Roberto Roversi Poesia al fuoco della Storia - di Daniele Piccini

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Roberto Roversi
                                        Poesia
Giovanni Giovannetti / Effigie

                                 al fuoco della Storia
                                        di Daniele Piccini
Roberto Roversi / Poesia al fuoco della Storia

P
           arlando qualche numero fa          C’è in questo episodio molto del          (essendo nato nel 1923), aveva dato
           della nuova prova di Cesare     Roversi poeta e ideologo: cioè la col-       alle stampe due raccoltine di versi,
           Viviani, La forma della vita,   tura di un disegno di opposizione to-        ancora liricheggianti, Poesie (1942) e
           ho avuto modo di rilevare la    tale rispetto all’esistente, una volontà     Rime (1943), e poi un’ulteriore sillo-
           tensione rinnovata – quasi      quasi superstiziosa di non compro-           ge in cui il nuovo è ancora in via di
un segno dei tempi – di poeti di di-       missione con qualsivoglia forma di           definizione, Poesie per l’amatore di
versa estrazione ed età verso la for-      potere. E anche, volendo, una dose           stampe (1954). Il lavoro della rivista,
ma-poema, in cui sembra convo-             di moralismo, che non manca di una           così come l’esempio del Pasolini del-
gliarsi un desiderio di espressione to-    sua austera verità morale. Lo scontro,       le Ceneri di Gramsci (1957), spingo-
tale e inclusiva. Ebbene, un autore        su questo terreno, era evidentemen-          no Roversi a un tentativo di rappre-
che ha legato quasi tutto il suo per-      te con il progetto di occupazione dei        sentazione dell’Italia uscita dalla
corso alla forma del poema e che ha        gangli del potere editoriale persegui-       guerra e dalla Resistenza (a cui il gio-
contribuito fortemente all’affermarsi      to invece, sia pure con l’intento di-        vanissimo poeta ebbe modo di parte-
di questo genere dopo la metà del          chiarato di intopparli e stravolgerli,       cipare), che non dissolvesse in lirica
Novecento è senz’altro Roberto Ro-         dagli invisi protagonisti del Gruppo         né in retorica il quadro della realtà. I
versi. Attraversando stagioni e tem-       63. Due sinistre e due idee contrap-         poemi, in fondo unificabili in un di-
perie politiche dall’osservatorio qua-     poste del modo di fronteggiare il Mo-        segno unitario come altrettanti episo-
si eremitico, eppure operante, della       loc dell’industria culturale, della dis-     di, di Dopo Campoformio (1962),
libreria antiquaria che da più di qua-     soluzione della letteratura. Da una          cercano una via difficile e solitaria,
rant’anni gestisce a Bologna, Roversi      parte l’attivismo e la ragnatela di po-      sia pure nutrita in profondità di suc-
ha finito per tingere di leggenda la       tere, fondata però su prodotti pensa-        chi condivisi e comuni. Al di qua e al
sua lunga militanza poetica. In parte      ti per inceppare la macchina, cioè li-       di là di alcuni momenti di lirismo, un
per essersi fatto promotore ed edito-      bri tendenzialmente illeggibili, ro-         lirismo si direbbe fisiologico, il poeta
re, tra il 1955 e il 1959, della rivista   manzi non-romanzi, arte museificata          cerca la costruzione di un ordito
“Officina”, assieme agli amici Leonet-     in partenza (per rispondere all’equi-        spesso, continuo, dalla tonalità spen-
ti e Pasolini, in cerca di uno speri-      valenza di linguaggio costituito e           ta, in cui anche le sigle liriche si sciol-
mentalismo che non si risolvesse in        ideologia oppressiva); dall’altra un         gono, per ritrovare la loro verità nel
accademia e in ludus verbale: una ri-      pessimistico e scettico rifiuto di aver      continuum: con questa lingua di-
vista e una proposta che sono rima-        a che fare con le logiche mercantili e       messa, prosastica eppure organizza-
ste come pietre d’angolo, sia pure         la ricerca, magari velleitaria e utopi-      ta in lasse che tengono ben presente
magari nella sconfitta sostanziale (o      stica, di forme alternative di diffusio-     la misura di riferimento dell’endeca-
apparente?) di quella linea, nella sto-    ne dell’espressione letteraria, sempre       sillabo, Roversi rappresenta un’Italia
ria della poesia secondonovecente-         concepita come d’opposizione.                contraddittoria e irrisolta, contadina
sca. Dall’altro lato, a renderlo uno          Si sa purtroppo come il primo indi-       e industriale, con una forte coloritura
scontroso, singolare uomo di lettere,      rizzo, una volta riassorbito, abbia di-      ideologica che più che stingere sulle
quasi appunto un ritirato eremita, e       mostrato la sua inanità, conducendo          cose deve, nelle intenzioni dell’auto-
dunque una figura intorno a cui fiori-     al trionfo del meccanismo che voleva         re, emergere dalle scene stesse (ri-
scono racconti e micro-leggende, è il      contraddire (il caso di Eco, ideologo        sorgente il motivo dell’ipocrisia reli-
suo costante rifiuto di accettare leggi    del Gruppo 63 e poi autore di best           giosa).
e logiche dell’industria culturale, del-   seller costruiti in laboratorio, ne fa fe-      I poemi muovono dall’avvenimen-
la comunicazione, del mercato. Il          de). Sull’opposizione pura e dura di         to decisivo della Resistenza (“Il tede-
che, nel campo specifico della sua at-     Roversi si deve ancora esprimere una         sco imperatore”), passano per l’allu-
tività di poeta, lo ha portato in anni     riflessione ponderata, ma certo il ri-       vione del Polesine (“Pianura Pada-
lontani, alla fine dei Sessanta, a una     schio di un’impostazione puramente           na”), la situazione politica italiana
decisione a suo modo clamorosa: do-        morale o moralistica, che non arriva         (“Lo stato della Chiesa”), la tragedia
po aver stampato da Feltrinelli e poi      a incidere sui meccanismi dell’odiato        della bomba atomica (“La bomba di
da Einaudi la sua raccolta di poemi        potere culturale, che lo lascia insom-       Hiroshima”). Nell’edizione rivista del
(Dopo Campoformio, 1962; 1965 in           ma a se stesso e anzi magari lo priva        1965 si arriverà a un montaggio di
edizione rivista, con sottrazioni e ag-    di un possibile anticorpo (o virus, se       spezzoni di articoli e reportages (an-
giunte), Roversi decide di non affida-     si vuole), mi pare che continui ad           ticipo di una nuova stagione poetica
re ad alcun editore il nuovo libro, De-    aleggiare. Ma questo argomento ci            dell’autore) sulla tragedia del Vajont.
scrizioni in atto (1969), e lo tira in     porterebbe, inevitabilmente, troppo          C’è una volontà didattica permanen-
proprio, in tre successive edizioni, al    lontano.                                     te, occhiuta, calata tuttavia in forme e
ciclostile, per circa tremila copie, in-      È bene invece tornare a “Officina”,       in calchi che hanno ancora un deco-
viandolo a chi ne fosse realmente in-      luogo di incubazione della poesia            ro e una tenuta letteraria singolari,
teressato.                                 matura di Roversi, che, giovinetto           unificati proprio da quella mano di

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Roberto Roversi / Poesia al fuoco della Storia

grigio di cui si diceva. Il giro degli og-   affossata. E sarà la stagione delle De-    (proprio Fortini e la sua concezione
getti, delle scene e delle storie è te-      scrizioni in atto. La trama contadina,     della poesia come errore è in fondo
nuto insieme dal sentimento di una           la fabulosità sia pure illusoria del vi-   decisivo per Roversi).
vitalità faticante, addolorata, dallo        vere biologico (l’accensione degli            Quando torna al progetto di un
sfiorire degli anni dopo la giovinezza       amori prima della monotonia della          poema sullo stato della Nazione, do-
che fa tutt’uno, probabilmente, con          vita sfiorente) viene sempre più sfal-     po essersi cimentato in tentativi pro-
l’ingiustizia sociale ed epocale. Un         dandosi (mentre in Dopo Campofor-          sastici e teatrali, il poeta ha ormai la-
grigiore che opaca anche le abba-            mio agiva anche una sorta di koinè         sciato dietro le spalle la brace, il gri-
glianti e ritornanti apparizioni fem-        popolare, leggendaria, che nutriva in      giore balenante di una vecchia, arca-
minili, quasi epifanie di una illusoria      quegli anni in modi diversi anche il       na, povera Italia, e anche tutto il fuo-
giovinezza del sangue (in analogia           Volponi delle Porte dell’Appennino e       co d’artificio dello sperimentalismo.
con Caproni, con Giudici).                   il Bertolucci incubante la Camera da       Sa che né la strada della rappresenta-
   Fortini, in una celebre recensione a      letto) e lascia il posto a un disegno di   zione oggettiva, epica, né quella del-
Dopo Campoformio del 1965, mise in           opposizione politica, per stare a          la presa diretta plurilinguistica pos-
rilievo quella che gli pareva una con-       un’espressione dell’autore, sempre         sono di per sé fare da sonda attendi-
traddizione di fondo: “Ma qual è il li-      meno disponibile alla letterarietà.        bile. Nasce il progetto dell’Italia se-
mite di questa poesia […]? È l’esita-           Curioso ma impossibile da passare       polta sotto la neve, poema ancora in
zione fra servitù volontaria alla lette-     sotto silenzio un sostanziale (chissà      costruzione, in cui le forme solide, le
ratura, come schermo, maschera,              se cosciente) avvicinamento in que-        immagini tese e a volte turgide (ma
punto d’appoggio convenzionale e             sti nuovi testi a quel “plurilinguismo”    smorzate nella loro tensione) di Do-
libertà immediata, come espressività         così violentemente stigmatizzato nel-      po Campoformio vengono liberate
integrale, ‘sincerità’”. Un elemento di      la nuova avanguardia, al sabotaggio        dalle guaine ma, per lo più, senza dar
contraddizione simile, ma meno evi-          insomma delle strutture solide del di-     luogo a una contestazione formale
dente, a quello che si riscontrava nei       scorso letterario, che proprio i nova-     del discorso letterario, piuttosto svol-
poemetti di Pasolini, tuttavia più vi-       tori del Gruppo stavano conducen-          gendo una rappresentazione della
sceralmente disponibile di quanto            do, sia pure in forme diversificate e      crisi e dell’impasse in modi allegorici,
non fosse Roversi a cogliere i sintomi       spesso profondamente divaricate. Il        cifrati. Del poema sono state fatte co-
di una vitalità intollerante della stessa    fatto è che la forza rappresa delle im-    noscere fin qui diverse parti, tutte in
chiusura ideologica (mentre Roversi          magini di Dopo Campoformio, “tese          modi semiclandestini, da editori mi-
è appunto dedito a riassorbire ogni          ognuna da scoppiare, al punto che          nori, al di fuori del circuito dell’indu-
insorgenza in grigio e in epica cora-        stai per vedere saltare le cerniere sin-   stria culturale: L’Italia sepolta sotto la
le). Nel risvolto di copertina del pri-      tattiche e logiche”, come diceva nella     neve. Pr emessa (Nordsee, Roma
mo Dopo Campoformio, l’autore par-           sua recensione-requisitoria Fortini, è     1984, poi Quaderni del Masaorita,
lava chiaro, dicendo di un libro “mo-        ora esplosa e ha fatto davvero venir       Bologna 1995); Parte prima (Il Gira-
notono, con pagine di pietra”, “butta-       meno il contenimento del poema-            sole, Valverde [Catania] 1989); Parte
to in una oggettività disperata e do-        elegia, per lasciar emergere i nodi, i     seconda (Pendragon, Bologna 1993);
lente”, inteso a dare “il ritratto dell’I-   nervi, gli spigoli del discorso ideolo-    infine La partita di calcio (Pironti,
talia rotta e adirata che ancora insiste     gico ma anche semplicemente rap-           Napoli 2001), costituita da novanta
e resiste […] e non è splendente ma          presentativo.                              brani (i numeri 164-253 dell’intero
grigia, non celeste ma nera, strug-             E qui davvero si coglie qualche ba-     progetto).
gente come una brace”. Precisando,           leno di prossimità soprattutto a Pa-          È chiaro che il poeta tenta una sor-
prima di lanciare strali avvelenati          gliarani, se si pensa all’esperienza in-   ta di assemblaggio, nei brani del poe-
contro la neoavanguardia (“il neofu-         sieme ragionativa, discettatrice e di-     ma, del tutto della storia, della lette-
turismo che s’affaccia con un pluri-         sgregante (montaggio di testi ‘altri’,     ratura, del transito esistenziale (si ve-
linguismo da crociera turistica”), che       citazioni extra-letterarie, opzione        da il n. 10 [173] della Partita), dove il
il suo “non è dunque, e non vuol es-         ideologica) delle Lezioni di fisica        nesso, il connettivo non è nella nar-
sere di proposito, un libro tenero,          (poi Lezioni di fisica e Fecaloro: ri-     ratività dimessa di Dopo Campofor-
ben fatto, o nuovo […], ma […] un li-        spettivamente 1964 e 1968). Non è          mio né nel montaggio violento e po-
bro d’opposizione, un libro di con-          un caso che proprio a questa altezza       lemico delle Descrizioni, ma in una
trasto politico”.                            si dia anche il gesto simbolico del ri-    giustapposizione e calibratura che
   Tuttavia c’era ancora un legame, in       fiuto del veicolo tradizionale di diffu-   mantiene un quoziente di enigmati-
questo libro, con una possibilità di         sione della letteratura (quello edito-     cità. Insomma, è come se materiali
bellezza letteraria (qui negata, ma a        riale), come a segnalare il punto più      reietti della vicenda storica e intellet-
un livello di smorzatura più che di          profondo e radicale di disagio nei         tuale si ricomponessero senza esser
dissoluzione), come in Pasolini, che         confronti del proprio fare e la tensio-    costretti nella sutura della sintassi,
in seguito verrà più sostanzialmente         ne a un discorso altrimenti orientato      ma sospesi, allo stato gassoso, in una

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Roberto Roversi / Poesia al fuoco della Storia

inquieta e non poco turbata sospen-            senso, emblemi, nomi simbolici di            avvampano i libri chiedono pietà / o
sione aerea, come particelle di un             una storia che continua a fluire nel         muoiono in silenzio o scendono in
universo in perenne scomposizione.             presente, a giocarsi, magari all’oscu-       battaglia contro il tempo / che li tem-
   È in questa sorta di deriva del sen-        ro della coscienza dei tempi. La stes-       pesta. / Cenere nelle biblioteche con
so e della tenuta d’insieme della Sto-         sa partita di calcio è allegoria incerta     gli avidi pipistrelli / chini sopra gli ul-
ria (avvertita, almeno a livello laten-        e proteiforme. Forse il punto è che la       timi fogli. Fumo”). Un mondo, quello
te, dal Roversi poeta) che tali appun-         battaglia si è spostata, impercettibil-      umanistico, quello del discorso e del-
titi ingredienti acquistano una loro           mente, fino a non coincidere più con         la ragione opposti al divampare degli
vitalità non del tutto esplicita (stavol-      alcuna contesa nota, analizzabile in         eventi ciechi, sembra entrato in crisi
ta l’energia delle sovrapposizioni e           termini strettamente ideologici. Forse       e pare costituire uno degli elementi
degli scarti fa piuttosto pensare a cer-       per questo sono diffusi segnali e mo-        della partita, più enigmatica, fonda,
to Porta). La scrittura della Partita,         niti di una definitiva sparizione, di un     indecifrabile, che si va giocando so-
per esempio, è chiara, fruibile e in-          generale arresto: è il caso dei libri, in-   pra e sotto la nostra percezione: in
sieme polisemica, anche se non                 cendiati, minacciati, posti sotto l’as-      una sorta di universo totale e totaliz-
oscura. E le figure che vi compaiono           sedio di un pericolo incombente, che         zante, in cui distinguere storia, cro-
(Agrippa D’Aubigné, Achille Varzi, il          spesso compaiono nei testi della Par-        naca, letteratura, politica sarebbe va-
giocatore di calcio, Che Guevara,              tita (si legga da 87 [250]: “bruciano i      no. In questo, forse, la ragione ultima
Chet Baker, Glenn Gould…) sono                 vetri delle biblioteche / gli scaffali di    del poema.
come indicatrici di un sovra- o sotto-         legno odorano di onde di boschi /                                     Daniele Piccini

Da   DOPO CAMPOFORMIO                                                 brucia il dorso ai delfini
                                                                      i marinai avventano nei solchi
                                                                      sonno, fatica, reti rammendate.
Una terra
[I. Antonio padre – II. Il superbo lamento – III. Pesce di mare –
IV. A Senarica, amica di Venezia – V. Il dolore d’essere dimen-       È morto il capitano. Cade
ticati – VI. Crescono giovani aspri – VII. Corropoli – VIII. Ferra-   in mare ogni luce di festa
gosto – IX. Il fumo dei vulcani ]                                     dai giovani cuori; a riva
                                                                      le donne attendono ammucchiate.
                                                                      Un marinaio è al timone, bianco agnello;
Un bioccolo di lana                                                   così gli uomini antichi veleggiavano
frusta nel tramonto alberi, fiori,                                    approdavano a isole felici.
muove il trotto dell’onda.                                            La barca vira, si torce, si china
Sulla sponda i ragazzi con la schiena                                 mentre s’alza il lamento. Una voce:
inarcata puntano i piedi nella rena;                                  “Tu, tesoro di mamma, meschina
“dài pa’ssì, oh… ooh!” lo scafo stride                                perla bruciata da un vulcano,
sulle palanche nere, Antonio padre                                    sei trascinato a terra con la mano
sfiora l’acqua, è nel mare,                                           in croce, sulla sabbia, dal vento, uccello
apre cigno le ali, le lampare,                                        spento di rabbia, scuro, ecco il riposo”.
anatrelle, l’avvincono con corde                                      Vanno in tumulto con le ali aperte.
e la flottiglia corre in alto mare.                                   I fortunali cadevano sulle onde deserte
Nella notte, chini sul fondo, gli uomini                              al colpo della frusta di questo uomo.
pescano se la luna è piena                                            Steso sul sacco è un tronco incenerito,
o la corrente non spinge in Dalmazia                                  è tuono offeso, esploso, dileguato;
il cefalo che volge guizzi in oro.                                    il calzone al ginocchio accartocciato.
Un lume è acceso                                                      Vita, mia vita come
laggiù oltre il mio dito:                                             sei terribile e amata: uno sconforto
Antonio padre al palpito                                              senza consolazione è ancora vivo
del primo fiore in cielo tornerà.                                     negli occhi di questo morto che ieri
L’inverno è lungo stretto dentro un mare                              con tutti i suoi pensieri era nel mare.
pauroso; quando giugno allora

                                                                                                                                  5
Roberto Roversi / Poesia al fuoco della Storia

Il venditore di pesce per strade e sentieri             per gettarsi con un grido sui branchi
fu in America un tempo.                                 morbidi e azzurri
“Sempre un fumo nel cielo;                              nelle calme correnti verso l’Africa.
pane, carbone, nel vino la polvere;
tristi le donne, negli occhi la polvere;
i ricordi chiamavano lontano.
Ora mio figlio lavora a Milano                          La rocca ancora incombe a precipizio.
e quella è la mia casa. Addio America”.                 Un tempo sulle alture
Sul prato ferma ride la sua casa                        i noci contorti strisciavano a terra
cresciuta in fretta.                                    foglie di quattrocento anni, eppure
Spinge la bicicletta, grida il pesce                    adesso il silenzio è favola
giallo sul ghiaccio e viole:                            per i vecchi che muoiono nel sole.
“chi prende il pesce, pesce fresco di mare?”            Le case all’ombra delle tamerici,
va scalzo a chiamare                                    fra le siepi, case di girovaghi
sul viale nell’ombra dei tronchi,                       e pescatori, pittate di bianco,
sfiorato da siepi a filo del mare.                      formaggio fresco su una foglia
                                                        di fico, sono cadute;
                                                        scompare adagio la gente
                                                        che non trema alle nevi dell’inverno.
Un vagabondo canta e ruvidi                             Crescono giovani aspri, amare mandorle
marinai ascoltano a un fanale.                          in un tempo d’inferno, di lampi
Sulla strada appassiscono i gerani                      e sorprese telluriche nell’aria
bucati dai fari delle macchine,                         grigia che illividisce ogni città;
autotreni scuotono l’asfalto,                           il sangue arde dentro i cuori straziati
i pioppi coprono fra lo stridio dei freni               dall’unghia del mostro che si torce.
l’agonia di un gatto sfracellato.                       Ma quale mondo apparirà
“A Senarica, amica di Venezia…”                         dopo la pena necessaria!
fuochi verdi aprono la gola
ai cani sulle aie del monte
screziato da barbagli sereni all’orizzonte.
Il vecchio intona con pena un canto triste              Là il monte, laggiù è il mare:
e i fiori tremano, cadono,                              il mare con le speranze strappate
muoiono nella polvere.                                  a una barca che adagio s’avvicina.
                                                        Sui chioschi di benzina
                                                        cantano i tordi e volano nelle vallate
                                                        alle ragazze dal petto tremante
L’erba è gialla, pietre; il cimitero                    oh così dolcemente.
con gli ulivi e cipressi sbiaditi.                      Quelle del mare, ardite fiere
Anche nella pace i morti                                contrastano, sono restie agli sguardi
non hanno tregua, risaliti                              maliziosi e azzannano
dal profondo si stringono le mani                       come i lupi di selva.
rotte dalla fatica.                                     (Pace con voi, ragazze dell’Abruzzo,
Madri stroncate dalle gravidanze,                       una è sangue al mio cuore.)
invecchiate con pazienza infinita su reti,              A Corropoli fumano i camini,
uomini stanchi più dell’aria d’autunno:                 gli alberi difendono le case
con il viso inchiodato fra due date                     dove i topi imperversano e la razza
sanno che non c’è pianto non gridato                    degli uomini passati consumò
né un giorno senza male: che la vita                    nel rancore una vita vile.
nel dolore fu tutta patita.                             Case per amori di monache,
Rimpiangono solo l’oblio dei vivi,                      per grida soffocate, per pugnali
d’essere dimenticati in poche ore.                      cavati al frusciare di un uscio
I ricchi almeno                                         o all’ombra di un cortile.
hanno il nome dipinto nelle prore                       Ma strappa la tenda dal cielo
delle barche che rosse sul lido                         una donna accosciata nel vento,
con gli alberi e vele ammainate                         canta un riso gentile;
attendono la piena primavera                            palpita l’aria fatta azzurra

  6
Roberto Roversi / Poesia al fuoco della Storia

al lume dei suoi occhi                                 Da LE DESCRIZIONI IN ATTO
mentre con le mani in cui traluce l’osso
sceglie e vaglia il frumento.
                                                       Decima descrizione in atto

Buon popolo, fra luci semispente                       I.
ti attardi, stupendamente docile.
Le ragazze adornate di coralli                         Che età avevi quando irruppe il Medo?
rosseggiano come il tramonto
o impallidiscono allo scherzo
di un giovanotto ardito:                               II.
“Vedeste comare Splendore?
balli con me, bel cuore?”                              Il giuramento a lume di candela
Aspettano i fuochi d’artificio                         nella cattedrale di Brunswick
rovesciate sull’erba,                                  davanti alla tomba
i premi favolosi della tombola                         di Enrico l’Uccellatore (vedere a pagina ottanta)
e l’amore colomba del diluvio.                         con gli occhi azzurri e i capelli biondi, essi
Cade la felicità da scrigni aperti,                    e il pelo sul cuore…
le luci della festa aprono piume;
scese dal monte con le scarpe in mano
bagnano la speranza nel lume                           III.
della notte, nell’uragano dei giuochi,
nelle giostre che strappano lontano.                   Una strada non c’è. C’è una strada (un fiume), c’è un
Fasciati in maglie rosse i marinai,                         fiume
stretti i calzoni sulle cosce,                         – credo che ci sia, è così – un profondo
toccano il gomito alle ragazze;                        fosso, una siepe, un fiore d’albero
trillano le argentine passere                          sotto il giardino spappolato, c’è il pianto
e si offrono, quasi                                    di una bambina nuda col tracoma c’è
da un albero protese.                                  il sangue di un uomo per terra decapitato
                                                       la milza di un animale sul bancone di legno;
                                                       c’è il filo bianco (un rosso filo) che stende
                                                       dal labbro di chi parla fino a una casa laggiù;
Terra addormentata per secoli                          una carta su cui il dito striscia con raccapriccio;
dai frati astuti, dalle processioni                    l’orgasmo della donna fra l’erba affumicata
fra gli uliveti e i campi,                             da un vecchio incendio, un bombardiere che non si vede.
buttate le barche sulla riva                           Vilipendio di istituzioni (di gravi legittime colpe).
trema all’ansia del petrolio                           Non c’è più l’eco, il suono non c’è, il percuotere
nero come un nembo dalla Marca.                        dell’ultimo dissenso, le voci
I vigneti abbattuti, la pena                           placate (finalmente?), i refusi scomposti;
di un paese deserto sui dirupi                         ribolle un altro piombo per più degne canzoni
da cui gli uomini tutti sono fuggiti;                  – la caratteristica del tempo è una misurata indifferenza,
solcato il mare dalle petroliere,                      tutto interessa un poco per brevissimo tempo,
nell’acqua grassa i pesci imputriditi                  ogni cosa muore, deperisce, sé consuma e sfoltisce
galleggiano con il ventre scoppiato,                   nel forno della memoria.
e rombi di scavatrici, grida, fuochi,
martelli, tonfi profondi nella terra;
il fumo dei vulcani                                    IV.
copre la pietra del gran sasso.
Basse, di notte fischiano dal mare                     Dice Kant la disciplina del genio
navi cisterne, lunghe, stese, nere                     (ossia l’educazione) è il gusto: gli ritaglia
come un morto sull’acqua; si prova                     le ali e lo rende pulito e costumato.
uno sgomento a sentirle chiamare.                      Il grande Kant, savio nella sua stanzuccia
Su gli oleodotti splende luna nuova.                   di legno, con l’onda delle idee
                                                       che si scioglie in un silenzio ordinato

                                                                                                            7
Roberto Roversi / Poesia al fuoco della Storia

e sulle vie (deserte) lo zoccolo di un cavallo.            ognuno di noi che sediamo
Ma questo, che siede anch’egli, è un uomo, nella casa      sillogizza ma non opera, la disputa si fa arcaica
con moderati calori, in un quarto piano                    e tutti noi (il giro del dito è ampio)
di paese italiano, che è, che sarà? così lontano           degradiamo nella mistificazione.
dai rumori. Ah, non è costumato e polito. Non costumato,   Accendere una sigaretta.
è tutto dentro sbrecciato, pendente,                       Sono anni bui o sono anni nuovi?
insolente, tenero e terso, muscolo                         Per la verità credo che il buio
macellato in una sordida ignominia,                        sia il buio arcigno tetro gelido perfetto
ingorgo meschino, è gramigna spersa secca                  che sia una luce nuova.
raccolta da una vecchiaccia che insacca.
Questo non sarà polito, eh no, costumato non è (le cir-
    costanze                                               VI.
non lo permettono), non è pulito – tutti sentono
sulla via lo zoccolo di una morte                          Ieri in via Andegari scura e stretta, raffinata via che con-
passare alternando il suono con quello dello spazzino          duce a
(e la sua tromba). L’alba, all’alba, l’alba                una foresta di simboli scalcagnati, la moglie incontro in-
– disegnare contro i vetri col fiato –                         contrai ho
è, nello strizzarsi delle vene,                            incontrato di un compagno fucilato.
così distesa distante, la mano aperta, l’occhiaia          Stormiscono le foglie della memoria.
di questa giornata incerta nella scelta; stramazzerà       Con una testa di capelli rossi, in quelle case sporche di
fra noi farneticando (presto, fra noi) di dolori antichi       fango o
e dei nuovi congegni. Ammonisce così riservata superba     dell’ottusa avidità borghese la spalla modulata dolce-
a non perdere le occasioni (la vita è un fulmine nel           mente suonava.
    tempo)                                                 La sua giovinezza (incantava) ancora.
– intanto una ragazza sulla gamba perfetta                 L’ora del giorno, incerta un poco colma
nell’ambito di una stanza indossa la vestaglia             o piuttosto il luogo distaccato dai rimorsi, in una incerta
spenna se stessa nello scirocco ferito da una calza        ombra, distaccata dalla buriana ossessiva,
irride alla varietà degli umori                            la giuliva felice voce di addio ciao
agitata da una innocua speranza.                           o R. che (un attimo)… dimenticato, al mio cuore…
                                                           Si possono dimenticare i morti per sempre.
                                                           Leggeri andavamo a braccio
V.                                                         i suoi capelli di fiamma disse sono sposata ho due figli
                                                           neppure un ritratto più, mi puoi capire
Accendere una sigaretta (fumata dopo sei anni)             una gran voglia di vivere
il potere agli operai e ai contadini                       questa città fa impazzire.
– si elidono a vicenda sopraffatti                         La provincia fa morire.
da queste contraddizioni che non distinguono               A notte ancora nella sua casa, fra i figli e il marito
fra la necessità e il bisogno, fra chi                     nella casa a mezz’aria
(si può dire) di una corda che si sfilaccia                sui rami di un albero fortunato di cristallo, verde.
trattiene il bandolo e colui che esautorato esausto        Baciò me sulla bocca
si lascia colpire dal canapo alla faccia.                  perfida, e dolcemente, vicino alla porta.
L’affare è grave e merita considerazione                   Tutto scomparso, assopito, scancellato, annegato,
Oggetto di ogni disputa, nel caldo della stanza            visi di uomini trapassati sbiancavano in polvere
mentre fuori si apre al mondo                              non era vero più niente.
distrutto dall’acquazzone
e rigurgita una cloaca con la gola di vacca
e si fa notte fra i lampi
e una pietà di noi si distende sopra le forme immobili
(con noi) nell’attesa perfida dello spettacolo
– la consumata mente, l’usura, il sillogismo,
il calembour sul titolo di chi si compiace al caffè –
è
la fine del mondo, un’arca ribaltata,
sulle pianure le ossa della città
– allora tu dici che il momento del contrasto
si invera in una nuova necessità: (questo è il punto),

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Roberto Roversi / Poesia al fuoco della Storia

Da L’ITALIA SEPOLTA SOTTO LA NEVE                              10 (173)
(Parte prima)
                                                               Dice il signor D’Aubigné l’uomo
                                                               invecchia invecchiando pensa brevi parole
86                                                             poche parole dice l’uomo che invecchia è curvo
                                                               sono parole di pietra o il fumo
Lavora una talpa nel giardino degli acquazzoni d’              di un qualche incendio che si va spegnendo.
aprile mese crudele.                                           Il giocatore di calcio dice
Aprile s’affaccia, brucia, brucia le foglie appena,            la sera della finale di Coppa
sui fogli scritti appena scritti.                              l’anno che uccisero Kennedy
Così calmo. Anche il mese crudele. Si spegne.                  spararono a Kennedy il pallone volava
Aprile viaggia su strani arcobaleni.                           correndo vedevo il pallone bianco come il viso dell’
Saluterà la terra.                                             ultimo sogno nella terra dei mangiatori di loto
Ciò che lui ha detto ha fatto. Così è scritto.                 oggi con il signor D’Aubigné galoppo per la brughiera.
Lascia cadere parole                                           Strane storie accadono in questi anni
un uomo vecchio alle spalle le raccoglie piangendo.            laggiù vedo la polvere di una zuffa o uno scontro di TIR.
Sul nome di antichi poeti le rovine edifi-                     A entrambi è sorto in questo momento dal cuore
cano pietre edifica il tempo.                                  un grande desiderio di pianto.
Oggi piove.
È sereno.                                                      (Nota: Gli ultimi due versi presi dall’Odissea)
Il mese sereno crudele
scioglie le montagne del tempo, il fiume è
neve.
In quell’estate i giorni con pause impenetrabili.              41 (204)
Racconta per telefono notizie della guerra
era                                                            Il volo nello spazio con le parole di carta e l’
                                                               inchiostro la farina del diavolo.
                                                               Ritorno a casa trovo
                                                               la siccità di quest’anno
                                                               la terra nel veleno di crepe
Da LA PARTITA DI CALCIO                                        – quando c’è il sole quando la notte non viene.
                                                               Il mondo nasconde le rovine
                                                               dentro vulcani di silenzio, i boschi
1 (164)                                                        gridano nei boschi prima di scomparire.
                                                               È ancora da vedere se la povertà di ieri
Perché cadi, vento d’estate? Vento del sole. Vento d’estate.   era più triste della ricchezza esplosa
Il giocatore di calcio dice: alcuni portano                    polvere di ghiaccio tra le pietre
nel nome il proprio destino.                                   in questi giorni rassegnati a un piccolo destino.
Prima che il mondo ci lasci (o ci abbandoni)                   Il pane che l’Europa tocca muore.
riuscirò a raccogliere qualche                                 Il viaggio così finisce. Il cavaliere così si allontana.
frammento di parole                                            Mi rifiuto di sottoscrivere
per capire le obiezioni degli amici                            qualsiasi forma di patto
il rumore degli anni, queste ultime avventure.                 con il diavolo. Mani di uomini neri
All’inizio del ’99                                             strisciano le lamiere arrugginite.
ho raggiunto la grotta dei miei pensieri
prima era pianto poi lunghi respiri
perderemo la virtù d’amore
se la partita non sarà terminata                               48 (211)
con un tiro preciso nel momento dell’attesa.
Le gradinate vuote la gente dispersa                           Bestiario e timido erbario
solo la prossima gara riempirà questa patria                   con foglie e fronde.
di bandiere. Voci. Le voci coprono l’acqua di molta alle-      Cade l’anno comincia il secolo
     gria                                                      o sembra cominciare.
sono voci lontane.                                             Fuochi sui monti nei campi sopra i coppi della città
                                                               nell’ombra di una cameretta
                                                               aspettando l’inverno che non viene.

                                                                                                                          9
Roberto Roversi / Poesia al fuoco della Storia

Sulla piazza le orme dei giovani che non sanno                                              Inediti
ancora camminare
ma con la mente viaggiano per la Spagna                        Da L’ITALIA SEPOLTA SOTTO LA NEVE
pecore enormi guardano i fulmini cadere                        (Parte terza, vv. 2516-2622)
sulla mano di un sangiovanni bianco davanti la chiesa.
Quanto c’è da fare perché una poesia sia una poesia
non solo correggere ma anche camminare.                        Nota
È impossibile. Silenzio. Disse: “Signore, si può accomo-
    dare”.                                                     Del lungo testo, di cui questi versi sono parte, due soli sono i pro-
Il sole di luglio tendeva il piede                             tagonisti: la signora Mirella Silocchi, rapita nel luglio dell’89,
cercava fra le ginestre la serpe verdolina.                    imbucata martirizzata poi uccisa in un bosco dopo un trava-
“È vero che nessuna l’amava?”.                                 glio feroce, qua in Emilia, e l’astronauta russo dimenticato,
La stagione portava piccoli pesci verso la libertà della ca-   quasi abbandonato nello spazio dove orbitava, al tempo della
    scata –                                                    caduta di Gorbaciov. Essi, nel precipitare degli eventi, monolo-
ma non era vacanza                                             gano senza interferire, mentre il destino scivola come una sla-
gli indios scomparivano con la giungla o si adeguavano         vina verso la morte.
    ai bianchi.
Il sonno comincia non con il silenzio
ma con la violenza dell’amore                                  ...................
voglio essere ferito da un fulmine,                            Attenti a parlare ascoltare anche a cantare ma io
non accarezzato dalla prima pioggia d’aprile.                  chiamato in caverna dalla pazienza vecchia del mondo…
Piena di voci e fantasmi                                       La terra è una vacca ubriaca di sale di miele
questa storia ha avuto                                         si completa si squarcia si evolve
una notevole risonanza.                                        ascolta crocchiare i cannoni le foglie d’autunno sui rami
Fu ascoltata da tanti che la raccontarono poi.                 contempla il danno si adegua alla gravità dell’evento
                                                               difende l’ultimo fuoco l’ultimo ghiaccio l’ultimo grido
                                                               d’amore.
                                                               Ma io non ero ancora nato io e
57 (220)                                                       il linguaggio correva via con le gambe di vetro
                                                               gridavo al topo: dove sei? Aspettami! Diventa un re!
DOVE I NEMICI DI UN TEMPO ?                                    non ripartite al segno della piccola luna
dove gli uomini dalle lunghe barbe con le alte spade           lasciando me nell’ombra di una terra immortale.
e gli occhi forano il cielo lanciando le fiamme?               Tutto l’inverno ho navigato nello spazio
                                                               è venuta primavera piena di selve
Oggi erra l’ombra dei topi                                     continuo il mio viaggio sulla nave che
fra le foglie che neanche l’autunno                            dalla luce conduce alla luce
chiama più con amore.                                          dalla luce come una piuma mi scarica alla notte
Dice il signor D’Aubigné sono queste le meraviglie?            sono un vagone disperso in una stazione di frontiera in
Solo un vecchio può essere colpito al cuore                         Patagonia ma
da un colpo di fucile?                                         non posso lamentarmi perché sono solo – ero
Non abbiamo più nemici                                         nello spazio che non ha voce
siamo uomini spenti.                                           e tacevo
Che vita è questa?                                             percosso dal peregrinare degli astri coi piedi di velluto e
                                                               il loro percorso di guerra è vicino alla schiena di dio fra
Immanuel Kant muore                                            nuvole irate.
sospendiamo la partita dice il signor D’Aubigné                Ascoltate! Ascoltiamo. Il loro tamburo. Combattete
sospendiamo il gioco delle ombre                               gentiluomini di Russia questa ultima battaglia
oggi sotto lo striscione d’arrivo cadiamo nell’eternità.       meglio morire sul campo che andare erranti incalzando
Chiedo alle rondini di tornare                                      una gloria
se viene meno la speranza                                      che la vita rende arlecchina. Ascoltate!
sia chiara l’attesa                                            Sproniamo i cavalli del cielo cavalchiamo nel sangue.
sia giusto l’ordine di migrare.                                Ascoltate! Cavalchiamo cavalchiamo nel sangue
                                                               la paura del cielo che strappa manciate di stelle
                                                               oscura la voce un abbraccio di gelido fuoco poi silenzio
                                                                    e silenzio

  10
Roberto Roversi / Poesia al fuoco della Storia

solitudine antica – la terra è nel vento di foglie strappate   insiste gemma invernale insiste insiste la
una morte è in corso                                           primavera non solo italiana e gli applausi
le onde uguali si sciolgono gridando vendetta.                 volo d’ombre trapassate trafitte
Forse è la morte annunciata del nostro pianeta?                dalla freccia di Diana volante urlante cantante. Altro non
Morire da straniero come                                           vedo.
i profughi sulle barche vaganti fra tormenti e l’arsura?       Non so altro. Brilla di magnitu-
Non un mondo di eguali tracotanti ma                           dine 1,6 Bellatrix (gamma Ori) un gigante blu
uomini e donne uomini e donne diversi e l’albero               distante 360 a.l. lo tocco con la mano sinistra e
della libertà sferzato da gelate non vinto                     brucia brucia anche se è dalla parte del cuore non
nella battaglia.                                               mi lascia partire trattiene la corsa la nebulosa d’Orione
Tornerò. Io ritorno attraverso il cuore della mia terra na-    qua perduto in uno spazio che il mio occhio non vede
    tale                                                       sopra le città giganti della terra
tocco il cielo coi miei capelli seduto                         unificate da una pietà senza strazio
ho i piedi sopra la testa del mondo                            solo gli occhi cavati ai giovani soldati
penso alle piccole cose risparmio le ore                       le giovani donne sgozzate nude
oltre l’oceano sento il respiro di un amico che dorme.         solo le mani tagliate ai vecchi davanti alle case infuocate
Coraggio, la festa dell’uomo è in arrivo                       solo frecce sul petto delle bianche bambine coperte dal
l’orma dei piedi è sospesa sopra i millenni.                       carbone mai
Sono stimolato, egli dice, dall’attesa di una voce             acceso
tracce d’oro sulla sabbia di un fiume che corre nel cielo      solo raffiche raffiche raffiche nella schiena dei ragazzini
immergo le mani nel cuore della terra profonda                     che ridono
essa perduta in un cammino senza tramonto                      fra luci di carnevale e
si quieta nella tempesta                                       guardando i vecchi bagnati di sangue scendere a terra
punisce le città acquattate come cinghiali nel bosco           si addormentano lasciando la vita sorpresi.
come ragazze caute esaltate fra la polvere della memoria.
Una luce impaziente
si presenta suona alla porta nel primo verde del giorno
si guarda intorno annuncia il destino di un uomo
assassinato nel buio.                                          Da L’ITALIA SEPOLTA SOTTO LA NEVE
Domando se ancora pioveva                                      (Parte quarta, Le trenta miserie d’Italia)
la notte in cui re Teodorico è stato sepolto
nel fiume Busento e se la notte pioveva campane o spa-
    vento                                                      IV.
poi ho raggiunto l’America
l’America che è sempre lontana. Così i giorni scadono via      Miseria delle miserie la quarta miseria d’Italia
    uguali                                                     sono le miserie stabili con la spada del dubbio
e albe uguali e tramonti veloci                                la pianura dei barbari i barbareschi sui mari la
le erbe scoppiano al morso di un insetto                       tua Roma brucia la maledizione consuma le pietre.
gorghi d’acqua fremono nella gola degli uccelli sui rami       Non voglio ascoltare l’altoparlante chiamare tre volte
nere piume straziano nubi conficcate nell’aria                 la signora di Stoccarda
osservano i fiumi bruciare e le rive deserte                   o la madre gridare al bambino che è l’ora di cena
chiamare chiamare. Ah! le                                      oggi non vedo il cucciolo del pastore abruzzese sul prato
canzoni di Dalla un tempo s’alzavano dai prati                 stringersi al vecchio cane che sopporta ogni morso.
come trottole lanciate dai bambini.                            Quando è notte l’ora del sonno sogna.
Orsi risalire montagne                                         Con la spada del dubbio
l’odore del pelo bagnato di neve e di miele                    interrompo il cammino da oscurità a oscurità
ombre di pellegrini con fiaccole                               chiedo l’ora d’aria
sui sentieri dei boschi                                        per svegliarmi dal sonno dubitare un poco
fra ossa di animali uccisi dal gelo impietoso                  agguantare la mano del mondo non affondare
anche la natura è caduta prigioniera del sonno                 nella micidiale tempesta che tritura i cuori.
nessuna primavera rasserena la voce delle fiabe                Da oscurità a oscurità solo una foglia può raccontare
fra i tizzoni fradici d’inverno.                               l’ordine delle foglie che cadono
La natura del sonno sfugge dunque a se stessa                  ma il riscontro degli opposti è un giuoco che
come belva si rintana dentro caverne.                          fa incendiare le cime d’Olimpo percosso da risse
Ancora. Gemme del cielo invernale nel cielo invernale          degli dei che sono inquieti in amore.
spunta la primavera italiana errabonda                         I motivi d’indignazione

                                                                                                                     11
Roberto Roversi / Poesia al fuoco della Storia

uno per uno i motivi dell’attesa                              XII.
ascolto vocaboli in una lingua mai parlata dall’uomo.
Parlare continuare a parlare senza sapere come parlare        La miseria della misera Italia numero dodici
scrivere continuare a scrivere senza sapere come scrivere     la testa in fiamme la sterpaglia
pensare continuare a pensare non sapendo cosa pensa-          della festa dei pensieri paglia che
     re e                                                     avvampa brucia fra braci di fumo.
continuare a voler sapere senza sapere che cosa sapere.       Si consumano notizie mescolate al ricordo
Nel corso della giornata                                      di vecchie età
si disfano le montagne le nuvole delle parole                 l’armamentario sul carro della vita in corsa
inseguono messaggi erranti senza tregua.                      è spazio di fresca primavera.
Come rispondere alle domande del fiume che custodisce         Altrove polvere sollevata dall’auto nella strada di campa-
i cadaveri dei nemici?                                             gna
La risposta è nella stanza degli ospiti ad accendere          odora di mele mentre il merlo s’allontana
il fuoco.                                                     stride forte a filo dell’erba lungo il mare
Toccheremo domani il termine di questa prima                  siepi siepi siepi di oleandri abbandonati e
avventura.                                                    pini scavezzati dai venti secolari camminano a terra.
                                                              Può la morte ordire il suo acuminato massacro
                                                              ridurre in cenere il delfino
V.                                                            il vascello in fuoco
                                                              la sovrastante nuvola in ciclone e
La miseria d’Italia numero cinque una nuvola                  travolgere la vita?
molto bianca una nuvola bianca                                Il fervore trascinato in gorgo
calando all’improvviso molto bianca – bianca                  l’esistente in un attimo è scomparso
ha divorato il gatto steso grigio in un sole autunnale        giovinezza è il ricordo poi sull’occhio ottuso
guardava la gente passare e la gente                          del cielo interminabile di tetti
nella sottostante strada dentro il traffico domenicale.       e alla fine dimenticare la tomba
Via la nuvola il gatto l’ha stretta fra i denti ciabattando   dei vecchi eroi?
furtiva                                                       Quante primavere gli uomini fuggitivi
come la scia di una nave che si addentra cauta nel            abbandonano alle giovani ali che arrivano portate dal
porto lasciando le onde grandi del mare                       garbino?
io vedo come accadono le cose fiorite o sfiorite              Si può considerare l’opportunità di non rassegnarsi
sono lacrime di una piccola suora diseredata                  bruciare il carro del vincitore
ma so che cavalco sulla lama della spada                      anche le nostre bandiere.
tagliente e la luce sanguina.                                 Per favore.
Anche la foglia nell’aria non ha più speranza di vita.
Mi domando dove trovare il tempo sapere negli anni che
durano un giorno
per continuare lo scavo dentro la terra di sassi e toccare
la buona radice del pioppo sovrano
tutto è livellato oramai piallato appiattito.
Sovrana la solitudine della grande campagna conduce
la danza
l’uccello nero cala gridando sul solco
per il terrore della navicella spaziale che fulmina
l’aria tracciando ferite di giallo.
Milioni di chilometri e Giotto il pittore divino
si muove fra le pecore dello spazio
tocca gli astri non si brucia le mani
potrà dipingere ancora il mondo
ricordare il buio di dio
riconoscere l’occhio dell’uomo da quello della serpe.
Invadere col fuoco l’infinito così lieto e vicino
senza bruciarlo.

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