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“Siate migliori, agite diversamente” Esce il libro “Brave.Il coraggio di parlare” di Rose McGowan, l’attrice e regista che ha sollevato il caso Weinstein. Ci sono i nomi e i cognomi di quelli che sapevano e stavano zitti, ma anche di quelli che violentavano con altre modalità. L’ombra della speranza è nelle ultime righe dell’ultima pagina. Quelle in cui Rose McGowan, attrice, regista, cantante, e ora scrittrice, si rivolge alla platea femminile incitandola a non schierarsi con «lo svilimento di cui spesso siamo vittime. Siate migliori, agite diversamente, so che siete in grado di farlo, che potete cambiare il mondo partendo dal vostro. Basta un po’ di coraggio». Per il resto, l’autobiografia di McGowan, la donna che ha scatenato il caso Weinstein alzando il velo sul sistema di abusi e violenze che sostiene la macchina hollywoodiana, è un catalogo di orrori senza fine, pieno di descrizioni crude, di scoperte allarmanti, di miti che vanno in pezzi. La ricostruzione di un’esistenza difficile, iniziata col piede sbagliato,
all’interno del ramo italiano della comunità dei «Bambini di Dio», da cui l’autrice fuggì giovanissima, insieme alla famiglia, per trasferirsi negli Stati Uniti, è il binario su cui, in «Brave – Il coraggio di parlare» (Harper Collins), scorre una denuncia appassionata e si alza, forte, il grido di qualcuno che, al posto della disperazione, ha scelto la rivolta: «Dalla mia famiglia ho ereditato la forte tendenza all’autodistruzione, l’indole da fenice che deve risorgere dopo che la sua vita è ridotta in cenere». Nelle trecento pagine di «Brave» c’è la descrizione particolareggiata dello stupro subito dal «Mostro», il potente e ormai celeberrimo produttore con il volto da «ananas liquefatto», che aggredì la giovane attrice nella vasca Jacuzzi di una stanza «che occupava l’intero piano di un albergo». Ci sono i nomi e i cognomi di quelli che sapevano e stavano zitti, ma anche di quelli che violentavano con altre modalità. In primo piano Quentin Tarantino, noto feticista dei piedi, che pubblicamente apostrofava McGowan alludendo a una sequenza di un film usata per masturbarsi: «Rose! Ho il laserdisc di “Amiche cattive”, non sai quante volte ho usato la scena in cui ti metti lo smalto sulle unghie dei piedi. I piedi sono in primo piano e la tua faccia è sfocata». E poi le altre vittime, attrici maltrattate e rimproverate sui set, costrette a rischiare la vita per soddisfare le richieste del regista: «Sì, Zoe Bell, Tracie Thoms e Rosario Dawson si sono fatte valere, ma pensate a cos’hanno subito le altre donne… la forza delle protagoniste femminili di Tarantino è compensata dalla brutalità e dalla violenza di cui sono vittime». Nel capitolo «Vita da circo» McGowan ricostruisce l’incontro con la rockstar Marilyn Manson e la frequentazione di un locale sadomaso di New York «in cui bisognava scegliere quale tortura infliggere o subire durate la cena». In quello dedicato alla «Vita televisiva», racconta l’ingaggio nella serie «Streghe» e i diktat che ne derivarono, spiegando come la lavorazione di un enorme successo di pubblico sia legata a divieti assurdi e ritmi
massacranti. La presa di coscienza si fa strada a poco a poco, McGowan sperimenta, impara, e si ribella. E l’aiuto più importante viene dall’uso di Instagram e Twitter: «E’ stato Ashton Kutcher a farmi avvicinare ai social media». Alla fine la «setta hollywoodiana» è svergognata, ma soprattutto è messo all’indice un modo oltraggioso di guardare e trattare le donne, una scala di disprezzo che parte dalle ragazze obbligate a sfilare in bikini per guadagnare un ruolo in un film, passa per i compensi più bassi, si chiude con le umiliazioni più gravi. Per McGowan il tempo della sopraffazione è finito, ma per tutte le altre il cammino è ancora lungo e doloroso. Rispetto al classico di Selwyn Ford «Il sofà del produttore» dedicato «al rito del “pedaggio sessuale” nella storia di Hollywood», «Brave» sta come un horror a una commedia. Segno, deprimente, che il passare degli anni non ha cancellato le pessime abitudini, ma ha reso più estrema la contrapposizione tra chi ha il potere e chi (ancora) non ce l’ha. Tratto da: LaStampa.it
A che punto è l’eguaglianza di genere? La misura di uguaglianza e disuguaglianza tra uomini e donne risulta sempre complicata e dipende da quali temi e quali dati si scelgono. Esiste un indice dell’uguaglianza tra uomini e donne messo a punto dallo European Institute for Gender Equality (http://eige.europa.eu/gender-equality-index/2015), un istituto di ricerca dell’Unione europea. L’Eige calcola un valore sintetico basato su 31 parametri, dalla situazione lavorativa a quella economica, dalla salute alla disponibilità di tempo. Il valore di questo indice dell’uguaglianza (e non della disuguaglianza), può variare da 1 a 100: se arriva a 100 vuol dire che c’è perfetta uguaglianza tra uomini e donne. Per i 28 Paesi dell’Unione europea si ferma per il momento a 66,2. Il dato, pubblicato nel 2017 e che in realtà si riferisce al 2015, segnala soprattutto una crescita molto modesta negli
ultimi dieci anni: nel 2005 era pari a 62, nel 2012 era salito a 65, nei tre anni successivi ha guadagnato ancora solo poco più di un punto. In testa alla classifica europea c’è la Svezia, dove l’indice tocca il valore di 82,6; in coda c’è la Grecia, dove si ferma a 50. Anche l’Italia è ben sotto la media, con l’indice complessivo a 62,1. I dati dell’Eige segnalano però che il nostro Paese è quello che ha fatto i maggiori progressi nel giro di dieci anni, visto che nel 2005 era ancora al di sotto del valore 50. Secondo i dati dell’Istituto europeo, poi, a spingere verso il basso l’uguaglianza di genere in Italia non sono tanto il lavoro e la situazione economica, quanto la possibilità per le donne di accedere a ruoli di potere e, soprattutto, il fatto che siano ancora le donne a occuparsi per la maggior parte del tempo di figli, anziani e dei lavori domestici. Sul tema della violenza viene misurato un indice a parte, che non entra nel calcolo di quello generale. Elaborato per la prima volta per il 2015, l’indicatore dell’eguaglianza di genere si ferma in questo caso appena a 27,5 per l’insieme dei Paesi dell’Unione e a 26,8 per l’Italia. Una donna su tre, segnala l’Eige, avrebbe sperimentato violenza fisica o sessuale. Sul fronte economico, il gender gap index (https://www.weforum.org/agenda/2017/11/pay-equality-men-wome n-gender-gap-report-2017) calcolato dal Forum economico mondiale e pubblicato durante l’ultimo incontro di Davos aveva messo in luce una divergenza crescente nei salari medi tra uomini e donne, arrivati a 21.000 dollari contro 12.000. Secondo i dati dell’Unione europea
(https://ec.europa.eu/info/strategy/justice-and-fundamental-r ights/discrimination/gender-equality/equal-pay/gender-pay- gap-situation-eu_en#differencesbetweeneucountries) la situazione sarebbe però assai meno grave nei Paesi Ue: la discriminazione salariale toccherebbe il 30% in Estonia, sarebbe oltre il 20% in Ungheria, Slovacchia, Germania, Austria e Repubblica Ceca, ma sarebbe inferiore al 10%, per esempio, in Italia. Tratto da: LaStampa.it Vestiti come al cinema. I capi cult dei film si comprano on line La parola è abusata: cult. Ma come si fa a trovarne un’altra per il giubbotto rosso di James Dean, la giacca strapazzata (e il cappello) di Indiana Jones, le Manolo di Sex and The
City?. Le storie che non vorremmo finissero mai continuano fuori dal set, le serie hanno sequel imprevisti in negozio, e oggi basta un’app (The Take, tra le più frequentate) per trovare l’abito plissé di Marilyn Monroe o il guardaroba di Blake Lively in Adaline, l’eterna Giovinezza. L’accessibilità è la chiave del divismo democratico, perciò la condivisione di una T-Shirt, il recupero di un pezzo vintage, fa partecipare (e sognare). Questo spiega come mai siti (Spott, FoxLife) e app (asap 54) si siano dedicati all’attività assai pignola di segnalare come/dove/quando trovare un abito banale o fatale, avvistato in scena indimenticabile, almeno per un po’. Un giorno da star Se volete sentirvi Cara Delevingne in Valerian e la città dei Mille Pianeti o Emma Stone, nell’acchiappa-Oscar La La land, fate un giro su Spott e in caso di colpo di fulmine avrete subito l’indirizzo buy now. L’abito bianco simil-sposa della guerriera intergalattica Laureline costa 175 dollari e Amazon ve lo spedisce direttamente a casa. Lo spigliato guardaroba di Emma Stone (il giubbotto da biker, il cocktail dress blu elettrico firmato Jason Wu) è sold out. Ma su DressLily si può ancora trovare a 15,27 euro l’abito giallo svolazzante che indossa per ballare con Ryan Gosling sullo sfondo dell’infuocato tramonto losangelino. Se il partner è all’altezza per replicare la scena e, coerente, vuole i jeans color grafite del film, sappiate che sono di Calvin Klein (su Zalando a 100 euro). In questo gioco si può investire pochissimo o moltissimo. L’abito-guanto rosa shocking di Margot Robbie in The Wolf of Wall Street lo porti via a 20 dollari su Misguided (indispensabile il fisico). Mentre il prezioso Elie Saab in pizzo macramè di Dakota Johnson-Anastasia Steele in Cinquanta Sfumature di rosso (su modaoperandi.com) è impegnativo: 3.600 euro. Christian Grey non bada a spese, voi forse sì.
Dettagli evergreen Statisticamente i pezzi più ricercati sono dettagli simbolici che fanno parte della cultura popolare. E’ diventato un evergreen (per giunta unisex) il poncho di Clint Eastwood, re del genere spaghetti western Il buono, il brutto, il cattivo (1966): 22 versioni su eBay da 27 a 339 dollari. A proposito di vintage o quasi, la costumista Deborah Nadoolman racconta di aver trovato il cappello di Indiana Jones nel negozio di Herbert Johnson a Londra. Era un modello australiano, non le piaceva così com’era: con qualche ritocco è diventato la famosa fedora di Indy. I dettagli cambiano da un film all’altro (qui siamo nella filologia) ma Herbert Johnson li ha tutti (da 100 a 350 euro) e li espone con orgoglio. Vedremo se tra mezzo secolo avrà ancora valore la spilla con la ghiandaia imitatrice diventata icona della rivolta di Everdeeen Katniss in Hunger Games: placcata in oro costa soltanto cinque dollari su Amazon. Ma ne esistono varie versioni. Ne sono state vendute più di un milione. Serial Minds Se prima c’era solo il cinema, adesso anche le serie tv hanno valigie piene di abiti cult. La giacca bianca e nera di Kerry Washington-Olivia Pope, la fixer amante del presidente americano in Scandal è un autentico Giorgio Armani, sul sito di Neiman Marcus a 1.445 dollari. Buona parte del suo guardaroba è disponibile in originale, come la mantella di Salvatore Ferragamo (scontata, 377,39 anziché 1886 euro) come segnala il sito di Fox Life, miniera d’oro per fashioniste. Volete copiare le eroine di Big Little Lie. la fiction più premiata ai Golden Globe? L’abito azzurro in seta stampata con fiori di ciliegio di Celeste (Nicole Kidman), specchio della sua fragilità (di Nordstrom signature e Caroline Issa) è in saldo su Wattsfarmhouse: 159 dollari! Il maglione bianco con le frange di Renata (Laura Dern) definito power sweater ha fatto tendenza. E’ di Phillip Lim, caruccio: 495 dollari su Shopbop. E non parliamo di Rachel Zane, cioè Meghan
Markle, ormai ex star di Suits e presto moglie del principe Harry. Pencil skirts e bluse pastello del suo look femminile, efficiente, sofisticato, sono andate a ruba. Ma il lungo abito romantico di Burberry (1250 dollari) è ancora disponibile su Net-a-porter. Mentre per chi ha nostalgia di “Sex an The City”, sul sito HBO c’è sempre, a 25 dollari, la t-shirt rosa Single and fabulous. Non è più l’amarcord di una serie, è una filosofia. Tratto da: LaStampa.it Anna Martellato e il suo libro “non solo” sulla maternità Una 27enne alla ricerca di un posto nel mondo. Una nonna forte come la sua Rodi. Una gravidanza arrivata nel momento peggiore. E poi un segreto di famiglia, che affonda le sue
radici nel mare e nella storia. Viaggia su due binari paralleli La prima ora del giorno , il romanzo d’esordio di Anna Martellato, in cui il passato sfiora il presente a più riprese. Uscito per Giunti lo scorso febbraio, sabato 5 maggio il testo – appena andato in ristampa – sarà protagonista di un incontro a Rovigoracconta, a cui presenzierà anche l’autrice. «La scrittura è sempre stata la mia strada» afferma Martellato con voce squillante, nonostante sia da poco passata l’ora della colazione. «Ho iniziato da qualche articoletto per il giornale dell’università, poi tanta esperienza sul campo con il Corriere del Veneto, fino a un cambio di rotta. Ora, non si spaventi, sono project generator journalist ». In effetti, è un nome che intimorisce . «Sono un’ideatrice di format. Diciamo che aiuto le aziende e non solo quelle a migliorare la propria immagine attraverso progetti editoriali».
Così fa già meno paura. La narrativa, invece, quand’è arrivata nella sua vita? «Presto, molto presto. Il mio primo romanzo l’ho scritto quando avevo 15 anni. Devo averlo ancora da qualche parte, in questa grande e vecchia casa». Potrebbe cercarlo e pubblicarlo. «No, macché. Appena lo trovo, più che alle stampe, lo darò alle fiamme» (ride ). Così male non doveva essere, visto che a scrivere ha continuato… «In realtà, il punto di partenza è sempre egoistico. All’inizio era un modo di metabolizzare la vita. Poi, però, anche un modo di dare un senso alle cose. Non ho mai preteso ovviamente di essere la voce, ma una voce tra tante sì. Le cose poi cambiano quando pubblichi». In che senso? «In quel momento ti rendi conto che quello che dici magari qualcuno poi lo ascolterà. Non a caso, le più grandi e belle soddisfazioni che ho avuto da questo libro stanno tutte nelle piccole cose. Una signora, per esempio, mi ha scritto su Messanger che – arrivata a un certo punto, cruciale nel romanzo – si è alzata dal letto, è andata nella stanza del figlio e gli ha dato un bacio in fronte. A me basta questo, sono felice così». E pensare che neppure lo voleva scrivere, questo libro. Come mai?
«Un po’ per la mia scrittura, che è sempre stata ironica e autoironica. E un po’ perché sapevo sarebbe stato un confronto molto difficile, soprattutto con me stessa. La storia che racconto è una storia di famiglia, della mia famiglia, con un tabù di cui non si poteva parlare». Ora, però, questo tabù (che non vi spoileriamo per non rovinarvi la lettura) l’ha messo nero su bianco. I suoi come l’hanno presa? «Benissimo. In realtà, è stata mia madre a convincermi. “Tu devi scrivere un libro sulla storia della nonna” mi diceva sempre, e io mi scocciavo da morire». Poi cos’è cambiato? «Poi c’è stata un’estate, qualche anno fa, in cui ero in viaggio con mio marito, e ho sentito una forza, un qualcosa che – anche se era l’anno sbagliato – mi diceva “fallo, fallo adesso”. Era una voce martellante, come il mio cognome, e non ho potuto non ascoltarla». Domanda banale, ma necessaria. Sua nonna è la nonna del libro? «Lo è per il 95 per cento, ma avevamo lo stesso bellissimo rapporto dei due personaggi. È stata una nonna speciale, non da lana e uncinetto, ma da lustrini e scarpe da ballo. I miei amici la adoravano, soprattutto quando ci leggeva i fondi di caffè. “È un gioco, lo facciamo per divertirci, non ci devi credere” mi diceva, eppure c’azzeccava sempre. Ora ci sto provando io, ma non è che sia molto brava».
A proposito di lei. Quanto ha messo di suo nella protagonista? «Tanto, devo ammettere. Ci sono la frenesia, l’ansia del domani, di trovare un posto nel mondo, di lasciare una traccia. Sentimenti che prova un po’ tutta la mia generazione». C’è anche la maternità. Che ruolo ha nella storia? «È una parte importante, ma non vorrei si riducesse tutto a un libro sulla maternità. La prima ora del giorno parla più che altro di identità e di radici, di ricerca di sé: tematiche che accompagneranno anche le scritture future». Quindi ci sono già scritture future. «Per ora, sto scrivendo il prossimo libro. Parlerà di donne, di irrisolti, di ciò che non vogliamo e di gabbie che ci costruiamo».
Anche qui ci sarà un segreto? Anna Martellato ride, e – anche se è passata più di un’ora – con la stessa voce squillante dell’inizio ripete: «Sì, anche qui ci sarà un segreto». Tratto da: LaStampa.it Il mondo in un quaderno «Quaderni Aperti» digitalizza quaderni scolastici dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri
Quaderni Aperti è una no profit milanese che da anni lavora a una iniziativa molto particolare: mettere insieme quaderni. A partire da quelli umili e sottili con copertina di cartoncino leggero che erano inquilini immancabili delle antiche cartelle di scuola. Quaderni vissuti sui banchi, prima quelli di legno con piano inclinato spesso dipinto di nero, poi quelli che conosciamo di formica verde. La raccolta comprende esemplari che vanno dalla fine dell’Ottocento sino ai giorni nostri. Si contano ormai a centinaia. Un archivio digitale di oltre 30mila pagine. Per vedere la storia con gli occhi dei più piccoli. I bambini, candidi e spietati osservatori, diventano cronisti e cronachisti inconsapevoli e attraverso esercizi e compitini raccontano. Una riserva di intelligenza, tenerezza e lucidità, messa a disposizione di tutti. L’operazione si basa su un meccanismo semplice e che funziona. I quaderni solitamente vengono prestati dai loro proprietari ma, volendo, possono anche essere donati. L’associazione li legge e seleziona le parti più interessanti da esporre e pubblicare. L’intero quaderno viene digitalizzato. Si procede quindi alla catalogazione delle immagini che diventano parte integrante dell’archivio digitale condiviso. Chi desidera partecipare deve solo inviare i propri quaderni, firmare una liberatoria per autorizzarne l’uso e redigere una breve «scheda-quaderno» che sia di aiuto per la suddetta catalogazione. L’attività parte da una premessa teorica interessante e innovativa. La valorizzazione dei materiali, infatti, avviene a 360 gradi. I quaderni, pur ingenui, sono «testimonianza diretta del passato recente», documenti di prima mano che possono illustrare «metodi educativi utilizzati in diverse epoche ed aree geografiche» e costituire, tra disegni e cornicette, piccole opere dell’ingegno che inducono a riflettere anche il più cinico degli osservatori. «Quaderni Aperti» ha deciso di servirsi di questi testi anche come base ideale di una vasta gamma di attività: mostre, reading,
laboratori, seminari. Spiega sul suo sito: «Consideriamo i quaderni di scuola come un’importante fonte storica (probabilmente l’unica prodotta direttamente dai bambini)». I quaderni, affettuosamente detti quadernini, offrono una prospettiva di indagine privilegiata sulla vita quotidiana di bisnonni, nonni e genitori, in un dialogo intergenerazionale ricco di spunti. Che è anche terreno di ricerca professionale per lo storico o lo studioso. E sicuramente, gradevole scoperta per il cittadino comune. Per raggiungere lo scopo sono state numerose e varie le collaborazioni che si sono succedute negli anni. Dal Dipartimento di Pedagogia della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore al portale web di Smemoranda. Dall’ANPI a Milanosifastoria (che mira alla diffusione della cultura storico-interdisciplinare del territorio). Coinvolte anche la cartiera eco-sostenibile Arbos con la serie di quaderni: «100 anni di quaderni di scuola in 10 quaderni da scrivere e da collezionare» e «La Grande Fabbrica delle Parole», laboratorio di scrittura per gli alunni di elementari e medie. I quaderni hanno offerto suggestioni e occasioni di approfondimento anche su temi gravi e impegnativi. È il caso, a esempio, del seminario che nel 2015 è stato dedicato al lavoro minorile. Percorsi formativi individuati per le scuole si rivolgono a studenti vicini per fascia d’età, con l’intento di interessarli a temi specifici. Alle classi quarta e quinta delle elementari e prima della scuola media viene proposto un unico viaggio attraverso il Secolo breve, in quattro laboratori di due ore ciascuno: «1900-1925: primo Novecento e Prima Guerra Mondiale. 1925-1945: fascismo e propaganda, guerra, Resistenza (con un focus particolare sulla città di Milano). 1950-1975: boom economico, uomo sulla Luna, contestazioni. 1975-2000: la “nuova scuola”, tv e videogame, l’Europa unita». La pubblicazione in rete dei quaderni digitalizzati ha avuto
inizio nel 2008, con il blog «Quadernini». Al 2011 risale l’apertura della pagina Facebook. Un successo crescente che oggi richiama ogni giorno circa 5mila utenti. L’associazione, forte dei risultati ottenuti, ha deciso di ampliare il proprio raggio di azione con il disegno ambizioso di aumentare il numero delle «testimonianze bambine» varcando i confini italiani. Per conseguire questo obiettivo è stata lanciata una campagna di crowdfunding sulla piattaforma «produzionidalbasso»: «Exercise books archive, l’archivio dei quaderni di scuola di tutto il mondo». La collezione internazionale, già ampiamente avviata, oltre l’Italia vede già 26 Paesi toccati dal progetto: Argentina, Australia, Austria, Belgio, Bielorussia, Brasile, Canada, Cina, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Ghana, Giappone, India, Indonesia, Lettonia, Pakistan, Portogallo, Regno Unito, Russia, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Tunisia, Turchia. Per consentire la loro facile fruizione, i materiali vengono tradotti in inglese. I quaderni, fonti di «microstoria», diventano di conseguenza mezzi di coesione speciale, strumenti di memoria e di dialogo tra le culture. Il crowdfunding contribuirà alle spese necessarie per trascrivere, digitalizzare, tradurre, insomma lavorare sui quaderni, e poi restituirli. A sostegno della buona volontà dei sovvenzionatori sono state approntate «ricompense #supermegaspeciali»: graziosi oggetti di artigianato che riportano stampate alcune foto di copertine dei quadernini (borsa a zainetto, astuccio, quaderni eco-compatibili, poster); la compilation dei 10 temi scolastici più divertenti della collezione; e il testo in pdf della lezione di storia «Piccolo Secolo. Il Novecento letto attraverso i temi di scuola dei bambini del passato». Tratto da: LaStampa.it
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