione
rassegnata di questi, come aspetti del mondo che andavano regolati e gestiti nel migliore dei
modi. Fu per questo che non ci fu mai da parte della Chiesa una esplicita condanna
dell’abbandono, neppure da parte di uno dei padri della Chiesa come S.Tommaso.
Nella società medievale di forte impianto religioso, dove la preoccupazione per la salvezza
dell’anima era prevalente su quella del corpo, l’impegno nel recupero dei bambini abbandonati
era motivato soprattutto da preoccupazioni di ordine spirituale e la salvezza fisica del bambino
ne era la logica conseguenza, nell’osservanza dei principi evangelici della pietas e della
caritas. Una delle principali preoccupazioni della Chiesa, infatti, fu quella che i bambini esposti
fossero recuperati per essere battezzati; se appena c’era il dubbio che non lo fossero o se
questi venivano trovati morti, nel dubbio, era vietata la loro sepoltura nei cimiteri consacrati.
Tuttavia le disposizioni di legge erano molto variabili, secondo i diversi territori dell’Europa di
allora, perché in alcuni di essi le norme sull’abbandono prevedevano pene molto severe.
Al tempo della dominazione normanna in Sicilia la legge prevedeva il taglio del naso per quelle
madri che vendevano le figlie, mentre nella Spagna era previsto il rogo. Il Fuero Real
castigliano del XIII secolo è molto severo nei confronti dei genitori che causano la morte del
figlio per averlo esposto e recita: “Chiunque esponga un figlio che poi muore perché nessuno
se ne prende cura deve essere punito con la morte egli stesso: causare una morte è lo stesso
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che uccidere”. Ma nel codice castigliano che sostituì il Fuero Real, Las Siete Partidas, veniva
concesso ai genitori di vendere i figli per fame o miseria, allo scopo di utilizzare il ricavato per
mantenere in vita il resto della famiglia ed è sconvolgente apprendere che lo stesso codice
consentiva ad un genitore, costretto dalla fame durante un assedio, di mangiare un figlio
(piuttosto che arrendersi senza il permesso del suo signore). Alla madre invece era vietato
vendere o mangiare un figlio (!). Fenomeni di cannibalismo al danno di bambini sono descritti
nel XIII secolo in Sicilia e in Puglia durante una terribile carestia; nel XIV secolo in Spagna,
durante un lunghissimo assedio della città di Toledo, gli Ebrei mangiarono le carni dei figli.
(Cronaca ebraica). Un racconto del XII secolo riporta l’episodio di un cavaliere che uccide con
le sue stesse mani i figli e usa il loro sangue per guarire un amico dalla lebbra.
Per tornare al solo fenomeno dell’abbandono, altri motivi erano le deformità o la cattiva
salute del bambino, anche perché si era convinti che i bambini nati deformi o, comunque,
cagionevoli in salute, fossero il risultato di concepimenti avvenuti durante il ciclo mestruale,
l’allattamento o la Quaresima, comportamenti che erano vietati dalla morale comune, mentre
i parti gemellari erano attribuiti a comportamenti adulterini. Quest’ultima convinzione
comune induceva la madre dei gemelli, pur innocente, a liberarsi di uno dei due neonati
esponendolo, per non essere accusata di adulterio. L’abbandono nel basso Medioevo era da
attribuirsi anche a motivazioni religiose: infatti non era infrequente il caso di genitori che,
abbracciando la vita religiosa, abbandonassero la famiglia, figli compresi. Una nuova categoria
di illegittimi venne a crearsi quando, a partire dal XIII secolo, fu proibito il matrimonio ai
preti. Ciò non portò ad una diminuzione del numero dei loro figli, i quali però da quel
momento vennero considerati illegittimi e non poterono più entrare negli ordini e nelle
comunità religiose, né contrarre matrimoni validi, né ereditare legalmente. Ciò portò ad una
rivoluzione culturale di grande impatto sulla condizione religiosa e sul destino dei figli, un
tempo legittimi, dei preti. Nella seconda metà del XIII secolo il Vescovo di Liegi si era vantato
di aver generato addirittura quattordici figli maschi in ventidue mesi. Ma dopo il giro di boa
dell’imposizione del celibato il generare figli dovette passare nell’ombra portando spesso
all’abbandono, anche se più o meno camuffato, probabilmente mai attraverso l’esposizione o
l’infanticidio, anche se ciò non si può del tutto escludere in certe situazioni particolari. Anche
l’antisemitismo fu una causa di abbandono, ma in questo caso forzato, perché la legge
ecclesiastica prescriveva che i figli nati da matrimoni misti con mogli ebree fossero tolti dalla
custodia delle madri perché “non trascinino i figli nell’errore di una falsa fede”. D’altro canto
sono descritti episodi di ebrei che, durante i pogrom (sommosse sanguinose contro gli ebrei),
uccisero i figli per impedire che venissero battezzati.
Un altro fenomeno non infrequente fu quello dell’affidamento, che era una via di mezzo fra
l’abbandono e la scelta di far allevare un bambino lontano dalla famiglia naturale, da una
famiglia che se ne prendesse cura e lo amasse come un figlio suo. L’affidamento andrebbe
considerato alla stessa stregua dell’oblazione, con la differenza che le motivazioni non erano di
ordine religioso, ma di altra natura più vicina a problemi di ordine contingente. Nel corso
dell’XI secolo infine si videro nascere organizzazioni ispirate all’esercizio della carità che
andarono a sostituirsi alle funzioni benefiche delle chiese parrocchiali e dei monasteri. Queste
organizzazioni furono sempre più assunte da ordini religiosi spontanei fondati per nutrire gli
affamati, curare i malati, accogliere i senzatetto e i bambini abbandonati, animate perciò da
uno spirito di volontariato che andava oltre l’accoglimento passivo del neonato trovato sulla
soglia di un monastero. Esemplare a questo proposito fu la figura di Guido di Montpellier.
Nell’XII secolo (1170) Guido da Montpellier fondò nel sud della Francia l’Ordine di S.Spirito
che aprì case per gli esposti ed orfani. La casa madre dell’Ordine fu in seguito trasferita a
Roma per volontà di papa Innocenzo III. L’Ospedale di S.Spirito, nuova Casa madre
dell’ordine, fondato nel 1198, fu dotato della rota. Le ruote si diffusero rapidamente in Francia,
Italia, Spagna, Grecia, ma non nei paesi germanici e anglosassoni dove cadaverini di feti e
neonati uccisi nei modi più diversi continuavano ad essere trovati nelle fogne e nelle discariche
di questi ultimi paesi.
Ma qui ha inizio un’altra storia che è quella della “ruota degli esposti” che ci condurrà fino ai
giorni nostri!
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               Storia dell'abbandono e
              dell'infanticidio - parte III
La storia dell'abbandono e dell'infanticidio dalla nascita delle prima "ruota" nel XII secolo, fino
ai giorni nostri.

Il XII secolo della nostra era si apre con l’introduzione del meccanismo della “ruota”,
inventato per evitare che i piccoli “reietti” fossero abbandonati all’aperto alla mercè degli
eventi atmosferici e degli animali. Anche una sola notte trascorsa sul sagrato di una chiesa o
davanti al portone di un convento, a seconda anche delle condizioni atmosferiche del
momento poteva essere fatale al bambino. La prima ruota cominciò a funzionare
nell’ospedale di Marsiglia nel 1118, seguita poco dopo da quella di Aix en Provence e di
Tolone. Le ruote si diffusero rapidamente in Francia, Italia, Spagna e Grecia, ma non nei paesi
germanici e anglosassoni cadaverini di feti o di neonati uccisi nei modi più diversi
continuavano ad essere trovati nelle fogne e nelle discariche di questi ultimi paesi. La ruota
era un congegno rappresentato da un tamburo di legno rotante su un’asse verticale dalle
piccole dimensioni perché destinato ad accogliere bambini appena nati e munito di un apposito
sportello aperto in corrispondenza di una fessura posta sulla cinta esterna dell’ospizio. Qui il
bambino poteva essere abbandonato nell’anonimato, ma capitava abbastanza spesso che egli
fosse dotato di un segno di riconoscimento (una mezza carta da gioco, un ciondolo o un
qualsiasi altro mezzo di riconoscimento). Ciò denotava la volontà del genitore di poter
rientrare in possesso del figlio in un futuro migliore o, almeno, di poterlo riconoscere da quel
segno. In genere il tintinnio di un campanello esterno avvisava dell’arrivo del piccolo una
guardiana di turno, detta anche la “rotara”, che prestava i primi soccorsi.
Successivamente i bambini venivano accolti dalla priora che li marchiava con una doppia croce
sul piede sinistro. I piccoli venivano registrati (così almeno nell’Ospedale di S.Spirito di Roma)
come filiu m. ignotae, dove la m. sta per matris (Da cui il termine romanesco “figlio di
mignotta”)

                              L’Ospedale di S. Spirito in Roma
Sulle sponde del Tevere nel 715 era stato fondato da Ina, re della Sassia, in quelli che erano
stati gli orti neroniani, una Schola Saxonum, che era un centro di accoglienza di pellegrini che
giungevano a Roma in visita al Principe degli Apostoli S. Pietro e dotata di una chiesa intitolata
a S. Maria in Sassia. Devastata da incendi e saccheggi la struttura fu ricostruita da papa
Innocenzo III nel 1198 per dedicarla all’assistenza degli infermi, al mantenimento dei poveri e
dei “proietti” (un dei termini per i bambini abbandonati), secondo le intenzioni dell’Ordine di S.
Spirito fondato da Guy de Montpellier. Il papa era stato scandalizzato dalle notizie che gli
giungevano relative ai ritrovamenti di corpicini di neonati che restavano impigliati nelle reti dei
pescatori del Tevere, buttati dai ponti o dalle rive del fiume da madri sventurate; questo era
stato il motivo fondamentale che l’aveva indotto a fondare l’Ospedale di S. Spirito, oltre che
un doveroso riguardo allo spirito di carità cristiana che era dovuto a poveri e malati. Dai tempi
della Basiliade di S. Basilio erano passati circa otto secoli. Da quel momento l’Ordine
ospedaliero di S. Spirito si diffuse da Roma in Italia e in Europa con circa 500 filiali divenendo
il fulcro del progresso ospedaliero di quel periodo. Nell’Ospedale di S. Spirito oltre al
nosocomio generale, al gerontocomio e al lebbrosario esistevano un asilo materno e un
baliatico, oltre che un reparto brefotrofio per accogliere bambini figli di donne
indigenti o di meretrici, bambini che a volte venivano partoriti nell’ospedale stesso, altre
volte partoriti fuori dall’ospedale e abbandonati nella “ruota”.
Se le norme per l’accettazione e l’allevamento degli esposti erano uguali in tutti i brefotrofi, le
condizioni ambientali erano però diverse a seconda della disponibilità finanziaria dei diversi
istituti.
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In questo senso l’Ospedale di S. Spirito era quello più dotato perché favorito dalla protezione
del papa. Il brefotrofio romano di S. Spirito non si limitava ad accogliere solo i bambini esposti
di Roma e del territorio laziale, ma anche tutti quelli dello Stato Pontificio. Tuttavia pochi dei
bambini che venivano portati da lontano da uomini prezzolati riuscivano a superare lo stress
del trasporto. Contenuti in ceste di vimini, portati a spalla, restavano esposti alle intemperie
ed erano alimentati solo occasionalmente e in modo assolutamente incongruo, in condizioni
igieniche spaventose, spesso eliminati per strada o gettati nei fossi come oggetti fastidiosi e
ingombranti; quei pochi che sopravvivevano fino al brefotrofio spesso morivano poco dopo
perché giunti in condizioni estreme.
Erano sorti brefotrofi all’interno dello Stato Pontificio anche a Spoleto, Viterbo, Orvieto, Assisi,
Foligno, Perugia. Ma i brefotrofi di provincia, inariditasi la pubblica beneficienza per il
moltiplicarsi delle confraternite religiose, dei sodalizi, e dei piccoli monasteri, si erano visti
costretti a riversare i loro trovatelli nel brefotrofio di S. Spirito che giunse, per l’eccessivo
affollamento, alla bancarotta, oltre che all’enorme incremento della mortalità dei bambini
stessi. Pose rimedio a questa situazione papa Clemente XII (1652-1740) che fece istituire in
ogni provincia un brefotrofio fornito delle necessarie dotazioni, facendo chiudere
contestualmente tutti quei piccoli monasteri, sodalizi, opere pie di dubbia utilità che erano
sorti come funghi negli ultimi tempi, sottraendo ai brefotrofi quella beneficienza privata che
era          stata       l’ossigeno         dell’assistenza        all’infanzia      abbandonata.
All’interno dei brefotrofi la mortalità dei bambini restava elevatissima ed era dovuta
alle carenze igieniche spaventose, agli ambienti malsani e male aerati, alla malnutrizione
se non alla denutrizione, dovendo spesso una balia provvedere a 5-6 bambini, all’infierire della
sifilide, del rachitismo, del mughetto (stomatite), delle malattie esantematiche (infezioni sia
virali che batteriche), delle malattie respiratorie e di tante altre patologie definite
“sconosciute”. A volte questi bambini venivano dati “in appalto” a nutrici esterne di campagna,
quindi abbandonati a situazioni che sfuggivano ad ogni controllo, anche se si è accertato che
la mortalità infantile era inferiore nelle campagne rispetto alle città e ancor di più rispetto ai
brefotrofi.
Nel resto della Penisola altre istituzioni simili venivano fondate a Venezia, a Padova, Siena, a
Firenze, a Milano, ma anche a Bergamo, a Ferrara, a Napoli e, in territorio d’oltralpe, a
Norimberga, a Lione, ad Amsterdam.
Un particolare cenno meritano gli istituti di Firenze e di Milano.

                                 OSPEDALE SANTO SPIRITO
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                             L’Ospedale degli Innocenti di Firenze
A Firenze già alla fine del XII secolo esisteva un brefotrofio detto di S. Maria a S. Gallo dove
venivano accolti i ”gettatell”. (altro termine per i bambini abbandonati). Questo brefotrofio
veniva messo alle dipendenze dell’Arte della Seta. Successivamente, agli inizi del XIV secolo,
veniva fondato un altro brefotrofio, anch’esso alle dipendenze dell’arte della seta, vicino al
convento domenicano di S.Maria Novella, detto di S.Maria della Scala.
Con l’accrescersi delle fortune della Repubblica Fiorentina e, conseguentemente, della sua
popolazione, crebbe anche il numero dei bambini abbandonati, perciò i due piccoli ricoveri per
“gettatelli” diventarono insufficienti. Ciò indusse l’Università dell’Arte della Seta di Por S. Maria
a costruire un nuovo grande ospedale che fu detto “degli Innocenti”. Questo ospedale non fu
solo l’espressione dello spirito caritatevole di una società tra le più evolute del suo tempo, ma
anche l’espressione del suo gusto artistico. Infatti l’Ospedale degli Innocenti fu commissionato
all’Architetto Filippo Brunelleschi e decorato con medaglioni raffiguranti putti in fasce dei Della
Robbia. Questo famoso ospedale, ancor oggi funzionante come brefotrofio, anche se in misura
molto ridotta rispetto al passato, fu dichiarato “luogo ecclesiastico” nel 1439 da papa Eugenio
IV in occasione del Concilio di Firenze indetto per l’Unione delle Chiede d’Oriente e d’Occidente
e    sappiamo       che   nel   1445     ebbe    come     sua    prima     ospite   una     bambina.
Fu qui che nel 1577 si fecero i primi esperimenti di allattamento artificiale con latte di
mucca intero, ma con risultati disastrosi. Sempre qui, nella seconda metà del XVIII secolo, si
iniziarono le prime variolizzazioni (metodi per proteggersi dal vaiolo) per la profilassi del
vaiolo, pratica che sarà sostituita nel 1801 dalla vaccinazione jenneriana (primo vaccino
efficace contro il vaiolo).
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                                    L’Ospedale del Brolo di Milano
Già nel XII secolo a Milano esisteva l’Ospedale del Brolo dove venivano ricoverati e allevati gli
esposti, ma è dal poeta Bonvesin della Riva che, nella sua bella descrizione di Milano, veniamo a
sapere che nel XIII secolo l’Ospedale del Brolo accoglieva 350 esposti, allattati un pò all’interno
un pò all’esterno dell’ospedale da balie prezzolate di città o di campagna. Successivamente per
evitare il sovraffollamento, si trattennero all’ospedale del Brolo solo i neonati e i lattanti (figli di
latte), mentre i divezzi (figli del pane) furono avviati all’Ospedale di S. Celso.
Col dilagare della sifilide, dopo la scoperta del Nuovo Mondo, l’Ospedale del Brolo fu riservato
agli “infranciosati” (con la sifilide), mentre tutti gli altri furono trasferiti all’Ospedale di S. Celso.
Verso la fine del XVII secolo l’Ospedale di S. Celso, vittima dell’incuria e fatiscente, fu
abbandonato e tutti i bambini esposti furono trasferiti all’Ospedale Maggiore che era in
condizioni ambientali molto migliori. L’insegna dell’Ospedale Maggiore aveva allora come
simbolo una colomba, da cui il nome di “colombini”, dato genericamente a quei trovatelli e il
cognome di Colombo assegnato loro allo stato civile. Circa un secolo dopo il reparto maternità e
quello degli esposti furono trasferiti in S. Caterina alla Ruota, ex convento. Nel 1867, in
applicazione di un progetto di legge del governo Ricasoli, la Deputazione Provinciale di Milano
fece chiudere la “ruota”, provvedendo all’assistenza nel brefotrofio degli illegittimi e dei legittimi
abbandonati. Inoltre, per indurre le famiglie povere a non abbandonare la prole numerosa,
provvide a soccorrere queste famiglie nell’allattamento dei figli ponendole a carico della
beneficienza dei corpi morali e delle associazioni private.
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                                      S. Vincenzo de’ Paoli
Nel XVII secolo a Parigi si prodigò Vincenzo de’ Paoli, che meritò per questo la santità. Egli
dedicò tutta la sua vita all’accoglienza dei bambini abbandonati e degli orfani
vaganti nelle vie della città, dove esisteva, in via Landry, una infermeria ostetrica che
vendeva a venti soldi l’uno i bambini nati in quel luogo a gente del circo e saltimbanchi. Questi
bambini venivano in vario modo deformati o mutilati per farne oggetto di spettacolo sulle
pubbliche piazze alla morbosa curiosità popolare proprio come facevano i “nutricatores“
dell’antica Roma. In Francia il numero degli esposti fu sempre elevatissimo e la condizione dei
brefotrofi spaventosa per le pessime condizioni sanitarie di quei luoghi. Si calcola che a metà
800 il loro numero fosse di 25.000 l’anno, con un totale, nel 1833 di 132.000 esposti e una
mortalità del 75%.
La Casa degli esposti di Parigi, fondata dal re Luigi XIII nel 1640, fu definita dal Girtanner: “Il
più orrendo macello di carne umana che siasi veduto giammai”. A Dublino nel XVII secolo, la
mortalità infantile era del 98%.
In Germania, dove peraltro il fenomeno dell’abbandono era meno diffuso, come in tutti i paesi
di prevalente cultura protestante, all’ingresso di un ospizio qualcuno aveva scritto: ”Qui si
fanno morire i bambini a spese pubbliche”.
Nei paesi a cultura protestante l’opinione pubblica non diffamava le ragazze madri, gli
infanticidi erano rari e il bisogno di ospizi era poco sentito. Non esisteva la “ruota”. Lo Stato
metteva a carico delle ragazze madri il loro bambino e le riteneva responsabili della sua cura.
A Berlino, se veniva trovato l’autore dell’abbandono, questi veniva condannato all’ergastolo e i
suoi beni andavano al trovatello e agli altri suoi figli se ne aveva. A Berna l’esposizione di
neonati veniva punita con i lavori forzati.

La rivoluzione francese
La Rivoluzione francese, nella sua Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino,
proclamava “l’uguaglianza di tutti i bambini che nascono”, sopprimendo tutti gli istituti
caritatevoli, laici o religiosi che fossero, mettendoli a carico dello Stato e definendo i trovatelli
“figli della patria”. Tali iniziative furono estese anche alla maternità illegittima e a quella delle
donne indigenti. Tuttavia, se quanto era stato scritto creava una nuova concezione
dell’assistenza sociale spostandola dall’attività caritatevole alla competenza statale, nella
realtà la situazione non mutò di molto, creando le condizioni per un ritorno alla beneficienza
privata. Un rinnovato impegno ebbe Napoleone, per il quale però i “figli della patria” erano
buoni per le sue grandi armate. La Restaurazione portò ad una politica liberistica e
decentratrice e nel 1817 il governo francese cancellò dai bilanci dello Stato le spese per
l’assistenza sociale addossandola alle amministrazioni locali. Quei bambini “figli della patria”
non andarono più a rinfoltire le schiere degli eserciti napoleonici, ma furono impiegati nel
grigiore delle fabbriche della nascente civiltà industriale. Aveva inizio lo sfruttamento del
lavoro minorile. Tale fenomeno, presente in forme non meno massicce anche in Inghilterra e
Germania, si accompagnò anche allo sfruttamento del lavoro femminile. Questi due
avvenimenti, concomitanti all’inurbamento delle famiglie contadine, portarono in quelle
nazioni, che per prime si erano avviate sulla strada dello sviluppo industriale, ad un ulteriore
incremento della morbilità (numero di casi di malattia registrati durante un periodo in rapporto
al numero complessivo delle persone prese in esame) e della mortalità infantile.
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