Skyfall Medius Presenta: Un racconto del remoto futuro
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1 Medius Presenta: Skyfall Un racconto del remoto futuro
2 1. L’allarme risuonò in tutta la nave quando la flotta dei Mordrak venne avvistata. Zeblin, il comandante, diede l’ordine di prepararsi alla inevitabile battaglia, ma sapeva bene che erano condannati. Non sarebbero mai riusciti a sfuggire alle più veloci navi degli invasori che mezzo secolo prima avevano devastato il loro pianeta natale. Il padre di Zeblin, il vecchio comandante, era riuscito a lasciare il pianeta ormai perduto con quella sola astronave e un migliaio di coloni nella speranza di sfuggire ai Mordrak e iniziare una nuova vita su di un mondo disabitato. Purtroppo per loro, i Mordrak erano macchine troppo efficienti e li avevano inseguiti per tutti quegli anni. Un centinaio di coloni, per lo più tecnici, indossarono le corazze da guerra e si prepararono a respingere l’attacco degli invasori. I Mordrak avrebbero cercato di catturare la nave per assimilare i loro corpi e i loro poteri, ma Zeblin e gli altri coloni non erano intenzionati a permettere una cosa del genere. Sapevano di essere condannati, ma volevano dare un’ultima speranza ai loro figli, così prepararono le capsule di salvataggio e le programmarono perché raggiungessero da sole il pianeta abitabile più vicino. Prima che le navi Mordrak fossero troppo vicine per intercettarli, lanciarono le capsule e le videro sparire nel buio della notte stellata. Come previsto, i Mordrak si disinteressarono delle capsule e attaccarono la nave principale, senza distruggerla. Subito i loro nanovirus aggredirono i sistemi elettronici dell’astronave, isolando tutti i sistemi. Zeblin e gli altri erano prigionieri nella loro stessa nave, in balia dei Mordrak che molto presto sarebbero saliti a bordo per assimilare i loro corpi. I Mordrak salirono a bordo ed eliminarono ogni resistenza e si diressero verso il luogo dove si era concentrata la maggior parte dei coloni. Molti di loro, appena usciti dal bozzolo, pregustavano la possibilità di assorbire gli
3 incredibili poteri di cui erano dotati i corpi e le menti di quella razza aliena così debole e stolta da aver preferito la resistenza piuttosto che l’assimilazione. Si accorsero troppo tardi che non tutte le capsule precedentemente lanciate si erano allontanate dalla nave e che alcune stavano tornando indietro, puntando verso di loro. Si accorsero troppo tardi che quelle capsule erano state programmate per comportarsi esattamente in quel modo e che non si trattava di un errore o di un difetto dei computer di bordo. Ma solo all’ultimo momento, quando fu davvero TROPPO tardi, proprio nell’istante in cui i Mordrak, guidati dal loro comandante, facevano irruzione nella grande sala dove Zeblin e i suoi si erano riuniti in attesa della fine, che guardando i loro occhi e l’espressione trionfante sui volti di quella razza inferiore, finalmente compresero che erano persi. Le capsule, armate con testate distruttive in grado di disintegrare la crosta di un piccolo satellite, arrivarono proprio in quel momento. Nessuno le vide e le sentì esplodere e tutto quello che esisteva in una sfera di mille chilometri di diametro… smise semplicemente di esistere. Un piccolo sole brillò in una remota regione dello spazio e la sua luce guidò a destinazione un piccolo gruppo di capsule col loro carico di vita e di speranza. 2. “Lyon!” Parole biascicate. “Svegliati Lyon”. “Hmmm. Lasciami in pace”. “Svegliati!” Il lamento delle sirene d’allarme aggredì i suoi timpani. Lyon Alexander impiegò tre secondi per passare dal sonno
4 alla veglia e altrettanti per passare da quest’ultima allo stato di piena coscienza. Stava suonando l’allarme. Un allarme rosso! E lui era ancora mezzo addormentato. Saltò giù dalla sua branda e con movimenti automatici indossò l’uniforme che era appoggiata allo schienale di una sedia. Il suo alloggio sembrò roteare su se stesso mentre infilava il pezzo unico di tessuto che formava la sua uniforme abituale. Non indossò il berretto: sarebbe stato inutile con i capelli quasi rasati a zero e si precipitò fuori dal suo alloggio. La porta si aprì automaticamente scivolando di lato e lui fu nel corridoio che collegava gli alloggi dei sottufficiali. Davanti a se aveva gli ascensori automatici perennemente in funzione. Bastava entrarci e ordinare al computer di portarlo al livello desiderato. Nel corridoio, alcuni cadetti sembravano incerti sul da fare. Deve essere la loro prima esercitazione, pensò Lyon distrattamente. Presto si sarebbero abituati, o se ne sarebbero tornati a casa. Non c’era una via di mezzo. Non con Decker, il loro Sergente Istruttore. Proprio mentre stava pensando a lui, un ologramma si formò in una piccola nicchia della paratia. Il viso duro di Decker si formò velocemente e dagli altoparlanti nascosti da qualche parte proruppe la sua voce simile ad una cascata. “Alexander, vieni subito nell’hangar 9. Di corsa!” Lyon si trattenne a stento dall’imprecare e con un balzo entrò nell’ascensore. Un senso di vertigine gli afferrò lo stomaco come spesso accadeva entrandovi, ma ormai vi era abituato e non durò più di un attimo. “Hangar 9” disse con voce ancora mezza impastata dal sonno, e iniziò a scendere. L’ascensore funzionava con campi magnetici unidirezionali: era in pratica un tubo vuoto che scendeva (o saliva, a
5 seconda dei punti di vista di chi l’usava) perpendicolarmente o con qualsiasi inclinazione avessero deciso i progettisti e trasportava chi vi si trovava tramite dei potenti campi magnetici. Era molto veloce e abbastanza comodo, una volta fattaci l’abitudine. La prima volta che ci era salito, Lyon aveva vomitato la cena e aveva continuato a vomitare per una settimana, prima di farci l’abitudine. Ora era quasi come salire o scendere le scale. Fermo. Era a destinazione. Con un piccolo balzo uscì dall’ascensore che continuò a funzionare ronzando sommessamente. Per fortuna, in quella zona le sirene d’allarme giungevano molto soffuse e i suoi pensieri non erano invasi dal loro martellante lamento. Avanzò lungo un corridoio fino all’hangar 9, a cui si accedeva tramite un portello più grande della media e adatto a far passare grossi carichi. Prima ancora che fosse completamente entrato, incrociò Griffin. “Decker è incazzato di brutto” disse con un’espressione infelice dipinta sul volto abbronzato. “Tanto per cambiare” aggiunse aggiustandosi l’uniforme grigio-azzurra. Lyon sospirò. La giornata era cominciata in modo pessimo. 3. Decker, ritto su una piattaforma di metallo, stata strigliando i cadetti che si radunavano in tre file davanti a lui. Lyon e Griffin scivolarono in mezzo alla confusione sperando che il sergente non li notasse e invece sentirono una voce tuonante dire: “Alexander! Kowalsky!” Scattarono sull’attenti nel punto esatto dove si trovavano. Si erano aspettati una ramanzina per il ritardo con cui
6 erano arrivati nell’hangar, ma sorprendentemente non arrivò. “Per voi due niente simulatore, per oggi. Vi aspetto nel mio ufficio alle nove-zero-zero precise, ovverosia tra mezz’ora circa, Tempo Standard”. Lyon e Griffin si scambiarono un’occhiata perplessa ed uscirono dalla fila, incerti su cosa fare. Decker non badava più a loro, impegnato com’era a tartassare un povero cadetto che aveva l’uniforme in disordine. “Ci è andata bene” disse Griffin mentre succhiava da un sacchetto di plastica la sua colazione, un omogeneizzato di vitamine, proteine e grassi appositamente studiato per il suo organismo. Lyon stava succhiando la sua da un sacchetto identico, anche se lo faceva controvoglia. Avrebbe voluto assaggiare del cibo vero, piuttosto che quella poltiglia. “Tu credi?” Griffin gli lanciò un’occhiata piena di stupore. “Ero sicuro che Decker ci avrebbe spellati vivi a causa del nostro ritardo”. Lyon annuì distrattamente. Finì di succhiare la sua colazione e la gettò in un inceneritore. Lo stesso fece Griffin quando ebbe finito la sua. Gli allarmi non suonavano più, l’esercitazione era finita. Griffin consultò il suo PDA e si lasciò sfuggire una risatina. “Debby Saunders si è beccata due settimane di rigore. Pare che abbia vomitato sugli stivali del suo sergente dopo essere uscita dal simulatore”. “Anche TU hai vomitato, la prima volta!” “Si, ma Debby è alla settima esercitazione. Secondo me dovrebbe convincersi che non fa per lei”. Continuarono a camminare e chiacchierare per far passare il tempo, ma si presentarono fuori dall’ufficio di Decker cinque minuti prima delle nove. Non era saggio sfidare troppo la fortuna.
7 Alle nove precise, la porta dell’ufficio di Decker si aprì e lo sentirono dire: “entrate”. 4. Decker era seduto dietro una scrivania di plastica. Un olomonitor mostrava una riproduzione in scala dell’Aurora, la nave da battaglia che ora fungeva da nave scuola della Flotta. Lyon l’aveva vista così tante volte da fuori che la riconobbe quasi subito, benché la nave fosse perfettamente uguale ad altre decine che si trovavano sparpagliate nell’immenso territorio dell’Unione dei Mondi. Dall’espressione di Griffin, capì che i suoi pensieri erano i medesimi. D’altronde, si erano addestrati insieme per tutti quei mesi. “Vi starete chiedendo perché oggi avete saltato l’esercitazione” disse Decker una volta che si furono piazzati sull’attenti davanti alla scrivania. Annuirono. “Ho degli ordini per voi due mezze cartucce. Ordini dall’alto Comando di Flotta. Non so se mi spiego.” Il solito vecchio Decker, pensò Lyon. “Ora, sinceramente non ho idea di come possiate essere utili all’Alto Comando voi due lavativi, ma siccome ho ricevuto l’ordine di imbarcarvi sul primo trasporto per Rydan Gamma Sette, mi vedo costretto a farvi partire prima che il vostro addestramento sia completo.” “Rydan Gamma Sette?” esclamarono sorpresi e all’unisono Lyon e Griffin. L’olomonitor mostrò un pianeta giallognolo circondato da alcune lune. Una di queste era di colore verde-azzurro. “Rydan Gamma è un gigante gassoso del sistema omonimo. Ha undici lune, la settima delle quali, in ordine di minor distanza dal pianeta centrale, ospita una base della
8 Flotta dell’Unione” Decker pronunciò le parole tutte d’un fiato. Lyon osservava l’olomonitor con gli occhi pieni di stupore. “Perché noi due, Signore?” chiese con un filo di voce. Decker scrollò le spalle. “Non lo immaginate da soli?” ma più che una domanda il suo era un ordine che diceva pressappoco: tenete la bocca chiusa su questo argomento. Griffin e Lyon si guardarono bene dal continuare il discorso. C’erano cose di cui era saggio non discutere. L’olomonitor mostrò il volto di un sottufficiale. “Sergente Decker, il trasporto che avete chiesto è pronto nell’hangar sedici”. “E’ il vostro” disse Decker seccamente. “Troverete la rotta registrata nel computer di bordo. I parametri sono già stati impostati: vi basterà schiacciare un bottone e la navetta vi porterà a destinazione da sola. Spero che questo non sia troppo complicato per voi lattanti”. Era tutto. Conoscendo Decker, difficilmente avrebbe aggiunto altro o si sarebbe lasciato andare a delle cerimonie per quello che a tutti gli effetti era un addio. Per motivi che ancora non potevano immaginare, non sarebbero mai più tornati sull’Aurora. 5. Come promesso da Decker, la navetta era pronta per la partenza e non dovettero far altro che pilotarla fuori dall’hangar, manovra che avrebbero potuto lasciare ai computer ma che Lyon e Griffin insistettero per fare manualmente. In fondo erano piloti. Quello era il loro mestiere. Appena fuori dall’hangar, osservarono con un misto di nostalgia e sollievo il profilo familiare dell’Aurora, che a dire la verità non era né aggraziata né elegante. Era in effetti un grosso cilindro in polimetallo rinforzato, lungo
9 settantadue metri da una estremità all’altra e largo sedici. Presso il centro vi erano due ruote del diametro di cinquanta metri collegate col cilindro principale da otto condotti pressurizzati. Le “ruote” ospitavano gli alloggi e gli altri ambienti vivibili, mentre nel “cilindro” vi erano i motori, gli hangar e le armi di cui disponeva l’Aurora. Non erano un granché a dire la verità, ma per una nave scuola piena di cadetti pasticcioni erano già sufficienti. Due caccia dalla forma affusolata sfrecciarono troppo vicini ad una delle ruote, venendo respinti dal campo di forze che le circondava. I due caccia ruotarono come trottole impazzite per alcuni secondi mentre i piloti cercavano di riprenderne il controllo. Finalmente ci riuscirono e si guardarono bene dal ripetere la bravata: con un’angolazione diversa potevano causare seri danni ai loro mezzi. Lasciarono che il computer di bordo eseguisse le manovre automatiche di routine e a loro non rimase che attendere e confermare ogni ordine. Un minuto dopo erano lanciati a centonovanta volte la velocità della luce verso un ammasso di stelle a sei anni- luce di distanza. “A questa velocità impiegheremo 12 giorni per arrivare su Rydan Sette” annunciò Griffin. Lyon stava per dire qualcosa, poi guardò l’olomonitor e assunse un’espressione allarmata. “Peccato che la rotta che stiamo seguendo non ci porterà affatto su Rydan Sette”. “Cosa?” Griffin non era solo meravigliato. Era atterrito. “Non è possibile” aggiunse incredulo mentre interrogava il cervello elettronico della navetta. Un errore del computer, sebbene non fosse raro, era un’eventualità che aveva così poche possibilità di verificarsi da essere ritenuta quasi una leggenda. E se il computer sbagliava, chissà dove sarebbero potuti finire.
10 “Ho paura che non sia la notizia peggiore” disse con tono grave Lyon mentre osservava le cifre su di un altro olomonitor. “Non abbiamo abbastanza carburante e vettovaglie per raggiungere una delle stelle più vicine”. Ora Griffin aveva davvero paura. Perdersi nello spazio era già brutto di per se, ma perdersi e rimanere senza carburante né cibo era anche peggio. “Invertiamo la rotta. Subito. Qualcuno sull’Aurora deve aver commesso un errore gravissimo”. “Aspetta”. Lyon cercava di mantenere la calma e di ragionare. “Supponiamo che sia una specie di test. Ci stanno mettendo alla prova per vedere come reagiamo in una situazione di emergenza”. “Si… sarebbe tipico di Decker”. Griffin si sentì rassicurato da quel pensiero. “Che cosa dobbiamo fare secondo te?” “Atteniamoci agli ordini che abbiamo ricevuto. Qualcuno voleva che salissimo su questa navetta credendo di andare su Rydan Sette mentre ci ha mandati da tutt’altra parte. Vediamo che succede ora”. “E se rimaniamo bloccati nel mezzo del nulla senza cibo né carburante?”. Lyon scrollò le spalle. “Allora cominceremo a preoccuparci”. “Lyon… questo piano fa schifo”. “Hai un’idea migliore?” “No… anzi, si: torniamo indietro”. Lyon guardò l’olomonitor. “Non credo sia possibile. Il computer mi ha appena comunicato che ci vieterà l’accesso ai sistemi principali finché non avrà raggiunto il punto stabilito”. “Vuoi dire che non abbiamo il controllo della navetta?” “Temo di si. Ormai siamo in ballo e dobbiamo ballare”.
11 6. La navetta li portò a due anni luce dall’Aurora, prima di fermarsi nel bel mezzo del vuoto stellare. Tecnicamente non erano fermi: andavano alla deriva ad una velocità di 0,03c lungo una iperbole che li avrebbe riportati indietro in… “Settemilacinquecentoottantuno anni” annunciò Lyon dopo che il computer gli ebbe trasmesso i calcoli esatti. Griffin emise un gemito. “Bene. Almeno so che i miei resti verranno sepolti. Davvero confortante”. “Non essere così melodrammatico, Griffin. Sai meglio di me che possiamo cavarcela anche senza cibo e ossigeno”. “Devo ricordarti che anche noi abbiamo bisogno di mangiare, ogni tanto?” “Ti sei abituato troppo alla commedia che facevamo sull’Aurora. Stai permettendo alla tua parte umana di prevalere. Questo non è un bene”. “Stai violando tutte le norme di sicurezza, Lyon. Questa conversazione potrebbe essere registrata, anzi è quasi certo che il computer la stai registrando e ritrasmettendo a…” “Io invece sono sicuro che chi è in ascolto sa benissimo chi siamo e di cosa siamo capaci. E ci sta mettendo alla prova, anzi: ci sta sfidando a mostrarci per quello che veramente siamo”. “Credi che Decker…” “Al diavolo Decker!” Esclamò Lyon togliendosi l’uniforme e rimanendo del tutto nudo nella navetta. La pelle rosea del ragazzo stata cominciando a scurirsi in diversi punti. Lyon era concentrato nello sforzo, un’espressione grave dipinta sul giovane volto. “Non vorrai mica…” Griffin scosse la testa. “Si” rispose Lyon con uno sforzo. Ora tutta la pelle era diventata grigia e coriacea. Al tatto, sarebbe risultata dura come il polimetallo che rivestiva l’Aurora. Biometallo,
12 l’avevano chiamata così gli scienziati del Centro Ricerche che avevano studiato quel fenomeno. Lyon era capace, con la sola volontà, di trasformare la pelle del suo corpo in una sostanza resistentissima in grado di resistere agli irraggiamenti più intensivi. Una volta, quando si trovava ancora la Centro Ricerche, i ricercatori avevano staccato una scaglia di biometallo col laser più potente che avevano: appena separato dal resto del suo corpo, la pelle era ridiventata…pelle, perdendo tutte le sue incredibili capacità. “Avanti, tocca a te” disse Lyon, la voce leggermente trasformata. Griffin sospirò e cominciò a spogliarsi. “E poi che cosa facciamo?” “Usciamo” rispose Lyon mostrando un sorriso biometallico. 7. Prima di uscire, presero delle armi, anche se difficilmente sarebbero servite a qualcosa lì fuori. Fluttuarono a qualche metro dalla navetta, un cilindro tozzo con una estremità appuntita. Costruire mezzi aerodinamici era uno spreco, nello spazio vuoto. Questo però escludeva a priori che la navetta potesse atterrare o decollare da un pianeta. Ovviamente nessuno dei due portava un casco o una tuta, né aveva bisogno di respirare ossigeno. “Va bene, abbiamo dato un’occhiata al panorama” disse Griffin in tono lamentoso. La sua voce arrivava a Lyon tramite un comunicatore che entrambi avevano impiantato nel corpo fin da bambini. “Che ne diresti di rientrare?” “Ascolta. Se ci rintaniamo nella navetta non verremo a capo di niente. Voglio scoprire chi ci ha mandati qui e per quale motivo”. “Secondo te esiste un motivo?”
13 “Si. Se il satellite che si trova a mezzo chilometro da noi sta davvero rallentando”. Griffin guardò nella direzione indicata da Lyon e seppe. Era comodo avere un radar impiantato nel corpo, soprattutto se ti trovi a galleggiare nel vuoto. “Non vorrai..” ma prima ancora che avesse il tempo di finire la frase, Griffin si accorse che l’amico si stava già dirigendo a gran velocità verso il punto in cui si trovava il satellite. Con un sospiro silenzioso, seguì Lyon mantenendosi ad una certa distanza. I sensori distribuiti nel suo corpo gli dissero che il satellite era fatto di polimetallo come l’Aurora e la navetta, quindi era quasi certamente di natura umana. Non si vedevano entrate o finestre o scarichi del motore. Era un semplice oggetto di metallo che fluttuava nello spazio, alla deriva. Nonostante ciò, sia Griffin che Lyon ne furono subito irresistibilmente attratti e vi si avvicinarono. Era l’istinto che li portava ad agire in quel modo, si sarebbero resi conto solo più tardi. Quel oggetto ricordava loro qualcosa. Qualcosa che avevano rimosso ma non del tutto dimenticato. Qualcosa che aveva a che fare con la loro natura. Era una bara. Un sarcofago. La stessa con cui i loro simili erano giunti fin nello spazio controllato dagli umani. Anni prima… 8. Trascrizione di un dialogo tra due ricercatori del Centro Ricerche Biologiche, Titano, Sistema di Sol. “Che cosa possono fare?”
14 “Molte cose. Sono eccezionali”. “Possono mutare forma e dimensioni del corpo?” “Non solo. Possono anche cambiare la combinazione molecolare dei loro tessuti: pelle, ossa, organi interni. Persino il sangue”. “Sembrano umani”. “Ibridi. Noi preferiamo chiamarli così. Non siamo riusciti ad isolare un polimorfo puro: non sopravvivono oltre la seconda settimana e non sappiamo cosa li uccida. Se però fondiamo il loro patrimonio genetico con quello umano, otteniamo dei risultati abbastanza stabili”. “Quanto stabili?” “Oltre le venticinque settimane, ma contiamo di arrivare ad un anno abbastanza in fretta. Sfortunatamente, solo un soggetto su centomila sopravvive così a lungo. Gli altri degenerano progressivamente tra la quindicesima e la ventitreesima settimana di vita”. “E gli altri? I soggetti Alfa?” “Statisticamente, sono un’eccezione. La loro sopravvivenza è dovuta ad una irripetibile combinazione di eventi fortuiti. Per esempio, il soggetto AB703, nonostante fosse stabile, era affetto da alcune rare malformazioni congenite che hanno finito con l’uccidere la parte umana dell’ibrido”. “Ho sentito di degenerazione psichica…” “Si” tono nervoso. “Si, è così. Non so come sia trapelata la notizia, ma è vero: abbiamo avuto dei casi in cui il soggetto, fisicamente sano, era afflitto da turbe psichiche di vario genere”. “E da cosa erano causate?” “Non lo sappiamo. Clinicamente parlando, il loro cervello era perfettamente sano, come i loro corpi. Assolutamente perfetti, ma irrimediabilmente folli. La maggior parte di questi soggetti si è suicidato o è stato soppresso per motivi di sicurezza. Gli altri li teniamo in osservazione. Noi li chiamiamo soggetti OMEGA”. “Quando saranno pronti i soggetti BETA?”
15 “Quando avremo terminato la sperimentazione sugli ALFA. Quando scopriremo cosa li rende così stabili, avremo la chiave per produrli in serie”. “Cosa prevede ora la sperimentazione sui soggetti Alfa?” “Integrazione. Dobbiamo studiare come si integrano nella nostra società. È chiaro che devono mantenere segreta la loro natura, ma col giusto condizionamento non sarà difficile. Stiamo anche pensando di impiantare nei loro corpi tutta una serie di upgrade cibernetici”. “Dovrò stendere un rapporto sui progressi compiuti dal vostro Centro”. “Spero che ci aiuti ad ottenere quei finanziamenti che chiediamo da tempo”. “Non credo che ci saranno problemi ad ottenere quei finanziamenti, visto l’interesse che le vostre ricerche stanno riscuotendo tra le gerarchie dell’Alto Comando…” Il resto della trascrizione è stata posta sotto segreto militare. 9. Lyon fluttuò a poche decine di metri dall’oggetto. Era un parallelepipedo perfetto. Otto metri per tre metri per tre metri. Settantadue metri-cubi. L’interno era cavo. Nessuna entrata. Nessuno scarico dei getti. Superficie uniforme. Levigata, nera e in grado di assorbire qualsiasi radiazione la colpisse. Non del tutto, però. Il radar di Lyon l’aveva individuato quasi subito. Griffin si diede una spinta in direzione dell’oggetto ma si arrestò ad una distanza di sicurezza. Navigavano nello spazio usando il terzo principio della dinamica. Sui loro corpi, in direzione del moto, vi erano delle microscopiche “bocche” in grado di catturare gli atomi vaganti e di incanalarli lungo l’asse del loro corpo attraverso dei
16 microcondotti. Ugelli altrettanto microscopici espellevano il getto di gas, provocando il moto nella direzione opposta. Semplice ma efficace. Potevano regolare velocità, accelerazione e manovrabilità semplicemente variando la quantità di gas espulsa o riconfigurando la posizione degli ugelli e delle bocche. Lyon e Griffin avevano imparato a “navigare” nello spazio profondo allenandosi nell’orbita di Titano. Potevano usare quella tecnica anche in un atmosfera densa, a patto però che i loro corpi assumessero una conformazione aerodinamica. “E’ un proiettile” disse Lyon dopo averla osservata per alcuni momenti, in silenzio. “Cosa?” “Non è una navetta, tecnicamente parlando. Non è in grado di muoversi autonomamente. Niente ugelli per il getto di plasma, niente motori. Niente, insomma. È una scatola vuota”. “Meraviglioso” esclamò Griffin in tono sarcastico. “Cosa ci facciamo qui, allora?” “Temo che il motivo per cui noi adesso siamo qui risieda proprio in questo oggetto” sentenziò Lyon avvicinandosi a pochi metri dall’oggetto. “Non farlo, non sappiamo se quel coso sia attivo o meno”. Anche Griffin però aveva cominciato ad avvicinarsi. Lyon lo ignorò. “C’è un solo modo per scoprirlo”. Nei suoi occhi polimetallici brillava una strana luce. Griffin scosse la testa rassegnato e lo seguì malvolentieri. Lyon si limitò a fare giri sempre più stretti attorno all’oggetto esaminandolo da tutte le angolazioni possibili. Non scoprì niente più di quanto gli avessero già confermato gli strumenti elettronici di cui poteva disporre. Lyron si avvicinò lentamente all’oggetto e protese una mano polimetallica. Lo toccò. Freddo. Liscio. Perfettamente levigato. Non avvertì alcuni disturbo, né alcuna sensazione strana.
17 All’improvviso urlò qualcosa. “Oh cazzo!” Griffin si sentì raggelare a quell’urlo e gli fu subito accanto. “Te l’avevo detto di non toccarlo…”. Si arrestò di colpo quando vide Lyon ridere di gusto. “Idiota”. Rispose Griffin ma poi rise di rimando e, vinta l’iniziale diffidenza, tocco anch’egli l’oggetto. “E’ freddo, ma non gelato”. “Già. Eppure siamo lontani anni-luce da una stella. Dovrebbe come minimo essere vicino allo zero assoluto”. “Riscaldamento interno?” “E cosa se no? Se mantiene il calore interno, significa che non è un guscio vuoto”. “Pensi che..” Griffin non ebbe il tempo di terminare la frase che subito ritrasse d’istinto la mano con cui l’aveva toccato. L’oggetto stava vibrando. Per prudenza si allontanarono di qualche metro e videro quello che stava accadendo. Una delle estremità dell’oggetto stava letteralmente perdendo sostanza. Da opaca, il lato di tre metri per tre divenne semi-trasparente e poi del tutto trasparente. Videro che l’interno era buio. Lyon guardò Griffin. “Sembra che siamo stati invitati ad una festa”. E fece per dirigersi verso l’apertura. Griffin l’afferrò per un braccio. “E se fosse una trappola?” Lyon guardò l’interno buio dell’oggetto. “C’è un solo modo per scoprirlo” e continuò ad avvicinarsi lentamente. Griffin lo seguì qualche istante dopo. Entrarono attraverso l’apertura. L’interno dell’oggetto era completamente buio. Quando furono entrambi all’interno dell’oggetto, Lyon si accorse con orrore che l’apertura attraverso la quale erano passati stava cominciando a riformarsi. Tentò di tornare sui suoi passi, ma non riuscì a muoversi se non a costo di sforzi immensi. “Campi di forza” disse Griffin che stava avendo le stesse difficoltà.
18 L’apertura si richiuse su di loro. Erano in trappola. 10. “Non è stata una buona idea mandarli da soli” disse il viso che era apparso sull’olomonitor un istante dopo aver accettato la chiamata. Decker fece una smorfia. “Non c’era altro modo di procedere. La sicurezza della nave era stata compromessa”. “Come può essere sicuro che…” “Non sono sicuro di niente” proruppe la voce imperiosa del sergente istruttore. “So solo che dovevo proteggere la sicurezza di tutta questa operazione e che non c’era altro modo, col poco tempo che avevo a disposizione”. “Nessuno la sta accusando di niente, Decker”. “Certo, come no”, rispose Decker sarcastico. “Su chi crede che ricadrà la colpa, se tutto si rivelerà un fallimento? Su di me, ovviamente”. “Potremmo pilotare la commissione d’inchiesta, Decker. Le copriremo le spalle. Noi non dimentichiamo chi ci serve fedelmente”. “Balle! Mi scaricherete alla prima occasione. Scommetto che non vivrò abbastanza per testimoniare di fronte ad una commissione d’inchiesta, quindi preferisco farla finita subito”. “E’ un peccato dover interrompere un rapporto di lavoro che si è dimostrato così fruttuoso per tutti noi. Sarei felice se ci ripensasse signor Decker”. “Se lo scordi. Ho giurato di non mandare i miei uomini alla morte e sono venuto meno a questo giuramento.” “Agendo in questo modo non riporterà indietro le lancette dell’orologio, senza contare che i suoi uomini non sono ancora morti”. “Avete sempre una risposta a tutto voialtri, vero?”
19 “Non sempre, ma facciamo in modo di avere almeno una possibilità di rispondere”. “Allora risponda a questo: se lì fuori troverete quello che vi aspettate di trovare, cosa ne farete?” “Ci darebbe una risposta definitiva a tutti i quesiti irrisolti che ci siamo posti negli ultimi anni… e probabilmente ce ne porrebbe altri”. Decker rimase in silenzio mentre contemplava la volta stellata. Aveva preso la sua decisione. 11. Lyon e Griffin fluttuarono nel buio più assoluto. Faceva caldo, anche se per loro non faceva molta differenza. La loro pelle polimetallica poteva sopportare temperature oltre i settemila gradi Kelvin. “Sapevo che sarebbe andata a finire così” disse Griffin in tono lamentoso. “Ssshhh. Non lo senti anche tu?” “Cosa?” “Il suo battito”. Restarono in silenzio per alcuni secondi. “Sento una specie di pulsazione. È molto bassa e regolare. Non sembra un segnale modulato”. “Non lo è. Non è intelligente. Non più di quanto possa esserlo il battito cardiaco di un neonato”. “Pensi che sia vivo?” “Vivo in che senso? Di sicuro non è cosciente. Siamo entrati grazie ad una reazione automatica del computer che governa l’oggetto, ma il suo occupante non deve essere cosciente. Non del tutto, almeno”. “Come puoi esserne così sicuro?” “Non lo sono”. “Che facciamo?” “Aspettiamo”.
20 Attesero per quasi tre ore prima che accadesse qualcosa. “Hai visto?” chiese all’improvviso Griffin. “Cosa?” Lyon si era distratto mentre esaminava le pareti dell’oggetto tastandole delicatamente con le mani. “Sto ricevendo dalla navetta. Guarda le immagini delle telecamere”. Nella mente di Lyon si formarono, perfettamente nitide, le immagini riprese da una delle telecamere della loro navetta, per l’esattezza quella che era puntata sull’oggetto. “Sta cambiando forma” esclamò meravigliato. L’oggetto stava effettivamente cambiando forma: da un parallelepipedo era passato ad una specie di cilindro con una delle estremità concave e l’altra convessa. L’immagine mostrò uno scintillio che avvolse l’intera superficie dell’oggetto. Ci fu una vibrazione. “Ci stiamo muovendo!” esclamò sorpreso Griffin. Lyon non rispose. L’immagine mostrò l’oggetto che veniva avvolto dalle scintille e poi si interruppe bruscamente. “Cosa…” esclamarono contemporaneamente, prima di capire cosa era accaduto. Si erano allontanati dalla loro navetta a velocità ultraluce, perdendo di conseguenza il contatto e le immagini della telecamera. Ora erano davvero nei guai. 12. Da qualche parte a svariati anni luce di distanza, qualcuno che teneva costantemente d’occhio una piccola porzione di spazio esclamò: “li abbiamo persi!” Qualcun altro, che si trovava da quelle parti non a caso, lo rassicurò: “sta tranquillo. Era tutto previsto. Tieni gli occhi aperti e avverti quando riesci a rintracciare il segnale”. “Signorsì” fu la risposta.
21 Ancora più lontano, nell’orbita del satellite Titano, trecentosessanta chilometri al di sopra delle nubi che avvolgevano perennemente la superficie di quel corpo celeste, in una stazione orbitale gestita con i fondi della Flotta dell’Unione, altre persone seguivano con interesse l’evolversi della situazione. Milleseicento anni luce distante dalla Terra e da Titano, un vascello da ricognizione che non avrebbe dovuto trovarsi li in quel momento e che stava violando una serie di trattati di pace, attivò i suoi motori iperluce dirigendosi verso il mondo di una stella lontana. Ancor più lontano da quel punto e per fortuna in una zona che era distante parecchi anni di viaggio iperluce dalla Terra e dagli altri pianeti dell’Unione, gli eventi che si stavano svolgendo così lontani destarono l’attenzione per quei pianeti da troppo tempo ignorati. Ovunque, in una piccola porzione della Galassia che andava via via allargandosi a macchia d’olio, nuovi e antichi meccanismi si erano messi in moto come gli ingranaggi di un vecchio orologio che viene ricaricato. Il cerchio era stato aperto, il vaso di Pandora scoperchiato. 13. “Lyon!” Parole biascicate. “Lyon, svegliati!” Era sveglio. Dormire in quello stato non era come dormire nella forma umana. La chimica del cervello è condizionata dagli
22 elementi da cui è composto, su questo c’erano pochi dubbi e l’esperienza l’aveva dimostrato più di una volta. Griffin si stava agitando. “Guarda” disse indicando l’apertura che si era riformata. Erano liberi. Fluttuarono insieme fuori dall’oggetto. Erano ancora nello spazio, ma qualcosa era cambiato. Non aveva bisogno dei sensori che riempivano il suo corpo di polimetallo per capirlo: sotto di loro, centinaia di chilometri più in basso, c’era la superficie di un mondo verde e azzurro. Un mondo alieno, probabilmente. “Siamo arrivati” disse Griffin guardando il pianeta. Appena furono usciti, la superficie dell’oggetto tornò a formarsi in corrispondenza dell’apertura. Ovunque fossero, erano arrivati a destinazione. “Vuole che scendiamo sul pianeta” disse Lyon. “Chi lo vuole?” Indicò l’oggetto. “Chi governa quel affare. Ci ha portati lui fin qui: se non vuole che ci rechiamo sul pianeta, perché non abbandonarci in mezzo allo spazio profondo?” Griffin dovette ammettere che Lyon aveva ragione. “Non vedo perché dovremmo fare quello che dice lui. In fondo ci ha rapiti…” “Tu vedi un’altra soluzione? Non possiamo andarcene di qui senza un motore iperluce e non possiamo comunicare col resto della Flotta senza un comunicatore subspaziale. Siamo bloccati qui, forse per sempre. L’unica alternativa è accontentare quel…coso”. Griffin annuì. “D’accordo, supponiamo che tu abbia ragione. Perché noi?” Lyon sembrò rifletterci per alcuni secondi, poi disse cauto: “forse perché in fondo siamo simili. Anche lui può alterare a piacimento la sua struttura fisica e molecolare. Forse ci ritiene in un certo senso… affini”. “Beh, io non vedo tutte queste affinità” sbottò Griffin guardando l’oggetto di sbieco.
23 “D’accordo. Ora però andiamo”. “Come scendiamo sul pianeta?” “Secondo i dati, la composizione e la densità dell’atmosfera è simile a quella della Terra. Stavolta fai tu lo scudo termico”. “Scordatelo!” protestò Griffin. “Tutte le volte che lo faccio sto male per una settimana”. Lyon sorrise e fluttuò verso il pianeta, seguito dall’amico. L’oggetto rimase come al solito immobile e inerme. 14. Trascrizione di un dialogo tra due ricercatori del Centro Ricerche Biologiche, Titano, Sistema di Sol. “Perché mangiano?” “Nella forma umana, il loro organismo ha bisogno di cibo e acqua per funzionare, come qualsiasi altro organismo vivente”. “Vuole dire che sono vulnerabili come gli esseri umani? Che possono morire o invecchiare?” “Morire di sicuro. Invecchiare…” esitazione nella voce. Sembra consultare alcuni appunti. “Ecco, vede questi schemi? Mostrano l’invecchiamento delle cellule nei soggetti Alfa stabili. Vede questo grafico? È di una persona normale. Non nota alcuna differenza? Beh, se fosse un biochimico, si renderebbe conto che le cellule degli Alfa invecchiano alla stessa velocità degli altri esseri umani, ma basta una sola transizione tra la forma base a quella polimorfica per una rigenerazione completa. Sorprendente, vero?” “L’altra volta parlava di integrazione nella nostra società. Come potranno integrarsi degli esseri immortali e invincibili?”
24 “Li veda come il passo successivo dell’evoluzione. L’homo sapiens emerse sterminando i neanderthal. I polimorfi emergeranno sterminando l’homo sapiens? Nessuno può dirlo”. “Mi sembra che voi gli stiate fornendo tutti i mezzi necessari”. “L’uomo ha già armi sufficienti per sterilizzare questo braccio della Galassia. I polimorfi potrebbero sopravvivere a questa catastrofe, ma difficilmente ne sarebbero la causa”. “Gli Xeel sono più avanti di noi in alcuni campi di ricerca”. “Lo sappiamo. Abbiamo visto all’opera alcuni dei loro polimorfi, così come loro avranno certamente visto i nostri. Sostanzialmente anche loro stanno cercando di produrre in serie gli Alfa stabili per poi passare ai Beta”. “Se ci riescono per primi…” “Non accadrà, a meno che non riescano a mettere le mani su un polimorfo puro”. “E lei crede che esista una simile possibilità?” “E’ molto remota ma… si, esiste. Anche noi siamo alla ricerca di un simile esemplare”. “Dobbiamo vincere questa corsa, professore. Ad ogni costo”. “Forse col tempo riusciremo a raffinare alcuni ibridi fino a creare un esemplare puro, ma è una tecnica lunga e dispendiosa”. “E’ il tempo che ci manca. Credo che lei sappia della recente crisi su…” Il resto della trascrizione è stata posta sotto segreto militare.
25 15. L’ingresso nell’atmosfera non fu delle più semplici. Nonostante avessero provato e riprovato quando si addestravano nell’orbita di Titano, la differente composizione e densità causarono qualche problema. Griffin configurò il suo corpo per assumere la forma di uno scudo termico. Lo fece a malincuore, ma lo fece. Lyon, attaccato al suo corpo, guidò la discesa dopo aver calcolato l’angolo di entrata. “Siamo fuori di 0,3 gradi” disse Griffin preoccupato. Lyon sbuffò. “Devi tarare meglio il tuo radar. Abbiamo un angolo di discesa ottimale”. L’entrata vera e propria non fu facile. Si formarono delle fiamme tutto intorno ai loro corpi, ma il biometallo poteva facilmente reggere quelle temperature. Quando furono dentro l’atmosfera, si separarono e assunsero ciascuno la configurazione di volo ottimale. Lyon dispiegò grandi ali membranose mentre Griffin assunse la forma di un vecchio jet piegando le ali a delta. Avrebbero potuto assumere una configurazione per il volo a propulsione, ma preferirono non attirare troppo l’attenzione e si limitarono a planare verso un punto della superficie descrivendo ampi giri concentrici. “Non è male questo posto” esclamò Griffin. Lyon non rispose. La sua attenzione era stata attirata da un luccichio sul suo radar. “C’è qualcosa”. “Dove?” “Da quella parte!” ebbe appena il tempo di esclamare che una palla di fuoco esplose una trentina di metri sopra di loro. Lo spostamento d’aria gli fece perdere per qualche istante l’assetto di volo. Riconfigurarono velocemente i loro corpi per il volo a propulsione. Lyon formò strette ali a delta e diede al suo corpo una forma più aerodinamica, simile ad un razzo. Griffin fece lo stesso.
26 “Era un missile!” esclamò Griffin setacciando i dintorni col suo radar. “Si. Ed era schermato. Non era nostro”. “Ne arriva un altro!” Stavolta erano preparati per accoglierlo. Il missile si mise nella scia di Lyon che accelerò a tre volte la velocità del suono per sfuggirgli. Il missile accelerò a sua volta. Volteggiarono nel cielo per alcuni istanti, poi Lyon usò l’acqua che si trova nell’alta atmosfera per formare dei cristalli di ghiaccio e li spruzzò ad alta velocità verso il missile. I cristalli, trasformati in proiettili sottilissimi dalla velocità a cui erano stati lanciati, forarono la testata del missile che esplose qualche istante dopo. “Scendiamo!” Picchiarono a tutta velocità verso il suolo. Altri due missili apparvero sul radar e li inseguirono. Dodicimila metri più in basso, sfiorando le cime degli alberi di una foresta, Lyon e Griffin eseguirono una rapida cabrata per riprendere quota. I missili fecero altrettanto ma non abbastanza in fretta per evitare di colpire il suolo. Non avevano la manovrabilità e l’abilità sufficienti. “Ne arrivano altri”. Stavolta era una vera e propria salva di otto missili che puntavano verso di loro. Lyon ne scelse uno e si diresse dritto verso di lui. Lyon cambiò rotta all’ultimo istante, il missile esplose a dieci metri da lui e tentò di risalire velocemente per evitare lo spostamento d’aria. Ne fu comunque colpito e perse il controllo per alcuni, preziosi istanti. Due missili colpirono Griffin in pieno, stordendolo. Lyon vide l’amico colpito precipitare verso il suolo incosciente. “Missili stordenti” sussurrò tra le labbra. Erano armi studiate appositamente per colpire i polimorfi senza danneggiarli troppo. Chi li stava attaccando sapeva bene con chi aveva a che fare.
27 Tre missili puntarono verso di lui. Uno riuscì ad abbatterlo ricorrendo ai proiettili di ghiaccio, un altro esplose quando l’onda d’urto del primo missile lo raggiunse, ma il terzo colpi Lyon sotto l’ala. Immediatamente un senso di torpore si diffuse in quella zona del corpo e Lyon non fu più in grado di pensare coerentemente. “Colpito” pensò mentre tentava di riconfigurare il suo corpo precipitando da un’altezza di oltre mille metri. Il terreno si avvicinava sempre di più e, come in un sogno vigile, si vide dall’esterno mentre impattava al suolo. Prima di quel momento, però, il missile stordente fece il suo lavoro e perse conoscenza. 16. Una spia si accese su di un monitor e una voce entusiasta esclamò: “li abbiamo ritrovati!” Lyon si svegliò dolorante. Era ancora intorpidito e non riuscì subito a muoversi. Il suo corpo di biometallo era parzialmente contorto, come se fosse stato attorcigliato da gigantesche mani. Aveva dolore ovunque. Sebbene potesse resistere ad una simile caduta, i sensori che aveva distribuiti in tutto il corpo registravano i microscopici danni strutturali e li traducevano in segnali che il suo cervello umano poteva interpretare. In sostanza sentiva dolore come chiunque altro e, in quel particolare frangente, molto più degli altri. Era esausto. Il combattimento aereo l’aveva prosciugato di ogni forza. Anche il suo organismo aveva bisogno di nutrirsi, quando era nella sua forma biometallica. Poteva assorbire il nutrimento dall’ambiente circostante – e anche nello spazio vuoto poteva nutrirsi catturando le particelle che vagavano libere – ma questo processo richiedeva tempo ed era proporzionale alle energie che aveva speso.
28 Il suo organismo avrebbe provveduto automaticamente, quindi relegò tutte le funzioni nutrizionali in fondo alla sua mente cosciente e fece il punto della situazione. Erano su un pianeta sconosciuto, senza alcun mezzo per tornare a casa. Erano stati portati li da una macchina (o una creatura, ancora doveva decidere come considerare l’oggetto), che poi li aveva abbandonati nello spazio. Scesi sul pianeta, qualcuno – probabilmente Xeel – li aveva attaccati duramente con armi studiate appositamente per i suoi simili, quindi era probabile che sapessero chi o cosa avevano di fronte. Xeel. Il solo pronunciare quella parola lo fece rabbrividire. Gli Xeel erano alieni umanoidi. Gli umani avevano stabilito un contatto con loro duecento anni prima, scoprendo che essi erano stanziati su un migliaio di mondi simili alla Terra ed erano divisi in varie fazioni, esattamente come i terrestri. Come i terrestri, erano gelosi del loro territorio ed avevano ben presto capito che gli umani erano nello spazio per rimanerci a lungo. Erano scoppiate delle guerre, per fortuna circoscritte ai pianeti più rozzi e meno civilizzati di entrambe le razze. L’Unione dei Mondi e la Fratellanza Xeel, le due fazioni più potenti di entrambe le specie, avevano alfine stipulato un trattato di pace che stabiliva le rispettive sfere di influenza e la guerra era stata evitata. Tutti sapevano che la tregua non sarebbe durata a lungo e che prima o poi tra le due razze sarebbero sorti dei conflitti, ma per ora lo spazio colonizzabile era talmente vasto da poter accogliere le mire espansionistiche di entrambe le specie. Forse le cose stavano per cambiare. Nella sua forma umana, Lyon si rizzò in piedi. Era nudo, ma poteva farci ben poco. Per buona precauzione trasformò la sua pelle in resistente biometallo. Ora solo un
29 potente cannone laser avrebbe potuto scalfire quella corazza. Doveva trovare Griffin. L’aveva visto precipitare privo di sensi qualche chilometro a nord del punto in cui si trovava. Il radar non riusciva a rintracciarlo e il comunicatore non funzionava bene, ma era probabile che gli Xeel stessero disturbando i loro dispositivi elettronici. I suoi sensori erano schermati dal biometallo e avrebbero continuato a funzionare, ma ogni segnale laser o radio poteva essere bloccato o disturbato. Doveva spostarsi di li prima che una pattuglia venisse ad indagare. La radura in cui si trovava era circondata da alberi dal fusto gigantesco e ricoperto di muschio verde e giallo. Somigliavano alle sequoie che una volta si trovavano sulla Terra. Trasformò il braccio sinistro in un machete e iniziò a farsi strada tra la fitta vegetazione. 17. Camminò per alcune ore. Ogni tanto si fermava per controllare i dintorni. La foresta era silenziosa: finora aveva scorto solo piccoli animali che sembravano roditori. Non sembravano esserci predatori più grossi di uno scoiattolo. Continuò a dirigersi verso nord finché non raggiunse e superò il punto stimato dove avrebbe dovuto trovarsi Griffin. Accortosi di essere andato troppo avanti, tornò indietro deviando di alcune decine di metri dalla strada che aveva fatto all’andata. Fu quello a salvarlo, probabilmente. Due ricognitori si libravano nel punto esatto in cui si era trovato dieci minuti prima. Stavano cercando lui!
30 Vide che un terzo ricognitore si alzava da una radura e sfrecciava velocemente verso l’alto lasciandosi dietro una scia di carburante. Lyon non osò attivare alcun sensore attivo per scoprire cosa si trovasse al suo interno, ma era quasi certo che vi fosse Griffin prigioniero. Imprecò per non essere arrivato in tempo. Fu tentato di uscire allo scoperto per inseguirli, ma sarebbe stato un atto di eroismo insensato e sciocco: belle condizioni in cui era, non avrebbe potuto reggere uno scontro con due ricognitori. Doveva restarsene nascosto ancora per qualche ora, poi forse avrebbe pensato ad un piano per liberare Griffin. Qualcosa si librò accanto ai ricognitori. Non aveva la forma tipica dei mezzi volanti Xeel: assomigliava più ad un aliante. Aveva grandi ali per il volo librato e un timone di coda per dirigere il volo. Semplice ma funzionale. Stava per dire qualcosa, ma le parole gli morirono sulle labbra. L’aliante cambiò configurazione e forma e andò ad appollaiarsi su uno dei due ricognitori. La sua forma mutò in quella tipica di un umanoide della specie degli Xeel. Lyon lo vide trasformarsi con una grazia che lui non aveva mai posseduto. La corazza di biometallo luccicava sotto il sole di quel mondo lontano. Per la prima volta, Lyon vide dal vivo un polimorfo Xeel. Dunque esistevano davvero. Lo Xeel rivolse il suo sguardo verso il basso esplorando la vasta distesa verde su cui pochi minuti prima si era librato. D’istinto Lyon si ritrasse appiattendosi contro il tronco di un albero, sebbene fosse quasi certo che l’altro non potesse individuarlo: il biometallo era invisibile ai radar impiantati e alla maggior parte di quelli montati sui comuni mezzi. Erano necessarie strumentazioni molto precise per rivelare
31 le sottili differenze di potenziale del biometallo, l’unico modo certo per rivelarlo. Nonostante ciò, i loro sguardi sembrarono incrociarsi per un istante nell’attimo in cui l’alieno guardò nella sua direzione. Forse fu una sua impressione, ma lo Xeel sembrò indugiare per qualche istante, come se avesse realmente captato o intuito qualcosa, poi continuò a guardare giù in tutte le direzioni. Quando sembrò soddisfatto di ciò che aveva visto, tornò a librarsi nel cielo azzurro di quel mondo selvaggio e si allontanò volando. Lyon trasse un sospiro di sollievo e si allontanò dalla zona in tutta fretta. Nella sua mente si affollarono pensieri cupi e vecchi ricordi. 18. Lyon fluttuò nei pressi dell’orbita di Titano. Da qualche tempo aveva preso l’abitudine di fare un giro per i vari satelliti e le rocce vaganti che affollavano quel piccolo tratto di spazio profondo. Aveva l’ordine di non allontanarsi a più di diecimila chilometri dal pianeta, ma non c’era bisogno di contravvenire a questo divieto: l’orbita di Titano era ricca di vecchi relitti e rocce portate li dai pionieri della colonizzazione spaziale. Come al solito scelse come traguardo un piccolo satellite e, dandosi una spinta vigorosa, calcolò il tempo che impiegava a raggiungerlo. Quel giorno, però, accadde qualcosa di nuovo ed eccezionale. Il suo radar, al cui uso non si era ancora del tutto abituato, captò la presenza di qualcuno nelle vicinanze. Prima ancora che avesse il tempo di rendersene conto, qualcosa sfrecciò a pochi metri dal suo corpo di biometallo, mettendolo in allarme.
32 “Non ti distrarre” sentì dire nel comunicatore da una voce non familiare. “Chi sei?” chiese, cercando di inquadrare lo sconosciuto. Invece di una risposta, sentì una risata. “Sono la tua guida”. “Guida? Per andare dove?” “Ovunque tu vorrai andare”. L’altro cominciò ad avvicinarsi. Lyon vide che aveva la forma di una navetta orbitale, una delle tante che affollavano l’orbita bassa di Titano. Ecco perché non l’aveva notato prima. La navetta divenne un razzo spaziale dei vecchi tempi, di quelli che si vedevano nei vecchi olofilm d’epoca e, infine, assunse un forma umanoide fluttuando nel vuoto a pochi metri da lui. Eseguì tutte quelle trasformazioni con un’eleganza che Lyon invidiava. Il suo corpo, piuttosto che di biometallo, sembrava fatto di una sostanza fluida che poteva essere plasmata a piacimento. “Come ci riesci?” Chiese meravigliato. L’altro rise sonoramente. “Immagina di essere l’acqua che riempie un bicchiere. Immagina ora di essere versato in un bicchiere di forma diversa e così via. Adattati alla forma del bicchiere come fa l’acqua”. “Ma..” Prima che potesse completare la frase, l’altro indicò col braccio uno dei satelliti abbandonati. “Ti va una corsa? Se riesci a battermi ti insegnerò un segreto!” Scattarono entrambi senza aggiungere una sola parola. Lyon era veloce ma… l’altro era semplicemente imprendibile. Per quanto pompasse gas nei suoi microcondotti, l’altro doveva pomparne di più. Lo precedette di alcuni secondi. L’altro aveva assunto una forma umanoide e se ne stava seduto sulla roccia vagante come se stesse prendendo il sole su di uno scoglio. Lyon lo raggiunse e sedette al suo fianco. “Puoi chiamarmi Chiron” disse il polimorfo.
33 “Io sono Lyon” si presentò. Chiron rise sonoramente. “Lo so chi sei. Ti ho visto nascere”. Prima che potesse fargli un milione di domande, Chiron sfrecciò via come un razzo – ed aveva anche la forma, di un razzo – lasciandolo di sasso. Lo seguì fino ad un piccolo satellite abbandonato, una complicata struttura di metallo contorta che presentava le classiche bruciature dovute all’esposizione alle radiazioni e alle micrometeoriti. Chiron lo stava aspettando appollaiato ad una trave che una volta doveva aver fatto parte di una passerella. Il satellite era stato in parte smantellato per riutilizzarne i materiali. Contemplarono la volta stellata: la galassia era uno spettacolo mozzafiato lontani com’erano da qualsiasi fonte di luce artificiale o naturale come il Sole. Fu Chiron a rompere il silenzio: “ti devo insegnare alcune cose o non sarai in grado di cavartela da solo lì fuori”. Chiron,che nel frattempo aveva mutato forma in quella umanoide. Al posto delle braccia però, aveva due lunghe e affilatissime lame. “Lezione numero uno: duello all’arma bianca”. Lyon trasformò le sue braccia in due lame e si mise in posizione. 19. Immaginò un duello con il polimorfo Xeel. Chissà che tipo di avversario si sarebbe rivelato, nel caso avesse dovuto affrontarlo. Per ora comunque, sperava di non essere costretto a duellare con l’alieno. Il vantaggio sarebbe stato tutto dalla sua parte. Doveva ribaltare la situazione.
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