SCENARIO ECONOMIA 24 agosto 2017

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SCENARIO ECONOMIA
   24 agosto 2017

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INDICE

SCENARIO ECONOMIA
  24/08/2017 Corriere della Sera - Nazionale                                             4
  «Norme contro i licenziamenti»

  24/08/2017 Corriere della Sera - Nazionale                                             5
  Draghi difende il piano di stimoli Nella Bce se ne discute la fine

  24/08/2017 Corriere della Sera - Nazionale                                             6
  Schäuble più Europa ma senza debito o eurobond

  24/08/2017 Corriere della Sera - Nazionale                                             7
  La crisi di Air Berlin (che controlla Niki) preoccupa Lauda

  24/08/2017 Il Sole 24 Ore                                                              8
  Cabral: Portogallo aperto agli investimenti esteri (anche cinesi), l'Europa ci segua

  24/08/2017 Il Sole 24 Ore                                                              10
  SE L'UNICA CERTEZZA È IL FLOP

  24/08/2017 Il Sole 24 Ore                                                              11
  Tim-Vivendi, risposta al governo: «Non si applica la golden power»

  24/08/2017 Il Sole 24 Ore                                                              13
  «Reciprocità negli investimenti esteri Geox vuole rafforzarsi in Cina e Giappone»

  24/08/2017 La Repubblica - Nazionale                                                   15
  Draghi: la politica Bce ha salvato l'euro ma la Germania chiede la fine del Qe

  24/08/2017 Panorama                                                                    17
  Tutti i padri del Pil orfano della logica

  24/08/2017 Panorama                                                                    19
  Ma com'è avere un padrone cinese?

  24/08/2017 La Stampa - Nazionale                                                       21
  Fca, entro fine anno lo scorporo di Marelli

  24/08/2017 Il Messaggero - Nazionale                                                   23
  Pa, ecco i virtuosi dei pagamenti C'è anche chi salda entro 6 giorni
SCENARIO ECONOMIA

13 articoli
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 poletti e gli incentivi
 «Norme contro i licenziamenti»
 Francesco Di Frischia

 ROMA Decontribuzione per assumere giovani, ma anche norme anti licenziamento per salvaguardare chi
 lavora e prevenire comportamenti «furbeschi» da parte delle aziende. Ecco alcuni dei contenuti del
 pacchetto di agevolazioni allo studio del governo, anticipati dal Corriere della Sera, che sono stati
 confermati ieri dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, intervenendo al Meeting di CL a Rimini.
 Gli sgravi dovrebbero costare alle casse dello Stato circa 2 miliardi: «Dipende dalla possibilità di utilizzare
 lo strumento del "bonus giovani" su una platea più o meno larga - spiega il ministro -. Per garanzia giovani
 dall'Unione europea abbiamo ottenuto l'innalzamento dell'età da 25 a 29 anni perché la regole comunitarie
 prevedevano fino a 25 anni e noi abbiamo ottenuto di innalzarla fino a 29, ma sappiamo che ogni volta che
 dobbiamo ottenere una regolazione diversa c'è una trattativa da fare ed è ciò che stiamo facendo». Questa,
 per Poletti, «è la strada da percorrere e sulla quale investire - precisa - come tra l'altro ripetuto più volte dal
 presidente del Consiglio: vogliamo fare un passo importante sull'occupazione giovanile, che oggi resta
 l'obiettivo più importante per il nostro Paese».
 Secondo quanto spiegano tecnici vicini al dossier, si discute su un tetto di età tra i 29 e i 32 anni, mentre
 dovrebbe essere esclusa la possibilità per l'azienda di usufruire per lo stesso lavoratore di più sgravi. In
 pratica per avere le nuove agevolazioni non si potrà assumere un lavoratore che è stato in forza
 all'azienda, anche se senza contratto a tempo indeterminato da più di sei mesi. È probabile che si decida di
 prevedere lo sgravio solo per coloro che non hanno mai avuto un contratto a tempo indeterminato e quindi
 non hanno usufruito di agevolazioni. Tornando a parlare di previdenza, a chi gli chiede se nella prossima
 Legge di Bilancio si prevedano norme per uno stop all'innalzamento automatico dell'età pensionabile,
 Poletti risponde: «Nessuno ha chiesto di abolire il collegamento e la connessione: c'è una richiesta di
 discussione su criteri, tempi e modalità. Credo che sia un tema che vada affrontato quando l'Istat ci avrà
 dato i termini effettivi della situazione».
 Intanto finora l'assegno di ricollocazione non ha funzionato: a oggi sono meno di 3 mila i disoccupati in
 Naspi (indennità per chi perde il lavoro) da almeno 4 mesi che hanno chiesto l'assegno che aiuta a trovare
 un nuovo impiego. Tremila sui 30 mila stimati dal governo nella sperimentazione, che evidentemente
 preferiscono continuare a prendere la Naspi.
  Francesco Di Frischia
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
 Allo studio
 Il ministro del Welfare, Giuliano Poletti, ha confermato che il governo sta lavorando alla decontribu-zione
 per assumere giovani,
 ma anche a norme anti licenziamento per salvaguardare chi lavora
 Foto: Al Meeting di Cl Il ministro del Welfare, Giuliano Poletti

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/08/2017 - 24/08/2017                                                            4
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 Draghi difende il piano di stimoli Nella Bce se ne discute la fine
 Pressing di Weidmann (Bundesbank): dal «Qe» serve un'uscita rapida e ordinata
 dal nostro corrispondente Danilo Taino

 BERLINO La discussione sul tapering europeo - cioè sull'uscita dalla politica monetaria non convenzionale
 e di stimolo della Bce - è iniziata. I commentatori si aspettano che Mario Draghi dia qualche indicazione
 durante il seminario della Federal Reserve americana che inizia venerdì a Jackson Hole, nel Wyoming. Ieri,
 intanto, Jens Weidmann ha giocato d'anticipo. Il presidente della tedesca Bundesbank ha sostenuto che gli
 acquisti di titoli sui mercati da parte della Banca centrale europea non dovrebbero essere prolungati, cioè
 dovrebbero finire con l'anno. E che il tapering dovrebbe essere annunciato con chiarezza per fare sì che si
 realizzi «un'uscita ordinata».
 La questione non è irrilevante per almeno due ragioni, una tecnica e una politica. Quella tecnica si riferisce
 al «taper tantrum», il «capriccio della stretta», che si registrò nel 2013 quando la Fed comunicò in qualche
 modo l'inizio della fine della fase di stimolo e i mercati reagirono con una grande volatilità sui mercati di
 tutto il mondo. La Bce dovrà fare meglio, comunicare la riduzione degli acquisti sui mercati in modo che non
 crei spostamenti repentini di investimenti. Evitare sorprese. Quella politica è che la Bundesbank vorrebbe
 una fine vicina e rapida del programma di acquisto titoli, al momento 60 miliardi al mese, ma non è detto
 che gli altri governatori dell'eurozona, Draghi compreso, vogliano muoversi così in fretta: l'inflazione è
 ancora bassa (1,3%) e senza lo stimolo potrebbe diminuire.
   Ieri, Draghi ha tenuto un discorso ai Premi Nobel dell'economia riuniti a Lindau, Germania, ma non è
 entrato nel merito del tapering. Ha difeso e spiegato la politica molto espansiva delle banche centrali dopo
 la Grande crisi del 2008. «Un ampio corpo di ricerca empirica - ha detto - ha sostanziato il successo di
 queste politiche a sostegno dell'economia e dell'inflazione, sia nell'area euro sia negli Stati Uniti».
 Weidmann è invece entrato decisamente nel merito alle scelte che la Bce dovrà fare in autunno sulla
 riduzione dello stimolo monetario. «Secondo le nostre previsioni di giugno - ha sostenuto - non c'è
 l'esigenza reale di prolungare per il prossimo anno il programma di acquisto» dei titoli sui mercati. Gli
 acquisti non dovrebbero «terminare dall'oggi al domani», ma «un'uscita ordinata deve essere programmata
 tempestivamente».
  danilotaino
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
 Quando
  il mondo cambia
  la politica monetaria deve essere aggiustata

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/08/2017 - 24/08/2017                                                        5
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 La Lente
 Schäuble più Europa ma senza debito o eurobond
 Marco Sabella

 Apoche settimane dalle elezioni politiche tedesche del 24 settembre prossimo, il tema della creazione di
 meccanismi più efficaci per la costruzione dell'Unione Europea è al centro del dibattito pubblico in
 Germania.
 Ieri il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble ha affermato attraverso un portavoce «di volere più
 Eurolandia», ma che per questo obiettivo «non sono necessari né nuovi debiti a livello comunitario
 né eurobond». La precisazione punta a chiarire che il governo tedesco non sta lavorando a creare «un
 calderone di miliardi di euro» cui potrebbero attingere i Paesi in difficoltà. La presa di posizione è una
 smentita a quanto affermato dal quotidiano popolare Bild , secondo cui Schäuble starebbe lavorando per
 permettere ai Paesi dell'Europa meridionale di
 attingere al Meccanismo di stabilità europea Esm con
 l'obiettivo «di promuovere la propria economia in periodi negativi e in caso di catastrofi naturali». Una
 posizione che sarebbe stata concepita anche per andare incontro alle richieste francesi. Il portavoce del
 ministero ha aggiunto che Schäuble ha sempre proposto di sviluppare l'Esm di modo che possa svolgere
 un ruolo più incisivo in caso di crisi in Eurolandia, mentre ha anche sempre detto chiaramente che tutti i
 Paesi membri devono attuare le necessarie riforme.
  © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/08/2017 - 24/08/2017                                                    6
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 Sussurri & Grida
 La crisi di Air Berlin (che controlla Niki) preoccupa Lauda

 ( c.d.c. ) Chissà se Michael O'Leary ha mai letto Esopo e lo scherzo del pastore. Ieri l'amministratore
 delegato di Ryanair ha sottolineato che sull'offerta di Air Berlin loro fanno sul serio. «Ryanair è davvero
 interessata a fare un'offerta d'acquisto per Air Berlin e potrebbe comprarla tutta oppure in parte ma finora -
 ha aggiunto il manager - è stata ignorata dai tedeschi». Se anche con Alitalia la compagnia low cost fa sul
 serio, si vedrà. Quel che è certo è che O'Leary considera appetibile Air Berlin per la sua forte posizione nel
 mercato tedesco. Ma non solo. Proprio di recente, infatti, Air Berlin ha trasferito alcune rotte turistiche in
 Spagna e Grecia alla sua controllata Niki, fondata dall'ex pilota di Formula Uno Niki Lauda ( foto ), diventata
 di fatto concorrente di Ryanair in terra tedesca. La commissione dei creditori di Air Berlin ieri ha fatto
 sapere che l'obiettivo «è arrivare il più velocemente possibile a una conclusione solida e mantenere più
 posti di lavoro». Lufthansa ha concretizzato l'offerta esprimendo il suo interesse per Niki e per altre parti di
 Air Berlin. Lufthansa ha, sui collegamenti Germania-Spagna, una quota di mercato di circa il 22,4% contro il
 16,4% di Ryanair. Da qui l'interesse di entrambe, da qui la necessità di sottolineare che si fa sul serio, tanto
 che O'Leary si è detto «preoccupato» che possa diventare un accordo tutto tedesco e
 «anticoncorrenziale». Un problema di concorrenza c'è, visto che Air Berlin e Lufthansa insieme
 controllerebbero circa il 95% delle rotte domestiche in Germania. Dubbi ha espresso anche lo stesso Lauda
 che si è detto preoccupato per la scomparsa della «sua» compagnia e perché Lufthansa non avrebbe più
 concorrenti. La commissione dei creditori si è riunita ieri per la prima volta. I candidati al salvataggio si
 giocheranno le loro carte, senza scherzi e «al lupo al lupo».
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
  L'oro tedesco? Lascia Parigi e torna a Francoforte
 ( m.sab. ) La Bundesbank ha riportato a Francoforte gran parte delle proprie riserve auree, secondo quanto
 comunicato dalla stessa Banca centrale. Le riserve tedesche, pari a 3.378 tonnellate d'oro per un valore di
 circa 140 miliardi di euro, furono trasferite fuori dal Paese all'apice della Guerra fredda, in luoghi come New
 York, Londra o Parigi, ritenuti più sicuri nell'eventualità di una possibile invasione della Germania da parte
 dell'Unione Sovietica. Tuttavia nell'opinione pubblica tedesca è andato crescendo il malcontento per la
 permanenza all'estero delle riserve. A conclusione di un'operazione durata cinque anni la Bundesbank ha
 riportato a Francoforte 674 tonnellate d'oro depositate presso la Banque de France e la Federal Reserve di
 New York. Il deposito di Parigi è stato definitivamente chiuso. Ora nelle camere di sicurezza della banca
 centrale tedesca si trova oltre la metà delle riserve auree pari a 1.710 tonnellate (50,6%). La parte
 rimanente, 1.236 tonnellate (36,6%) rimarrà indefinitamente a New York e 432 (12,8%) a Londra. Durante
 la guerra fredda fino al 98% delle riserve auree tedesche è arrivato a essere depositato all'estero; la fetta
 più consistente, circa 931 tonnellate, fu rimpatriata nel 2000 dalla Bank of England.
  © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/08/2017 - 24/08/2017                                                          7
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 INTERVISTA AL MINISTRO DELL'ECONOMIA PORTOGHESE
 Cabral: Portogallo aperto agli investimenti esteri (anche cinesi), l'Europa
 ci segua
 Gianluca Di Donfrancesco

 Pagina 7 Quando il premier portoghese Antonio Costa promise di tagliare il deficit pubblicoe allo stesso
 tempo di farla finita con l'austerity della Ue, pochi erano pronti a scommettere su di lui. Eppure oggi Lisbona
 rispetta le regole di bilancio dell'Eurozona, con un disavanzo al 2% del Pil,e il suo Governo ha riportato
 pensioni, stipendi e orari di lavoro del settore statale ai livelli pre-crisi. Il Pil cresce del 2,8% annuo, la
 disoccupazione (8,8%) è stata dimezzata in 4 annie il suo sistema produttivo viene premiato da investitori
 come Volkswagen, che ieri ha presentato a Villa Erba (sul lago di Como) il suo nuovo crossover ( si veda
 l'articolo sotto ). Lo produrrà a Palmela, con uno stanziamento di circa 770 milioni di euro che «creerà 2mila
 posti di lavoro diretti e ancora di più nell'indotto», sottolinea il ministro dell'Economia, Manuel Caldeira
 Cabral, nella sede del Sole 24 Ore. Ha qualcosa da dire a chi parlava di voodoo economicsa proposito
 delle promesse del Governo? «I risultati che abbiamo ottenuto dimostrano che era possibile una politica
 alternativa all'austerity radicale predicata in Europa, una politica moderata che ha consentito una crescita
 più alta, che ha permesso di restituire reddito ai lavoratori e ai pensionati e soprattutto concentrata sulla
 promozione degli investimenti. E adesso abbiamo una crescita basata su esportazioni, che aumentano del
 12,5% su base annua, e su livelli record di incremento degli investimenti,a tassi superiori al 9% su base
 annua nei primi mesi del 2017. Il fattore chiave per la ripresa era ricostruire nei cittadini e negli investitori la
 fiducia che in Portogallo avremo regole certe, vale a dire che non ci saranno nuove tasseo misure di
 austerity, ma anche che continueremo a contenere il deficit. Una politica responsabile e moderata, quindi,
 che ci permette di liberare parte del nostro potenziale di crescita, anziché soffocarla, e di creare posti di
 lavoro. Siamo su un cammino di crescita sostenibile, in parte alimentata dai consumi, ma soprattutto
 dall'accelerazione degli investimenti e delle esportazioni. Come risultato Volkswagen ha scelto il Portogallo
 per produrre il suo nuovo modello. Volkswagen è uno dei più grandi esportatori del Portogallo e un grande
 investitore. Il fatto che abbia deciso di raddoppiare la propria capacità produttiva qui indica diverse cose: la
 primaè che hanno fiducia nel Paese, la seconda è che la fabbrica che avevano in Portogallo è competitiva,
 la terza è la competitività generale del Paese. Questo vale per Volkswagen come per gli altri gruppi che
 stanno potenziando la loro capacità produttiva in Portogallo, come Renault, Psa e Mitsubishi, che ha scelto
 il Portogallo per produrre il suo nuovo veicolo commerciale completamente elettrico. Ma ci sono molti altri
 esempi, come Bosch o Thales, concentrati sull'auto e sulla componentistica, ma anche nell'engineeringe
 nell'aeronautica. Quello cheè interessante è che il Portogallo sta diventando un hub nella supply chain della
 componentistica e sta attraendo i fornitori tedeschi e francesi dei grandi gruppi dell'auto. Ma ci sono anche
 nuovi investimenti in altri settori, compreso lo sviluppo del software, con legami importanti con le università:
 Bosch ha creato 400 posti di lavoro nel suo centro ricerche nel Nord del Portogallo. Germania, Franciae
 Italia sono preoccupate dalle acquisizioni cinesi in Europa e stanno chiedendoa Bruxelles nuove regole per
 proteggerei settori strategicie tecnologici. Qual è la posizione del Portogallo? Noi siamo aperti a
 investimenti, commercio e a chiunque voglia venire in Portogallo: siamo un Paese molto aperto e siamo
 molto orgogliosi di esserlo. La nostra posizione non cambierà e vorremmo che l'Europa la condividesse:
 vogliamo un'Europa aperta e vogliamo che l'Europa faccia da guida per il mondo. Abbiamo molti
 investimenti cinesi, che in Portogallo hanno trovato una porta per entrare nel mercato europeo. Non sono
 venuti qui per rubare le nostre tecnologie. Anzi hanno aiutato le nostre aziende a crescere e a espandersi
 nel mondo. Le capacità finanziarie cinesi si sono combinate con la capacità dei portoghesi di lavorare in
 contesti culturali molto diversi. Comprendo alcune delle preoccupazioni che Italia o Germania possono
 avere e penso che forse dovremmo rivedere le regole Ue sulla concorrenza. Ma in nessun caso per

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 rendere l'Europa meno aperta agli investimenti. L'Europa dovrebbe essere in grado di proteggere la propria
 tecnologia, ma forse in un modo diverso piuttosto che bloc- cando gli investimenti da altre aree economiche.
 In una fase in cui vediamo negli Stati Uniti segnali di chiusura, l'Europpa dovrebbe dare un esempio di
 apertura. Il Portogalloè pronto alla fine del Qe della Bce? Dobbiamo esserlo,è per questo che stiamo
 lavorando per mettere in ordinei nostri conti pubblici. Abbiamo già un surplus primarioe il deficit scenderà
 all'1,5% del Pil quest'anno e siamo impegnati a tagliare il debito (oggi al 130% del Pil, ndr ). È interessante
 anche che stia significativamente aumentando il debito detenuto dai portoghesi, segno che stiamo
 riuscendo a ricostruire la fiducia dei cittadini nel nostro debito pubblico. In Portogallo i movimenti populisti
 non hanno grande presa. Come se lo spiega? Di fronte alla crisi, i portoghesi non hanno cercato altria cui
 dare la colpa. Abbiamo riconosciuto che c'erano cose che dovevamo cambiare e ci siamo impegnati a
 fondo nelle riforme strutturali, con il sostegno dei cittadini. Questo non significa che eravamo d'accordo con
 tutto quello che la Ue chiedeva. Penso che la Ue abbia sbagliato molto nella risposta alla crisi e ora stiamo
 negoziando all'interno della Ue per cambiare quello che crediamo vada cambiato. Ma non abbiamo
 aspettato che la Ue cambiasse per modernizzaree semplificare la macchina statale e per le altre riforme
 che servivano alle imprese e alle generazioni più giovani perché avessero prospettive di lavoro.E abbiamo
 molto insistito su un modello di crescita inclusiva. I partiti tradizionali, poi, si sono rinnovati e sono riusciti a
 dare risposte accettabili ai problemi della gente. Ma dobbiamo continuare a lavorare per migliorare il
 sistema politico ed essere sempre più trasparenti perché nessunoè al sicuro dal populismo. Il Governo ha
 fatto promesse che potevano essere mantenutee le ha mantenute. Il Portogallo ha dimostrato che
 un'alternativa c'è sempre, ma questo non significa che si può fare tutto quel che si vuole: bisogna costruire
 alternative realistiche senza scommettere sul populismo.
 La ripresa
 2,8
 2,2
 1,9 1,7 Pil, dati trimestrali, variazione percentuale annua 3,5 2,5 0,5
 Fonte: Ine 2015 PORTOGALLO EUROZONA 1,7 1,9 1,9 1,6 III 1,4 IV 2016 1,7 0,9 1,0 II 2,0 1,7 1,7 III 1,9
 IV 2,8 1,9 2017 II
 9
 Il Portogallo ha aumentato le sue esportazioni del 12,5% su base annua. Maèa livelli record anche
 l'incremento degli investimenti,+ 9% su base annua nei primi mesi del 2017
 Foto: REUTERS Ministro Manuel Caldeira Cabral

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/08/2017 - 24/08/2017                                                            9
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 SE L'UNICA CERTEZZA È IL FLOP
 Guido Gentili

 Dal Piano Marshall per il lavoro dei giovani, ci si poteva aspettare- data la posta in gioco, ad altissima
 sensibilità sociale - un annuncio forte da Rimini del ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Ma così nonè stato.
 Il ministro, nel solco di quanto sembra maturarea livello tecnico e politico in vista della manovra, ha parlato
 di dimezzamento della contribuzione, di un impatto di 2 miliardi del bonus, di partita ancora "aperta" sui
 limiti di età dei beneficiari, di 300 mila nuovi posti di lavoro. Infine ha confermato che- sempre peri giovani-è
 allo studio la "pen- sione di garanzia". Tutto quadra? No,a partire dai numeri speranzosi della carica dei 300
 mila. E più che la scossa per dare un futuro di lavoro vero ai giovani si vede all'orizzonte la campagna
 elettorale, dove la ricerca del consenso distribuisce più mance che terapie utili per rafforzare la ripresa.
 Giovani, meno giovanie anziani. Ce ne sarà per tutti, e anche il presidente dei deputati di FI, Renato
 Brunetta, lo fa capire nella sua letteraa pagina 5. Tante piccole promesse. Ma una cosa grandee garantita,
 se davvero finirà così, la potremo mettere agli atti: un flop.

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 Tlc. Doppia memoria a Palazzo Chigi: i francesi non controllano il gruppo italiano
 Tim-Vivendi, risposta al governo: «Non si applica la golden power»
 Il giudizio sui poteri speciali atteso a inizio settembre IL DOCUMENTO Non sono in discussione i vincoli per
 la sicurezza nazionale e la difesa La notifica a Bruxelles irrilevante ai fini della vicenda
 Andrea Biondi Celestina Dominelli

 Il messaggio è chiaro: Vivendi non controlla Telecom Italia né l'avvio dell'attività di direzione e
 coordinamento da parte del colosso francese sulla telco ha comportato un mutamento degli assetti
 proprietari o un trasferimento degli attivi strategici oggetto della disciplina della golden power. Ergo: non
 esistono i presupposti affinché il governo eserciti le possibili misure interdittive previste dalla normativa.
 Nella corposa documentazione fatta recapitare ieri al gruppo di coordinamento di Palazzo Chigi, lo stuolo di
 legali assoldato dalle due società avrebbe sostanzialmente ribadito quanto affermato in queste settimane e
 già evidenziato nel parere pro-veritate inviato agli inizi di agosto alla Presidenza del consiglio dei ministri e
 firmato da due giuristi come Sabino Cassesee Andrea Zoppini. Da parte sua, Telecom ha trasmesso ai
 tecnici del governo una nuova memoria e un aggiornamento di quel documento, mentrei francesi di Vivendi
 si sono affidati allo studio Chiomenti e all'avvocato Filippo Modulo per costruire la propria difesa messa
 nero su bianco in tre diversi pareri pro-veritate. Con una conclusione non molto dissimile: rimarcare che le
 norme sui poteri speciali, relativamente alle telecomunicazioni, non si applicano ai soggetti comunitari e che
 comunque l'avvio della direzione e coordinamento di Vivendi non equivalea una presa di controllo ma va
 letta come un mero fatto giuridico. La replica di Tim, rispetto alla richiesta del gruppo di coordinamento che
 chiama in causa - diversamente da quanto fatto dal ministero dello Sviluppo Economico nella richiesta di
 avvio dell'istruttoria -, la notifica formulata a marzo, ai fini antitrust, da Vivendi alla Commissione europea del
 controllo «de facto» sul gruppo di tlc, parte chiarendo innanzitutto l'ambito di applicazione della golden
 power. Secondo l'azienda, infatti,a questo caso non si applicherebbero i poteri speciali relativi ai comparti
 della sicurezza nazionalee della difesa dal momento che gli attivi in capoa Tim- e in particolare alla sua
 controllata Telecom Sparkle che gestisce 600mila chilometri di cavi sottomarini in cui viaggiano dati
 sensibili- non rientrebbero,a detta della società, tra quelli contemplati da quella parte della normativa sui
 poteri speciali. Quanto al nodo del controllo notificato da Vivendi a Bruxelles, per i legali di Tim la questione
 sarebbe irrilevante alla luce della disciplina della golden power perché l'articolo2 del decreto 21 del 2012,
 quello relativo ai poteri speciali nell'energia, nei trasporti e nelle tlc, non si applica ai soggetti comuni- tari e
 dunque non potrebbe essere fatto valere nei confronti di Vivendi. La società transalpina comunque,
 rammenta la memoria, ha rimarcato più volte (non ultimo alla Consob nelle scorse settimane) di non
 controllare ai fini civilistici l'azienda di tlc. Né, si legge ancora nel documento, l'avvio dell'attività di
 direzionee di coor- dinamento dei francesi, su cui si era appuntata l'attenzione del Mise, ha modificato la
 disponibilità degli attivi strategici che s'incrociano con la normativa sul golden power. In sostanza, è la linea
 delle due aziende assolutamente allineate su questo, la direzione e coordinamento è un fatto che attiene
 agli assetti organizzativi e amministrativi dell'impresa, al pari dell'attribuzione di deleghe al presidente
 Arnaud de Puyfontaine e della nomina di Amos Genish a direttore operativo della società, com'era stato
 evidenziato anche nel parere di Zoppini e Cassese. Nessun mutamento significativo, quindi, degli assetti
 proprietari o della titolarità degli asset interessati dalla disciplina dei poteri speciali. Fin qui, dunque, la
 risposta di Tim-Vivendi. Ora la palla passa al gruppo di coordinamento che, nel frattempo, ha acquisito
 anche gli elementi tecnici delle amministrazioni competenti per materia. In sostanza, a Palazzo Chigi sono
 arrivate anche le relazioni dei ministeri interessati(Sviluppo Economico, Difesa, Interno ed Economia) che
 serviranno a chiudere questa prima fase. L'obiettivo del gruppo è di concludere le proprie valutazioni per gli
 inizi di settembre in modo da consegnare alla presidenza del Consiglio tutti gli elementi necessari per il
 verdetto finale.

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 Telecom Italia Andamento del titolo a Milano 0,89 0,86 0,83 0,80 ?,?? 0,844 24/7/17 0,817 23/8/17
 Foto: IMAGOECONOMICA
 Foto: Il doppio riassetto. Telecom Italia verso nuovi equilibri industriali e di governance

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 Mario Moretti Polegato Fondatore e presidente di Geox INTERVISTA
 «Reciprocità negli investimenti esteri Geox vuole rafforzarsi in Cina e
 Giappone»
 «Niente protezionismo: l'Europa deve accorpare le sue eccellenze per competerea livello globale»
 Katy Mandurino

 «Non dobbiamo aver paura degli investimenti extraeuropei in Italia o in Europa; siamo in un'economia
 globalizzata dove decide il mercato. E dove si deve tener conto che questi investimenti possono anche
 essere utili a sviluppare e potenziare nuovi settori. Detto questo, investire nel mercato richiede il rispetto di
 regole internazionali e del principio di reciprocità. E, nel caso in cui si parli di investimenti che impattano
 con settori strategici, è necessario un controllo europeo, ma che sia regolamentato dall'istituzione
 comunitaria, non dal singolo stato membro. Così come avviene negli Stati Uniti o in Cina». È diretto e
 pragmatico - come nel suo stile - Mario Moretti Polegato, presidente di Geox, dopo che Italia, Francia e
 Germania hanno condiviso un documento che chiede alla Commissione Europea un rafforzamento dei
 poteri d interdizione verso Paesi che operano secondo regole non di mercato. L'imprenditore veneto, a
 capo di un impero conosciuto in 115 Paesi, da 900 milioni di fatturato e 30mila dipendenti, parla di controllo
 degli investimenti ma è contro ogni limitazione e ogni protezionismo. Presidente, come ci si può difendere?
 Diventando più forti. Quello che dobbiamo evitare è di cadere nella trappola del protezionismo. L'Europa
 deve accorpare le sue eccellenze per competere con gli Stati Uniti, con la Cina, con l'India, e soprattutto
 creare dei campioni europei capaci. La globalizzazione non si ferma, è un processo inarrestabile e le
 decisioni europee non possono più essere solo politiche o governative, ma anche decisioni di mercato.
 Geox è certamente un campione europeo. E anche di investimenti. Il mercato impone di non fermarsi mai e
 di dare al consumatore ciò che chiede. Geox sta procedendo da una parte ad una ottimizzazione della rete,
 con crescita sul canale multimarca, che stimiamo possa essere dell'8%, e online; registriamo ottime
 performance in Russia e nell'Est Europa, ma anche in Cina (l'export è al 70%, ndr). E soprattutto cresciamo
 nell'e-commerce, salito del 30% nei primi sei mesi del 2017 rispetto a tutto il 2016. Dall'altra parte, ci stiamo
 focalizzando sull'aumento della redditività e sul costante controllo dei costi. Stiamo procedendo al
 rafforzamento della squadra manageriale, soprattutto in Cina e Giappone, mercati dove vogliamo investire
 di più, anche per bilanciare l'asset del brand. In questi Paesi manterremo i nostri canali di vendita: una
 parte sui multimarca e una parte sull'e-commerce. Quale sarà il bilanciamento tra queste parti ce lo dirà il
 mercato, ci adegueremo a quello che chiederà il consumatore. Su cosa puntate? Abbiamo sempre
 privilegiato il concetto di benessere attraverso la tecnologia della respirazione, su cui continuiamo a
 lavorare con nuovi brevetti. Ora vogliamo entrare di più nel mercato femminile, che abbiamo seguito poco
 rispetto al mondo del bambino e dell'uomo. Il mercato della calzatura femminile copre più del 60% del totale
 del settore, mentre il restante 40% è frazionato tra uomo e bambino. Ma non vogliamo fare moda; piuttosto,
 introdurre uno stile. La moda è qualcosa che passa, è a rischio, lo stile so- no tutte le cose che ci
 abbelliscono e che ci fanno star bene. Avete alle spalle una cassaforte, la Lir, holding della famiglia
 Polegato, molto solida. Pensate a investimenti imminenti? La Lir (che detiene il 71% di Geox e il 100% di
 Diadora e del gruppo immobiliare Domicapital, ndr) ha una liquidità importante, circa 390 milioni di cash.
 Denaro finanziario puro che siamo disposti ad investire quando il mercato si sarà assestato. Ora ci sono
 troppe turbolenze, sia nel settore industriale, che in quello immobiliare o finanziario. Se si presenta una
 occasione per noi interessante la cogliamo; per il momento stiamo a guardare e restiamo conservativi. Lei
 partecipa ogni anno all'appuntamento di Davos, insegna nelle università internazionali, parla di innovazione
 a tutto tondo. Sappiamo ancora essere innovativi in Italia? Abbiamo inventato la pizza, ma poi le catene
 internazionali le ha fatte Pizza Hut, siamo il popolo del caffè, ma il business è di Starbacks, con il gelato è
 successo qualcosa di simile. Voglio dire: continuiamo a generare idee, innovazione, progetti, cultura; fa

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 parte del nostro dna. Ma poi non sappiamo trasformare tutto questo in vero business. Non è imputabile al
 singolo ma ad una mancanza di cultura sull'importanza della proprietà intellettuale, dei brevetti, concetti che
 devono entrare nelle scuole. Non sono le idee che mancano, è la progettualità che porta quelle idee al
 successo, è il metodo.
 L'AZIENDA La storia Geox nasce nel 1995 fondata da Mario Moretti Polegato. l'imprenditore escogitò la
 soluzione di forare la suola di gomma delle sue scarpe, per permettere al piede di respirare durante
 un'escursione sotto il sole di Reno, in Nevada. La presenza geografica Geox nasce in Italia ma con una
 forte vocazione internazionale: oltre il 65% dei ricavi è realizzato all'estero, in più di 110 paesi. Il gruppo
 attua una strategia distributiva diversificata nei singoli mercati al fine di promuovere in modo coerente il
 marchio presso il consumatore finale; Geox (dati 2015) è presente in circa 10.000 punti vendita multimarca
 e 1.157 negozi monomarca.
 Lo spaccato dei ricavi Geox
 451.120
 450.275 Ricavi in migliaia di euro I SEMESTRE 2016 30.076 6,7% 195.811 43,5% 143.609 31,9% 80.779
 17,9% Nord America Europa* Italia Altri paesi I SEMESTRE 2017 28.434 6,3% 198.949 44,1% 137.032
 30,4% 86.705 19,2% (*) Europa include: Austria, Benelux, Francia, Germania, Gran Bretagna, Penisola
 iberica, Scandinavia, Svizzera Fonte: dati societari
 Foto: FOTOGRAMMA
 Foto: Made in Italy. Mario Moretti Polegato, presidente di Geox

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 La ripresa europea
 Draghi: la politica Bce ha salvato l'euro ma la Germania chiede la fine del
 Qe
 Il governatore: "Un successo le scelte non convenzionali di Ue e Usa sulla moneta" La Bundesbank preme
 per arrestare gli acquisti: "Nessun bisogno di proseguire nel 2018" Domani il banchiere italiano a Jackson
 Hole Atteso un discorso sul tema dello sviluppo
 DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE TONIA MASTROBUONI

 BERLINO. Mario Draghi non è un appassionato di pesca come Paul Volcker, ma quando ci va, sembra
 considerare Jackson Hole un appuntamento importante. Negli ultimi due anni ha deciso di saltare l'annuale
 simposio della Fed del Kansas, quest'anno ci torna per parlare di crescita. E gli economisti, gli analisti e gli
 investitori di tutto il mondo penderanno dalle sue labbra, alle nove di sera di domani. Tutti sperano di avere
 una qualche indicazione sulle prossime mosse di politica monetaria della Bce.
  Creato all'inizio degli anni Ottanta tra i monti del Wyoming per attrarre geniali banchieri centrali con la
 passione per le trote, come l'allora presidente della Fed Volcker, Jackson Hole potrebbe riservare qualche
 sorpresa. Tre anni fa, Draghi pronunciò lì un discorso considerato storico. Ammise che il lato dell'offerta,
 alimentato dalle sue politiche monetarie, non bastava a risollevare le sorti dell'economia europea. Ci voleva
 una forte spinta della domanda, ci volevano investimenti, consumi, soprattutto da parte di Paesi con margini
 nei conti pubblici. Ogni riferimento alla Germania non era casuale.
  Dagli anni '80 Jackson Hole è diventato uno degli appuntamenti più importanti per discutere di politica
 monetaria, anche se il contesto si è capovolto. Volcker ingaggiò la sua battaglia della vita contro
 un'inflazione pesante che opprimeva l'economia americana, vincendola a suon di rialzi dei tassi. Oggi molti
 economisti, anche nella Bce, si interrogano su un fenomeno opposto e inquietante, che insinua uno
 scenario 'giapponese'. La ripresa c'è, negli Stati Uniti e nell'area dell'euro, e si sta irrobustendo. Ma non sta
 portando con sé un aumento dell'inflazione altrettanto solido - a luglio è risultata inchiodata all'1,3% - né
 una ripresa dell'occupazione a ritmi soddisfacenti.
  Il timore di una "secular stagnation", di una stagnazione secolare, non è più soltanto oggetto di dotte
 disquisizioni accademiche.
  È uno spettro che si aggira per l'Europa. Draghi potrebbe dunque pronunciare di nuovo un discorso forte,
 sul tema della crescita. Ma sulla traiettoria futura delle sue mosse di politica monetaria, molti fattori
 sembrerebbero indurlo ancora alla prudenza. Oltre all'inflazione debole, che sconsiglierebbe
 un'accelerazione dell'uscita dall'emergenza, Draghi affronta un altro nemico che potrebbe alimentare la sua
 cautela: un euro troppo forte, che potrebbe indebolire il recupero economico in corso. Insomma, anche se i
 mercati segnalano che la scarsità di bond tedeschi e portoghesi potrebbe costringere la Bce a ridurre
 comunque il ritmo degli acquisti, non è detto che Draghi se ne faccia influenzare.
  Ieri il banchiere centrale italiano, intanto, si è tolto qualche sassolino dalla scarpa davanti a una platea
 prevalentemente tedesca, quella del simposio dei premi Nobel di Lindau. Draghi ha ricordato l'efficacia di
 alcune scelte di politica monetaria contestate dalla Bundesbank e spesso criticate dal governo Merkel,
 persino bocciate dalla Corte costituzionale di Karlsruhe (è il caso, a Ferragosto, del verdetto sul
 Quantitative easing). «Una robusta letteratura empirica - ha scandito dimostra il successo della forward
 guidance», l'indicazione sulla traiettoria di politica monetaria introdotta con la Grande crisi. Soprattutto,
 testimonia l'efficacia del Qe, il Quantitative easing, «nel sostegno dell'economia e dell'inflazione sia negli
 Usa sia nell'area dell'euro».
  Le Banche centrali, ha precisato Draghi, «hanno riparato la rottura dei meccanismi di trasmissione
 finanziaria» che a lungo hanno impedito al credito di funzionare, ma che hanno anche minacciato l'euro. In
 particolare il contestato scudo anti spread Omt - su cui la Bundesbank ha votato contro - ha «spezzato il
 rischio ridenominazione», un modo tecnico per dire la fine dell'euro. Insomma, «quando il mondo cambia
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 come dieci anni fa, la politica monetaria deve essere adeguata» e in grado di adottare «uno sguardo
 lucido» senza difesa «dei paradigmi passati» che hanno spesso obnubilato la Bundesbank. E proprio Jens
 Weidmann è tornato ieri a far sapere la sua opinione sul Qe. Siamo d'accordo, ha detto in un'intervista alla
 Boersen-Zeitung, che l'uscita dagli acquisti dovrà essere «graduale» per non scombussolare i mercati.
 Tuttavia il tedesco ha precisato di aver dedotto «dalle stime di giugno» che «non c'è un bisogno acuto di
 proseguire con le attuali misure», in particolare di «continuare gli acquisti di bond anche l'anno prossimo».
 Weidmann conviene che su questa delicata partita «un piano chiaro» sia importante, nella comunicazione
 con i mercati. Forse anche l'unità d'intenti, per una volta.
  4.500 4.000 3.500 3.000 2.500 2.000 Che cosa è il Quantitative easing Il Quantitative easing, o
 alleggerimento monetario, è il programma con cui la Bce acquista titoli di debito degli Stati e delle aziende
 per stimolare l'economia Gli acquisti "gonfiano" la Banca centrale (Bilancio Bce in miliardi di euro) 1.500
 2010 dic 60 mld al mese Il ritmo degli acquisti della Bce 2011 dic 2012 dic Marzo 2015 la data di inizio del
 Qe 2013 dic 2014 dic 2015 dic 4.265, 7 miliardi (agosto) 2016 dic 2017 dic 3% 2% 1% 0% Obiettivo 2%
 ancora lontano L'obiettivo ultimo della Bce è quello di por tare l'inazione in prossimità della soglia del 2%.
  Gli ultimi dati mostrano che il livello dei prezzi "core" dell'eurozona, al netto di alimentari e energia, è
 ancora distante 2010 2011 2012 2013 2014 2015 Marzo 2015 La data di inizio del Qe 2016 +1,3% (luglio)
 2017 F e: B ©RIPRODUZIONE RISERVATA
 Foto: EUROTOWER Il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/08/2017 - 24/08/2017                                                       16
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  Tutti i padri del Pil orfano della logica
  La buona crescita economica del secondo trimestre è stata rivendicata dagli esponenti dell'esecutivo. E
  anche da quello precedente. Ma questa corsa ad accaparrarsi i meriti, nasconde alcuni dati negativi e
  dimostra una certa ignoranza.
  Luca Ricolfi

  di pochi giorni fa la notizia, comunicata dall'Istituto centrale di statistica, che la velocità di crescita del Pil,
  calcolata fra il 2° trimestre 2017 e il 2° trimestre 2016, avrebbe toccato l'esaltante tasso dell'1,5 per cento
  (più 0,4 per cento rispetto al trimestre precedente), un valore più alto di quelli fin qui previsti dal governo,
  dalla Commissione europea, dalla Banca d'Italia, dalla Confindustria, dall'Ocse e dal Fondo monetario
  internazionale. Su questa notizia si sono immediatamente lanciati, con un balzo felino, i politici del governo
  attuale e quelli del governo precedente, peraltro in molti casi le medesime persone. Il più giulivo (e prolisso)
  è apparso Matteo Renzi, che con il suo tipico linguaggio-telegramma scrive: «Il tempo è galantuomo: basta
  saper aspettare. Oggi i dati Istat dicono che la strategia di questi anni produce risultati. Flessibilità, non
  austerity. Giù le tasse a ceto medio e imprese che investono. Scommettere sulla crescita, non sul declino. I
  risultati arrivano, il tempo è davvero galantuomo. Oggi sarebbe facile domandarsi: chi aveva ragione ad
  alzare la voce in Europa e a combattere per la flessibilità? Sarebbe facile, ma non servirebbe a nulla. I
  millegiorni hanno rimesso in moto l'Italia, ma noi vogliamo correre. Perché questo Paese ha tutto per
  farcela. Non ci serve che ci diano ragione per il passato, ci serve che ci diano ascolto per il futuro. Noi ci
  siamo». Più concisa Maria Elena Boschi, che constata: «Con i governi di prima il Pil era meno 2 per cento.
  Oggi il Pil cresce più del previsto. Avanti, insieme». È giustificato tanto entusiasmo? Sì e no. Sì, perché
  ovviamente è meglio crescere dell'1,5 per cento che dell'1. Ma soprattutto perché, rispetto a qualche anno
  fa, la situazione dei bilanci familiari è effettivamente migliorata, e di molto: quando Renzi ha preso le redini
  del governo, disarcionando Enrico Letta, le famiglie che non arrivano alla fine del mese erano il 30 per
  cento, oggi sono esattamente la metà, più o meno quante erano prima della crisi (mi sono sempre chiesto
  perché questo dato, così favorevole all'esecutivo, non venga mai citato dai lodatori del renzismo). No,
  perché basta un rapido confronto con gli altri Paesi europei per rendersi conto che andiamo malissimo. Il
  nostro tasso di crescita resta fra i più bassi in Europa e, per la prima volta dacché esistono statistiche del
  lavoro, l'Italia risulta il Paese europeo con il tasso di occupazione più basso, un primato che il nostro Paese
  ha conquistato precisamente a conclusione del triennio renziano. Ma lasciamo da parte il gioco del
  bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, che ognuno gioca a modo suo. E lasciamo anche da parte la ridicola
  pretesa dei governanti di stabilire nessi causali, come se non sapessero (ma forse davvero non lo sanno),
  che là dove loro enunciano certezze gli specialisti di «analisi delle politiche pubbliche» (così si chiama la
  disciplina che si occupa di stabilire se una politica pubblica produce o no i risultati che vuole raggiungere)
  quasi sempre sono costretti a riconoscere, mestamente, che non ci sono abbastanza dati per stabilire se
  una certa politica ha prodotto certi effetti oppure no. Quel che trovo davvero interessante nelle chiacchiere
  sul Pil è che, non solo in questa occasione, ma quasi sempre e quasi universalmente, le previsioni dei
  centri studi più accreditati non si realizzano. E questo non solo, come è comprensibile, quando si tratta di
  prevedere quanto crescerà un Paese l'anno prossimo, o fra due anni, o fra tre, ma persino quando si tratta
  di prevedere quanto un Paese crescerà nell'anno in corso. Una volta mi sono divertito a confrontare i tassi
  di crescita previsti dai (presumo sofisticati) modelli econometrici degli organismi internazionali con le
  previsioni di quello che mi piace chiamare il «modello econometrico dell'uomo della strada», ossia un
  modello che dicesse semplicemente: nell'anno t+1 ogni Paese crescerà più o meno come è cresciuto
  nell'anno t. Ebbene, le previsioni di un tale, ultra-semplicistico, modello non erano né migliori né peggiori di
  quelle ufficiali, a conferma che nessuno è in grado di fare previsioni affidabili. Del resto, come si fa a non
  restare sconcertati quando, in un mondo in cui la crescita è molto bassa, in pochi mesi si passa da una
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  previsione dello 0,8 per cento a una previsione dell'1,5? Su questo, forse, non sarebbe male che il mondo
  dell'informazione facesse un po' di autocritica. Che un Paese vada meglio delle previsioni non è, di per sé,
  una buona notizia, come non lo è che vada peggio. Se la Cina cresce del 6 per cento anziché del 7 previsto
  dagli esperti non vuol dire che l'economia cinese vada male. E se un Paese come la Grecia cresce dello
  0,2 in più rispetto alle previsioni degli esperti non vuol dire che la sua economia sia in salute. Che
  l'ottimismo e il pessimismo sullo stato di un'economia siano regolati dagli scostamenti, positivi o negativi,
  rispetto alle previsioni degli esperti è semplicemente illogico. Se una nazione va meglio del previsto, la vera
  notizia non è che l'economia del Paese funziona, ma che le previsioni erano sbagliate, come quasi sempre
  accade. Per dire che un Paese va bene o va male la prima regola è confrontare l'andamento dei suoi
  «numeri» - reddito, occupazione, debito pubblico, esportazioni - con quelli degli altri Paesi. Una regola che,
  guarda caso, nessun uomo di governo italiano si azzardaa seguire.2,3%
  La crescita media del Pil europeo nel secondo trimestre 2017. Fanalino di coda il Belgio (+1,4%), penultima
  l'Italia (1,5%).
  Per il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan si è trattato del tasso di crescita economica «più sostenuto
  dall'inizio della crisi».
  Foto: Per il premier Paolo Gentiloni la crescita del Pil «è una buona base per rilanciare economia e posti di
  lavoro».
  Foto: Il segretario del Pd ed ex premier Matteo Renzi ha commentato che «il tempo è galantuomo: basta
  saper aspettare».

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  Ma com'è avere un padrone cinese?
  Dal 2012 Weichai ha iniettato 500 milioni di risorse nel gruppo nautico Ferretti. E dopo otto anni e 24 nuovi
  modelli l'azienda è tornata all'utile. Un mix di capitale asiatico e know how tricolore che sta funzionando.
  L'amministratore delegato Alberto Galassi ci racconta perché.

  a che cosa mi ripetono i nostri azionisti cinesi ogni volta che li incontro? Di continuare a investire in
  tecnologia e ricerca e sviluppo. Non lo chiedono, lo pretendono». I cinesi di cui parla l'avvocato Alberto
  Galassi, dal 2014 amministratore delegato di Ferretti Group, sono i vertici di Weichai, tra i maggiori gruppi
  manifatturieri del Celeste impero con un fatturato di 20 miliardi di dollari, che nel gennaio 2012 hanno
  rilevato gli yacht «made in Forlì» colpiti (e quasi affondati) dalla mareggiata della crisi economica e dalle
  scelte sbagliate delle precedenti proprietà. Da allora Weichai non ha mai smesso di cementare la solidità di
  Ferretti iniettando 500 milioni di euro, compreso un aumento di capitale da 80 milioni, di cui 50 sono finiti
  proprio in ricerca e sviluppo. Uno sforzo finanziario enorme, che ha portato negli ultimi tre anni al lancio di
  24 nuove barche (nove modelli Riva, sei Ferretti, cinque Pershing e quattro Custom Line) e al primo
  esercizio in utile dopo otto di perdite. Lo scorso anno il valore della produzione del gruppo Ferretti è stato di
  562,5 milioni di euro, il 36 per cento in più del 2015, con un utile netto di 14,1 milioni e «nei primi sei mesi di
  quest'anno i profitti netti sono già balzati a 14,3 milioni, con il 70 per cento del giro d'affari legato a nuovi
  modelli» aggiunge Galassi. Risultati che mostrano come in questo caso l'innesto di capitali asiatici su know
  how italiano stia funzionando alla perfezione, superando il luogo comune degli investitori cinesi più
  interessati alla quantità che alla qualità e desiderosi soltanto di spostare preziose produzioni in Asia.
  Nessun «pericolo giallo» per Ferretti? I cinesi non sono stupidi, sanno molto bene che cosa non devono
  fare. Per questo non entrano mai nel merito del prodotto, ma pretendono solo che non si fermino gli
  investimenti in tecnologia, ricerca e risorse umane. Anche perché chi si occupa del prodotto in Ferretti è già
  il massimo. La gestione dello sviluppo di nuovi modelli è stata affidata all'ingegner Piero Ferrari (figlio del
  mitico Drake, ndr) che nel 2016 con la sua holding F Investments ha rilevato il 13,2 per cento di Ferretti da
  Weichai. Difficile avere un partner migliore nel campo dello stile made in Italy. Ma i cinesi avranno qualche
  difetto... Sicuramente l'ossessione per il controllo. Le faccio un esempio: ogni 10 del mese vogliono un
  report molto dettagliato sull'attività del mese precedente. E su questo non transigono. Eppure quando
  Ferretti finì in mani asiatiche, in molti pensarono che l'azienda era arrivata al capolinea. È vero, però mi
  lasci dire che in quel momento nessun investitore italiano si fece avanti, mentre ora in tanti vorrebbero
  entrare nel capitale di un gruppo risanato che macina utili. Ma non ci sono spazi. Certo, all'inizio avere
  Weichai come azionista ci ha dato grande credibilità e ha spinto le vendite in Asia. Adesso, invece,
  vendiamo perché siamo noi e siamo bravi in quel che facciamo. Quanto vale per voi il mercato asiatico?
  Circa il 20 per cento del fatturato, contro il 55 di Europa e Middle East e il 25 delle due Americhe. E
  prevediamo di crescere ancora anche se le assicuro che l'armatore cinese è un vero osso duro. In che
  senso? Beh, i cinesi non prendono il sole, è raro che vadano al mare e soprattutto non amano navigare. La
  barca la utilizzano per rappresentanza, mai per dormirci e spesso al posto della cabina armatoriale creiamo
  un grande salone per il karaoke. Alcuni, poi, non vogliono neppure i motori tanto lo yacht non uscirà mai dal
  porto. Più su misura di così... È per questa creatività che la nautica italiana sta vivendo un momento d'oro.
  Il mercato cresce a una cifra e noi a due quindi siamo un po' più bravi degli altri. Detto questo, sono
  contento perché c'è mare per tutti. Il prossimo 21 settembre aprirà il Salone nautico di Genova, ma Ferretti
  lo diserterà per la seconda volta. Molti vi criticano per questa scelta esterofila. Questa diatriba su Genova è
  davvero la cosa più lontana che ci sia dai miei pensieri. Ma stavolta le faccio io una domanda: a che cosa
  servono le fiere di settore? A trovare nuovi clienti, immagino. Appunto! Ma se a settembre ci sono già gli
  appuntamenti di Montecarlo e Cannes, mi spiega il senso di partecipare anche a quello di Genova che non
  offre né la logistica né la ricettività degli altri due? Però lancio una proposta alle istituzioni liguri: cambiamo
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 24/08/2017 - 24/08/2017                                                            19
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  data alla manifestazione e ne riparliamo. Il vostro addio ha bloccato anche l'erogazione di fondi pubblici al
  Salone. Potrei risponderle che di denaro pubblico c'è n'è così poco che andrebbe riservato alle vere
  emergenze, che sono sotto gli occhi di tutti, e non ai saloni nautici. A proposito di diatribe, è ancora in alto
  mare l'affaire Fincantieri- Stx, i cantieri navali francesi che Macron non vuol più vender agli italiani. Che
  cosa ne pensa? Da italiano mi vergogno di vedere un Paese che scambia il diritto con mere questioni
  commerciali. Detto questo, vista la stima che ho per l'a.d. di Fincantieri Giuseppe Bono gli consiglierei di
  fare un passo indietro e le assicuro che stavolta saranno i francesi a cercarci. ( Mikol Belluzzi) ©
  RIPRODUZIONE RISERVATA
  SHOPPING CONTINUO DI PECHINO IN ITALIA: FCA NEL MIRINO A Ferragosto era solo un rumor estivo,
  ma piùi giorni passano e più l'appetito dei gruppi automotive cinesi per Fca s'irrobustisce. Dopo la smentita
  di Geely, il gruppo Great Wall Motor ha confermato l'interesse per la casa torinese pur ammettendo che
  non c'è stato alcun contatto con Sergio Marchionne. Per ora. Un'operazione molto gradita al governo di
  Pechino, che il 30 settembre porrà fine alle limitazioni sull'export di capitali all'estero imposta a dicembre.
  La stretta ha dimezzato a poco più di 60 miliardi di euro gli investimenti cinesi nel mondo, frenando anche
  quelli italiani. Ma se il dossier auto andasse in porto, il 2017 si rivelerebbe un anno record per il nostro
  Paese dopo che anche il gruppo veneto Permasteelisa è appena passato in mani cinesi. Un'escalation che
  preoccupa Roma, Berlino e Parigi che ora chiedono alla Commissione europea paletti agli appetiti asiatici.
  Nella Penisola il primo boom cinese è targato 2014 con oltre 5 miliardi d'investimenti (quote in Eni, Enel,
  Telecom, Prysmian più l'acquisizione di Ansaldo energia) fino agli 8 miliardi del 2015, anno dominato dalla
  mega operazione ChemChinaPirelli. Ma anche calcio e moda piacciono. E dopo il passaggio del Milan al
  cinese Yonghong Li anche l'85 per cento dei gioielli Buccellati ora è in portafoglio alla Gansu Gangtai
  Holding di Shanghai.
  Foto: Il giro d'affari 2016 di Ferretti è cresciuto del 36 per cento, a 562,5 milioni di euro
  Foto: Elaborazione Grafica Di S.Carrara
  Foto: L'avvocato Alberto Galassi, classe 1964, dopo un passato in Piaggio Aero industries, dal 2014 è al
  vertice di Ferretti.

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