PROTOCOLLO SARS-COV-2 - IAAD
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Protocollo SARS-CoV-2 Aggiornamento 09.09.2020 1) Premesse Il presente protocollo, che costituisce specifica appendice del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) di IADA s.r.l., intende analizzare l’impatto del SARS-CoV-2 (da ora in poi anche COVID) sugli obblighi di sicurezza per il datore di lavoro nell’esercizio della sua specifica attività di impresa presso le sedi di Torino (Via Pisa 5/D e Corso Regio Parco 15) e di Bologna (Via Barozzi/Via Muggia). Il protocollo sarà implementato nel corso dell’emergenza sanitaria dichiarata da idonei provvedimenti normativi. Il principio fondamentale a cui IADA s.r.l. intende attenersi nell’elaborazione del presente documento è quello di accountability, inteso come responsabilità e verificabilità delle azioni poste in essere per contenere eventuali nuovi rischi specifici derivanti dall’esercizio di impresa negli ambienti in cui vengono svolte le sue attività. Come previsto dal Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (Dlgs. n. 81/2008), per “valutazione dei rischi” deve intendersi una “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell'ambito dell'organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza”. Come si avrà modo di precisare nel prosieguo, allo stato il Documento di Valutazione dei Rischi elaborato da IADA s.r.l. indica tutti i rischi a cui i suoi lavoratori sono esposti a causa dell’esercizio dell’attività di impresa di cui all’oggetto sociale. Il rischio COVID, poichè non è considerabile un rischio specifico dell’attività di impresa esercitata, ma – invero - un rischio sanitario generale, non può rientrare tra i rischi di cui al Testo Unico sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. In altre parole, l’eventuale insorgenza o sussistenza di rischi relativi a fenomeni epidemici che non siano in stretto e specifico rapporto eziologico con le mansioni svolte dai lavoratori di una certa impresa non rientra nelle fattispecie che comporterebbero la responsabilità del datore di lavoro. D’altronde il datore di lavoro non può assumere responsabilità se non per le cd. malattie professionali o per i cd. infortuni sul lavoro. Le malattie professionali sono malattie contratte nell’esercizio e a causa delle lavorazioni rischiose. Per le malattie professionali, quindi, non basta l’occasione di lavoro, cioè un rapporto anche mediato o indiretto con il rischio lavorativo, ma deve esistere un rapporto causale, o concausale, diretto tra il rischio professionale e la malattia. Il rischio può essere provocato dalla lavorazione che il lavoratore svolge oppure dall’ambiente in cui la lavorazione stessa si svolge (cosiddetto “rischio ambientale”). Per infortunio sul lavoro si intende invece una “causa violenta in occasione di lavoro” dalla quale derivi la morte, l’inabilità permanente o l’inabilità assoluta temporanea per più di tre giorni. Si differenzia dalla malattia professionale poiché l’evento scatenante è improvviso e violento. La causa violenta è un fattore che opera dall’esterno nell’ambiente di lavoro, con azione intensa e concentrata nel tempo, e presenta le seguenti caratteristiche: efficienza, rapidità ed esteriorità. Può essere provocata da sostanze tossiche, sforzi muscolari, microrganismi, virus o parassiti e da condizioni climatiche e microclimatiche. In sintesi, una causa violenta è ogni aggressione che dall’esterno danneggia l’integrità psico-fisica del lavoratore.
L’occasione di lavoro è un concetto diverso rispetto alle comuni categorie spazio temporali riassumibili nelle espressioni “sul posto di lavoro” o “durante l’orario di lavoro”. Si tratta di tutte le situazioni, comprese quelle ambientali, nelle quali si svolge l’attività lavorativa e nelle quali è imminente il rischio per il lavoratore. A provocare l’eventuale danno possono essere: - elementi dell’apparato produttivo; - situazioni e fattori propri del lavoratore; - situazioni ricollegabili all’attività lavorativa. Non è sufficiente, quindi, che l’evento avvenga durante il lavoro, ma è necessario che si connetta eziologicamente con l’attività lavorativa. Deve esistere, in sostanza, un rapporto, anche indiretto di causa-effetto tra l’attività lavorativa svolta dall’infortunato e l’incidente che causa l’infortunio. Tuttavia non è scientificamente definibile il nesso eziologico tra luogo di lavoro e infezione da COVID che dovesse occorrere al lavoratore; questi potrebbe infettarsi in qualsiasi luogo che frequenta al di fuori dell’orario di lavoro ovvero disattendere, nella sua condotta di vita, le misure di prevenzione richieste da linee guida sanitarie, norme e provvedimenti autoritativi o aziendali, elidendo pertanto il rapporto di causalità. 2) Il “rischio COVID” Come detto supra, sfera di governo del datore di lavoro e che, quindi, possa generare una sua responsabilità ai sensi del Testo Unico sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. Inoltre il contagio da COVID, in quanto non rappresenta un rischio specifico dell’attività di impresa, risulta nè quantificabile nè eliminabile dal datore di lavoro. Almeno da questo punto di vista tale contagio è del tutto analogo a quello da influenza; nessuno mai potrebbe addebitare al datore di lavoro la responsabilità per la diffusione del virus influenzale tra i propri dipendenti. La limitazione del rischio di contagio da COVID, come di qualsiasi altro virus, dipende solo ed esclusivamente da scelte di politica sanitaria. Tuttavia, per comprendere il rischio COVID è necessario valutare, oltre alla sua contagiosità, anche la sua letalità. A tal proposito, i dati che saranno analizzati sono stati raccolti da fonti ufficiali quali, ad esempio, l’ISTAT, l’Istituto Superiore di Sanità (d’ora in poi, per brevità, anche ISS), l’Organizzazione Mondiale della Sanità (d’ora in poi, per brevità, anche OMS) e l’Imperial College London, in quanto istituzione scientifica che si è distinta per lo studio del virus più volte richiamata dall’OMS stessa. La valutazione di questi dati, quando non sia effettuata direttamente dalle loro fonti, sarà evidenziata con variazioni grafiche per garantire la terzietà del modello di analisi e la verificabilità delle assunzioni rispetto alle misure di mitigazione del rischio che verranno individuate. Vista la novità del fenomeno determinato dal COVID, è poi necessario provvedere al monitoraggio costante dei dati raccolti dalle fonti sopra indicate. A tal proposito è bene richiamare la Circolare del Ministero del Lavoro e del Ministero della Sanità (protocollo n. 0028877-04 del 4.9.2020) contenente “Aggiornamenti e chiarimenti, con particolare riguardo ai lavoratori e alle lavoratrici “fragili””. Il documento sottolinea l’opportunità contestualizzare in tempo utile le diverse tipologie di misure di contenimento del rischio da Sars-CoV-2 rispetto alle singole realtà produttive, tenendo conto dei dati sull’andamento epidemiologico nel relativo contesto territoriale.
Dunque, qualora si rilevassero modifiche significative dei dati analizzati nel corso del tempo, intendendosi per tali variazioni superiori al 10% rispetto al valore preso a riferimento in prima rilevazione, IADA s.r.l. procederà ad una revisione del protocollo di sicurezza per eventualmente aggiornare le misure di mitigazione del rischio, lasciando traccia delle modifiche e degli aggiornamenti nel documento. 3) Cosa sono i coronavirus I coronavirus sono una vasta famiglia di virus noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi come la Sindrome respiratoria mediorientale (MERS, Middle East respiratory syndrome) e la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS, Severe acute respiratory syndrome). Sono virus RNA a filamento positivo, con aspetto simile a una corona al microscopio elettronico. La sottofamiglia Orthocoronavirinae della famiglia Coronaviridae è classificata in quattro generi di coronavirus (CoV): Alpha-, Beta-, Delta- e Gamma-coronavirus. Il genere del betacoronavirus è ulteriormente separato in cinque sottogeneri (tra i quali il Sarbecovirus). I Coronavirus sono stati identificati a metà degli anni '60 e sono noti per infettare l'uomo e alcuni animali (inclusi uccelli e mammiferi). Le cellule bersaglio primarie sono quelle epiteliali del tratto respiratorio e gastrointestinale. Ad oggi, sette coronavirus hanno dimostrato di essere in grado di infettare l'uomo: - coronavirus umani comuni: HCoV-OC43 e HCoV-HKU1 (Betacoronavirus) e HCoV-229E e HCoV-NL63 (Alphacoronavirus); essi possono causare raffreddori comuni ma anche gravi infezioni del tratto respiratorio inferiore; - altri coronavirus umani (Betacoronavirus): SARS-CoV, MERS-CoV e 2019-nCoV (ora denominato SARS-CoV-2). Nuovo coronavirus SARS-CoV-2 Un nuovo coronavirus è un nuovo ceppo di coronavirus che non è stato precedentemente mai identificato nell'uomo. In particolare quello denominato SARS-CoV-2 (precedentemente 2019-nCoV), non è mai stato identificato prima di essere segnalato a Wuhan, in Cina, a dicembre 2019. Nella prima metà del mese di febbraio l'International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV), che si occupa della designazione e della denominazione dei virus (ovvero specie, genere, famiglia, ecc.), ha assegnato al nuovo coronavirus il nome definitivo: "Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2" (SARS-CoV-2). A indicare il nome è stato un gruppo di esperti incaricati di studiare il nuovo ceppo di coronavirus. Secondo questo pool di scienziati il nuovo coronavirus è fratello di quello che ha provocato la Sars (SARS-CoVs), da qui il nome scelto di SARS-CoV-2. Sempre nella prima metà del mese di febbraio (precisamente l'11 febbraio) l'OMS ha annunciato che la malattia respiratoria causata dal nuovo coronavirus è stata chiamata COVID-19. La nuova sigla è la sintesi dei termini CO-rona VI-rus D-isease e dell'anno d'identificazione, 2019.
Sintomi I sintomi più comuni di una persona con COVID-19 sono rappresentati da: - febbre; - stanchezza; - tosse secca. Alcuni pazienti possono presentare indolenzimento e dolori muscolari, congestione nasale, naso che cola, mal di gola o diarrea. Questi sintomi sono generalmente lievi e iniziano gradualmente. Recentemente sono state segnalati come sintomi legati all'infezione da Covid-19, l'anosmia/iposmia (perdita /diminuzione dell'olfatto) e, in alcuni casi l'ageusia (perdita del gusto). Nei casi più gravi, l'infezione può causare: - polmonite; - sindrome respiratoria acuta grave; - insufficienza renale e persino la morte. Alcune persone si infettano ma non sviluppano alcun sintomo. Generalmente nei bambini e nei giovani adulti i sintomi sono lievi e a inizio lento. Le persone anziane e quelle con malattie pre-esistenti, come ipertensione, malattie cardiache o diabete e i pazienti immunodepressi (per patologia congenita o acquisita o in trattamento con farmaci immunosoppressori, trapiantati) rappresentano la fascia della popolazione a rischio di sviluppare forme gravi di malattia. Periodo di incubazione Il periodo di incubazione rappresenta il periodo di tempo che intercorre fra il contagio e lo sviluppo dei sintomi clinici. Si stima attualmente che vari fra 2 e 11 giorni, fino ad un massimo di 14 giorni. Trasmissione Il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto con le goccioline del respiro delle persone infette, ad esempio tramite: - la saliva, tossendo e starnutendo; - contatti diretti personali; - le mani, ad esempio toccando con le mani contaminate (non ancora lavate) bocca, naso o occhi. In rari casi il contagio può avvenire attraverso contaminazione fecale. Normalmente le malattie respiratorie non si tramettono con gli alimenti, che comunque devono essere manipolati rispettando le buone pratiche igieniche ed evitando il contatto fra alimenti crudi e cotti. La principale via di trasmissione del virus, secondo l’OMS, in base ai dati attuali disponibili, avviene attraverso il contatto stretto con persone sintomatiche. La via di trasmissione da temere è soprattutto quella respiratoria, non quella da superfici contaminate. Non è ancora scientificamente provato che persone nelle fasi prodromiche della malattia, e quindi con sintomi assenti o molto lievi, possano trasmettere il virus. Maria Van Kerkhove, capo del team tecnico anti-Covid-19 dell’Organizzazione mondiale della sanità ha affermato che “è molto raro che una persona asintomatica possa trasmettere
il coronavirus” (https://www.cnbc.com/2020/06/08/asymptomatic-coronavirus-patients- arent-spreading-new-infections-who-says.html). Anche uno studio condotto da un gruppo di ricercatori cinesi (A Study on Infectivity of Asymptomatic SARS-CoV-2 Carriers; Respir Med. 2020 Aug; 169:106026. doi: 10.1016/j.rmed.2020.106026. Epub 2020 May 13) afferma, infatti, che “the infectivity of some asymptomatic SARS-CoV-2 carriers might be weak”. La questione – come si vedrà infra - è assai rilevante nella definizione delle misure di contenimento del rischio Covid. È bene sottolineare sin d’ora che le linee guida emanate dal Governo italiano di concerto con le parti sociali, poiché prevedono per alcune tipologie di attività il controllo della temperatura corporea per accedere ai locali d’impresa, sembrano per l’appunto fondarsi sul presupposto che la sintomaticità sia un fattore determinante nella propagazione del contagio. Veicolazione del virus tramite superfici La questione della veicolazione del virus tramite le superfici in cui si depositano i droplet (goccioline di saliva) assume un’importanza relativa se, come detto sopra, gli asintomatici non siano da ritenersi un medium rilevante della diffusione del virus. In altre parole, e anticipando quanto verrà detto in termini di misure di contenimento del rischio, poiché l’accesso ai locali dove si svolge l’attività di impresa di IADA s.r.l. sarà vietato a coloro che avranno una temperatura corporea superiore a 37,5 gradi Celsius, allora si deve ritenere che le superfici di banchi, tavoli, sedie e quant’altro non saranno comunque ricoperte di droplet con carica virale sufficiente alla trasmissione del COVID. Per tale motivo, si ritiene sufficiente che gli ambienti e le superfici vengano puliti con la stessa cadenza temporale ad oggi esistente, ovvero quotidianamente. A tal proposito, si rileva che una ricerca scientifica (Likelihood of survival of coronavirus in a respiratory droplet deposited on a solid surface, Phys. Fluids 32, 061704(2021); https://doi.org/10.1063/5.0012009@phf.2021.FATV2020.issue-1) ha appurato che: - The virus needs a medium to stay alive; therefore, once the droplet has evaporated, the virus is not expected to survive. The evaporation time can, therefore, be taken as an indicator of the survival time of the virus; - The ambient temperature and relative humidity are taken as a mean of the respective ranges … the drying time increases with an increase in humidity; however, it decreases with an increase in ambient temperature. Thus, the combined effect of humidity and temperature dictates the final drying time. E, ancora: - The growth rate appears to be weakly correlated with the drying time, i.e., a larger (lower) growth rate corresponds to larger (lower) drying time. Qualitatively, these data verify that when a droplet evaporates slowly, the chance for the survival of the virus is enhanced and the growth rate is augmented; - At 25 °C, the evaporation time for small droplets is about 6 seconds, which increases to 27 seconds for large size droplets; - The likelihood of the survival of the virus increases roughly by five times under a humid condition as compared to a dry condition; - Furthermore, the evaporation time becomes greater than 2 minutes for large droplets at high humidity.
In sintesi, il rischio di contagio all’interno dei locali è da considerarsi remoto per il divieto di accesso a soggetti sintomatici con stato febbrile e, quindi, per l’assenza di carica virale rilevante nei droplet prodotti e diffusi nell’ambiente da possibili soggetti asintomatici. In ogni caso, la temperatura e l’umidità di regola presenti negli uffici (ad esempio 22 °C nei mesi invernali) produrrebbe l’evaporazione dei droplet prodotti e diffusi sulle superfici dai soggetti asintomatici e, quindi, la conseguente morte del virus, all’interno di un range temporale di massimo 2 minuti. Ne consegue che la pulizia delle superfici condivise tra più persone può avere una qualche utilità, nell’ottica dell’ulteriore contenimento del contagio, qualora avvenga in questo lasso di tempo, accelerando dunque la morte del virus. 4) Statistiche ufficiali Numero di casi accertati (dati cumulativi) L’Istituto Superiore di Sanità, tramite le procedure di Sorveglianza Integrata, ha accertato la sussistenza di 257.035 casi alla data del 22 agosto 2020. Del totale, 30.512 casi riguardano operatori sanitari. La definizione internazionale di caso prevede che venga considerata “caso confermato” una persona con una conferma di laboratorio del virus che causa COVID-19 a prescindere dai segni e dai sintomi clinici (https://www.ecdc.europa.eu/en/case-definition-and-european- surveillance-human-infection-novel-coronavirus-2019-ncov). L’età mediana dei soggetti infettati è 60 anni e la ripartizione per età dei contagiati è la seguente: IMMAGINE 01 Numero di casi di COVID-19 segnalati in Italia per classe di età e letalità (%) (dato disponibile per 257.013 casi) Incidenza del fattore co-morbilità (Fonte: Istituto Superiore di Sanità, Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia, Dati al 22 luglio 2020; https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Report-COVID-2019_22_luglio.pdf)
La seguente tabella presenta le più comuni patologie croniche preesistenti (diagnosticate prima di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2) nei pazienti deceduti. Questo dato è stato ottenuto da 3.952 deceduti per i quali è stato possibile analizzare le cartelle cliniche. Il numero medio di patologie osservate in questa popolazione è di 3,4 (mediana 3, Deviazione Standard 2). Complessivamente, 155 pazienti (3,9% del campione) presentavano 0 patologie, 549 (13,9%) presentavano 1 patologia, 807 (20,4%) presentavano 2 patologie e 2.441 (61,8%) presentavano 3 o più patologie. Prima del ricovero in ospedale, il 22% dei pazienti deceduti SARS-CoV-2 positivi seguiva una terapia con ACE-inibitori e il 15% una terapia con Sartani (bloccanti del recettore per l'angiotensina). Nelle donne (n=1378) il numero medio di patologie osservate è di 3,5 (mediana 3, Deviazione Standard 1,9); negli uomini (n=2574) il numero medio di patologie osservate è di 3,3 (mediana 3, Deviazione Standard 2). IMMAGINE 02 (Fonte: Istat e Istituto Superiore di Sanità, Impatto dell’Epidemia COVID-19 sulla mortalità: cause di morte nei deceduti positivi a SARS-CoV-2, 16 luglio 2020; https://www.istat.it/it/files//2020/07/Report_ISS_Istat_Cause-di-morte-Covid.pdf) Sono state analizzate le informazioni riportate dai medici in 4.942 schede di morte di soggetti diagnosticati microbiologicamente con test positivo al SARS-CoV-2 (il 15,6% del
totale dei decessi notificati al Sistema di Sorveglianza Integrata ISS fino al 25 maggio). Nelle schede di morte sono certificate, oltre a COVID-19, quelle condizioni e malattie che hanno avuto un ruolo nel determinare il decesso. Sintesi dei principali risultati: - COVID-19 è la causa direttamente responsabile della morte (cioè ha dato inizio alla catena di eventi morbosi che ha portato direttamente alla morte) nell’89% dei decessi di persone positive al test SARS-CoV-2, mentre per il restante 11% le cause di decesso sono le malattie cardiovascolari (4,6%), i tumori (2,4%), le malattie del sistema respiratorio (1%), il diabete (0,6%), le demenze e le malattie dell’apparato digerente (rispettivamente 0,6% e 0,5%). - Il 71,8% dei decessi di persone positive al test SARS-CoV-2 ha almeno una concausa: il 31,3% ne ha una, il 26,8% due e il 13,7% ha tre o più concause. Si tratta di malattie, traumatismi o circostanze esterne che hanno avviato sequenze di eventi morbosi indipendenti tra loro o che hanno contribuito al decesso aggravando le condizioni del paziente o il decorso della malattia. Sono pertanto cause rilevanti e corresponsabili del decesso. Detto questo, l’Istituto Superiore di Sanità (Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia, Dati al 22 luglio 2020) ritiene che solo il 3,4% dei decessi addebitati al COVID non presenti comorbilità. - Associate a COVID-19, le concause più frequenti che contribuiscono al decesso sono le cardiopatie ipertensive (18% dei decessi), il diabete mellito (16%), le cardiopatie ischemiche (13%), i tumori (12%). Con frequenze inferiori al 10% vi sono le malattie croniche delle basse vie respiratorie, le malattie cerebrovascolari, le demenze o la malattia di Alzheimer e l’obesità. - La quota di deceduti in cui COVID-19 è la causa direttamente responsabile della morte varia in base all’età, raggiungendo il valore massimo del 92% nella classe 60-69 anni e il minimo (82%) nelle persone di età inferiore ai 50 anni. - COVID-19 è una malattia che può rivelarsi fatale anche in assenza di concause. Non ci sono, infatti, concause di morte preesistenti a COVID-19 nel 28,2% dei decessi analizzati, percentuale simile nei due sessi e nelle diverse classi di età. Solo nella classe di età 0-49 anni la percentuale di decessi senza concause è più bassa, pari al 18%. - Le complicanze di COVID-19 che portano al decesso sono principalmente la polmonite (79% dei casi) e l’insufficienza respiratoria (55%). Altre complicanze meno frequenti sono lo shock (6%), la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) ed edema polmonare (6%), le complicanze cardiache (3%), la sepsi e le infezioni non specificate (3%). IMMAGINE 03
Stima RT (calcolo numero medio di infezioni secondarie generate da una persona infetta) Il numero di riproduzione netto Rt indica il numero medio di infezioni secondarie generate da una persona infetta a una certa data ed è una grandezza fondamentale per capire l’andamento dell’epidemia. Se Rt ha un valore inferiore alla soglia critica di 1, il numero di nuove infezioni tenderà a decrescere tanto più velocemente quanto più è lontano dall’unità. Per contro, quanto più Rt supera 1, tanto più rapidamente aumenterà il numero dei contagi. Un Rt sopra soglia, anche in presenza di un numero basso di casi, è un campanello di allarme sull’andamento epidemico. Il numero di riproduzione netto in un certo contesto geografico può essere stimato a partire dalla conoscenza della data di inizio sintomi dei casi, una volta nota la distribuzione dell’intervallo seriale (ovvero la distanza temporale fra la comparsa dei sintomi in una persona infettata e nei casi da essa generati). IMMAGINE 04 Decessi 34.142 sono i soggetti deceduti al 22 luglio 2020, secondo la seguente ripartizione per cluster di età: IMMAGINE 05
Contagi: gli studi dell’OMS e dell’Imperial College of London In uno studio dell’Imperial College COVID-19 Response Team del 30 marzo 2020, diffuso dall’Oms Collaborating Centre for Infectious Disease Modelling (“Estimating the number of infections and the impact of non-pharmaceutical interventions on COVID-19 in 11 European countries”), viene stimato che il virus, alla data del 28 marzo 2020, avesse infettato il 9,8% della popolazione, dunque circa 6 milioni di persone: “In all countries, we estimate there are orders of magnitude fewer infections detected than true infections, mostly likely due to mild and asymptomatic infections as well as limited testing capacity. In Italy, our results suggest that, cumulatively, 5.9 [1.9-15.2] million people have been infected as of March 28th, giving an attack rate of 9.8% [3.2%-25%] of the population”. Anche un gruppo di ricercatori italiani ha confermato che “by the end of April 4.4-10.8% of healthy adults had evidence of seroconversion” (SARS-CoV-2 seroprevalence trends in healthy blood donors during the COVID-19 Milan outbreak; alcuni autori: Luca Valenti, Annalisa Bergna, Serena Pelusi; https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.05.11.20098442v1.full.pdf). I “Primi risultati dell’indagine di sieroprevalenza SARS-CoV-2” condotta dall’Istat In data 3 agosto 2020 l’Istat, nella persona di Linda Laura Sabbadini (Direttrice Centrale Istat, Direttrice scientifica Indagine di sieroprevalenza) ha rilasciato un primo report sull’indagine di sieroprevalenza condotta insieme al Ministero della Sanità (https://www.slideshare.net/slideistat/primi-risultati-dellindagine-di-sieroprevalenza-sarscov2). Il risultato che emerge dall’analisi di 64.660 prelievi effettuati è che le persone che hanno incontrato il SARS-CoV-2 potrebbero essere almeno 1.482.000, ovverosia in media il 2,5% della popolazione (con forti oscillazioni tra i residenti in Lombardia, che presentano un livello di sieroprevalenza del 7,5%, e quelli nelle alter Regioni). Il 27,3% dei contagiati sarebbe asintomatico. I contagi calcolati sulla base del numero di casi testati Per calcolare la letalità dobbiamo conoscere il numero di soggetti contagiati nell’ambito della popolazione italiana (60.400.000 abitanti). Il totale di casi testati al 22 agosto 2020, cioè di tamponi effettuati sullo stesso campione già testato (per ridurre falsi negativi e falsi positivi), è di 4.692.505 (il numero di tamponi effettuati è di 7.940.266) (22 agosto 2020 - Aggiornamento casi Covid-19 - Dati aggregati quotidiani Regioni/PPAA - Ministero della Salute - Istituto Superiore di Sanità). Poiché il numero di casi positivi accertati alla stessa data è 257.035, possiamo assumere che, a grandi linee, in Italia ci siano circa 3.308.320 contagiati (numero contagiati = 257.025 x 60.400.000 / 4.692.505). Considerazioni su letalità e mortalità Nelle epidemie il tasso di letalità effettivo può essere calcolato solo al termine dell'epidemia. Nel corso di un'epidemia di una malattia potenzialmente fatale, è importante che il tasso di letalità sia stimato correttamente all'inizio dell'epidemia per definire le misure di contenimento e una rapida risposta internazionale per il controllo della malattia.
La formula per il calcolo della letalità effettiva è: L=N/P*100 dove: L(%) = tasso di letalità espresso come percentuale N = numero totale dei decessi per una determinata malattia in una popolazione per un certo periodo P = numero di nuovi casi affetti da tale malattia nella stessa popolazione e nello stesso periodo Le stime iniziali del tasso di letalità fatte in corso di gravi epidemie possono essere errate come ordine di grandezza. Varie fonti di incertezza influenzano criticamente il calcolo del tasso di letalità, che è comunque soggetto a cambiare variando il periodo di osservazione e variando, Paese per Paese, le metodiche di conteggio degli ammalati e dei casi di morte. Una delle maggiori difficoltà nella stima del tasso di letalità è garantire l'accuratezza del numeratore e del denominatore. Le metodiche di raccolta dati possono influenzare notevolmente il calcolo del tasso di letalità. I decessi in caso di co-morbilità o per complicanze secondarie possono venir censiti in modo diverso. Nelle epidemie e pandemie, poi, le risposte del sistema sanitario, l'introduzione di cure efficaci, l'aumentata capacità nel tempo di diagnosticare i casi meno gravi o asintomatici, le misure di contenimento per le fasce a rischio della popolazione, possono ridurre il tasso di letalità, così come nelle epidemie virali il virus può mutare nel corso del tempo alzando o abbassando il tasso di letalità. Nel corso di un’epidemia, specie nelle sue fasi iniziali, accade frequentemente di sottostimare il numero di ammalati a una data precisa sia per la presenza di ammalati asintomatici, sia per i tempi necessari ad accertare una diagnosi sospetta. Esiste poi un errore sistematico nel rilevare il numero di decessi e di ammalati nello stesso momento. Infatti, per stimare un corretto tasso di letalità si dovrebbe considerare il tempo che intercorre in un soggetto tra la diagnosi della malattia e il decesso. Quando l'epidemia è in corso, specie nella sua fase iniziale, l'utilizzo della formula suddetta può essere molto fuorviante. Il tasso di letalità grezzo rilevato dividendo semplicisticamente il numero di morti cumulativo per il numero di casi cumulativo nelle prime settimane di un’epidemia varia sensibilmente senza che in realtà cambi la severità della malattia. Uno studio scientifico mostra la fallacità in cui si è incorsi nel tentativo di calcolare la letalità del virus e individua le ragioni per le quali ciò è avvenuto: What we know is the number of positive answers that we get from tests daily made in a given number, according to a specific protocol. The real number of infected people is surely far larger than that and, as a consequence, the real lethality is probably smaller than the one we quote here (A concise remark about the apparent growing lethality of Covid-19 and about the lockdown effects; autori: Luca Leuzzi, Enzo Marinari, Giorgio Parisi e Federico Ricci-Tersenghi; https://medium.com/@enzo.marinari/a-concise-remark-about-the-apparent-growing- lethality-of-covid-19-and-about-the-lockdown-effects-cc4a14bcb48c).
Per le ragioni contenute anche in tali studi, considerando il tempo che intercorre da quando vengono rilevati i sintomi e diagnosticata la malattia e il decesso, il numero cumulativo di decessi al giorno X si riferisce ai casi diagnosticati un certo numero di giorni prima. Il primo correttivo utilizzabile considera la mediana del numero di giorni tra la diagnosi della malattia e il decesso (T) applicando la formula: L(%) = N{algiornox}/P{algiornox-T}*100 Un'altra procedura per correggere la stima del tasso di letalità mentre l'epidemia è in corso può essere effettuata adottando la formula: L(%)=N{algiornox}/N{algiornox}+G{algiornox}*100 dove G è il numero di soggetti guariti. Queste due formule modificate stimano un tasso di letalità nelle prime fasi dell'epidemia superiore di quello rilevato con la formula grezza, ma sono comunque inadatte se il periodo di osservazione non è significativamente più lungo del periodo di incubazione o del tempo medio di morte e, nel caso della seconda formula, del periodo di guarigione. Le stime del tasso di letalità possono essere ridotte aumentando il denominatore (ad esempio aggiungendo la stima degli ammalati asintomatici, sospetti in attesa di verifica) o riducendo il numeratore (ad esempio dimezzando il numero di decessi avvenuti nel periodo mediano che intercorre tra la diagnosi e la morte, T, o non conteggiando i decessi con co- morbilità che permettono di escludere un nesso causale tra l'epidemia e il decesso). Poiché non esiste un dato certo sul numero di persone infette, riteniamo di dover determinare – sulla base di un approccio prudenziale - un intervallo di letalità. Inoltre, terremo conto che il COVID è causa diretta di morte per l’89% dei decessi in cui si è riscontrata la positività; infine, poiché Il 71,8% dei decessi di persone positive al test SARS-CoV-2 ha almeno una concausa determinante, elaboreremo un’ipotesi specifica, riducendo la percentuale di decessi attribuibili solo ed esclusivamente al COVID dall’89% al 25% (= 28,2% di 89%). Come riportato dal grafico che segue, la percentuale di decessi dovuti solo al COVID muta in funzione dell’età del soggetto (per esempio, nel cluster 0-49 anni la percentuale scende al 18,8%). IMMAGINE 06
Procediamo, quindi, al calcolo della letalità del COVID sulla base di stime differenti: 1) nel caso tenessimo in considerazione il dato sulla percentuale di popolazione infetta al 30 marzo 2020 (il dato potrebbe essere significativamente superiore alla data del 22.8.2020) fornita dall’Imperial College London e diffuso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la letalità sarebbe: L (%) = 35.881 (numero decessi al 22.8.2020) : 6.000.000 (numero persone infette) x 100 x 89% (COVID come causa iniziale del processo di morte) = 0,5% Qualora si tenesse conto anche del dato sulle concause determinanti: L (%) = 35.881 (numero decessi al 22.8.2020) : 6.000.000 (numero persone infette) x 100 x 25% (COVID come causa iniziale e unica del processo di morte) = 0,15% 2) nel caso tenessimo in considerazioni il numero di casi testati: L (%) = 35.881 (numero decessi al 22.8.2020) : 3.300.000 (numero persone infette ipotizzate sulla base del numero di casi testati) x 100 x 89% (COVID come causa iniziale del processo di morte) = 1% Qualora si tenesse conto anche del dato sulle concause determinanti: L (%) = 35.881 (numero decessi al 22.8.2020) : 3.300.000 (numero persone infette ipotizzate sulla base del numero di casi testati) x 100 x 25% (COVID come causa iniziale e unica del processo di morte) = 0,27% 3) nel caso tenessimo conto delle persone infette sulla base dell’indagine Istat sulla sieroprevalenza: L (%) = 35.881 (numero decessi al 22.8.2020) : 1.482.000 (numero persone infette ipotizzate sulla base dell’indagine) x 100 x 89% (COVID come causa iniziale del processo di morte) = 2% Qualora si tenesse conto anche del dato sulle concause determinanti: L (%) = 35.881 (numero decessi al 22.8.2020) : 1.482.000 (numero persone infette ipotizzate sulla base dell’indagine) x 100 x 25% (COVID come causa iniziale e unica del processo di morte) = 0,6% È evidente che l’aumento del numero di casi positivi al COVID riduce proporzionalmente i risultati della letalità. Abbiamo deciso di stimare la letalità definendo l’intervallo tra la percentuale minore e quella maggiore derivanti dai calcoli effettuati sopra, dunque tra lo 0,15% e il 2%. Scendendo ad esaminare il tasso grezzo di mortalità al 22 agosto 2020, il risultato è: M (mortalità) = 35.881 : 60.400.000 x 100 x 89% = 0,05% Oppure, qualora si tenesse conto del dato sulle concause determinanti: M (mortalità) = 35.881 : 60.400.000 x 100 x 25% = 0,015% Come per la letalità, riteniamo opportuno stimare l’intervallo di mortalità grezza tra lo 0,015% e lo 0,05%.
Contagiosità, letalità e demografia (Fonte: Bollettino di Sorveglianza integrata del 18 agosto 2020, Istituto Superiore di Sanità). Possiamo ora affinare i dati di contagiosità e letalità per campioni demografici sulla base della distribuzione per fasce d’età del totale di 35.821 decessi al 18 agosto 2020 (casi con età accertata). Sottolineiamo, tuttavia, che non conosciamo il numero di tamponi effettuati per età del soggetto analizzato e, pertanto, non è dato sapere con esattezza se, ad esempio, il numero rilevante di casi positivi del cluster demografico 50-59 derivi da una contagiosità maggiore dei soggetti o dal fatto che siano stati sottoposti a un maggior numero di tamponi rispetto agli altri cluster demografici. Il calcolo della letalità è stato effettuato sulla base dei parametri per l’elaborazione dell’intervallo determinato nel paragrafo precedente. Fasce Numero casi Percentuale Numero Percentuale Percentuale d’età positivi per classe di decessi per classe letalità età di età (intervallo) 0-9 2941 1,2 4 0 0 10-19 5575 2,2 0 0 0 20-29 16757 6,6 16 0 0 30-39 21293 8,4 67 0,2 0 40-49 33462 13,2 313 0,9 0,01-0,14 50-59 44775 17,6 1241 3,5 0,03-0,42 60-69 33097 13,0 3592 10,0 0,11-1,6 70-79 34925 13,7 9335 26,0 0,28-4,0 80-89 42112 16,6 14687 41,0 0,36-5,3 >90 19324 7,6 6588 18,4 0,36-5,2 IMMAGINE 07 Si tenga peraltro presente che i dati costituiscono una media tra i generi e che, salvo la fascia d’età superiore a 90 anni, l’incidenza della letalità e mortalità risulta essere ancora minore per le persone di sesso femminile. Dati su luoghi del contagio: nesso eziologico affidabile? Un’analisi preliminare dell’informazione relativa al luogo di esposizione condotta dall’Istituto Superiore di Sanità, disponibile per 8.200 su 88.517 casi diagnosticati a partire dal 1° aprile al 28 aprile 2020, ha evidenziato che 3.992 casi (49%) hanno contratto la malattia in una residenza sanitaria assistenziale o una comunità per disabili, 1.802 (22%) casi si sono contagiati in ambito familiare, mentre il 10% dei casi si è contagiato in ospedale o in ambulatorio. I dati, benché disponibili per un numero limitato di casi (9% del totale), sono in linea con quanto atteso a seguito delle misure di distanziamento sociale messe in atto a partire dal 9 marzo 2020. I dati di questa analisi appaiono affidabili per alcune categorie di popolazione i cui spostamenti sono limitati e non autonomi (si pensi agli anziani ricoverati in RSA o ai disabili), mentre potrebbero esserlo meno per i casi relativi a persone in grado di muoversi liberamente sul territorio. In tali casi, difatti, sarebbe impossibile tracciare gli spostamenti e i luoghi di contagio e, pertanto, determinare un nesso eziologico affidabile.
5) Popolazione IAAD: dati demografici Dipendenti e collaboratori IADA srl ha 27 tra dipendenti e collaboratori, 13 maschi e 14 femmine (aggiornamento al 22.6.2020), a vario titolo suddivisi tra le sedi come segue: - IAAD Torino, Via Pisa n. 5/D: 11 - IAAD Torino, Corso Regio Parco n. 15: 8 - IAAD Bologna: 8 L’età media dei dipendenti e collaboratori è di 32,80 anni. L’età media per ciascuna sede: - IAAD Torino Via Pisa: 32,90 anni - IAAD Torino Corso Regio: 34,12 anni - IAAD Bologna: 31,25 anni Solo uno dei dipendenti è ultracinquantenne (età: 56 anni). Studenti Gli studenti iscritti all’a.a. 2019-2020 sono 1.053, di cui 492 maschi e 561 femmine. Gli studenti sono distribuiti tra le sedi di Torino e Bologna come segue: - Torino (Via Pisa e Corso Regio Parco): 656 - Bologna: 364 Nelle tabelle seguenti sono evidenziate le fasce di età: IMMAGINE 08 865 studenti hanno un’età compresa tra 20 e 24 anni. Solo 8 studenti hanno un’età maggiore di 30 anni. 942 studenti sono italiani, di cui 441 provenienti dal Piemonte (iscritti tutti presso le sedi di Torino) e 265 dall’Emilia Romagna (di cui 252 iscritti presso la sede di Bologna).
Docenti I docenti sono 232, di cui 148 maschi e 84 femmine. Di questi, 142 insegnano presso le due sedi di Torino, 82 a Bologna, 8 sia a Torino sia a Bologna. Le loro fasce di età sono quelle che si evincono dalla seguente tabella: IMMAGINE 09 I docenti ultracinquantenni sono 56, di cui 40 a Torino e 16 a Bologna. Di questi, 42 appartengono alla fascia d’età 50-59 anni e 14 alla fascia d’età 60-69 anni. 6) Il luogo di lavoro I locali in cui si svolge l’attività di impresa di IADA srl, in tutte le sedi di Torino e Bologna, presentano ampi spazi con possibilità di riciclo d’aria anche tramite impiantistica a ciò dedicata sia negli uffici dove svolgono l’attività i dipendenti sia nei laboratori dove svolgono attività didattica gli allievi. Orbene, sebbene la misura del distanziamento sia ultronea per tutte le considerazioni sopra svolte soprattutto in termini di non contagiosità dei soggetti asintomatici, si rileva come gli spazi suddetti sono comunque idonei a ospitare in sicurezza dipendenti e allievi. In altre parole, la misura primaria di contenimento del rischio cui fare riferimento per la sicurezza di dipendenti e allievi risulta essere la rilevazione della temperatura corporea all’ingresso dei locali (in corso di approntamento). 7) Casi di COVID riscontrati in IAAD Non ci sono stati casi di COVID tra i dipendenti di IADA srl, sebbene abbiano continuato a recarsi regolarmente a lavoro presso le sue sedi di Torino e Bologna così come previsto dalle prescrizioni del Governo. Sebbene l’attività didattica sia continuata da remoto a partire dal 24.2.2020, nell’ambito della popolazione IAAD è stato segnalato un solo caso di contagiato asintomatico da COVID tra i docenti, appartenente al cluster ultracinquantenne (aggiornamento al 22.6.2020). 8) Indagine conoscitiva su studenti e docenti IAAD Al fine di raccogliere informazioni sul contagio da COVID di studenti e docenti IAAD, abbiamo predisposto questionari anonimi on-line. Di seguito le domande: - ha manifestato sintomi tipici del COVID (febbre, stanchezza, tosse secca) durante dalla data di chiusura delle sedi IAAD sino ad oggi? - se la risposta alla domanda precedente è affermativa, ha effettuato un esame diagnostico per il COVID (ad esempio, tampone o test sierologici) - se la risposta alla domanda precedente è affermativa, è risultato positivo all’infezione da virus COVID?
- se la risposta alla domanda precedente è affermativa, ha terminato il periodo di quarantena in quanto contagiato da COVID? I dati raccolti verranno esaminati per determinare se la situazione epidemiologica della popolazione di IAAD sia diversa rispetto a quella nota e devii dai dati ufficiali sopra esaminati. 9) Specifica informativa rivolta alla popolazione IAAD I dati ufficiali che abbiamo esaminato sopra (Istituto Superiore di Sanità, Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia, dati al 7 maggio 2020) evidenziano l’impatto del COVID sull’aggravamento di patologie preesistenti. Per tale ragione, i dipendenti, gli studenti, i docenti e i fornitori che avranno accesso ai locali IAAD dovranno essere informati che il COVID è potenzialmente rischioso qualora abbiano in corso alcuna delle seguenti patologie: cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, ipertensione arteriosa, demenza, cancro, insufficienza renale cronica, insufficienza respiratoria, malattie autoimmuni. Tale informativa avrà lo scopo specifico di responsabilizzare le persone che intenderanno accedere ai locali IAAD perché decidano se e con quali ulteriori modalità contenere ulteriormente il rischio di contagio. 10) Valutazione del “rischio COVID” Come è stato approfondito sopra, il rischio COVID, poichè non è considerabile un rischio specifico dell’attività di impresa esercitata, ma – invero - un rischio sanitario generale, non può rientrare tra i rischi di cui al Testo Unico sulla sicurezza dei luoghi di lavoro. Inoltre non è scientificamente definibile il nesso eziologico tra luogo di lavoro e infezione da COVID che dovesse occorrere al lavoratore; questi potrebbe infettarsi in qualsiasi luogo che frequenti al di fuori dell’orario di lavoro ovvero disattendere le misure di prevenzione richieste da linee guida sanitarie, norme e provvedimenti autoritativi. Pur tuttavia, l’obiettivo di questo documento è quello di definire l’impatto dell’epidemia COVID sul regolare esercizio dell’attività di impresa di IADA srl. In altre parole, oggetto di indagine è comprendere non tanto se vi sia un rischio di contagio – come detto dipendente in massima parte dalle politiche sanitarie del Paese – ma se la popolazione IAAD sia soggetta a un rischio di contrarre una malattia letale per il solo fatto che l’attività di impresa venga esercitata regolarmente. A tal proposito è necessario rilevare che dalla combinazione dei dati ufficiali sull’epidemia COVID sopra esaminati e dei dati relativi alle caratteristiche demografiche della quasi totalità dei dipendenti, collaboratori, studenti e docenti IAAD, emerge come la letalità da cd. rischio COVID sia del tutto trascurabile in quanto tendente a “0”. Detto questo, si ritiene di dover considerare cluster di popolazione IAAD più esposti al rischio, ovvero gli ultracinquantenni. Un solo dipendente di IADA srl ha un’età maggiore di 50 anni, precisamente 56 anni, e risulta di sesso femminile. Nessuno studente appartiene a tale cluster demografico. I docenti ultracinquantenni sono 56, di cui 42 nella fascia d’età 50-59 anni e 14 nella fascia d’età 60-69. Secondo le metodologie prudenziali utilizzate sopra, il rischio letalità da COVID per tale classe demografica risulta compreso nel seguente intervallo: 0,03%-1,6%. 11) Le misure specifiche di contenimento del rischio COVID adottate da IADA srl Seppure il rischio COVID, ivi inteso come rischio di letalità/mortalità della popolazione IAAD a causa del COVID, sia prossimo allo “0”, IADA srl intende comunque adottare alcune misure organizzative, citate anche dalle linee guida contenute nei protocolli d’intesa tra le parti sociali del 24.4.2020, finalizzate a tutelare, in particolar modo, il cluster demografico ultracinquantenne.
Cluster di Obiettivo Misura raccomandata popolazione IAAD Dipendenti, Informazione sul - Invio via e-mail del link internet ove poter collaboratori, presente protocollo, scaricare il presente protocollo e l’informativa sul studenti, sul rischio co-morbilità rischio co-morbilità; docenti, e sulle buone prassi - Individuazione di un Contact Point fornitori e terzi igienico-sanitarie. raggiungibile via e-mail con compiti informativi; soggetti in generale - Definizione di incontri via remoto con ciascuna categoria della popolazione IAAD per rendere noto il presente protocollo e per supportarne la sua effettiva adozione. Dipendenti, Divieto di ingresso ai Misurazione temperatura corporea all’ingresso dei collaboratori, possibili sintomatici locali. studenti, da Covid che docenti, manifestino una fornitori e terzi temperatura corporea soggetti in generale superiore a 37,5 gradi Celsius. Dipendenti, Ulteriore - Contact tracing di fornitori e soggetti terzi (data collaboratori, contenimento del ingresso, nome e cognome, e-mail, telefono studenti, rischio, seppure cellulare); docenti, remoto, di contagio da - Mantenimento della distanza interpersonale di fornitori e terzi soggetti asintomatici o un metro, con fornitori e soggetti terzi; soggetti in generale paucisintomatici allo - Disponibilità di prodotti igienizzanti di mani e stadio iniziale (ovvero superfici dislocati in vari punti dei locali. senza febbre). Fornitori e terzi in Ulteriore - Mantenimento della distanza di due metri; generale contenimento del - in caso di impossibilità al mantenimento della ultracinquantenni rischio, seppure distanza, utilizzazione di mascherine. remoto, di contagio da soggetti asintomatici o paucisintomatici allo stadio iniziale (ovvero senza febbre). Dipendenti Ulteriore - Mantenimento della distanza di due metri tra le Ultracinquantenni. contenimento del sedute delle loro postazioni di lavoro e quelle degli rischio, seppure altri dipendenti; remoto, di contagio da - Minimizzazione dei contatti con studenti, soggetti asintomatici o docenti e fornitori; sintomatici allo stadio - in caso di necessità e, quindi, di ricevimento in iniziale (ovvero senza ufficio di studenti, docenti e fornitori, utilizzazione di febbre). mascherine sia per il dipendente sia per gli ospiti e pulizia, immediatamente dopo il contatto, della postazione di lavoro. Docenti Ulteriore - Adozione, per quanto possibile, del blended Cluster contenimento del learning (lezioni da remoto o registrate); demografico rischio, seppure - In caso di lezioni in aula, mantenimento della 50-59 anni. remoto, di contagio da distanza di due metri e utilizzazione di mascherine da soggetti asintomatici o parte del docente; paucisintomatici allo Partecipazione a tesi di laurea, esami ed eventi in stadio iniziale (ovvero genere con utilizzo di mascherina e ponendo senza febbre). particolare attenzione al distanziamento di due metri tra la loro seduta e quella di altri soggetti (ad esempio studenti o altri membri della commissione esaminatrice) e nel caso di movimenti negli spazi comuni. Docenti Ulteriore - Adozione, per quanto possibile, del blended Cluster contenimento del learning (lezioni da remoto o registrate); demografico rischio, seppure - In caso di lezioni in aula, mantenimento della 60-69 anni. remoto, di contagio da distanza di due metri e utilizzazione di mascherine da soggetti asintomatici o parte del docente e degli studenti; sintomatici allo stadio - Divieto a partecipazione fisica a tesi di laurea, iniziale (ovvero senza esami ed eventi in genere; utilizzazione della sola febbre). partecipazione da remoto.
Misure raccomandate in caso di eventi (info day, eventi di presentazione, ecc.) Nel corso degli eventi è raccomandata l’implementazione delle seguenti misure a tutela dei partecipanti che non rientrino nella popolazione IAAD come individuata nella precedente tabella. Partecipanti Obiettivo Misura raccomandata Partecipanti in Contact tracing - Partecipazione all’evento riservata a coloro che generale si preregistrino lasciando le seguenti informazioni: nome e cognome, e-mail, numero di telefono cellulare. Partecipanti in Informazione sul - Invio via e-mail ai partecipanti preregistrati del generale presente protocollo, link internet ove poter scaricare il presente protocollo sul rischio co-morbilità e l’informativa sul rischio co-morbilità. e sulle buone prassi igienico-sanitarie. Partecipanti in Divieto di ingresso ai - Gestione di un’ordinata procedura di ingresso generale possibili sintomatici che eviti assembramenti; da Covid che - Misurazione temperatura corporea all’ingresso manifestino una dei locali; temperatura corporea - In mancanza di varchi automatizzati, i dipen- superiore a 37,5 gradi denti che rileveranno la temperatura all’ingresso e, Celsius. dunque, saranno il primo contatto dei partecipanti, dovranno indossare mascherina e guanti e chiedere al partecipante di indossare la mascherina per il tempo necessario a questa operazione; - Il desk di accoglienza dovrà essere posizionato all’interno dei locali dopo il punto di ingresso con la rilevazione della temperatura. Partecipanti in Ulteriore - Mantenimento della distanza interpersonale di generale contenimento del un metro; rischio, seppure - Disponibilità di prodotti igienizzanti di mani di- remoto, di contagio da slocati in vari punti dei locali che ospitano l’evento; soggetti asintomatici o - Previsione di vie di uscita dai locali diverse da paucisintomatici allo quelle di ingresso. stadio iniziale (ovvero senza febbre). Partecipanti Ulteriore - Mantenimento della distanza di due metri; ultracinquantenni contenimento del - in caso di impossibilità al mantenimento della rischio, seppure distanza, utilizzazione di mascherine; remoto, di contagio da - Queste misure non sono previste in caso di soggetti asintomatici o congiunti. paucisintomatici allo stadio iniziale (ovvero senza febbre).
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