Skyfall Medius Presenta: Un racconto del remoto futuro

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      Medius Presenta:

        Skyfall
Un racconto del remoto futuro
2

1.

L’allarme risuonò in tutta la nave quando la flotta dei
Mordrak venne avvistata. Zeblin, il comandante, diede
l’ordine di prepararsi alla inevitabile battaglia, ma sapeva
bene che erano condannati. Non sarebbero mai riusciti a
sfuggire alle più veloci navi degli invasori che mezzo secolo
prima avevano devastato il loro pianeta natale. Il padre di
Zeblin, il vecchio comandante, era riuscito a lasciare il
pianeta ormai perduto con quella sola astronave e un
migliaio di coloni nella speranza di sfuggire ai Mordrak e
iniziare una nuova vita su di un mondo disabitato.
Purtroppo per loro, i Mordrak erano macchine troppo
efficienti e li avevano inseguiti per tutti quegli anni. Un
centinaio di coloni, per lo più tecnici, indossarono le
corazze da guerra e si prepararono a respingere l’attacco
degli invasori. I Mordrak avrebbero cercato di catturare la
nave per assimilare i loro corpi e i loro poteri, ma Zeblin e
gli altri coloni non erano intenzionati a permettere una
cosa del genere. Sapevano di essere condannati, ma
volevano dare un’ultima speranza ai loro figli, così
prepararono le capsule di salvataggio e le programmarono
perché raggiungessero da sole il pianeta abitabile più
vicino. Prima che le navi Mordrak fossero troppo vicine per
intercettarli, lanciarono le capsule e le videro sparire nel
buio della notte stellata. Come previsto, i Mordrak si
disinteressarono delle capsule e attaccarono la nave
principale, senza distruggerla. Subito i loro nanovirus
aggredirono i sistemi elettronici dell’astronave, isolando
tutti i sistemi. Zeblin e gli altri erano prigionieri nella loro
stessa nave, in balia dei Mordrak che molto presto
sarebbero saliti a bordo per assimilare i loro corpi.
I Mordrak salirono a bordo ed eliminarono ogni resistenza e
si diressero verso il luogo dove si era concentrata la
maggior parte dei coloni. Molti di loro, appena usciti dal
bozzolo, pregustavano la possibilità di assorbire gli
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incredibili poteri di cui erano dotati i corpi e le menti di
quella razza aliena così debole e stolta da aver preferito la
resistenza piuttosto che l’assimilazione.
Si accorsero troppo tardi che non tutte le capsule
precedentemente lanciate si erano allontanate dalla nave e
che alcune stavano tornando indietro, puntando verso di
loro. Si accorsero troppo tardi che quelle capsule erano
state programmate per comportarsi esattamente in quel
modo e che non si trattava di un errore o di un difetto dei
computer di bordo. Ma solo all’ultimo momento, quando fu
davvero TROPPO tardi, proprio nell’istante in cui i Mordrak,
guidati dal loro comandante, facevano irruzione nella
grande sala dove Zeblin e i suoi si erano riuniti in attesa
della fine, che guardando i loro occhi e l’espressione
trionfante sui volti di quella razza inferiore, finalmente
compresero che erano persi.
Le capsule, armate con testate distruttive in grado di
disintegrare la crosta di un piccolo satellite, arrivarono
proprio in quel momento. Nessuno le vide e le sentì
esplodere e tutto quello che esisteva in una sfera di mille
chilometri di diametro… smise semplicemente di esistere.
Un piccolo sole brillò in una remota regione dello spazio e
la sua luce guidò a destinazione un piccolo gruppo di
capsule col loro carico di vita e di speranza.

2.

“Lyon!”
Parole biascicate.
“Svegliati Lyon”.
“Hmmm. Lasciami in pace”.
“Svegliati!”
Il lamento delle sirene d’allarme aggredì i suoi timpani.
Lyon Alexander impiegò tre secondi per passare dal sonno
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alla veglia e altrettanti per passare da quest’ultima allo
stato di piena coscienza.
Stava suonando l’allarme.
Un allarme rosso!
E lui era ancora mezzo addormentato.
Saltò giù dalla sua branda e con movimenti automatici
indossò l’uniforme che era appoggiata allo schienale di una
sedia. Il suo alloggio sembrò roteare su se stesso mentre
infilava il pezzo unico di tessuto che formava la sua
uniforme abituale. Non indossò il berretto: sarebbe stato
inutile con i capelli quasi rasati a zero e si precipitò fuori
dal suo alloggio.
La porta si aprì automaticamente scivolando di lato e lui fu
nel corridoio che collegava gli alloggi dei sottufficiali.
Davanti a se aveva gli ascensori automatici perennemente
in funzione. Bastava entrarci e ordinare al computer di
portarlo al livello desiderato.
Nel corridoio, alcuni cadetti sembravano incerti sul da fare.
Deve essere la loro prima esercitazione, pensò Lyon
distrattamente. Presto si sarebbero abituati, o se ne
sarebbero tornati a casa. Non c’era una via di mezzo. Non
con Decker, il loro Sergente Istruttore.
Proprio mentre stava pensando a lui, un ologramma si
formò in una piccola nicchia della paratia. Il viso duro di
Decker si formò velocemente e dagli altoparlanti nascosti
da qualche parte proruppe la sua voce simile ad una
cascata.
“Alexander, vieni subito nell’hangar 9. Di corsa!”
Lyon si trattenne a stento dall’imprecare e con un balzo
entrò nell’ascensore. Un senso di vertigine gli afferrò lo
stomaco come spesso accadeva entrandovi, ma ormai vi
era abituato e non durò più di un attimo.
“Hangar 9” disse con voce ancora mezza impastata dal
sonno, e iniziò a scendere.
L’ascensore funzionava con campi magnetici unidirezionali:
era in pratica un tubo vuoto che scendeva (o saliva, a
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seconda      dei   punti    di   vista   di    chi  l’usava)
perpendicolarmente o con qualsiasi inclinazione avessero
deciso i progettisti e trasportava chi vi si trovava tramite
dei potenti campi magnetici. Era molto veloce e abbastanza
comodo, una volta fattaci l’abitudine. La prima volta che ci
era salito, Lyon aveva vomitato la cena e aveva continuato
a vomitare per una settimana, prima di farci l’abitudine.
Ora era quasi come salire o scendere le scale.
Fermo.
Era a destinazione.
Con un piccolo balzo uscì dall’ascensore che continuò a
funzionare ronzando sommessamente. Per fortuna, in
quella zona le sirene d’allarme giungevano molto soffuse e
i suoi pensieri non erano invasi dal loro martellante
lamento.
Avanzò lungo un corridoio fino all’hangar 9, a cui si
accedeva tramite un portello più grande della media e
adatto a far passare grossi carichi. Prima ancora che fosse
completamente entrato, incrociò Griffin.
“Decker è incazzato di brutto” disse con un’espressione
infelice dipinta sul volto abbronzato. “Tanto per cambiare”
aggiunse aggiustandosi l’uniforme grigio-azzurra.
Lyon sospirò. La giornata era cominciata in modo pessimo.

3.

Decker, ritto su una piattaforma di metallo, stata
strigliando i cadetti che si radunavano in tre file davanti a
lui. Lyon e Griffin scivolarono in mezzo alla confusione
sperando che il sergente non li notasse e invece sentirono
una voce tuonante dire:
“Alexander! Kowalsky!”
Scattarono sull’attenti nel punto esatto dove si trovavano.
Si erano aspettati una ramanzina per il ritardo con cui
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erano arrivati nell’hangar, ma sorprendentemente non
arrivò.
“Per voi due niente simulatore, per oggi. Vi aspetto nel mio
ufficio alle nove-zero-zero precise, ovverosia tra mezz’ora
circa, Tempo Standard”.
Lyon e Griffin si scambiarono un’occhiata perplessa ed
uscirono dalla fila, incerti su cosa fare. Decker non badava
più a loro, impegnato com’era a tartassare un povero
cadetto che aveva l’uniforme in disordine.

“Ci è andata bene” disse Griffin mentre succhiava da un
sacchetto di plastica la sua colazione, un omogeneizzato di
vitamine, proteine e grassi appositamente studiato per il
suo organismo. Lyon stava succhiando la sua da un
sacchetto identico, anche se lo faceva controvoglia.
Avrebbe voluto assaggiare del cibo vero, piuttosto che
quella poltiglia.
“Tu credi?”
Griffin gli lanciò un’occhiata piena di stupore. “Ero sicuro
che Decker ci avrebbe spellati vivi a causa del nostro
ritardo”.
Lyon annuì distrattamente. Finì di succhiare la sua
colazione e la gettò in un inceneritore. Lo stesso fece
Griffin quando ebbe finito la sua.
Gli allarmi non suonavano più, l’esercitazione era finita.
Griffin consultò il suo PDA e si lasciò sfuggire una risatina.
“Debby Saunders si è beccata due settimane di rigore. Pare
che abbia vomitato sugli stivali del suo sergente dopo
essere uscita dal simulatore”.
“Anche TU hai vomitato, la prima volta!”
“Si, ma Debby è alla settima esercitazione. Secondo me
dovrebbe convincersi che non fa per lei”.
Continuarono a camminare e chiacchierare per far passare
il tempo, ma si presentarono fuori dall’ufficio di Decker
cinque minuti prima delle nove. Non era saggio sfidare
troppo la fortuna.
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Alle nove precise, la porta dell’ufficio di Decker si aprì e lo
sentirono dire: “entrate”.

4.

Decker era seduto dietro una scrivania di plastica. Un
olomonitor mostrava una riproduzione in scala dell’Aurora,
la nave da battaglia che ora fungeva da nave scuola della
Flotta. Lyon l’aveva vista così tante volte da fuori che la
riconobbe quasi subito, benché la nave fosse perfettamente
uguale ad altre decine che si trovavano sparpagliate
nell’immenso territorio dell’Unione dei Mondi.
Dall’espressione di Griffin, capì che i suoi pensieri erano i
medesimi. D’altronde, si erano addestrati insieme per tutti
quei mesi.
“Vi starete chiedendo perché oggi avete saltato
l’esercitazione” disse Decker una volta che si furono
piazzati sull’attenti davanti alla scrivania.
Annuirono.
“Ho degli ordini per voi due mezze cartucce. Ordini dall’alto
Comando di Flotta. Non so se mi spiego.” Il solito vecchio
Decker, pensò Lyon. “Ora, sinceramente non ho idea di
come possiate essere utili all’Alto Comando voi due
lavativi, ma siccome ho ricevuto l’ordine di imbarcarvi sul
primo trasporto per Rydan Gamma Sette, mi vedo
costretto a farvi partire prima che il vostro addestramento
sia completo.”
“Rydan Gamma Sette?” esclamarono sorpresi e all’unisono
Lyon e Griffin.
L’olomonitor mostrò un pianeta giallognolo circondato da
alcune lune. Una di queste era di colore verde-azzurro.
“Rydan Gamma è un gigante gassoso del sistema
omonimo. Ha undici lune, la settima delle quali, in ordine di
minor distanza dal pianeta centrale, ospita una base della
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Flotta dell’Unione” Decker pronunciò le parole tutte d’un
fiato.
Lyon osservava l’olomonitor con gli occhi pieni di stupore.
“Perché noi due, Signore?” chiese con un filo di voce.
Decker scrollò le spalle. “Non lo immaginate da soli?” ma
più che una domanda il suo era un ordine che diceva
pressappoco: tenete la bocca chiusa su questo argomento.
Griffin e Lyon si guardarono bene dal continuare il discorso.
C’erano cose di cui era saggio non discutere.
L’olomonitor mostrò il volto di un sottufficiale. “Sergente
Decker, il trasporto che avete chiesto è pronto nell’hangar
sedici”.
“E’ il vostro” disse Decker seccamente. “Troverete la rotta
registrata nel computer di bordo. I parametri sono già stati
impostati: vi basterà schiacciare un bottone e la navetta vi
porterà a destinazione da sola. Spero che questo non sia
troppo complicato per voi lattanti”.
Era tutto. Conoscendo Decker, difficilmente avrebbe
aggiunto altro o si sarebbe lasciato andare a delle
cerimonie per quello che a tutti gli effetti era un addio.
Per motivi che ancora non potevano immaginare, non
sarebbero mai più tornati sull’Aurora.

5.

Come promesso da Decker, la navetta era pronta per la
partenza e non dovettero far altro che pilotarla fuori
dall’hangar, manovra che avrebbero potuto lasciare ai
computer ma che Lyon e Griffin insistettero per fare
manualmente.
In fondo erano piloti. Quello era il loro mestiere.
Appena fuori dall’hangar, osservarono con un misto di
nostalgia e sollievo il profilo familiare dell’Aurora, che a
dire la verità non era né aggraziata né elegante. Era in
effetti un grosso cilindro in polimetallo rinforzato, lungo
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settantadue metri da una estremità all’altra e largo sedici.
Presso il centro vi erano due ruote del diametro di
cinquanta metri collegate col cilindro principale da otto
condotti pressurizzati.
Le “ruote” ospitavano gli alloggi e gli altri ambienti vivibili,
mentre nel “cilindro” vi erano i motori, gli hangar e le armi
di cui disponeva l’Aurora. Non erano un granché a dire la
verità, ma per una nave scuola piena di cadetti pasticcioni
erano già sufficienti.
Due caccia dalla forma affusolata sfrecciarono troppo vicini
ad una delle ruote, venendo respinti dal campo di forze che
le circondava. I due caccia ruotarono come trottole
impazzite per alcuni secondi mentre i piloti cercavano di
riprenderne il controllo. Finalmente ci riuscirono e si
guardarono      bene    dal   ripetere   la    bravata:    con
un’angolazione diversa potevano causare seri danni ai loro
mezzi.
Lasciarono che il computer di bordo eseguisse le manovre
automatiche di routine e a loro non rimase che attendere e
confermare ogni ordine.
Un minuto dopo erano lanciati a centonovanta volte la
velocità della luce verso un ammasso di stelle a sei anni-
luce di distanza.
“A questa velocità impiegheremo 12 giorni per arrivare su
Rydan Sette” annunciò Griffin.
Lyon stava per dire qualcosa, poi guardò l’olomonitor e
assunse un’espressione allarmata. “Peccato che la rotta
che stiamo seguendo non ci porterà affatto su Rydan
Sette”.
“Cosa?” Griffin non era solo meravigliato. Era atterrito.
“Non è possibile” aggiunse incredulo mentre interrogava il
cervello elettronico della navetta.
Un errore del computer, sebbene non fosse raro, era
un’eventualità che aveva così poche possibilità di verificarsi
da essere ritenuta quasi una leggenda. E se il computer
sbagliava, chissà dove sarebbero potuti finire.
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“Ho paura che non sia la notizia peggiore” disse con tono
grave Lyon mentre osservava le cifre su di un altro
olomonitor. “Non abbiamo abbastanza carburante e
vettovaglie per raggiungere una delle stelle più vicine”.
Ora Griffin aveva davvero paura. Perdersi nello spazio era
già brutto di per se, ma perdersi e rimanere senza
carburante né cibo era anche peggio. “Invertiamo la rotta.
Subito. Qualcuno sull’Aurora deve aver commesso un
errore gravissimo”.
“Aspetta”. Lyon cercava di mantenere la calma e di
ragionare. “Supponiamo che sia una specie di test. Ci
stanno mettendo alla prova per vedere come reagiamo in
una situazione di emergenza”.
“Si… sarebbe tipico di Decker”. Griffin si sentì rassicurato
da quel pensiero. “Che cosa dobbiamo fare secondo te?”
“Atteniamoci agli ordini che abbiamo ricevuto. Qualcuno
voleva che salissimo su questa navetta credendo di andare
su Rydan Sette mentre ci ha mandati da tutt’altra parte.
Vediamo che succede ora”.
“E se rimaniamo bloccati nel mezzo del nulla senza cibo né
carburante?”.
Lyon scrollò le spalle. “Allora cominceremo a preoccuparci”.
“Lyon… questo piano fa schifo”.
“Hai un’idea migliore?”
“No… anzi, si: torniamo indietro”.
Lyon guardò l’olomonitor. “Non credo sia possibile. Il
computer mi ha appena comunicato che ci vieterà l’accesso
ai sistemi principali finché non avrà raggiunto il punto
stabilito”.
“Vuoi dire che non abbiamo il controllo della navetta?”
“Temo di si. Ormai siamo in ballo e dobbiamo ballare”.
11

6.

La navetta li portò a due anni luce dall’Aurora, prima di
fermarsi nel bel mezzo del vuoto stellare. Tecnicamente
non erano fermi: andavano alla deriva ad una velocità di
0,03c lungo una iperbole che li avrebbe riportati indietro
in…
“Settemilacinquecentoottantuno anni” annunciò Lyon dopo
che il computer gli ebbe trasmesso i calcoli esatti.
Griffin emise un gemito. “Bene. Almeno so che i miei resti
verranno sepolti. Davvero confortante”.
“Non essere così melodrammatico, Griffin. Sai meglio di me
che possiamo cavarcela anche senza cibo e ossigeno”.
“Devo ricordarti che anche noi abbiamo bisogno di
mangiare, ogni tanto?”
“Ti sei abituato troppo alla commedia che facevamo
sull’Aurora. Stai permettendo alla tua parte umana di
prevalere. Questo non è un bene”.
“Stai violando tutte le norme di sicurezza, Lyon. Questa
conversazione potrebbe essere registrata, anzi è quasi
certo che il computer la stai registrando e ritrasmettendo
a…”
“Io invece sono sicuro che chi è in ascolto sa benissimo chi
siamo e di cosa siamo capaci. E ci sta mettendo alla prova,
anzi: ci sta sfidando a mostrarci per quello che veramente
siamo”.
“Credi che Decker…”
“Al diavolo Decker!” Esclamò Lyon togliendosi l’uniforme e
rimanendo del tutto nudo nella navetta. La pelle rosea del
ragazzo stata cominciando a scurirsi in diversi punti. Lyon
era concentrato nello sforzo, un’espressione grave dipinta
sul giovane volto.
“Non vorrai mica…” Griffin scosse la testa.
“Si” rispose Lyon con uno sforzo. Ora tutta la pelle era
diventata grigia e coriacea. Al tatto, sarebbe risultata dura
come il polimetallo che rivestiva l’Aurora. Biometallo,
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l’avevano chiamata così gli scienziati del Centro Ricerche
che avevano studiato quel fenomeno.
Lyon era capace, con la sola volontà, di trasformare la
pelle del suo corpo in una sostanza resistentissima in grado
di resistere agli irraggiamenti più intensivi. Una volta,
quando si trovava ancora la Centro Ricerche, i ricercatori
avevano staccato una scaglia di biometallo col laser più
potente che avevano: appena separato dal resto del suo
corpo, la pelle era ridiventata…pelle, perdendo tutte le sue
incredibili capacità.
“Avanti, tocca a te” disse Lyon, la voce leggermente
trasformata.
Griffin sospirò e cominciò a spogliarsi. “E poi che cosa
facciamo?”
“Usciamo” rispose Lyon mostrando un sorriso biometallico.

7.

Prima di uscire, presero delle armi, anche se difficilmente
sarebbero servite a qualcosa lì fuori. Fluttuarono a qualche
metro dalla navetta, un cilindro tozzo con una estremità
appuntita. Costruire mezzi aerodinamici era uno spreco,
nello spazio vuoto. Questo però escludeva a priori che la
navetta potesse atterrare o decollare da un pianeta.
Ovviamente nessuno dei due portava un casco o una tuta,
né aveva bisogno di respirare ossigeno.
“Va bene, abbiamo dato un’occhiata al panorama” disse
Griffin in tono lamentoso. La sua voce arrivava a Lyon
tramite un comunicatore che entrambi avevano impiantato
nel corpo fin da bambini. “Che ne diresti di rientrare?”
“Ascolta. Se ci rintaniamo nella navetta non verremo a
capo di niente. Voglio scoprire chi ci ha mandati qui e per
quale motivo”.
“Secondo te esiste un motivo?”
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“Si. Se il satellite che si trova a mezzo chilometro da noi
sta davvero rallentando”.
Griffin guardò nella direzione indicata da Lyon e seppe. Era
comodo avere un radar impiantato nel corpo, soprattutto
se ti trovi a galleggiare nel vuoto.
“Non vorrai..” ma prima ancora che avesse il tempo di
finire la frase, Griffin si accorse che l’amico si stava già
dirigendo a gran velocità verso il punto in cui si trovava il
satellite.
Con un sospiro silenzioso, seguì Lyon mantenendosi ad una
certa distanza.
I sensori distribuiti nel suo corpo gli dissero che il satellite
era fatto di polimetallo come l’Aurora e la navetta, quindi
era quasi certamente di natura umana. Non si vedevano
entrate o finestre o scarichi del motore. Era un semplice
oggetto di metallo che fluttuava nello spazio, alla deriva.
Nonostante ciò, sia Griffin che Lyon ne furono subito
irresistibilmente attratti e vi si avvicinarono. Era l’istinto
che li portava ad agire in quel modo, si sarebbero resi
conto solo più tardi. Quel oggetto ricordava loro qualcosa.
Qualcosa che avevano rimosso ma non del tutto
dimenticato.
Qualcosa che aveva a che fare con la loro natura.
Era una bara.
Un sarcofago.
La stessa con cui i loro simili erano giunti fin nello spazio
controllato dagli umani.
Anni prima…

8.

Trascrizione di un dialogo tra due ricercatori del Centro
Ricerche Biologiche, Titano, Sistema di Sol.

“Che cosa possono fare?”
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“Molte cose. Sono eccezionali”.
“Possono mutare forma e dimensioni del corpo?”
“Non solo. Possono anche cambiare la combinazione
molecolare dei loro tessuti: pelle, ossa, organi interni.
Persino il sangue”.
“Sembrano umani”.
“Ibridi. Noi preferiamo chiamarli così. Non siamo riusciti ad
isolare un polimorfo puro: non sopravvivono oltre la
seconda settimana e non sappiamo cosa li uccida. Se però
fondiamo il loro patrimonio genetico con quello umano,
otteniamo dei risultati abbastanza stabili”.
“Quanto stabili?”
“Oltre le venticinque settimane, ma contiamo di arrivare ad
un anno abbastanza in fretta. Sfortunatamente, solo un
soggetto su centomila sopravvive così a lungo. Gli altri
degenerano progressivamente tra la quindicesima e la
ventitreesima settimana di vita”.
“E gli altri? I soggetti Alfa?”
“Statisticamente, sono un’eccezione. La loro sopravvivenza
è dovuta ad una irripetibile combinazione di eventi fortuiti.
Per esempio, il soggetto AB703, nonostante fosse stabile,
era affetto da alcune rare malformazioni congenite che
hanno finito con l’uccidere la parte umana dell’ibrido”.
“Ho sentito di degenerazione psichica…”
“Si” tono nervoso. “Si, è così. Non so come sia trapelata la
notizia, ma è vero: abbiamo avuto dei casi in cui il
soggetto, fisicamente sano, era afflitto da turbe psichiche
di vario genere”.
“E da cosa erano causate?”
“Non lo sappiamo. Clinicamente parlando, il loro cervello
era perfettamente sano, come i loro corpi. Assolutamente
perfetti, ma irrimediabilmente folli. La maggior parte di
questi soggetti si è suicidato o è stato soppresso per motivi
di sicurezza. Gli altri li teniamo in osservazione. Noi li
chiamiamo soggetti OMEGA”.
“Quando saranno pronti i soggetti BETA?”
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“Quando avremo terminato la sperimentazione sugli ALFA.
Quando scopriremo cosa li rende così stabili, avremo la
chiave per produrli in serie”.
“Cosa prevede ora la sperimentazione sui soggetti Alfa?”
“Integrazione. Dobbiamo studiare come si integrano nella
nostra società. È chiaro che devono mantenere segreta la
loro natura, ma col giusto condizionamento non sarà
difficile. Stiamo anche pensando di impiantare nei loro
corpi tutta una serie di upgrade cibernetici”.
“Dovrò stendere un rapporto sui progressi compiuti dal
vostro Centro”.
“Spero che ci aiuti ad ottenere quei finanziamenti che
chiediamo da tempo”.
“Non credo che ci saranno problemi ad ottenere quei
finanziamenti, visto l’interesse che le vostre ricerche
stanno riscuotendo tra le gerarchie dell’Alto Comando…”

Il resto della trascrizione è stata posta sotto segreto
militare.

9.

Lyon fluttuò a poche decine di metri dall’oggetto.
Era un parallelepipedo perfetto. Otto metri per tre metri
per tre metri. Settantadue metri-cubi. L’interno era cavo.
Nessuna entrata. Nessuno scarico dei getti. Superficie
uniforme. Levigata, nera e in grado di assorbire qualsiasi
radiazione la colpisse. Non del tutto, però. Il radar di Lyon
l’aveva individuato quasi subito.
Griffin si diede una spinta in direzione dell’oggetto ma si
arrestò ad una distanza di sicurezza. Navigavano nello
spazio usando il terzo principio della dinamica. Sui loro
corpi, in direzione del moto, vi erano delle microscopiche
“bocche” in grado di catturare gli atomi vaganti e di
incanalarli lungo l’asse del loro corpo attraverso dei
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microcondotti. Ugelli altrettanto microscopici espellevano il
getto di gas, provocando il moto nella direzione opposta.
Semplice ma efficace. Potevano regolare velocità,
accelerazione e manovrabilità semplicemente variando la
quantità di gas espulsa o riconfigurando la posizione degli
ugelli e delle bocche.
Lyon e Griffin avevano imparato a “navigare” nello spazio
profondo allenandosi nell’orbita di Titano. Potevano usare
quella tecnica anche in un atmosfera densa, a patto però
che i loro corpi assumessero una conformazione
aerodinamica.
“E’ un proiettile” disse Lyon dopo averla osservata per
alcuni momenti, in silenzio.
“Cosa?”
“Non è una navetta, tecnicamente parlando. Non è in grado
di muoversi autonomamente. Niente ugelli per il getto di
plasma, niente motori. Niente, insomma. È una scatola
vuota”.
“Meraviglioso” esclamò Griffin in tono sarcastico. “Cosa ci
facciamo qui, allora?”
“Temo che il motivo per cui noi adesso siamo qui risieda
proprio in questo oggetto” sentenziò Lyon avvicinandosi a
pochi metri dall’oggetto.
“Non farlo, non sappiamo se quel coso sia attivo o meno”.
Anche Griffin però aveva cominciato ad avvicinarsi.
Lyon lo ignorò. “C’è un solo modo per scoprirlo”. Nei suoi
occhi polimetallici brillava una strana luce.
Griffin scosse la testa rassegnato e lo seguì malvolentieri.
Lyon si limitò a fare giri sempre più stretti attorno
all’oggetto esaminandolo da tutte le angolazioni possibili.
Non scoprì niente più di quanto gli avessero già confermato
gli strumenti elettronici di cui poteva disporre.
Lyron si avvicinò lentamente all’oggetto e protese una
mano polimetallica. Lo toccò. Freddo. Liscio. Perfettamente
levigato. Non avvertì alcuni disturbo, né alcuna sensazione
strana.
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All’improvviso urlò qualcosa. “Oh cazzo!”
Griffin si sentì raggelare a quell’urlo e gli fu subito accanto.
“Te l’avevo detto di non toccarlo…”. Si arrestò di colpo
quando vide Lyon ridere di gusto. “Idiota”. Rispose Griffin
ma poi rise di rimando e, vinta l’iniziale diffidenza, tocco
anch’egli l’oggetto.
“E’ freddo, ma non gelato”.
“Già. Eppure siamo lontani anni-luce da una stella.
Dovrebbe come minimo essere vicino allo zero assoluto”.
“Riscaldamento interno?”
“E cosa se no? Se mantiene il calore interno, significa che
non è un guscio vuoto”.
“Pensi che..” Griffin non ebbe il tempo di terminare la frase
che subito ritrasse d’istinto la mano con cui l’aveva
toccato.
L’oggetto stava vibrando.
Per prudenza si allontanarono di qualche metro e videro
quello che stava accadendo.
Una delle estremità dell’oggetto stava letteralmente
perdendo sostanza. Da opaca, il lato di tre metri per tre
divenne semi-trasparente e poi del tutto trasparente.
Videro che l’interno era buio.
Lyon guardò Griffin. “Sembra che siamo stati invitati ad
una festa”. E fece per dirigersi verso l’apertura.
Griffin l’afferrò per un braccio. “E se fosse una trappola?”
Lyon guardò l’interno buio dell’oggetto. “C’è un solo modo
per scoprirlo” e continuò ad avvicinarsi lentamente. Griffin
lo seguì qualche istante dopo.
Entrarono attraverso l’apertura. L’interno dell’oggetto era
completamente buio. Quando furono entrambi all’interno
dell’oggetto, Lyon si accorse con orrore che l’apertura
attraverso la quale erano passati stava cominciando a
riformarsi. Tentò di tornare sui suoi passi, ma non riuscì a
muoversi se non a costo di sforzi immensi.
“Campi di forza” disse Griffin che stava avendo le stesse
difficoltà.
18

L’apertura si richiuse su di loro. Erano in trappola.

10.

“Non è stata una buona idea mandarli da soli” disse il viso
che era apparso sull’olomonitor un istante dopo aver
accettato la chiamata.
Decker fece una smorfia. “Non c’era altro modo di
procedere.     La   sicurezza      della   nave     era   stata
compromessa”.
“Come può essere sicuro che…”
“Non sono sicuro di niente” proruppe la voce imperiosa del
sergente istruttore. “So solo che dovevo proteggere la
sicurezza di tutta questa operazione e che non c’era altro
modo, col poco tempo che avevo a disposizione”.
“Nessuno la sta accusando di niente, Decker”.
“Certo, come no”, rispose Decker sarcastico. “Su chi crede
che ricadrà la colpa, se tutto si rivelerà un fallimento? Su di
me, ovviamente”.
“Potremmo pilotare la commissione d’inchiesta, Decker. Le
copriremo le spalle. Noi non dimentichiamo chi ci serve
fedelmente”.
“Balle! Mi scaricherete alla prima occasione. Scommetto
che non vivrò abbastanza per testimoniare di fronte ad una
commissione d’inchiesta, quindi preferisco farla finita
subito”.
“E’ un peccato dover interrompere un rapporto di lavoro
che si è dimostrato così fruttuoso per tutti noi. Sarei felice
se ci ripensasse signor Decker”.
“Se lo scordi. Ho giurato di non mandare i miei uomini alla
morte e sono venuto meno a questo giuramento.”
“Agendo in questo modo non riporterà indietro le lancette
dell’orologio, senza contare che i suoi uomini non sono
ancora morti”.
“Avete sempre una risposta a tutto voialtri, vero?”
19

“Non sempre, ma facciamo in modo di avere almeno una
possibilità di rispondere”.
“Allora risponda a questo: se lì fuori troverete quello che vi
aspettate di trovare, cosa ne farete?”
“Ci darebbe una risposta definitiva a tutti i quesiti irrisolti
che ci siamo posti negli ultimi anni… e probabilmente ce ne
porrebbe altri”.
Decker rimase in silenzio mentre contemplava la volta
stellata. Aveva preso la sua decisione.

11.

Lyon e Griffin fluttuarono nel buio più assoluto. Faceva
caldo, anche se per loro non faceva molta differenza. La
loro pelle polimetallica poteva sopportare temperature oltre
i settemila gradi Kelvin.
“Sapevo che sarebbe andata a finire così” disse Griffin in
tono lamentoso.
“Ssshhh. Non lo senti anche tu?”
“Cosa?”
“Il suo battito”.
Restarono in silenzio per alcuni secondi.
“Sento una specie di pulsazione. È molto bassa e regolare.
Non sembra un segnale modulato”.
“Non lo è. Non è intelligente. Non più di quanto possa
esserlo il battito cardiaco di un neonato”.
“Pensi che sia vivo?”
“Vivo in che senso? Di sicuro non è cosciente. Siamo
entrati grazie ad una reazione automatica del computer
che governa l’oggetto, ma il suo occupante non deve
essere cosciente. Non del tutto, almeno”.
“Come puoi esserne così sicuro?”
“Non lo sono”.
“Che facciamo?”
“Aspettiamo”.
20

Attesero per quasi tre ore prima che accadesse qualcosa.
“Hai visto?” chiese all’improvviso Griffin.
“Cosa?” Lyon si era distratto mentre esaminava le pareti
dell’oggetto tastandole delicatamente con le mani.
“Sto ricevendo dalla navetta. Guarda le immagini delle
telecamere”.
Nella mente di Lyon si formarono, perfettamente nitide, le
immagini riprese da una delle telecamere della loro
navetta, per l’esattezza quella che era puntata sull’oggetto.
“Sta cambiando forma” esclamò meravigliato.
L’oggetto stava effettivamente cambiando forma: da un
parallelepipedo era passato ad una specie di cilindro con
una delle estremità concave e l’altra convessa. L’immagine
mostrò uno scintillio che avvolse l’intera superficie
dell’oggetto.
Ci fu una vibrazione.
“Ci stiamo muovendo!” esclamò sorpreso Griffin.
Lyon non rispose. L’immagine mostrò l’oggetto che veniva
avvolto dalle scintille e poi si interruppe bruscamente.
“Cosa…” esclamarono contemporaneamente, prima di
capire cosa era accaduto. Si erano allontanati dalla loro
navetta a velocità ultraluce, perdendo di conseguenza il
contatto e le immagini della telecamera. Ora erano davvero
nei guai.

12.

Da qualche parte a svariati anni luce di distanza, qualcuno
che teneva costantemente d’occhio una piccola porzione di
spazio esclamò: “li abbiamo persi!”
Qualcun altro, che si trovava da quelle parti non a caso, lo
rassicurò: “sta tranquillo. Era tutto previsto. Tieni gli occhi
aperti e avverti quando riesci a rintracciare il segnale”.
“Signorsì” fu la risposta.
21

Ancora più lontano, nell’orbita del satellite Titano,
trecentosessanta chilometri al di sopra delle nubi che
avvolgevano perennemente la superficie di quel corpo
celeste, in una stazione orbitale gestita con i fondi della
Flotta dell’Unione, altre persone seguivano con interesse
l’evolversi della situazione.

Milleseicento anni luce distante dalla Terra e da Titano, un
vascello da ricognizione che non avrebbe dovuto trovarsi li
in quel momento e che stava violando una serie di trattati
di pace, attivò i suoi motori iperluce dirigendosi verso il
mondo di una stella lontana.

Ancor più lontano da quel punto e per fortuna in una zona
che era distante parecchi anni di viaggio iperluce dalla
Terra e dagli altri pianeti dell’Unione, gli eventi che si
stavano svolgendo così lontani destarono l’attenzione per
quei pianeti da troppo tempo ignorati.

Ovunque, in una piccola porzione della Galassia che andava
via via allargandosi a macchia d’olio, nuovi e antichi
meccanismi si erano messi in moto come gli ingranaggi di
un vecchio orologio che viene ricaricato.

Il cerchio era stato aperto, il vaso di Pandora scoperchiato.

13.

“Lyon!”
Parole biascicate.
“Lyon, svegliati!”
Era sveglio.
Dormire in quello stato non era come dormire nella forma
umana. La chimica del cervello è condizionata dagli
22

elementi da cui è composto, su questo c’erano pochi dubbi
e l’esperienza l’aveva dimostrato più di una volta.
Griffin si stava agitando. “Guarda” disse indicando
l’apertura che si era riformata.
Erano liberi.
Fluttuarono insieme fuori dall’oggetto. Erano ancora nello
spazio, ma qualcosa era cambiato. Non aveva bisogno dei
sensori che riempivano il suo corpo di polimetallo per
capirlo: sotto di loro, centinaia di chilometri più in basso,
c’era la superficie di un mondo verde e azzurro.
Un mondo alieno, probabilmente.
“Siamo arrivati” disse Griffin guardando il pianeta.
Appena furono usciti, la superficie dell’oggetto tornò a
formarsi in corrispondenza dell’apertura. Ovunque fossero,
erano arrivati a destinazione.
“Vuole che scendiamo sul pianeta” disse Lyon.
“Chi lo vuole?”
Indicò l’oggetto. “Chi governa quel affare. Ci ha portati lui
fin qui: se non vuole che ci rechiamo sul pianeta, perché
non abbandonarci in mezzo allo spazio profondo?”
Griffin dovette ammettere che Lyon aveva ragione. “Non
vedo perché dovremmo fare quello che dice lui. In fondo ci
ha rapiti…”
“Tu vedi un’altra soluzione? Non possiamo andarcene di qui
senza un motore iperluce e non possiamo comunicare col
resto della Flotta senza un comunicatore subspaziale.
Siamo bloccati qui, forse per sempre. L’unica alternativa è
accontentare quel…coso”.
Griffin annuì. “D’accordo, supponiamo che tu abbia
ragione. Perché noi?”
Lyon sembrò rifletterci per alcuni secondi, poi disse cauto:
“forse perché in fondo siamo simili. Anche lui può alterare
a piacimento la sua struttura fisica e molecolare. Forse ci
ritiene in un certo senso… affini”.
“Beh, io non vedo tutte queste affinità” sbottò Griffin
guardando l’oggetto di sbieco.
23

“D’accordo. Ora però andiamo”.
“Come scendiamo sul pianeta?”
“Secondo i dati, la composizione e la densità dell’atmosfera
è simile a quella della Terra. Stavolta fai tu lo scudo
termico”.
“Scordatelo!” protestò Griffin. “Tutte le volte che lo faccio
sto male per una settimana”.
Lyon sorrise e fluttuò verso il pianeta, seguito dall’amico.
L’oggetto rimase come al solito immobile e inerme.

14.

Trascrizione di un dialogo tra due ricercatori del Centro
Ricerche Biologiche, Titano, Sistema di Sol.

“Perché mangiano?”
“Nella forma umana, il loro organismo ha bisogno di cibo e
acqua per funzionare, come qualsiasi altro organismo
vivente”.
“Vuole dire che sono vulnerabili come gli esseri umani? Che
possono morire o invecchiare?”
“Morire di sicuro. Invecchiare…” esitazione nella voce.
Sembra consultare alcuni appunti. “Ecco, vede questi
schemi? Mostrano l’invecchiamento delle cellule nei
soggetti Alfa stabili. Vede questo grafico? È di una persona
normale. Non nota alcuna differenza? Beh, se fosse un
biochimico, si renderebbe conto che le cellule degli Alfa
invecchiano alla stessa velocità degli altri esseri umani, ma
basta una sola transizione tra la forma base a quella
polimorfica per una rigenerazione completa. Sorprendente,
vero?”
“L’altra volta parlava di integrazione nella nostra società.
Come potranno integrarsi degli esseri immortali e
invincibili?”
24

“Li veda come il passo successivo dell’evoluzione. L’homo
sapiens emerse sterminando i neanderthal. I polimorfi
emergeranno sterminando l’homo sapiens? Nessuno può
dirlo”.
“Mi sembra che voi gli stiate fornendo tutti i mezzi
necessari”.
“L’uomo ha già armi sufficienti per sterilizzare questo
braccio della Galassia. I polimorfi potrebbero sopravvivere
a questa catastrofe, ma difficilmente ne sarebbero la
causa”.
“Gli Xeel sono più avanti di noi in alcuni campi di ricerca”.
“Lo sappiamo. Abbiamo visto all’opera alcuni dei loro
polimorfi, così come loro avranno certamente visto i nostri.
Sostanzialmente anche loro stanno cercando di produrre in
serie gli Alfa stabili per poi passare ai Beta”.
“Se ci riescono per primi…”
“Non accadrà, a meno che non riescano a mettere le mani
su un polimorfo puro”.
“E lei crede che esista una simile possibilità?”
“E’ molto remota ma… si, esiste. Anche noi siamo alla
ricerca di un simile esemplare”.
“Dobbiamo vincere questa corsa, professore. Ad ogni
costo”.
“Forse col tempo riusciremo a raffinare alcuni ibridi fino a
creare un esemplare puro, ma è una tecnica lunga e
dispendiosa”.
“E’ il tempo che ci manca. Credo che lei sappia della
recente crisi su…”

Il resto della trascrizione è stata posta sotto segreto
militare.
25

15.

L’ingresso nell’atmosfera non fu delle più semplici.
Nonostante avessero provato e riprovato quando si
addestravano      nell’orbita   di   Titano,   la  differente
composizione e densità causarono qualche problema.
Griffin configurò il suo corpo per assumere la forma di uno
scudo termico. Lo fece a malincuore, ma lo fece. Lyon,
attaccato al suo corpo, guidò la discesa dopo aver calcolato
l’angolo di entrata.
“Siamo fuori di 0,3 gradi” disse Griffin preoccupato.
Lyon sbuffò. “Devi tarare meglio il tuo radar. Abbiamo un
angolo di discesa ottimale”.
L’entrata vera e propria non fu facile. Si formarono delle
fiamme tutto intorno ai loro corpi, ma il biometallo poteva
facilmente reggere quelle temperature. Quando furono
dentro l’atmosfera, si separarono e assunsero ciascuno la
configurazione di volo ottimale. Lyon dispiegò grandi ali
membranose mentre Griffin assunse la forma di un vecchio
jet piegando le ali a delta.
Avrebbero potuto assumere una configurazione per il volo
a propulsione, ma preferirono non attirare troppo
l’attenzione e si limitarono a planare verso un punto della
superficie descrivendo ampi giri concentrici.
“Non è male questo posto” esclamò Griffin.
Lyon non rispose. La sua attenzione era stata attirata da
un luccichio sul suo radar. “C’è qualcosa”.
“Dove?”
“Da quella parte!” ebbe appena il tempo di esclamare che
una palla di fuoco esplose una trentina di metri sopra di
loro. Lo spostamento d’aria gli fece perdere per qualche
istante l’assetto di volo. Riconfigurarono velocemente i loro
corpi per il volo a propulsione. Lyon formò strette ali a
delta e diede al suo corpo una forma più aerodinamica,
simile ad un razzo. Griffin fece lo stesso.
26

“Era un missile!” esclamò Griffin setacciando i dintorni col
suo radar.
“Si. Ed era schermato. Non era nostro”.
“Ne arriva un altro!”
Stavolta erano preparati per accoglierlo. Il missile si mise
nella scia di Lyon che accelerò a tre volte la velocità del
suono per sfuggirgli. Il missile accelerò a sua volta.
Volteggiarono nel cielo per alcuni istanti, poi Lyon usò
l’acqua che si trova nell’alta atmosfera per formare dei
cristalli di ghiaccio e li spruzzò ad alta velocità verso il
missile. I cristalli, trasformati in proiettili sottilissimi dalla
velocità a cui erano stati lanciati, forarono la testata del
missile che esplose qualche istante dopo.
“Scendiamo!”
Picchiarono a tutta velocità verso il suolo. Altri due missili
apparvero sul radar e li inseguirono. Dodicimila metri più in
basso, sfiorando le cime degli alberi di una foresta, Lyon e
Griffin eseguirono una rapida cabrata per riprendere quota.
I missili fecero altrettanto ma non abbastanza in fretta per
evitare di colpire il suolo. Non avevano la manovrabilità e
l’abilità sufficienti.
“Ne arrivano altri”.
Stavolta era una vera e propria salva di otto missili che
puntavano verso di loro.
Lyon ne scelse uno e si diresse dritto verso di lui. Lyon
cambiò rotta all’ultimo istante, il missile esplose a dieci
metri da lui e tentò di risalire velocemente per evitare lo
spostamento d’aria. Ne fu comunque colpito e perse il
controllo per alcuni, preziosi istanti.
Due missili colpirono Griffin in pieno, stordendolo. Lyon
vide l’amico colpito precipitare verso il suolo incosciente.
“Missili stordenti” sussurrò tra le labbra. Erano armi
studiate appositamente per colpire i polimorfi senza
danneggiarli troppo. Chi li stava attaccando sapeva bene
con chi aveva a che fare.
27

Tre missili puntarono verso di lui. Uno riuscì ad abbatterlo
ricorrendo ai proiettili di ghiaccio, un altro esplose quando
l’onda d’urto del primo missile lo raggiunse, ma il terzo
colpi Lyon sotto l’ala. Immediatamente un senso di torpore
si diffuse in quella zona del corpo e Lyon non fu più in
grado di pensare coerentemente.
“Colpito” pensò mentre tentava di riconfigurare il suo corpo
precipitando da un’altezza di oltre mille metri. Il terreno si
avvicinava sempre di più e, come in un sogno vigile, si vide
dall’esterno mentre impattava al suolo.
Prima di quel momento, però, il missile stordente fece il
suo lavoro e perse conoscenza.

16.

Una spia si accese su di un monitor e una voce entusiasta
esclamò: “li abbiamo ritrovati!”

Lyon si svegliò dolorante. Era ancora intorpidito e non
riuscì subito a muoversi. Il suo corpo di biometallo era
parzialmente contorto, come se fosse stato attorcigliato da
gigantesche mani. Aveva dolore ovunque. Sebbene potesse
resistere ad una simile caduta, i sensori che aveva
distribuiti in tutto il corpo registravano i microscopici danni
strutturali e li traducevano in segnali che il suo cervello
umano poteva interpretare.
In sostanza sentiva dolore come chiunque altro e, in quel
particolare frangente, molto più degli altri.
Era esausto. Il combattimento aereo l’aveva prosciugato di
ogni forza. Anche il suo organismo aveva bisogno di
nutrirsi, quando era nella sua forma biometallica. Poteva
assorbire il nutrimento dall’ambiente circostante – e anche
nello spazio vuoto poteva nutrirsi catturando le particelle
che vagavano libere – ma questo processo richiedeva
tempo ed era proporzionale alle energie che aveva speso.
28

Il suo organismo avrebbe provveduto automaticamente,
quindi relegò tutte le funzioni nutrizionali in fondo alla sua
mente cosciente e fece il punto della situazione.
Erano su un pianeta sconosciuto, senza alcun mezzo per
tornare a casa. Erano stati portati li da una macchina (o
una creatura, ancora doveva decidere come considerare
l’oggetto), che poi li aveva abbandonati nello spazio. Scesi
sul pianeta, qualcuno – probabilmente Xeel – li aveva
attaccati duramente con armi studiate appositamente per i
suoi simili, quindi era probabile che sapessero chi o cosa
avevano di fronte.
Xeel.
Il solo pronunciare quella parola lo fece rabbrividire.
Gli Xeel erano alieni umanoidi. Gli umani avevano stabilito
un contatto con loro duecento anni prima, scoprendo che
essi erano stanziati su un migliaio di mondi simili alla Terra
ed erano divisi in varie fazioni, esattamente come i
terrestri.
Come i terrestri, erano gelosi del loro territorio ed avevano
ben presto capito che gli umani erano nello spazio per
rimanerci a lungo. Erano scoppiate delle guerre, per
fortuna circoscritte ai pianeti più rozzi e meno civilizzati di
entrambe le razze. L’Unione dei Mondi e la Fratellanza
Xeel, le due fazioni più potenti di entrambe le specie,
avevano alfine stipulato un trattato di pace che stabiliva le
rispettive sfere di influenza e la guerra era stata evitata.
Tutti sapevano che la tregua non sarebbe durata a lungo e
che prima o poi tra le due razze sarebbero sorti dei
conflitti, ma per ora lo spazio colonizzabile era talmente
vasto da poter accogliere le mire espansionistiche di
entrambe le specie.
Forse le cose stavano per cambiare.
Nella sua forma umana, Lyon si rizzò in piedi. Era nudo,
ma poteva farci ben poco. Per buona precauzione
trasformò la sua pelle in resistente biometallo. Ora solo un
29

potente cannone laser avrebbe potuto scalfire quella
corazza.
Doveva trovare Griffin. L’aveva visto precipitare privo di
sensi qualche chilometro a nord del punto in cui si trovava.
Il radar non riusciva a rintracciarlo e il comunicatore non
funzionava bene, ma era probabile che gli Xeel stessero
disturbando i loro dispositivi elettronici. I suoi sensori
erano schermati dal biometallo e avrebbero continuato a
funzionare, ma ogni segnale laser o radio poteva essere
bloccato o disturbato.
Doveva spostarsi di li prima che una pattuglia venisse ad
indagare.
La radura in cui si trovava era circondata da alberi dal
fusto gigantesco e ricoperto di muschio verde e giallo.
Somigliavano alle sequoie che una volta si trovavano sulla
Terra. Trasformò il braccio sinistro in un machete e iniziò a
farsi strada tra la fitta vegetazione.

17.

Camminò per alcune ore. Ogni tanto si fermava per
controllare i dintorni. La foresta era silenziosa: finora aveva
scorto solo piccoli animali che sembravano roditori. Non
sembravano esserci predatori più grossi di uno scoiattolo.
Continuò a dirigersi verso nord finché non raggiunse e
superò il punto stimato dove avrebbe dovuto trovarsi
Griffin. Accortosi di essere andato troppo avanti, tornò
indietro deviando di alcune decine di metri dalla strada che
aveva fatto all’andata.
Fu quello a salvarlo, probabilmente.
Due ricognitori si libravano nel punto esatto in cui si era
trovato dieci minuti prima.
Stavano cercando lui!
30

Vide che un terzo ricognitore si alzava da una radura e
sfrecciava velocemente verso l’alto lasciandosi dietro una
scia di carburante.
Lyon non osò attivare alcun sensore attivo per scoprire
cosa si trovasse al suo interno, ma era quasi certo che vi
fosse Griffin prigioniero.
Imprecò per non essere arrivato in tempo.
Fu tentato di uscire allo scoperto per inseguirli, ma sarebbe
stato un atto di eroismo insensato e sciocco: belle
condizioni in cui era, non avrebbe potuto reggere uno
scontro con due ricognitori. Doveva restarsene nascosto
ancora per qualche ora, poi forse avrebbe pensato ad un
piano per liberare Griffin.
Qualcosa si librò accanto ai ricognitori.
Non aveva la forma tipica dei mezzi volanti Xeel:
assomigliava più ad un aliante. Aveva grandi ali per il volo
librato e un timone di coda per dirigere il volo.
Semplice ma funzionale.
Stava per dire qualcosa, ma le parole gli morirono sulle
labbra.
L’aliante cambiò configurazione e forma e andò ad
appollaiarsi su uno dei due ricognitori. La sua forma mutò
in quella tipica di un umanoide della specie degli Xeel. Lyon
lo vide trasformarsi con una grazia che lui non aveva mai
posseduto. La corazza di biometallo luccicava sotto il sole
di quel mondo lontano.
Per la prima volta, Lyon vide dal vivo un polimorfo Xeel.
Dunque esistevano davvero.
Lo Xeel rivolse il suo sguardo verso il basso esplorando la
vasta distesa verde su cui pochi minuti prima si era librato.
D’istinto Lyon si ritrasse appiattendosi contro il tronco di un
albero, sebbene fosse quasi certo che l’altro non potesse
individuarlo: il biometallo era invisibile ai radar impiantati e
alla maggior parte di quelli montati sui comuni mezzi.
Erano necessarie strumentazioni molto precise per rivelare
31

le sottili differenze di potenziale del biometallo, l’unico
modo certo per rivelarlo.
Nonostante ciò, i loro sguardi sembrarono incrociarsi per
un istante nell’attimo in cui l’alieno guardò nella sua
direzione. Forse fu una sua impressione, ma lo Xeel
sembrò indugiare per qualche istante, come se avesse
realmente captato o intuito qualcosa, poi continuò a
guardare giù in tutte le direzioni.
Quando sembrò soddisfatto di ciò che aveva visto, tornò a
librarsi nel cielo azzurro di quel mondo selvaggio e si
allontanò volando.
Lyon trasse un sospiro di sollievo e si allontanò dalla zona
in tutta fretta.
Nella sua mente si affollarono pensieri cupi e vecchi ricordi.

18.

Lyon fluttuò nei pressi dell’orbita di Titano.
Da qualche tempo aveva preso l’abitudine di fare un giro
per i vari satelliti e le rocce vaganti che affollavano quel
piccolo tratto di spazio profondo.
Aveva l’ordine di non allontanarsi a più di diecimila
chilometri dal pianeta, ma non c’era bisogno di
contravvenire a questo divieto: l’orbita di Titano era ricca
di vecchi relitti e rocce portate li dai pionieri della
colonizzazione spaziale.
Come al solito scelse come traguardo un piccolo satellite e,
dandosi una spinta vigorosa, calcolò il tempo che
impiegava a raggiungerlo.
Quel giorno, però, accadde qualcosa di nuovo ed
eccezionale. Il suo radar, al cui uso non si era ancora del
tutto abituato, captò la presenza di qualcuno nelle
vicinanze. Prima ancora che avesse il tempo di rendersene
conto, qualcosa sfrecciò a pochi metri dal suo corpo di
biometallo, mettendolo in allarme.
32

“Non ti distrarre” sentì dire nel comunicatore da una voce
non familiare.
“Chi sei?” chiese, cercando di inquadrare lo sconosciuto.
Invece di una risposta, sentì una risata. “Sono la tua
guida”.
“Guida? Per andare dove?”
“Ovunque tu vorrai andare”. L’altro cominciò ad avvicinarsi.
Lyon vide che aveva la forma di una navetta orbitale, una
delle tante che affollavano l’orbita bassa di Titano. Ecco
perché non l’aveva notato prima.
La navetta divenne un razzo spaziale dei vecchi tempi, di
quelli che si vedevano nei vecchi olofilm d’epoca e, infine,
assunse un forma umanoide fluttuando nel vuoto a pochi
metri da lui. Eseguì tutte quelle trasformazioni con
un’eleganza che Lyon invidiava. Il suo corpo, piuttosto che
di biometallo, sembrava fatto di una sostanza fluida che
poteva essere plasmata a piacimento.
“Come ci riesci?” Chiese meravigliato.
L’altro rise sonoramente. “Immagina di essere l’acqua che
riempie un bicchiere. Immagina ora di essere versato in un
bicchiere di forma diversa e così via. Adattati alla forma del
bicchiere come fa l’acqua”.
“Ma..”
Prima che potesse completare la frase, l’altro indicò col
braccio uno dei satelliti abbandonati. “Ti va una corsa? Se
riesci a battermi ti insegnerò un segreto!”
Scattarono entrambi senza aggiungere una sola parola.
Lyon era veloce ma… l’altro era semplicemente
imprendibile. Per quanto pompasse gas nei suoi
microcondotti, l’altro doveva pomparne di più. Lo
precedette di alcuni secondi.
L’altro aveva assunto una forma umanoide e se ne stava
seduto sulla roccia vagante come se stesse prendendo il
sole su di uno scoglio.
Lyon lo raggiunse e sedette al suo fianco.
“Puoi chiamarmi Chiron” disse il polimorfo.
33

“Io sono Lyon” si presentò.
Chiron rise sonoramente. “Lo so chi sei. Ti ho visto
nascere”.
Prima che potesse fargli un milione di domande, Chiron
sfrecciò via come un razzo – ed aveva anche la forma, di
un razzo – lasciandolo di sasso.
Lo seguì fino ad un piccolo satellite abbandonato, una
complicata struttura di metallo contorta che presentava le
classiche bruciature dovute all’esposizione alle radiazioni e
alle micrometeoriti.
Chiron lo stava aspettando appollaiato ad una trave che
una volta doveva aver fatto parte di una passerella. Il
satellite era stato in parte smantellato per riutilizzarne i
materiali.
Contemplarono la volta stellata: la galassia era uno
spettacolo mozzafiato lontani com’erano da qualsiasi fonte
di luce artificiale o naturale come il Sole.
Fu Chiron a rompere il silenzio: “ti devo insegnare alcune
cose o non sarai in grado di cavartela da solo lì fuori”.
Chiron,che nel frattempo aveva mutato forma in quella
umanoide. Al posto delle braccia però, aveva due lunghe e
affilatissime lame.
“Lezione numero uno: duello all’arma bianca”.
Lyon trasformò le sue braccia in due lame e si mise in
posizione.

19.

Immaginò un duello con il polimorfo Xeel. Chissà che tipo
di avversario si sarebbe rivelato, nel caso avesse dovuto
affrontarlo.
Per ora comunque, sperava di non essere costretto a
duellare con l’alieno. Il vantaggio sarebbe stato tutto dalla
sua parte. Doveva ribaltare la situazione.
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