E modernità sostenibile - Ambiente
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Urbano Barelli Vice Sindaco, Assessore all’Ambiente, alla Protezione civile, alle Aree verdi e al Personale del Comune di Perugia Ambiente e modernità sostenibile 1. La crisi ambientale P iù crisi simultanee sono sorte o si sono accelerate nel corso dell’ultimo decennio: clima, biodiversità, energia, derrate alimentari, acqua e crisi del sistema finanziario e dell’eco- nomia mondiale intera1. La crisi economica e quella am- bientale non sono altro che due aspetti di uno stesso fenomeno2. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale3. Il problema cruciale del nostro tempo, ci ammonisce Edgar Morin, è quello della necessità di un pensiero in grado di raccogliere la sfida 1. UNEP, Towards a Green Economy: Pathways to Sustainable Development and Po- verty Eradication – A Synthesis for Policy Makers, www.unep.org/greeneconomy, p.1. 2. Gunter Pauli, Blue economy. Nuovo rapporto al Club di Roma, Milano 2010, p. 7. 3. Lettera Enciclica Laudato sii, sulla cura della casa comune del 24 maggio 2015, p. 108.
L’economia dopo la caduta della complessità del reale, cioè di cogliere le relazioni, le interazioni e le implicazioni reciproche, i fenomeni multidimensionali, le realtà nello stesso tempo solidali e conflittuali. La riforma del pensiero recla- ma un pensiero della “resilienza” che possa collegare le conoscenze tra loro, collegare le parti al tutto, il tutto alle parti, e che possa concepire la relazione del globale con il locale, e quella del locale con il globale4. Diverse sono le ragioni che hanno portato all’attuale crisi; quella che sembra coglierne gli aspetti più profondi è di Giorgio Recalcati, il quale ritiene che la crisi evidenzia il disprezzo e il misconoscimento del bene comune, l’accaparramento senza freni delle risorse di tutti: il lavoro, la legge, le istituzioni, la natura. Quando la spinta al godimento diventa compulsiva e non conosce limiti, quando l’avidità non ha più fondo, è la stessa idea di comunità che viene meno: «per dirla in termini ana- litici, è la pulsione di morte che prevale e travolge la dimensione del legame sociale»5. Dalla psicanalisi alla religione, un concetto simile lo troviamo nell’Enciclica Laudato sii di Papa Bergoglio quando afferma che «l’uomo e la donna del mondo postmoderno corrono il rischio per- manente di diventare profondamente individualisti, e molti problemi sociali attuali sono da porre in relazione con la ricerca egoistica della soddisfazione immediata, con le crisi dei legami familiari e sociali, con le difficoltà a riconoscere l’altro»6. Il XXI secolo sarà il secolo dell’ambiente e, secondo Vittorio Hosle, la crisi ecologica porterà alla sostituzione dell’attuale paradigma dell’e- conomia con quello dell’ecologia7, perché, sostiene anche Joseph Sti- glitz, abbiamo creato una società in cui la rapida crescita che abbiamo raggiunto non è sostenibile dal punto di vista né ambientale né sociale8. Come ricorda Hans Jonas, l’umanità non ha diritto al suicidio, quin- 4. Edgar Morin, La via. Per l’avvenire dell’umanità, Raffaello Cortina, Milano 2012, p. 135. 5. Massimo Recalcati, Desidero dunque sono, «la Repubblica», 17 gennaio 2012, p.41. Dello stesso Autore, in modo più ampio, L’uomo senza inconscio, Raffaello Cortina, Milano 2010. Si veda anche: Gustavo Zagrebelsky, Senza adulti, Einau- di, Torino 2016. 6. Lettera Enciclica Laudato sii, sulla cura della casa comune, op. cit., p. 124. 7. Vittorio Hosle, Filosofia della crisi ecologica, Einaudi, Torino 1992, p. 29. 8. Joseph Stiglitz, Bancarotta. L’economia globale in caduta libera, Einaudi, To- rino 2010. 140
U. Barelli | Ambiente e modernità sostenibile di occorre agire in modo che le conseguenze delle nostre azioni siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla Terra9. In questo contesto, Enzo Rullani riconosce alla cultura ambientali- sta il merito di avere identificato già da tempo e in modo convincente il tema della sostenibilità come un banco di prova cruciale per lo sviluppo moderno. Tuttavia, per affrontare i fattori d’insostenibilità non basta inibire, con correttivi ad hoc, la forza propulsiva della modernità. Al contrario bisogna imparare ad utilizzare le sue capacità d’innovazione e di mobilitazione. Per uscire dalla crisi serve la forza moltiplicativa del capitalismo globale della conoscenza. Non si può tornare indietro, rinunciandoci. Per questo, si deve essere più globali e più immateriali10. Da questo punto di vista, sempre secondo Rullani, anche il movi- mento ambientalista può trovare un terreno di crescita diverso da quel- lo che finora ha focalizzato le sue azioni sulla protesta o sulla domanda di maggiore regolazione, rivolta alle amministrazioni pubbliche. La valorizzazione dell’ambiente può a sua volta essere ancorata a un’idea motrice che va nella stessa direzione, ma che ha una portata più ampia: la riscoperta e valorizzazione dei commons, ossia dei beni comuni in quanto tali.11 Come suggerisce Aldo Bonomi, il movimento ambien- talista può giocare un ruolo paragonabile a quello francese e tedesco se acquisisce una visione della crisi come momento attraverso il quale il capitalismo incorpora l’ambiente come nuovo motore di sviluppo12. 2. Lo sviluppo sostenibile Già nel 1972, alla vigilia della prima Conferenza delle Nazioni Uni- te sull’ambiente, tenutasi a Stoccolma, il Club di Roma pubblicò un apposito rapporto commissionato al System Dynamics Group del Mas- sachusetts Institute of Technology (MIT) sui limiti allo sviluppo nel quali 9. Hans Jonas, Il principio di responsabilità, Einaudi, Torino 1990, pp. 6-16. 10. Enzo Rullani, Modernità sostenibile. Idee, filiere e servizi per uscire dalla crisi, Marrsilio, Venezia 2010, pp. 36-37. 11. Ivi, p. 179. 12. Aldo Bonomi, La metamorfosi dei territori. Da Piero della Francesca alla smart city, in Aldo Bonomi, Roberto Masiero, Dalla smart city alla smart land, Marsi- lio, Venezia 2014, p. 47. 141
L’economia dopo la caduta si segnalava che i vincoli ecologici globali riguardanti l’uso di risorse e le emissioni avrebbero influenzato profondamente il futuro del pianeta nel XXI secolo13. Nel 1992, trascorsi vent’anni dal rapporto, tre degli autori lo ag- giornarono e, dopo aver analizzato gli sviluppi globali tra il 1970 e il 1990, conclusero che l’umanità aveva superato i limiti della capacità di sostentamento della Terra14. All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso era infatti emerso che l’umanità si stava addentrando nel terreno dell’insostenibilità. Conclusione alla quale era giunto alcuni anni prima, nel 1987, an- che il Rapporto Brundtland15 che già indicava il concetto di sviluppo sostenibile come principio al quale attenersi per prevenire i prevedibili disastri ambientali e sociali ai quali il pianeta stava andando incontro. Nell’introduzione del Rapporto Brundtland si formulava quella che è poi diventata la più diffusa definizione di sviluppo sostenibile: «L’u- manità ha la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo, cioè di fare sì che esso soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compro- mettere la capacità di quelle future di rispondere ai loro». Il Rapporto proseguiva ricordando che noi prendiamo a prestito capitali ambientali di generazioni future, senza ave- re né l’intenzione né la possibilità di rifonderli: le generazioni future potranno maledirci per il nostro atteggiamento da scialacquatori, ma non potranno mai farsi ripagare il debito che abbiamo contratto con loro. Se così ci comportiamo, è perché possiamo permettercelo: le generazioni future non votano; non hanno potere politico né finanziario; non possono opporsi alle nostre decisioni. 13. Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jorgen Randers, I limiti dello sviluppo, Milano 1972. 14. Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jorgen Randers, Oltre i li- miti dello sviluppo, Il Saggiatore, Milano 1993. Gli stessi autori hanno aggiornato l’indagine e nel 2004 hanno pubblicato un nuovo libro (I nuovi limiti dello sviluppo, Milano 2006) nel quale si dichiarano molto pessimisti sulle sorti del pianeta: «dob- biamo cambiare molte cose se non vogliamo che nel XXI secolo il superamento dei limiti oggi in atto non sfoci nel collasso», p. 13. 15. World Commission on Environment and Development, 1987 – Our Com- mon Future – Oxford University Press (ed.it., Il futuro di noi tutti – Bompiani, Milano 1988). 142
U. Barelli | Ambiente e modernità sostenibile Il Rapporto Brundtland ha, inoltre, introdotto la nozione di beni comuni globali per gli oceani, lo spazio cosmico e l’Antartico; questi beni sono considerati “global commons”, quindi comuni a tutto il glo- bo. I global commons si identificano con le nuove res comune ominium di livello planetario. La qualificazione di alcuni beni ambientali come global commons costituisce un’affermazione innovativa destinata ad in- tegrare la tradizionale classificazione dei beni16. Al riguardo, è opportuno ricordare che il premio Nobel per l’econo- mia Elinor Ostrom17, sostiene l’esistenza di una terza via nella gestione dei beni comuni tra Stato e mercato. Secondo la Ostrom, sia la gestione amministrativa centralizzata che la privatizzazione delle risorse colletti- ve rappresentano soluzioni inefficaci e costose, mentre molte comunità collettive nel mondo sono riuscite a raggiungere accordi per una utiliz- zazione sostenibile nel tempo delle risorse comuni, grazie all’elabora- zione spontanea di regole di sfruttamento, accompagnate da doveri di gestione, manutenzione e riproduzione delle risorse stesse, sanzionati dall’esclusione da tali comunità di coloro che non rispettano tali regole. L’accento posto sui beni comuni, rileva Stefano Rodotà, è più simile ad un cambio di paradigma che ad una riscoperta di qualcosa che mai ha cessato di essere presente nei sistemi giuridici18. Il punto cultural- mente e politicamente più significativo di questa rinnovata fondazione non proprietaria, prosegue Rodotà, consiste nel ridare centralità al le- game sociale, mettendo in discussione il modello individualistico senza però negare le libertà della persona che, anzi, conquistano più efficaci condizioni di espansione e inveramento per il collegamento con i diritti fondamentali19. Il 3 marzo 2010 la Commissione europea ha lanciato la strategia “Europa 2020 – Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e 16. Francesco Lettera, Lo stato ambientale e le generazioni future, Milano 1990, p. 243. Il tentativo di innovare la tradizionale classificazione è stato poi oggetto della Commissione Rodotà: Edoardo Reviglio, Per una riforma del regime giuridico dei beni pubblici. Le proposte della Commissione Rodotà, in Pol.dir., 2008, p. 531. 17. Elinor Ostrom, Governare i beni collettivi, Marsilio, Venezia 2006. 18. Stefano Rodotà, Beni comuni: una strategia globale contro lo human divide, postfazione a Oltre il pubblico e il privato, a cura di Maria Rosaria Marella, Ve- rona 2012, p. 324. 19. Ivi, p. 325. 143
L’economia dopo la caduta inclusiva”20 al fine di uscire dalla crisi e di preparare l’economia dell’UE per il prossimo decennio, una strategia che va nella auspicata direzione della sostenibilità ambientale. 3. L’impronta ecologica Sempre negli anni Novanta del secolo scorso, Mathis Wackernagel e William Rees misuravano l’impronta ecologica dell’umanità e la met- tevano a confronto con la capacità di carico del pianeta21. L’impronta ecologica è definita come la porzione di superficie terrestre che occor- rerebbe per produrre le risorse (cereali, foraggio, legname, pesce e su- perficie urbana) e per assorbire le emissioni (biossido di carbonio) della popolazione globale. Il 13 agosto 2015, il quotidiano «la Repubblica» annunciava «Oggi è l’Overshoot Day. Scatta il debito ecologico», l’anno precedente il gior- no di inizio del debito era stato individuato nel 19 agosto. Il primo Overshoot Day, data nella quale la Terra esaurisce le risorse annuali che il pianeta è in grado di rigenerare in un anno, è stato il 19 dicembre 1987. Tre anni dopo il giorno del sovra-consumo era già passato al 7 dicembre e dieci anni dopo (1997) al 26 ottobre. Nel 2014 il deficit ecologico è stato raggiunto il 19 agosto, ma nel 2015 si è appunto ar- rivati ad anticipare ulteriormente al 13 agosto. Nel corso degli ultimi cinquant’anni, afferma Mathis Wackernagel, il deficit ecologico sta cre- scendo in modo esponenziale, un pianeta solo non è più sufficiente per soddisfare le nostre esigenze e per assorbire i nostri rifiuti. Ora i bisogni dell’umanità superano il 50% delle risorse disponibili. Già oggi avrem- mo bisogno di un pianeta e mezzo e, di questo passo, l’umanità neces- siterà di due “Terre” entro il 2050. Gli effetti del sovra-consumo sono molto evidenti: scarsità idrica, desertificazione, ridotta produttività dei campi coltivati, collasso degli stock ittici e cambiamenti climatici. Con riferimento al cambiamento climatico, il climatologo america- no Richard Sommerville22, ha ribadito che le conoscenze scientifiche 20. http://ec.europa.eu/italia/documents/attualita/futuro_ue/europa2020_it.pdf 21. Mathis Wackernagel, William Rees, L’impronta ecologica, Milano 1996. 22. Richard Sommerville, How much should the public know about climate scien- ce?, Climatic Change, 2011. Sul cambiamento climatico è di particolare importanza 144
U. Barelli | Ambiente e modernità sostenibile riguardo i cambiamenti climatici sono ben dimostrate e indiscutibili. Il pianeta terra si sta surriscaldando, questo è dimostrato da un au- mento medio globale delle temperature dell’aria e delle acque, dallo scioglimento dei ghiacciai e dall’aumento del livello del mare. È stato inoltre dimostrato che la principale causa del riscaldamento globale è l’attività umana, ed in particolare è la diretta conseguenza di un au- mento nell’atmosfera di CO2 prodotta in seguito alla combustione di carburanti fossili. È un pericolo ben concreto, visto che in passato è già accaduto che civiltà consolidate siano scomparse a causa dei cambia- menti climatici23. Ritiene Lester Brown che studiando le crisi ambientali delle civiltà del passato o guardando a come l’adattamento in Cina del modello industriale occidentale influisce sull’ecosistema terrestre, appare chiaro che il modello economico esistente non può sostenere il progresso eco- nomico. Nei nostri miopi sforzi di mantenere l’economia globale così come è attualmente strutturata, stiamo esaurendo il capitale naturale della Terra. Passiamo molto tempo a preoccuparci dei deficit economi- ci, ma è il deficit ecologico che minaccia la nostra economia a lungo termine: «deficit economico è ciò che prendiamo a prestito dagli altri; deficit ecologico è ciò che sottraiamo alle generazioni future»24. 4. Il rapporto tra ambiente ed economia: dal conflitto alla mo- dernità sostenibile Secondo Enzo Rullani la drammatica implosione dei valori immo- biliari e finanziari ha reso visibile la precarietà del nostro presente e della storia che ci ha condotto sin qui. Ai prezzi correnti, abbiamo la sensazione che il presente non sia più uno stato solido, resistente, ma stia lentamente evaporando con molte delle nostre convinzioni e aspet- tative. In effetti, da quando è “scoppiata” la Grande Crisi, intorno a noi l’accordo raggiunto al Vertice di Parigi nel dicembre 2015, sottoscritto da 173 Paesi il 22 aprile 2016 in occasione della Giornata Mondiale della Terra. 23. Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Torino 2005. 24. Lester R. Brown, Eco-economy, Roma 2002. Per una trattazione più ampia dell’argomento: Gianfranco Bologna, Manuale della sostenibilità, Milano 2009. 145
L’economia dopo la caduta niente è più come prima. E, niente appare come, fino a poco tempo fa, credevamo che fosse25. Il rapporto tra ambiente e industria sta cambiando in profondità e con esso il modo di concepire e di far funzionare la modernità, che in passato era portatrice di una logica autosufficiente e rigida, quasi con- trapposta a quella della natura, che pure utilizzava ai propri fini e che oggi tende invece ad assumere forme maggiormente duttili e riflessi- ve, capaci di interiorizzare anche il valore attribuito alla conservazione e rigenerazione dell’ambiente e dell’energia naturale consumata dallo sviluppo. L’economia industriale di oggi è diventata economia delle reti ed economia della conoscenza: un’economia che produce valore economico promuovendo la flessibilità delle organizzazioni a rete, la creatività individuale e l’intelligenza collettiva26. Nell’economia globale bisogna vendere le idee, prima che i prodotti materiali. Le idee infatti si moltiplicano più rapidamente, si diffondono a scala più larga, vengono adottate più facilmente dei prodotti materiali che le hanno originate o le accompagnano nel consumo27. Per Enzo Rullani la modernità sostenibile può essere un’idea motrice per un diverso sviluppo, con filiere che possono realizzare un’adeguata divisione del lavoro intellettuale e materiale, a mano a mano che pren- de forma una domanda auto-organizzata che diventa più esigente e intelligente, premiando le offerte maggiormente creative. L’ambiente è certamente uno dei più importanti beni comuni che possono entrare in questa prospettiva di produzione e uso ragionevole dei commons. Un altro campo fondamentale per applicare questo tipo di idea motrice è quello della produzione e uso della conoscenza. Per dare valore ai commons e renderli utili all’interno di processi sostenibili (che li rigene- rano nel corso del tempo) servono nuove istituzioni, che non possono rimandare, semplicemente, all’alternativa pubblico-privato28. In questo contesto, la fusione tra l’Internet delle comunicazioni, la neonata Internet dell’energia e l’Internet della logistica nella grande infrastruttura integrata, e intelligente, del XXI secolo – l’Internet delle 25. Enzo Rullani, Modernità sostenibile, op. cit., p. 11. 26. Ivi, p.134-135. 27. Ivi, p.176. 28. Ivi, p.179. 146
U. Barelli | Ambiente e modernità sostenibile cose – sta dando vita a una fase di importanti cambiamenti. Ciò che fa dell’Internet delle cose una realtà tecnologica dirompente per le mo- dalità organizzative della vita economica è che essa aiuta l’umanità a reintegrarsi nella completa coreografia della biosfera e che, nel farlo, aumenta considerevolmente la produttività senza tuttavia compromet- tere gli equilibri ecologici che governano il pianeta. Usare in misura minore e in modo più efficiente e produttivo le risorse della terra in un’economia circolare e compiere il passaggio dall’energia basata sui combustibili fossili a quella da fonti rinnovabili, sono due elementi chiave del paradigma economico emergente. L’Internet delle cose può allacciare ogni essere umano in una comunità globale, consentendo al capitale sociale di svilupparsi a livelli senza precedenti e aprendo la via a un’economia della condivisione29. 5. La risorsa infinita L’idea di un’economia che non cresce potrà essere un anatema per gli economisti, ma l’idea di un’economia in costante crescita è un anatema per gli ecologisti. Nessun sottosistema di un sistema finito può crescere all’infinito: è una legge fisica. Gli economisti, afferma Tim Jackson30, dovrebbero riuscire a spiegare come può un sistema economico in con- tinua crescita inserirsi all’interno di un sistema ecologico finito. Georgescu-Roegen usa il termine bioeconomia per indicare l’impli- cazione della natura vivente nel ciclo produttivo31. Laddove la società contadina è caratterizzata da una scarsità non teorica, non concettua- le, né avvertita come tale, in cui la natura segna la quantità di risorse che devono bastare, la società industriale immagina una quantità sem- pre strutturalmente scarsa dei beni di consumo tra i quali scegliere, e una produzione tendenzialmente illimitata, se le materie prime sono disponibili. 29. Jeremy Rifkin, La società a costo marginale zero. L’internet delle cose, l’ascesa del commons collaborativo e l’eclissi del capitalismo, Milano 2014, p. 21. 30. Tim Jackson, Prosperità senza crescita. Economia per il pianeta reale, Milano 2011, p. 61. 31. Nicholas Georgescu-Roegen, Bioeconomia.Verso un’economia ecologicamen- te e socialmente sostenibile, Torino 2003. 147
L’economia dopo la caduta L’incremento produttivo, spinto dalla percezione di bisogni sempre più ampi in relazione alla scarsità della natura, implica un utilizzo di quantità maggiori di materie prime ed energia, con un pesante impat- to sull’eco-sistema. Il circolo: scarsità naturale, bisogni e desideri, pro- duzione, distruzione di risorse naturali, sempre più scarse, comporta la degradazione entropica che nessuna tecnologia dello sviluppo può risolvere. Unica soluzione possibile, la decrescita32. E una parte del mo- vimento ecologista teorizza infatti la decrescita33, condividendo l’im- pianto ideologico centrato sulla scarsità. In tal modo, però, non si tiene conto del fatto che si è passati dall’e- conomia industriale centrata sull’industria, quindi sulla produzione di beni materiali, all’economia della conoscenza centrata su comunica- zione, linguaggio, saperi e quindi su beni immateriali. Le tecnologie meccaniche finalizzate alla produzione di beni materiali, quantitativi, tangibili fisicamente e costosi entropicamente, cedono all’utilizzo di tecnologie quasi totalmente immateriali, le tecnologie del linguaggio, comunicazionali/relazionali. Il loro cuore, pur producendo delle merci come utensili elettronici, è digitale, cioè produce linguaggi artificiali. L’unica risorsa in gioco è l’intelligenza, la fantasia, la creatività, i saperi e le emozioni umane: delle quali si avverte la potenza e che nell’impiego, afferma Laura Bazzicalupo, tendono a moltiplicarsi e a crescere e non decrescono. Questa svolta in direzione del linguaggio si lega al crescente peso economico di servizi, piuttosto che di beni, an- ch’essi fondati su attività di comunicazione, di relazione che anch’essa risponde ad una domanda (e la crea a sua volta) assai più prossima alla matrice sociale, politica relazionale dell’economia34. Una domanda di beni relazionali (servizi alla persona, cura, benessere, assistenza), ma an- che servizi culturali, artistici, intersoggettivi, che, nell’esercizio possono implicare una qualità della vita sociale, di partecipazione, di libertà che investe e trasforma l’immaginario collettivo. 32. Laura Bazzicalupo, La scarsità come dispositivo per governare l’ambiente. È questa la strada?, in Governare l’ambiente. La crisi ecologica tra poteri, saperi e conflitti, a cura di Ottavio Marzocca, Milano-Udine 2010, p. 76. 33. Nutrita è la letteratura sull’argomento, per tutti: Serge Latouche, Breve trat- tato sulla decrescita serena, Torino 2008. 34. Laura Bazzicalupo, La scarsità come dispositivo per governare l’ambiente, op. cit., p. 77. 148
U. Barelli | Ambiente e modernità sostenibile La svolta attuale del capitalismo rende comunque problematica la soluzione della decrescita che si innestava ancora una volta nella cen- tralità della scarsità. Il concetto di capitale umano, di individuo pro- duttore, attraverso la propria risorsa intellettuale, di immaginazione, sapere, relazioni che nel prodursi non si dissolvono ma si moltiplicano, è incompatibile con l’idea di scarsità e forse ne decreta la fine come sup- porto del discorso economico, e di una proposta ecologica, conclude Bazzicalupo35. Infatti, la creatività, il sapere, la comunicazione non sono beni scarsi: al contrario nel diffondersi si moltiplicano. Sono beni immateriali che crescono su base sociale, “comune”: energia, sarebbe il caso di dire, rin- novabile; una risorsa infinita.36 Il vero fondamento della prosperità, più che dal risparmio, dagli investimenti o dall’istruzione, è costituito dalle nuove idee. E ciò è vero tanto per le fortune private (piccoli o grandi che siano) quanto per la ricchezza delle nazioni, ossia per la crescita economica con la sua infinita ricaduta di benefici per tutti37. Secondo il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l’econo- mia del futuro sarà più circolare: occorre aumentare l’efficacia del processo produttivo facendo di più con meno, incentivando il ri-uso, riducendo gli scarti, l’impatto ambientale, le emissioni di gas serra, aumentando le quote di energia rinnovabile. Questa prospettiva è tutt’altro che una rassegnata decrescita. Al contrario, questa è la sfida che sta già cambiando i mercati. Sfida industriale, sociale, scientifica. La green economy è fin d’ora un vettore importante del PIL italiano ed europeo. Lo sarà sempre di più. La qualità europea è chiamata a misurarsi in questa competizione, perché sarà decisiva al fine di rilanciare il modello sociale del Continente e di dare un contributo importante al mondo intero nel secolo da poco iniziato38. 35. Ivi, p. 78. 36. Pietro Greco,Vittorio Silvestrini, La risorsa infinita, Roma 2009. 37. David Warsh, La conoscenza e la ricchezza delle nazioni, Milano 2007, p. 15. 38. Sergio Mattarella, Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarel- la all’EXPO 2015, Giornata mondiale dell’ambiente, 5 giugno 2016, in http://www. quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=83 149
L’economia dopo la caduta 6. L’economia della conoscenza e l’attrattività delle città e dei ter- ritori La conoscenza è il nuovo creatore di ricchezza che è meglio generato in contesti caratterizzati da elevata presenza di patrimonio culturale, qualità della vita e relazioni altamente collaborative, come le reti sociali e tecnologiche che travalicano i confini tradizionali, fatti di barriere geografiche, industriali e da appartenenze societarie. La potenza economica dei paesi non crescerà più in proporzione alle risorse naturali da sfruttare, all’eccellenza produttiva, o al predominio militare, e neppure alle capacità scientifiche e tecnologiche; oggi, i ter- mini della competizione ruotano intorno ad un asse centrale: il grado in cui le nazioni riescono a mobilitare, attirare e proteggere il talento creativo umano. Compito dei territori è – e sarà sempre più – quello di attrarre i talenti lavorando, da un lato, sulle infrastrutture moderne ed in parti- colare telematiche e, dall’altro, sulla qualità della vita, vale a dire sulla tutela dell’ambiente, sulla bellezza del paesaggio, sulla conservazione dei beni culturali e sulla coesione sociale. La ricerca sulla classe creativa di Richard Florida e molti altri studi hanno dimostrato che un numero crescente di persone prima sceglie il luogo dove vivere e poi cerca un lavoro39. Come conseguenza, nel mon- do contemporaneo le città sono in competizione le une con le altre, de- vono distinguersi ed essere attraenti e devono promuovere la loro iden- tità e qualità nel panorama globale. «Tenetevi i vostri incentivi fiscali e i vostri svincoli autostradali, noi andremo dove ci sono i talenti» (Carly Fiorina, amministratore delegato della Hewlett-Packard). L’attrattività dei luoghi non è più intesa in senso meramente turistico né esclusiva- mente industriale, rivolto cioè ad attrarre imprese di qualsiasi genere nella convinzione che basti quello per crescere, ma è divenuta invece si- nonimo di vivibilità, di piacevolezza e vivacità vissute nel quotidiano40. Il territorio diviene un elemento centrale dell’esperienza degli in- dividui, la scelta del territorio assume un’accresciuta importanza, cioè una logica di riterritorializzazione selettiva delle società. Rappresenta- 39. Richard Florida, La classe creativa spicca il volo, Milano 2006, p. 47. 40. Irene Tinagli, Talento da svendere, Torino 2008, p. 148. 150
U. Barelli | Ambiente e modernità sostenibile zioni di città e regioni assumono un nuovo rilievo. Per un ingegnere in- formatico, fare la scelta di passare tutta la vita a Coventry, a Salonicco, ad Aalborg o a Metz, o invece fare un soggiorno di qualche anno nella Silicon Valley costituisce una scelta che ha ripercussioni in termini di carriera professionale, di stipendio, di prestigio. Per alcune professioni, alcuni luoghi simbolici acquisiscono una legittimità particolare41. 7. L’attrattività dell’Italia L’Italia ha bisogno di disegnare il proprio futuro. Creare una rappre- sentazione in cui mettiamo in mostra ciò che vogliamo essere e la no- stra collocazione nel mondo. Dobbiamo creare con la rappresentazione «un punto di ricomposizione»42. In principio era il Grand Tour ad indicare e descrivere l’attrattività dei territori. È nello specchio del Grand Tour che l’Italia assume co- scienza di sé e alla formazione di tale coscienza il contributo maggiore lo portano i viaggiatori stranieri attraverso la loro diretta esperienza così come si evince dalle fonti letterarie, dai diari di viaggio, dalle guide pratiche fino alle ponderose opere erudite sulla storia del paese43. Il viaggiatore straniero che percorre l’Italia dalla fine del XVI a tutto il XIX secolo è un pellegrino laico che apre nuove vie del sapere e che si propone quale tramite di nuove conoscenze, sia che si tratti di filosofo naturale, dello studente, del diplomatico, del mercante, dell’appassio- nato dell’antichità o del collezionista d’arte44. Nel 1606 sir Thomas Palmer nominava cinque attrazioni in Italia: il clima, l’opportunità di educazione universitaria, le maniere cortesi e l’abbondanza di tesori artistici e archeologici45. 41. Patrick Le Galès, Le città europee. Società urbane, globalizzazione, governo locale, Bologna 2006. 42. Aldo Bonomi, La metamorfosi dei territori, op. cit., p. 63. 43. Cesare De Seta, L’Italia nello specchio del “Grand Tour”, in Il Paesaggio, a cura di Cesare De Seta, Storia d’Italia, Annali 5, Torino 1982, p. 135. 44. Attilio Brilli, Il viaggio in Italia. Storia di una grande tradizione culturale, Bologna 2006, p. 9. 45. Marilena de Vecchi Ranieri, Viaggiatori stranieri in Umbria. 1500-1940, Perugia 1992, p. 53. 151
L’economia dopo la caduta Oggi, al viaggio di formazione si va sostituendo l’“Uomo nomade” che è turista, ma sempre più un apolide che sceglie il luogo dove vivere e che usa la rete per comunicare e lavorare: «la stanzialità non è che una breve parentesi dell’umanità»46. Per Richard Florida le città più vecchie sono i luoghi ideali per esten- dere ulteriormente l’economia creativa e le università sono il perno in- tellettuale dell’economia creativa47; aggiunge Jane Jacobs che alle idee nuove occorrono vecchi edifici48. Alla fine degli anni Settanta, l’antropologo Robert Putnam49 ha rac- colto in un libro le note di un viaggio di studio da Seveso a Pertosa in Basilicata. Le sue conclusioni furono motivo di orgoglio per l’“Italia di Mezzo” (Toscana, Umbria, Marche). Qui, scrisse, «siamo dove l’Italia è più Italia». L’Italia delle virtù civiche dei comuni, della coesione, del capitale sociale: «È il tempo di ragionare assieme ai nostri territori sul futuro dell’Italia di mezzo». 8. Lo sviluppo sostenibile in Umbria Si legge nel Documento di economia e finanza regionale (DEFR) 2016-2018, approvato dall’Assemblea legislativa della Regione Umbria il 15 marzo 2016, che sviluppo sostenibile e tutela dell’ambiente sono facce di una stessa medaglia per la quale l’Umbria lavora da molti anni. Superare il dualismo tra crescita economica e attenzione all’ambiente è stata in passato una battaglia soprattutto culturale. Ora anche i “nume- ri” dicono che si può crescere economicamente in maniera sostenibile, senza distruggere il patrimonio ambientale che ci circonda e, con esso, il futuro delle generazioni che verranno50. Le imprese, prosegue il DEFR, stanno cominciando a cambiare i loro comportamenti anche perché dalla tutela dell’ambiente spesso 46. Jacques Attali, L’uomo nomade, Milano 2006. 47. Richard Florida, La classe creativa spicca il volo, op. cit., p. 253. 48. Jane Jacobs, Vita e morte delle grandi città, Torino 2000. 49. Robert D. Putnam, La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, 1993. 50. http://www2.regione.umbria.it/bollettini/download.aspx?doc=160406A15S- SDS1.pdf&t=ssds&p=1&show=true, p. 63. 152
U. Barelli | Ambiente e modernità sostenibile nasce “business”, le persone cambiano i loro comportamenti perché la cultura della tutela dell’ambiente è sempre più diffusa, ma si tratta di un percorso ancora molto lungo che – seppur in larga parte condiviso dal punto di vista “teorico” – quando tocca direttamente interessi ed abitudini consolidati trova spesso ostacoli e difficoltà. Quando la tutela dell’ambiente si declina in temi concreti come la mobilità, la possibilità di edificare, la gestione dei rifiuti, la tutela della qualità delle acque e quando, dunque, si traduce in limitazioni e nella richiesta di cambiare le proprie abitudini c’è ancora una certa ostilità51. Un importante passo in avanti verso il superamento di tale ostilità è stato compiuto da Confindustria Umbria in occasione dell’Assemblea Generale del 16 dicembre 2015, nel corso della quale il Presidente, Ernesto Cesaretti, ha indicato, tra i tre progetti centrali per il futuro dell’industria regionale, «quello della sostenibilità umana e sociale delle attività industriali». Con questo progetto – ha precisato Cesaretti – vogliamo proporre un nuovo modello di cultura d’impresa, che faccia perno intorno al concetto di economia circolare. Faremo nostri i suoi principi: l’inesistenza dello scarto; la forza della diversità; l’energia rinnovabile; l’interdipendenza tra materiali, processi e decisio- ni. Tale approccio deve riguardare tutte le attività produttive e gli stabilimenti in cui esse si svolgono, da integrare sempre più e meglio con l’ambiente circostante. Per muoverci sulla strada della sostenibilità dobbiamo fare rete in modo nuovo tra di noi, perché la natura ecocompatibile dei tanti processi industriali, gestiti da aziende diverse che convergono nella produzione dei singoli beni, implica l’a- dozione di comportamenti virtuosi e simili da parte dei vari attori coinvolti. Ab- biamo già mosso i primi passi in tale direzione, ed il Cluster locale della chimica verde, appena costituito, testimonia meglio di ogni altro esempio, la volontà di applicare il modello. Con il Cluster abbiamo fatto una scelta di campo: abbiamo optato per un’idea di economia e di sviluppo che oltrepassa i dati di bilancio. Ha, infine, concluso Cesaretti affermando che «il profitto conta, ma pure il pianeta. Bisogna prendersene cura»52. 51. Ivi, p. 63. 52. Relazione del Presidente Ernesto Cesaretti, dattiloscritto distribuito nel corso dell’Assemblea Generale del 16 dicembre 2015. 153
L’economia dopo la caduta 9. Identità e attrattività dell’Umbria Mentre in passato erano i viaggiatori stranieri attraverso la loro di- retta esperienza i loro diari di viaggio, le loro guide pratiche fino alle ponderose opere erudite sulla storia del paese ad alimentare la coscienza di sé dei territori, tale funzione è stata oggi ereditata soprattutto dalle riviste per viaggiatori. Sulle pagine del National Geographic Traveler, “la bibbia dei viag- giatori”, l’Umbria è descritta, dalla giornalista di viaggi olandese Veerle Witte, tra splendidi scenari naturali e luoghi ricchi di storia e cultura e Perugia, Orvieto, Spoleto, Assisi e Città della Pieve sono ritratte come città dove si ritrova il senso profondo dello stile di vita italiano. Di Pe- rugia si scrive che: è una esplosione vivace di arte, cultura e storia. L’atmosfera nella capitale umbra, piena di studenti, è giovane e vivace. All’interno dei due anelli di mura etrusche e medievali, il centro è ricco di tesori storici: è una città dove ci si perde e ci si ri- trova di continuo, ogni volta per scoprire qualcosa di nuovo e delizioso. Ma basta vagare per le stradine medievali, passeggiare lungo l’antico acquedotto, fare shop- ping o mangiare un gelato sul bordo della famosa fontana e affacciarsi sull’inten- so panorama della Valle Umbra da uno dei punti di vista della città, per scoprire che la bella Perugia ha molto da offrire e può tenervi occupati per giorni53. Perugia e l’Umbria sono quindi indicate come luoghi dove si ritrova il senso profondo dello stile di vita italiano fatto di arte, cultura, storia e paesaggio. Ne è testimonianza la rilevante presenza della natura nella pittura umbra, dai primi paesaggi di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi, alle ampie vedute che fanno da sfondo ai dipinti del Perugino e del Pinturicchio, che dichiarano come a Perugia e in Umbria l’uomo abbia sempre cercato e raggiunto un equilibrio con la natura. Di questa lezio- ne farà tesoro il più celebre pittore italiano, Raffaello, che ritrarrà quasi tutti i suoi personaggi sullo sfondo di un paesaggio. 53. National Geographic Traveler, 28 aprile 2015, servizio ripreso da «La Nazione – Umbria» il 6 agosto 2015. 154
U. Barelli | Ambiente e modernità sostenibile I paesaggi umbri conservano ancora tracce che soltanto il passato può spiegare54. Secondo Bruno Toscano una data importante nella sto- ria dell’arte per il paesaggio “moderno” è il 1473, anno di esecuzio- ne dei Miracoli di San Bernardino conservati nella Galleria Nazionale dell’Umbria. In questo ciclo straordinario, realizzato da un gruppo di pittori identificati nel giovane Perugino, nel Pinturicchio, in Piermat- teo d’Amelia e in altri umbri, è oramai compiuta la sintesi di disegno, costruzione dello spazio e diffusione luminosa, traguardo tra i più am- biti del Rinascimento55. Questo rapporto ottimale fra cultura e natura, città e campagna, è largamente noto fuori dall’Umbria e fuori dall’Italia: nel 1989 Richard Levine ha eletto Todi a “Città Ideale”. In base a una serie di parame- tri quantitativi e qualitativi lo studioso dell’Università del Kentucky ha affermato che Todi costituisce un punto di eccellenza particolare: il luogo dove natura e uomo, storia e tradizione sono meglio conservati e vissuti. Senza dimenticare che San Francesco d’Assisi ha arricchito la spiri- tualità cristiana di una dimensione ecologica, al punto da apparire come l’inventore di un sentimento medievale della natura che si esprime nella religione, nella letteratura e nell’arte56: nel Cantico delle creature è una delle origini dell’atteggiamento europeo nei confronti della natura57. Secondo Raffaele Rossi, Francesco d’Assisi interpreta il mondo popola- re del Duecento, ma è anche espressione di valori che non si perdono lungo le vicende della storia e si ritrovano anche in Aldo Capitini58. Per papa Bergoglio, Francesco d’Assisi è l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. È il santo patrono di tutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia, amato anche da molti che non sono cristiani59. 54. Henri Desplanques, Campagne umbre. Contributo allo studio dei paesaggi rurali dell’Italia centrale, Perugia 2006. 55. Bruno Toscano, Il Trasimeno scoperto dal Perugino, in Trasimeno lago d’arte. Paesaggio dipinto, paesaggio reale, Perugia 1994, p. 100. 56. Jacques Le Goff, San Francesco d’Assisi, Bari 2002. 57. Jacques Le Goff, Il cielo sceso in terra. Le radici medievali dell’Europa, Bari 2007. 58. Raffaele Rossi, Discorso sulla città, Perugia 1984, p. 69. 59. Lettera Enciclica Laudato sii, sulla cura della casa comune, op. cit., p. 10. 155
L’economia dopo la caduta Mentre in Toscana e in Umbria, fra Due e Trecento, le città co- struiscono imponenti palazzi comunali a Firenze, a Siena, a Perugia, a Gubbio, a Todi, a Città di Castello con imprese che si inseriscono in un potente movimento istituzionale europeo60, nel 1568 Cipriano Pic- colpasso, architetto e pittore, soggiornando a Todi e Montecastello di Vibio sosteneva che lì scorreva la «vita ideale», la migliore che ci fosse, perché l’aria era pulita e salubre e che lì la gente viveva «anco cento anni e più» e che gli «hommini di 80 anni paiono averne appena 35». 10. Identità e vocazioni di Perugia Nel nuovo paradigma postfordista hanno ripreso vigore non solo le individualità personali, ma anche le identità e le risorse collettive. Quelle associate ai territori (capitale sociale) e alla loro storia61. L’identità e le risorse collettive di Perugia cominciano dall’Arco Etru- sco. Costruito intorno al III secolo a.C., è uno dei simboli della città ed era una delle sette porte di accesso alla città. Circa due secoli dopo la sua costruzione venne fatta incidere la scritta “Augusta Perusia”, per celebrare la presa della città da parte dell’Imperatore Augusto. A Perugia, tra Due e Trecento, vennero realizzati tre grandi com- plessi a pochi metri uno dall’altro, volti ad illustrare gli ideali civici del libero comune, e cioè, le sculture della Fontana Maggiore, gli affreschi della Sala dei Notari e le sculture del grande portale prospiciente l’at- tuale corso Vannucci. Numerosi sono i riferimenti alla poesia, alla filosofia, alla letteratura storica e teologica, per i quali si può ritenere che con essi vengono esposti i fondamentali concetti del buono e del cattivo governo (Riess). Gli studi del Riess costituiscono un valido sforzo per bene intendere il significato della decorazione della Sala dei Notari e per bene inquadrarla nel particolare clima culturale e politico di Perugia e con una forte carica di civico orgoglio62. 60. Jacques Le Goff, L’immaginario urbano nell’Italia Medievale (secoli V-XV), in Il Paesaggio, a cura di Cesare De Seta, Storia d’Italia, Annali 5, Torino 1982, p. 37. 61. Enzo Rullani, Modernità sostenibile, op. cit., p. 103. 62. Pietro Scarpellini, Osservazioni sulla decorazione pittorica della Sala dei No- tari, in Il Palazzo dei Priori di Perugia, a cura di Francesco Federico Mancini, Perugia 2000. 156
U. Barelli | Ambiente e modernità sostenibile La grandezza di una città nel Medioevo non era data soltanto dall’importanza dei suoi palazzi, dei suoi monumenti, dei suoi organi- smi politici o da quella del suo potenziale mercantile, ma anche dalla sua possibilità di incidere a livello della formazione e della diffusione di un pensiero culturalmente avanzato e capace di creare una menta- lità che contribuiva in maniera significativa a far progredire l’insieme della società. Già nel 1285 una disposizione dello Statuto del Comune di Perugia impegnava il Comune a promuovere la creazione di uno «Studium ut civitas Perusii sapientia valeat elucere et in ea Studium habeatur» («affinché la città di Perugia brilli per sapienza e in essa ci sia uno Studium»). Il pieno raggiungimento di questo obiettivo si ebbe con la bolla di papa Clemente V dell’8 settembre 1308 che è l’atto di nascita dell’U- niversità di Perugia e costituisce il coronamento di un’aspirazione che la città coltivava da tempo: dotarsi di uno Studio universitario capace di competere con quelli di Bologna e di Padova. Per molto tempo la bolla di fondazione è rimasta collocata in una piccola cassa di cipresso, murata nella facciata del Palazzo dei Priori. La storia della conservazio- ne di questo documento mostra il forte legame che univa la società e le istituzioni cittadine alla loro Università. Con Braccio Fortebracci, nel periodo dal 1416 al 1424, Perugia di- venne centro di un vasto territorio con i titoli di governatore di Bo- logna, rettore di Roma, signore di Perugia, principe di Capua, conte di Foggia, Gran Connestabile del Regno di Napoli. Questo periodo storico è stato giudicato una delle fasi più interessanti della vita della città, «quella, ossia, che vede il definitivo tramonto delle libertà comu- nali e l’inserimento di Perugia in uno stato moderno di ben più vasti orizzonti e finalità»63. Lo sviluppo culturale della città proseguì rapidamente con l’istitu- zione dell’Accademia di Belle Arti Pietro Vannucci. In origine denomi- nata Accademia del Disegno, è uno degli Istituti superiori di Istruzione Artistica più antichi d’Italia. Le sue origini sono infatti assai lontane nel tempo. Venne fondata nella primavera del 1573, undici anni dopo la nascita della prima Accademia in Italia, quella di Firenze. 63. Alberto Grohmann, Città e territorio tra Medioevo ed Età Moderna. (Perugia, secc.XIII-XVI), Perugia 1980-2006, tomo I (La città), p. 16. 157
L’economia dopo la caduta Legata all’Accademia del Disegno è la Galleria Nazionale dell’Um- bria che ospita oggi una delle raccolte più ricche d’Italia con opere di interesse internazionale. Nata come pinacoteca civica nel 1863 oggi è ospitata presso il Palazzo dei Priori. Essa contiene alcuni capolavori del Medioevo e del Rinascimento con opere di Arnolfo di Cambio, di Nicola e Giovanni Pisano, Duccio di Boninsegna, Gentile da Fabriano, Beato Angelico, Benozzo Gozzoli e Piero della Francesca, Francesco di Giorgio Martini e, soprattutto opere del Perugino e del Pinturicchio. Notevoli progressi si ebbero, poi, nel settore musicale con l’istitu- zione del Conservatorio di Musica di Perugia che rappresenta oggi la prima Istituzione di Alta Cultura operante in Umbria con finalità di alta formazione, specializzazione, ricerca e produzione musicale. La sua fondazione è legata all’arrivo in città, nel 1788, di Luigi Caruso, compositore e operista di successo, di scuola napoletana, chiamato a Perugia da Francesco Cesarei, esponente di una delle famiglie nobili del capoluogo umbro. Anche nel campo della pedagogia a Perugia si registrò la nascita di istituti di eccellenza. Il primo esempio risale al 14 settembre 1861 con l’apertura della Scuola dell’Infanzia Santa Croce con il nome di Asili Infantili di Perugia ubicata, a tutt’oggi, nei locali dell’ex Convento del Carmine edificato dal 1291 al 1337. La scuola è stata punto di rife- rimento per letterati, pedagogisti, regnanti, rappresentanti politici ed ecclesiastici e, grazie a Maria Montessori, è diventata un punto di rife- rimento per la moderna pedagogia. Perugia è anche la città del cioccolato. Dal 1907, data di fondazione della Perugina, sino ad Eurochocolate, l’immagine della città nel mon- do è legata alla produzione e commercializzazione del cioccolato. Nel 1921 nasce l’Università per Stranieri per opera dell’avvocato pe- rugino Astorre Lupattelli che istituisce i primi corsi di cultura superiore con lo scopo di diffondere in Italia e all’estero la conoscenza dell’Um- bria, di illustrarne la storia, le istituzioni, le bellezze naturali ed artisti- che e dal 1927 l’Università ha sede nel prestigioso Palazzo Gallenga. Del 1973 è, invece, la prima edizione di Umbria Jazz Festival de- stinato a diventare uno dei principali eventi musicali a livello interna- zionale capace di attrarre, ogni anno, a Perugia un folto pubblico di appassionati da tutto il mondo. 158
U. Barelli | Ambiente e modernità sostenibile Perugia ospita il Centro Italiano di Studi Superiori per la Forma- zione e l’Aggiornamento in Giornalismo Radiotelevisivo fondato nel 1992 dalla RAI – Radiotelevisione Italiana e dall’Università degli Studi di Perugia. Nel 1993 viene trasferita a Perugia la scuola di lingue estere dell’E- sercito Italiano che, fondata nel 1963, è specializzata nella formazione del personale di forza armata nelle lingue straniere. La prestigiosa isti- tuzione si trova ubicata nello storico complesso di Santa Giuliana. Nasce, infine, nel 2006 a Perugia il Festival internazionale del gior- nalismo, per iniziativa di Arianna Ciccone e Cristopher Potter, che è diventata la prima manifestazione in Italia e in Europa interamente dedicata a giornalismo, informazione e libertà di stampa. Una data importante nella storia della città è il XX Giugno, giorno nel quale si ricordano le stragi del 1859 ad opera delle truppe pontificie e la liberazione della città da parte degli alleati nel 1944. Dalla prima marcia della pace organizzata da Aldo Capitini il 24 settembre 1961, Perugia è, poi, diventata una delle capitali della pace: se essa fu famosa, prima come città etrusca e poi, con Firenze e Siena, come uno dei tre grandi Comuni dell’Italia centrale, oggi è nota nel mondo, insieme ad Assisi, come città della pace64. 11. Il futuro delle città: smart city, smart community La definizione smart city, è stata coniata in urbanistica per indicare un insieme di strategie di pianificazione finalizzate ad innovare ed ot- timizzare i servizi pubblici, dapprima identificando una città digitale, poi una città socialmente inclusiva ed in ultimo una città in grado di assicurare una migliore qualità della vita e di soddisfare le esigenze di cittadini, imprese ed istituzioni. La smart city è la città del futuro dove con meno risorse si producono più servizi per i cittadini e per le impre- se, utilizzando le tecnologie più avanzate e sistemi di gestione intelli- genti per ridurre gli sprechi e gli impatti negativi, siano essi ambientali, economici o sociali65. 64. Raffaele Rossi, Discorso sulla città, op. cit., p. 70. 65. Roberto Masiero, Essere smart, in Aldo Bonomi, Roberto Masiero, Dalla smart city alla smart land, op. cit., p. 116. 159
L’economia dopo la caduta La smart city è una città organica, un sistema di sistemi, che nel- lo spazio urbano affronta la sfida della globalizzazione in termini di aumento della competitività, dell’attrattività, dell’inclusività puntan- do su sei assi – economia, mobilità, ambiente, persone, qualità della vita e governance – e che attraverso azioni specifiche diventa una città più tecnologica, più interconnessa, più pulita, più attrattiva, più sicura, più accogliente, più efficiente, più aperta e collaborativa, più creativa e sostenibile. La città intelligente è un processo, non una destinazione finale66. In una smart city c’è meno inquinamento, si producono meno rifiuti e quelli prodotti sono riutilizzati per ridurre l’uso di materie prime, si consuma meno energia producendola con fonti rinnovabili, si riduce il traffico aumentando il trasporto pubblico e quello alternativo, si riduce l’uso dei mezzi privati incrementando la condivisione dei mezzi, faci- litando la diffusione del bike sharing, del car sharing, del car pooling, si riduce l’esclusione sociale mediante politiche di inclusione attive e at- tente alle diverse forme di bisogni, si abbassano le disparità di accesso ai servizi e all’uso della città stessa, riducendo le barriere architettoniche e quelle culturali. È smart quello che sta accadendo sempre più frequen- temente: la smaterializzazione dei prodotti implica un nuovo uso, non più proprietà ma noleggi, sharing e condivisione67. Smart land è un ambito territoriale nel quale attraverso politiche dif- fuse e condivise si aumenta la competitività e attrattività del territorio, con un’attenzione particolare alla coesione sociale, alla diffusione della conoscenza, alla crescita creativa, all’accessibilità e alla libertà di mo- vimento, alla fruibilità dell’ambiente (naturale, storico-architettonico, urbano e diffuso) e alla qualità del paesaggio e della vita dei cittadini68. In questa ottica il Comune di Perugia ha avviato un percorso con il Comune di Assisi al fine di valorizzare il patrimonio culturale, artistico ed ambientale delle due città con un Protocollo sottoscritto il 5 giugno 2015, Giornata Mondiale dell’Ambiente. 66. Michele Vianello, Smart cities. Gestire la complessità urbana nell’era di inter- net, Rimini 2013. 67. Aldo Bonomi, Roberto Masiero, Dalla smart city alla smart land, op. cit., p. 116. 68. Ivi, p. 118. 160
U. Barelli | Ambiente e modernità sostenibile La smart community è una comunità di persone con esigenze condi- vise che opera in presenza e in rete, in grado di dar luogo ad opportu- nità dirette di partecipazione attiva e di governance per affrontare tutte le tematiche del territorio allo scopo di migliorarne la qualità della vita. Per favorire tali processi, l’Unione Europea ha deciso di investire risorse consistenti elaborando specifici programmi di intervento come Horizon 2020 “Programma Quadro europeo per la Ricerca e l’Inno- vazione (2014–2020)”. Al fine di adattare alla realtà italiana il mo- dello di sviluppo definito a livello europeo, nell’aprile 2012 l’ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani, ha istituito uno specifico Osservatorio Nazionale Smart City il cui obiettivo è quello di elabo- rare analisi, ricerche e modelli replicabili da mettere a disposizione dei Comuni italiani che vogliono intraprendere il percorso per diventare “città intelligenti”. 12. Perugia smart city Con il passaggio al post-fordismo, i settori della creatività e delle conoscenza sono diventati quelli su cui si basa l’economia delle società contemporanee occidentali: le città sono in competizione, a livello in- ternazionale, per attirare talenti che lavorano in questi settori. La com- petizione globale, infatti, oggi è basata sulla produzione e l’organizza- zione della conoscenza, e delle competenze ed eccellenze in quei settori e professioni che producono beni intangibili e simbolici69. Come detto, il compito dei territori è – e sarà sempre più – quello di attrarre i talenti lavorando, da un lato, sulle infrastrutture moderne ed in particolare telematiche e, dall’altro, sulla qualità della vita, vale a dire sulla tutela dell’ambiente, sulla bellezza del paesaggio, sulla conser- vazione dei beni culturali e sulla coesione sociale. A Perugia, un indispensabile passo nella direzione della smart city è stato compiuto con il progetto Perugia Ultradigitale e con l’identifica- zione in Enel Open Fiber del soggetto attuatore70. Ciò ha consentito 69. Valentina Anzoise, Carla Sedini, La città creativa, iBooks. 70. Delibera della Giunta comunale del Comune di Perugia n. 25 del 9 marzo 2016. 161
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