Pigmenti delle pitture murali storiche: la preparazione dei colori

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Pigmenti delle pitture murali storiche: la preparazione dei colori
Pigmenti delle pitture murali
storiche: la preparazione dei
colori
Per la corretta comprensione delle pitture murali storiche –
spesso parte integrante della decorazione architettonica
(interna o di facciata) degli edifici di pregio come chiese o
palazzi gentilizi – è fondamentale conoscere i pigmenti più
comuni, che abbiamo descritto nel primo articolo. Il focus
invece di questo approfondimento sono i colori composti,
ottenuti miscelando più sostanze o colori già pronti all’uso,
e delle tecniche di preparazione dei pigmenti.

I “colori composti” di Cennino
Come già descritto nel capitolo precedente, Cennino divide i
colori in tre categorie: “naturali” (sostanzialmente i
pigmenti neri, rossi, gialli e verdi, non bisognosi di
particolari trattamenti); “naturali trattati” (bianco e
azzurro), che si ricavano sottoponendo alcune sostanze
naturali a procedimenti specifici, e appunto i colori
composti, cioè rosa, verdaccio, verde salvia, biffo (una
sfumatura di viola), berrettino o grigio-azzurro, marrone o
color legno e infine falso blu.
Rosa o cinabrese – Il rosa era fondamentale soprattutto per
gli incarnati (Foto 1). A tale scopo ci si serviva di uno
speciale pigmento che Cennino definisce “cinabrese chiara”,
ottenuto miscelando due parti di sinopia sinopia (e non di
cinabro, come sembrerebbe invece suggerire il nome) e una di
bianco sangiovanni. Il composto andava quindi diviso in
panetti della grandezza di una noce e messo a seccare.
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Foto 1 – Esempio di incarnati realizzati probabilmente con l’uso della cinabrese

Verdaccio
Si tratta di un verde oliva che durante il Medioevo e il
Rinascimento veniva utilizzato nei dipinti su tavola o parete
per dipingere gli sfondi delle montagne in lontananza o come
strato di fondo per gli incarnati. Vediamo uno splendido
esempio di questa seconda applicazione nella cosiddetta
Madonna di Manchester, un dipinto giovanile incompiuto di
Michelangelo a tempera su tavola: i personaggi sulla sinistra
appaiono infatti delineati assai sommariamente proprio con
alcune pennellate di verdaccio. Il motivo è presto detto:
poiché il verde è il colore complementare del rosso da cui si
otteneva la cinabrese, uno sfondo di questa tinta conferiva
alla pelle umana un aspetto decisamente più realistico.
Cennino fornisce la ricetta per la sua preparazione: “Togli
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quanto una fava d’ocria scura […]; e se non hai della scura,
togli della chiara macinata bene. Mettila nel detto tuo
vasellino, e togli un poco di nero, quanto fusse una lente;
mescola colla detta ocria. Togli un poco di bianco
sangiovanni, quanto una terza fava; togli quanto una punta di
coltellino di cinabrese chiara; mescola con li predetti i
colori tutti insieme”.

Verde salvia
È un verde chiaro con sfumature un utilizzato soprattutto per
dipingere le vesti (Foto 3), gli alberi, le piante ed il
paesaggio. Era costituito semplicemente da una miscela di
verdeterra e bianco sangiovanni nei dipinti parietali, e di
verdeterra e biacca nelle tempere su tavola.

Viola o color biffo
Per ottenere il color biffo, cioè il violetto, Cennino
fornisce due ricette differenti. La prima era costituita da
una miscela di lacca rossa e azzurro oltremare, mentre la
seconda, specificamente consigliata “per lavorare in fresco”,
cioè per gli affreschi, prevedeva una miscela di pigmento
indaco e polvere di ematite. L’indaco è un colorante di
origine vegetale, molto usato per tingere le stoffe e nella
pittura su carta, che si otteneva facendo macerare con calce o
ammoniaca le foglie delle piante di guado o appunto di indaco.
Non era un colore molto diffuso negli affreschi, essendo quasi
sempre riservato alla realizzazione delle vesti (Foto 4): una
sua interessante applicazione, visibile in numerosi esempi
rinascimentali e manieristi, simulava l’effetto di un tessuto
cangiante di colore giallo (appunto complementare al viola)
sottolineando con il biffo le pieghe del panneggio.

Grigio-azzurro o berrettino
Si tratta di un grigio cenere con sfumature azzurre utilizzato
soprattutto per dipingere le vesti (Foto 5), gli edifici in
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pietra gli sfondi dei paesaggi. Per la sua realizzazione
Cennino suggerisce di mescolare due parti di colore ocra e una
di nero.

Marrone o color legno
Si otteneva o con dei pigmenti naturali come ad esempio le
terre d’ombra, che però Cennino non descrive e quindi
probabilmente non usava, oppure con un colore composto di cui
fornisce la ricetta: due parti di ocra, mezza parte di nero e
mezza parte di rosso. Si usava soprattutto per i tronchi
d’albero, gli edifici in legno, il terreno (Foto 6), i mobili
delle scene d’interni, la croce di Cristo, gli abiti dei
poveri e dei frati francescani.

Foto 3 – Particolare di un affresco della Cappella degli Scrovegni con un personaggio
di spalle che indossa una veste di colore verde salvia
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Foto 4 – Particolare di un affresco della seconda metà del XIV con una veste viola o
di “color biffo”
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Foto 5 – Particolare di un affresco della Cappella degli Scrovegni con un personaggio
di profilo che indossa un mantello grigio-azzurro o “color berrettino”
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Foto 6 – Particolare di un affresco della Cappella degli Scrovegni con un pendio sullo
sfondo dipinto di marrone o “color legno”
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Foto 7 – Particolare di una celebre scena della volta della Cappella Sistina in cui
Michelangelo utilizzò forse il falso blu per dipingere il cielo e le montagne sullo
sfondo
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Foto 9 – La raccolta di una terra naturale gialla
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Foto 10 – Terra di Siena naturale gialla allo stato grezzo. Cortesia di Antonio
Martorelli (Restauro & Colore s.r.l.)
Foto 11 – Terra verde di celadonite allo stato grezzo. Cortesia di Antonio Martorelli
(Restauro & Colore s.r.l.)

Foto 14 – Al pigmento in polvere veniva aggiunta gradualmente una diversa sostanza in
base alla tecnica pittorica adottata: acqua per l’affresco, latte di calce nella
pittura a calce e tuorlo d’uovo o un altro pigmento organico nella tempera. Cortesia
di Antonio Martorelli (Restauro & Colore s.r.l.)
Foto 15 – Colore a tempera preparato aggiungendo tuorlo d’uovo al pigmento macinato.
Cortesia di Antonio Martorelli (Restauro & Colore s.r.l.)
Foto 16 – Una volta pronto il colore liquido era trasferito in un vasetto di vetro,
ceramica invetriata, metallo o persino in una conchiglia. Cortesia di Antonio
Martorelli (Restauro & Colore s.r.l.)
Foto 17 – Al giorno d’oggi i pigmenti sono venduti già pronti all’uso in un’ampia
gamma di sfumature. Cortesia de La Banca della Calce

Foto 18 – Per preparare i colori con i pigmenti pronti è sufficiente prelevarne la
quantità prefissata dal barattolo
Foto 19 – Nella tinteggiatura a calce i pigmenti vengono diluiti in latte di calce.
Cortesia di Antonio Martorelli (Restauro & Colore s.r.l.)
Foto 20 – Prima dell’uso i colori vanno mescolati molto bene per evitare grumi che
potrebbero produrre antiestetiche macchie

Foto 21 – Se si desidera una tonalità precisa è consigliabile fare alcune prove su una
piccola tavella intonacata

Falso blu
L’ultimo colore composto di cui trattiamo è il cosiddetto
falso blu, utilizzato negli affreschi più poveri come
sostituto a basso costo degli altri pigmenti azzurri. Era
generalmente formato da una miscela di bianco sangiovanni,
nero di vite e pochissima ocra rossa o cinabro: il risultato è
un blu che tende al grigio, attestato per esempio nel ciclo di
affreschi carolingi (IX secolo) nell’abbazia di San Germano ad
Auxerre in Francia. Anche Cennino fornisce la ricetta di un
azzurro chiaro decisamente più economico del lapislazzuli o
dell’azzurro della Magna a base di indaco e un po’ di bianco
sangiovanni.
Esistevano dunque almeno due modi per ottenere il falso blu,
che venivano adottati a seconda della sfumatura che
desiderava: Michelangelo li utilizzò forse entrambi sulla
volta della Cappella Sistina (Foto 7).
La preparazione dei colori
Cennino fornisce informazioni abbastanza dettagliate anche
sull’approvvigionamento delle materie prime, la preparazione
dei colori e la confezione degli strumenti adatti: prima di
essere concretamente utilizzati per dipingere, i pigmenti che
abbiamo descritto nell’articolo precedente dovevano infatti
essere sottoposti a un lungo processo di preparazione, che in
generale comprendeva la loro macinazione e miscelazione con
acqua.

L’approvvigionamento della materia
prima
Per prima cosa occorreva però procurarsi la materia prima,
cioè la terra o il minerale grezzo.
Alcuni pigmenti come il nerofumo e il nero di vite potevano
essere prodotti direttamente dal pittore nella propria bottega
e abitazione con semplici strumenti, mentre altri (tra cui la
malachite, il cinabro, la lacca o il lapislazzuli) andavano
acquistati da speziali o mercanti di fiducia come pigmento già
pronto all’uso in piccoli panetti o minerali grezzi da
trattare. Le terre naturali potevano invece essere raccolte
direttamente dal pittore o da suoi incaricati in affioramenti
superficiali, molto numerosi soprattutto nei dintorni di Siena
(Foto 8 e 9).

A tale proposito è molto significativo il racconto di Cennino,
che ricorda di essere stato accompagnato da suo padre,
anch’egli pittore, a scoprire alcuni di tali giacimenti di
ocra, sinopia, azzurrite e terre nere: “Giallo è un color
naturale, il quale si chiama ocria (Foto 10). Questo colore si
trova in terra di montagna, là dove si trovano certe vene come
di zolfore; e là ov’è queste vene, vi si trova della sinopia,
del verdeterra (Foto 11) e di altre maniere di colori. Vi
trovai questo, essendo guidato un dì per Andrea Cennini mio
padre, menandomi per lo terreno di Colle di Valdelsa, presso
a’ Confini di Casole, nel principio della selva del comune di
Colle, di sopra a una villa che si chiama Dometarìa. E
pervenendo in uno vallicello, in una grotta molta selvatica, e
raschiando la grotta con una zappa, io vidi vene di più
ragioni colori: cioè ocria, sinopia scura e chiara, azzurro e
bianco. […] Ancora in nel detto luogo era vena di colore
negro. […] Ritornando al colore dell’ocria, andai col
coltellino di dietro cercando alla margine di questo colore; e
si t’imprometto che mai non gustai il più bello e perfetto
colore di ocria”.

La macinazione dei pigmenti
Una volta ottenuta la materia prima, il carbone vegetale da
cui si otteneva il nero di vite, le terre naturali, i minerali
grezzi, il vetro blu per lo smaltino o la calce aerea del
bianco sangiovanni andavano accuratamente setacciati per
togliere le eventuali impurità, se necessario fatti seccare
completamente al sole e infine macinati finemente. A tale
scopo ci si serviva di due appositi strumenti: una lastra in
pietra di forma quadrata o circolare, appositamente levigata e
con dimensioni di circa 30-40 centimetri, e un pestello
ugualmente di pietra molto simile a quelli dei mortai (Foto
12). Per tali strumenti Cennino consiglia il porfido, mentre
ritiene il marmo e il serpentino troppo teneri e friabili.

A causa a causa della loro particolare durezza alcuni
materiali come l’ematite e il giallorino richiedevano però una
doppia macinazione, prima in un mortaio di piombo o bronzo e
successivamente sulla pietra; mentre altri pigmenti come la
malachite o l’azzurro della Magna richiedevano viceversa una
macinazione molto più leggera per non compromettere le proprie
qualità.

Si trattava comunque di un’operazione molto lunga, noiosa e
faticosa, che veniva generalmente riservata a garzoni
stipendiati oppure agli apprendisti più inesperti (Foto 13).
Richiedeva però molta cura e perizia, perché una macinazione
non uniforme avrebbe comportato la formazione di grumi,
rendendo il colore finito non uniforme e di applicazione poco
agevole.

Foto 12 – Strumenti moderni per la macinazione dei colori (setacci a maglia metallica
e mortaio in pietra) molto simili a quelli descritti da Cennin. Cortesia di Antonio
Martorelli (Restauro & Colore s.r.l.)
Foto 13 – La macinazione dei pigmenti in un’antica incisione

La preparazione dei colori
A questo punto il metodo di preparazione dei colori divergeva
a seconda della tecnica pittorica utilizzata, perché i colori
andavano miscelati con semplice acqua nel caso dell’affresco,
latte di calce per la pittura a calce o tuorlo d’uovo o un
altro legante di origine organica per la tempera su muro o
tavola.
Anche questa operazione risultava lunga e laboriosa, perché
bisognava trattare piccole quantità di terra o minerale – ad
esempio grandi come una noce secondo i consigli di Cennino – e
continuare a impastare sulla pietra per almeno mezz’ora o
un’ora (Foto 14 e 15). Infine si trasferiva la crema così
ottenuta in una ciotolina, un vasetto di vetro (Foto 16),
metallo o terracotta o perfino una conchiglia di cappasanta,
dove – nel caso dell’affresco – il colore veniva
successivamente diluito con acqua pulita, tappato e custodito
in una “cassettina atta a contenere più vaselli di licori”.
Ovviamente il colore pronto non si conservava a lungo, e
perciò i pigmenti andavano preparati quasi quotidianamente.

Al giorno d’oggi la preparazione dei colori risulta invece
assai più semplice e veloce, perché i pigmenti vengono venduti
già pronti all’uso in barattoli di vetro o plastica in
un’ampia gamma di tonalità (Foto 17). Per preparare i colori
per l’affresco o a pittura a calce basta dunque prelevare la
quantità prevista di pigmento (Foto 18), aggiungere la giusta
quantità di acqua o latte di calce (Foto 19) e mescolare bene
per ottenere un composto di consistenza cremosa e privo di
grumi che potrebbero creare antiestetiche macchie (Foto 20).
Tuttavia, anche se i fabbricanti di colori forniscono le
proprie ricette e scale di colore, se si desidera una
particolare sfumatura è consigliabile eseguire alcune prove su
una tavella intonacata (Foto 21), annotando la ricetta su un
quaderno.

Bibliografia

– Cennino Cennini, Il libro dell’arte.
– Aurora Cagnana, Archeologia dei materiali da costruzione,
Mantova, Società Archeologica Padana, 2000.
– Sergio Paolo Diodato, I buoni colori di una volta, 2018.
– Sito internet sui pigmenti: www.pigmenti.net.
– Gruppo facebook “Associazione terre coloranti”
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