Paolo VI, "Il signore dell'altissimo canto": Dante Alighieri

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Paolo VI, “Il signore dell’altissimo canto”: Dante Alighieri
Paolo VI mostrò in diversi momenti del suo pontificato un particolare affetto e legame per
Dante Alighieri. Nel 1965, sesto centenario della nascita del poeta, donò e fece porre sulla
lastra marmorea della sua tomba, in San Francesco a Ravenna, una croce d’oro; e nello
stesso anno (come egli stesso ricorda nella Altissimi cantus , par. 15) fece collocare una
corona d’oro col monogramma di Cristo nel Battistero di San Giovanni a Firenze, dove
Dante era diventato cristiano. Di questo amore la lettera apostolica “ Altissimi cantus “,
pubblicata il giorno prima della chiusura del Concilio Vaticano II, è una delle prove più
eloquenti: anche papa Benedetto XV aveva dedicato l’attenzione del suo magistero al poeta
fiorentino, nella ricorrenza della nascita (1921), dando al suo documento addirittura la veste
solenne dell’enciclica ( In praeclara summorum ). Paolo VI prosegue in questa attenzione
della Chiesa per il suo celebre figlio, e propone una lettura complessiva dell’opera di Dante,
di cui mostra un’approfondita conoscenza, ma di cui offre anche un’interpretazione nuova.
Nuova, e polemica, perché cristiana: Paolo VI rivendica con forza la dimensione fondante
del cristianesimo dantesco, in opposizione a quanti “hanno sostenuto che la Divina
Commedia non fosse poetica quando e dove è impregnata di teologia” (par. 53). Non è
difficile riconoscere in questa espressione un’allusione a Benedetto Croce, nel 1965, benché
scomparso, ancora influentissimo sulla critica italiana, che aveva sostenuto, nella Poesia di
Dante (1921) la “non poeticità” delle parti dottrinali del poema: principio diventato poi un
luogo comune della critica dantesca italiana, benché sostanzialmente errato, e scomodo
ostacolo alla vera compensione dell’opera. La lettura del papa è per questo aspetto molto
attuale e anticipatrice (oggi nessuno più sostiene la tesi crociana, e si dà invece per scontata
l’affermazione di Paolo VI); altrove è invece più datata: ad esempio nell’idea di un
“umanesimo” dantesco, cristiano e perciò positivo, in opposizione all’umanesimo “pagano”
del Rinascimento (par. 32): è la vecchia visione del Rinascimento proposta da Jacob
Burckhardt ( La civiltà del Rinascimento in Italia , 1860), oggi però decisamente
abbandonata. Dante non è l’unico cristiano in una civiltà umanistica paganeggiante, ma un
uomo ancora medievale, e tuttavia padre degli eccezionali sviluppi successivi della cultura
del nostro paese.

Prof. Guido Sacchi
Paolo VI , Litterae Apostolicae Motu proprio datae “Altissimi cantus” septimo exeunte
saeculo a Dantis Aligherii ortu , in Acta Apostolicae Sedis. Commentarium officiale , anno e
vol. LVIII, 1966, Città del Vaticano, pp. 22-37. Titolo, titoli intermedi e traduzione
redazionali.

“Il signore dell’altissimo canto”: Dante Alighieri

[Introduzione]

[ 1. ] Quest’anno ricorre un centenario del signore dell’altissimo canto, di Dante Alighieri,
centenario degno di celebrazione: sono trascorsi infatti sette secoli da quando egli nacque a
Firenze, città generosa nutrice anche di altri agili e poderosi ingegni.

[ 2. ] È perciò degno e giusto che soprattutto il popolo italiano onori e commemori con
grande ossequio e a gara il suo massimo poeta, l’onore luminosissimo della sua letteratura.
Egli infatti è il principale creatore della sua lingua e rimane, attraverso le età, protettore e
custode della sua civiltà, così come ne espresse e ne rappresentò la forma e l’immagine.

[ 3. ] E invero anche le altre nazioni formate alla civiltà cristiana —— e non sono poche —
desiderano partecipare a questa solenne rievocazione, e il nome di Dante, che gode e sempre
godrà ovunque della fama di una gloria immortale, ora certamente rifulge ancor di più, quasi
fiaccola portata in un luogo più eccelso.

[ 4. ] Ed è pure chiara l’opportunità che la Chiesa cattolica sia presente nel tributare l’onore
di una tale lode: essa lo annovera infatti fra gli uomini illustri adorni di valore e di sapienza,
inventori di melodie musicali, amanti del bello (1).

[ 5. ] Nell’eccelso coro dei poeti cristiani, dove si distinguono Prudenzio, sant’Efrem Siro,
san Gregorio Nazianzeno, sant’Ambrogio vescovo di Milano, san Paolino da Nola,
sant’Andrea di Creta, Romano Melode, Venanzio Fortunato, Adamo di San Vittore, san
Giovanni della Croce e non pochi altri più recenti, che sarebbe lungo nominare a uno a uno,
l’aurea cetra di Dante, la sua armoniosa lira risuonano con una melodia ammirevole per la
grandezza dei temi trattati e per la purezza dell’afflato e dell’ispirazione, meravigliosa per il
vigore congiunto a una squisita eleganza.

[ 6. ] Per questo — seguendo l’esempio del Nostro Predecessore Benedetto XV, che
pubblicò nella ricorrenza del sesto centenario della morte di Dante Alighieri la lettera
enciclica In praeclara summorum (2) — anche Noi vogliamo tributare un segno di omaggio
all’illustrissimo poeta. E questo non solo per rendergli gloria in questa circostanza
passeggera, che s’inserisce nel corso del tempo e subito ne è travolta, ma per perpetuarne in
qualche modo la gloria, non con l’erigere un silenzioso e gelido monumento di pietra o di
bronzo, ma piuttosto con il far zampillare una fonte che fluisca di acque perenni, sia in sua
lode sia a beneficio di una promettente gioventù. Perché i giovani — uno dopo l’altro
affidati alla sua scuola e divenuti alunni di un tale maestro — diventino capaci d’illustrare la
sua memoria e la sua opera, perché la sua poesia davvero verdeggi nel campo delle
discipline letterarie, perché la sua sapienza umana e cristiana si affermi con nuova forza
nella tradizione culturale degl’italiani, secondo la consuetudine e l’uso degli antenati che a
giustissimo titolo venerarono Dante Alighieri come padre della loro lingua viva.

[ 7. ] Abbiamo istituito perciò — in accordo con le competenti autorità accademiche — un
insegnamento o Cattedra di Studi Danteschi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano, quel grande ateneo a cui il Nostro venerabile Predecessore Pio XI dedicò tanta cura
e tanta sollecitudine, e che i Romani Pontefici suoi successori — e Noi pure, sempre, ma in
modo particolare quando svolgemmo il Nostro ministero come arcivescovo in Milano —
hanno sempre trattato con grande onore e con pari benevolenza. Stabiliamo perciò motu
proprio e per Nostra iniziativa che essa abbia un insegnamento o cattedra che promuova gli
Studi Danteschi.

[ 8. ] E Ci dà una grande gioia il fatto che questa fondazione testimoni pubblicamente la
singolare venerazione che Noi abbiamo per il cantore della Divina Commedia , venerazione
che vogliamo venga accesa con una fiamma inestinguibile e alimentata con maggior forza
fra i giovani studenti, che vengono istruiti in quell’ateneo nelle migliori discipline e arti. Ne
usciranno — questa è la Nostra speranza — alunni notevoli per l’acume dell’ingegno e per
la pietà, essi stessi capaci a loro volta di farsi divulgatori di questi studi, da cui derivano
tutte le ricchezze dell’aurea miniera dantesca; e queste ricchezze possano essere note a
quanti amano il sapere e offrire alla letteratura delle future generazioni una fioritura
rinnovata.

[ 9. ] Qualcuno potrebbe forse chiedere come mai la Chiesa cattolica, per volontà e per
opera del suo Capo visibile, si prenda così a cuore di celebrare la memoria del poeta
fiorentino e di onorarlo. La risposta è facile e immediata: perché Dante Alighieri è nostro
per un diritto speciale: nostro, cioè della religione cattolica, perché tutto spira amore a
Cristo; nostro, perché amò molto la Chiesa, di cui cantò gli onori; nostro, perché riconobbe
e venerò nel Romano Pontefice il Vicario di Cristo in terra.

[ 10. ] Né rincresce ricordare che la sua voce si sia levata e abbia risuonato duramente
contro alcuni Pontefici Romani, e che abbia ripreso con asprezza istituzioni ecclesiastiche e
uomini che furono ministri e rappresentanti della Chiesa. Non passeremo sotto silenzio a
questo proposito l’inclinazione del suo temperamento, questo aspetto della sua opera.
Conosciamo bene infatti quanta e quale fu l’amarezza del suo animo, amarezza che fu tale
da non risparmiare ben più duri rimproveri alla sua patria dilettissima, Firenze. Senza
dubbio bisogna concedere alla sua arte e alla passione politica, soprattutto perché riprende
vizi deplorevoli, una benigna indulgenza, che il compito di giudice e di correttore che egli
rivendica a sé gli concilia.

[ 11. ] Del resto è noto e riconosciuto che il suo temperamento così animoso non ha mai
scosso la sua ferma fede cattolica e la sua filiale affezione verso la Santa Madre Chiesa.

[ 12. ] Dante è nostro, Ci sia lecito ripetere a ragione, e lo affermiamo non per gloriarci di
un tale trofeo per un amore ambizioso e orgoglioso, quanto piuttosto per ricordare a noi
stessi il dovere di riconoscerlo tale, e di esplorare nella sua opera le ricchezze inestimabili
della forza e del senso del pensiero cristiano, convinti come siamo che solo chi scava nelle
segrete profondità dell’animo religioso del sommo poeta può comprendere a fondo e gustare
con pari piacere i meravigliosi tesori spirituali nascosti nel poema.
[Catarsi e afflato religioso nella “Divina Commedia”]

[ 13. ] E che ciò si esiga dal genere stesso del poema di Dante Alighieri risulta manifesto.
Ogni poema degno di questo nome infatti eccita e solleva gli animi a pensieri e a sentimenti
nuovi e possenti grazie a quella forza detta catarsi, forza propria della vera arte e della vera
poesia. E questa elevatezza e sublimità, che risplende nella Divina Commedia in modo
notevolissimo e singolare, scaturisce e deriva dal senso religioso, e più distintamente dalla
fede cattolica.

[ 14. ] Certamente la fede, che “come stella in cielo in me scintilla” (3), e che Dante
Alighieri possiede in modo tale da non considerare nulla maggiore a essa, “ [...] questa cara
gioia / sopra la quale ogni virtù si fonda” (4), riempie — dal fondamento alla sommità, in
tutte le sue parti — di luce e di calore questo tempio di poesia, che è tempio di fede. Per
questo, da ciò su cui si fonda, il poema è detto sacro: “Se mai continga che ‘l poema sacro, /
al quale ha posto mano e cielo e terra, / sì che m’ha fatto per più anni macro, / vinca la
crudeltà che fuor mi serra / del bello ovile ov’io dormi’ agnello, / nimico ai lupi che li
danno guerra; / con altra voce omai, con altro vello / ritornerò poeta, ed in sul fonte / del
mio battesmo prenderò ‘l cappello” (5).

[Dante coronato poeta ecumenico nel suo “bel San Giovanni”]

[ 15. ] A questo punto Ci sia lecito esprimere la nostra perfetta e piena gioia per il fatto che
— a dar compimento al voto e al presagio di Dante Alighieri — abbiamo felicemente potuto
far sì che nel battistero del “mio bel San Giovanni” (6) — dove, purificato dal sacro
lavacro, divenne cristiano e fu chiamato Dante — con grande concorso di Padri del Concilio
Ecumenico Vaticano II fosse incastonato in una corona d’alloro dorata il monogramma in
oro di Cristo, dono da Noi inviato per attestare la grandissima riconoscenza del mondo
cristiano per aver cantato in modo mirabile “la verità che tanto ci sublima” (7).

[ 16. ] L’alloro, di cui è adorno il capo di Dante Alighieri, onore e ornamento dell’Italia e di
tutto il genere umano, non è mai seccato né inaridito. Tuttavia era opportuno che fosse
accresciuto di nuove fronde, poiché egli merita, per la grandezza dell’ingegno e dell’opera,
il titolo di poeta appartenente a tutte le genti, o ecumenico, illustrissimo, degnissimo di uno
studio e di un ascolto assidui.

[ 17. ] Certamente il poema di Dante Alighieri è universale: nella sua immensa larghezza
abbraccia cielo e terra, eternità e tempo, i misteri di Dio e le vicende degli uomini, la
dottrina sacra e le discipline profane, la scienza attinta alla divina Rivelazione e quella
attinta dal lume della ragione, quanto egli aveva conosciuto per esperienza diretta e le
memorie della storia, l’età in cui visse, e le antichità greche e romane; insomma, costituisce
evidentemente il monumento più rappresentativo del Medioevo. E se si osserverà la sua
forma e il suo contenuto, vi si vedranno certamente i frutti della sapienza degli orientali, del
lógos dei greci, della civiltà dei romani, e vi si vedranno raccolte in sintesi le ricchezze del
dogma della religione cristiana e dei precetti della legge, soprattutto così come furono
elaborati dai dottori. Dante Alighieri segue Aristotele in filosofia, Platone nella tensione
dell’intelletto a contemplare i modelli esemplari delle cose, sant’Agostino nel modo di
concepire la storia e nell’importanza che vi attribuisce, è alunno fermo e fedele di san
Tommaso d’Aquino in teologia, così che la sua opera — fra l’altro — è quasi uno specchio
costituito di frammenti della Somma teologica del Dottore Angelico. E questo è certamente
vero in generale; ma tuttavia è anche vero che Dante è mosso non poco dall’autorità di
sant’Agostino, di san Bernardo, dei Vittorini, di san Bonaventura, né è estraneo a qualche
influsso apocalittico dell’abate Gioachino da Fiore, è solito infatti protendersi verso cose
che albeggiano o che, non ancora nate, sono contenute nel grembo del futuro.

[Il fine della “Divina Commedia” è soprattutto pratico e trasformante]

[ 18. ] Il fine della Divina Commedia è anzitutto pratico ed è volto a trasformare e a
convertire. Essa in realtà non si propone solo di essere poeticamente bella e moralmente
buona, ma soprattutto di cambiare radicalmente l’uomo e di condurlo dal disordine alla
sapienza, dal peccato alla santità, dalle sofferenze alla felicità, dalla considerazione
terrificante dei luoghi infernali alle beatitudini del Paradiso. E il sommo vate l’afferma
chiaramente nella lettera a Cangrande della Scala: “Il fine del tutto e della parte potrebbe
essere molteplice, ossia prossimo e remoto; ma, tralasciando un esame minuzioso, si può
dire brevemente che il fine del tutto e della parte è allontanare i viventi in questa vita dallo
stato di miseria e condurli allo stato di felicità” (8).

[ 19. ] Stando così le cose, la Divina Commedia può essere chiamata un itinerarium mentis
in Deum , dalle tenebre della dannazione eterna alle lacrime della penitenza purificatrice e,
di grado in grado, da una luminosa chiarezza a una ancor più lucente, da un amore
fiammante a uno ancor più fiammante, su su fino alla Fonte della luce, dell’amore e della
dolcezza eterna: “Luce intellettüal, piena d’amore; / amor di vero ben, pien di letizia; /
letizia che trascende ogni dolzore” (9).

[ 20. ] E i temi della poesia in effetti sono offerti come testimonianze sicure e moniti perché
si ascenda a Dio. La natura e l’ordine soprannaturale, la verità e gli errori, il peccato e la
grazia, il bene e il male, le opere degli uomini e gli effetti che ne conseguono, tutti sono
considerati, giudicati, valutati al cospetto di Dio, e mostrano il loro vero valore nella
prospettiva dell’eternità. E questa ascesa, rivolta a ciò che più è segreto ed eccelso, diventa
epos di vita interiore, epos di grazia celeste, epos di viva esperienza mistica, di virtù
multiforme; diventa teologia della mente e teologia del cuore.

[Dagli abissi infernali alla visione della Santissima Trinità. I santi e la Regina dei santi]

[ 21. ] Gli abissi della pena dei vizi, i regni sereni dove le anime vengono purificate da ogni
macchia, le ardue vette a cui conducono i molteplici cammini di santità, e coloro che furono
altissimi modelli di santità — quali lodi vengono tessute di san Francesco, san Domenico,
san Pier Damiani, san Benedetto da Norcia, san Romualdo, san Bernardo! —, tutto ciò sale
a raggiungere un vertice. Per chi dunque ne coglie il senso salutare, i cento canti
costituiscono cento gradini di una scala, come quella che Giacobbe vide in sogno, che
salgono dai luoghi più bassi alla luce della Santissima Trinità. E prima del gradino più
elevato sta la Vergine Maria, Madre di Dio, che san Bernardo prega di aiutare come
avvocata propizia il pellegrino nuovo e inesperto affinché il suo desiderio supremo venga
soddisfatto.

[ 22. ] Certamente Maria — “Il nome del bel fior ch’io sempre invoco / e mane e sera” (10),
colei “che là su vince, come qua giù vinse” (11) — appare al poeta fiorentino
amministratrice dei doni celesti; essa, fulgida porta del cielo, rimuove le distanze che
separano il Creatore e le creature e introduce a fissare la mente in Cristo e nella Verità
Suprema: “Or questi, che da l’infima lacuna / de l’universo infin qui ha vedute / le viste
spiritali ad una ad una, / supplica a te, per grazia, di virtute / tanto, che possa con li occhi
levarsi / più alto verso l’ultima salute. / E io, che mai per mio veder non arsi / più ch’i’ fo
per lo suo, tutti miei preghi / ti porgo, e priego che non sieno scarsi, / perché tu ogni nube li
disleghi / di sua mortalità co’ prieghi tuoi, / sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi (12).

[È simboleggiato il genere umano in cerca della pace]

[ 23. ] Protagonista è lo stesso poeta, che rappresenta il genere umano; egli, sempre sotto il
velo dell’allegoria, lo conduce a riconoscere le proprie colpe e a riprendere la via della virtù,
a lasciarsi illuminare e purificare; a unirsi finalmente e ad aderire alla somma Verità e al
sommo Bene.

[ 24. ] La legge divina è stata data agli uomini perché, seguendola, raggiungessero la felicità
sia in questa vita terrena sia in quella eterna a cui aspirano, seguendo il vero bene che ispira
il retto amore, e fuggendo il male, origine di un amore distorto, della cupidigia e della
malizia.

[ 25. ] “È chiaro che nella quiete, cioè nella tranquillità della pace, il genere umano si
trova nelle migliori condizioni per perseguire il suo fine specifico, che è quasi divino,
secondo quel famoso passo: “l’hai fatto poco meno degli angeli” ( Ps. VIII, 6)” (13).

[ 26. ] Questa pace — che riguarda i singoli, le famiglie, le nazioni, il consorzio umano,
pace interna ed esterna, pace individuale e pubblica —, questa tranquillità dell’ordine è
turbata e scossa perché la pietà e la giustizia vengono disprezzate. Perciò, per restaurare
l’ordine e la salvezza, vengono chiamate a illuminare, in reciproca armonia, la Fede e la
ragione, Beatrice e Virgilio, la Croce e l’Aquila, la Chiesa e l’Impero, la ridestata coscienza
della condizione in cui sono posti gli uomini sulla terra; e intanto viene predicato
l’universale annuncio — oscuro ma certo — del secolo venturo. Il cielo e la terra insieme
fanno risuonare questo Vangelo di pace.

[ 27. ] Certamente la Divina Commedia è poema di pace: lugubre canto della pace per
sempre perduta nell’Inferno; dolce canto della pace verso cui sospira la speranza è il
Purgatorio; e il Paradiso è un magnifico canto di esultanza della pace posseduta nella
pienezza e per sempre.
[Tempio di sapienza e d’amore]

[ 28. ] Similmente la Divina Commedia è tempio di sapienza e d’amore, di una sapienza che
spira amore e di un’amore ripieno di sapienza. Chi può negare che i versi del divino poeta
ardano d’amore per gli uomini, amore da cui nasce un pressante ed efficace ammonimento a
essere — in qualsiasi stato e condizione di vita — migliori, e a dirigersi verso le mete loro
poste dal provvidentissimo Dio?

[ 29. ] Per questo il poema ha cura di purificare ogni aspetto della società, con l’affermare
una libertà che affranchi dalla schiavitù del male, e che spinga a trovare e ad amare Dio nel
giusto uso dei suoi doni, sia quelli che riguardano la storia, sia quelli che riguardano tutti gli
aspetti della vita. Dante infatti professa una stima e una valorizzazione di quanto è umano, i
cui aspetti principali riteniamo opportuno spiegare come si conviene.

[Umanesimo di Dante]

[ 30. ] Quest’umanesimo del sommo poeta trae origine da un aspetto della dottrina di san
Tommaso d’Aquino, e si distingue per il suo carattere ottimistico. Si basa su sicuri
fondamenti, cioè che la grazia non distrugge la natura, ma la risana e la perfeziona, e che
“persona est nomen dignitatis” (14). Si oppone diametralmente ad alcune tesi ascetiche e
mistiche secondo cui tutti dovrebbero aspirare al contemptus mundi come unica forma di
vita perfetta.

[ 31. ] Dante Alighieri non solo approva tutti i valori umani — intellettuali, morali, affettivi,
culturali, civili —, ma addirittura li esalta. E ciò che va soprattutto tenuto presente è che
questi beni vengono apprezzati e stimati quando egli s’immerge nel divino, dove la
contemplazione delle cose celesti avrebbe potuto rendere senz’altro vuoti e inutili i beni
terreni. Anzi, la sua umanità si delinea lì ancor più pienamente e si perfeziona nel vortice
dell’amore divino; anche in seno alla splendente immensità dei cieli egli si sente preso
dall’urgenza del messaggio di verità e di bontà che “l’aiuola che ci fa tanto feroci” (15),
quel lontanissimo punto della nostra infelice terra, attende da lui.

[ 32. ] Per quanto riguarda l’antichità classica, egli ritiene che sia stata una provvidenziale
preparazione alla religione cristiana e che ne abbia spesso offerto allegorie; diversamente
rispetto a quanto accadde nel cosiddetto Rinascimento, o almeno presso molti uomini di
quel periodo, che valutava i beni umani indipendentemente da Dio; nel medesimo periodo
poi l’umanesimo si volgeva alle istituzioni e ai costumi pagani, e veniva inficiato dall’errore
pelagiano.
[Visione politica]

[ 33. ] Ci sia lecito accennare di passaggio alla sua dottrina politica.

[ 34. ] Le due potestà, la Chiesa e l’Impero, sono state ordinate da Dio perché conducano gli
uomini a conseguire la felicità, la prima quella celeste, il secondo invece quella terrena; e
come quelle felicità sono distinte fra loro, benché la seconda sia subordinata alla prima, così
ciascuna potestà — nella sfera e nell’ambito propri — è indipendente dall’altra, e questo per
evitare la confusione fra quanto è sacro e quanto è profano. Tuttavia esse devono aiutarsi
reciprocamente, e certamente, in materia di fede e di morale, questo aiuto consiste in una
pronta ubbidienza dell’imperatore al Sommo Pontefice; l’una potestà e l’altra poi sono al
servizio della res publica christiana .

[ 35. ] La Chiesa, libera e non impacciata dal fardello di un inutile fasto, priva di
preoccupazioni terrene, si dedica con ogni zelo a proclamare la verità e a farla fruttificare:
“Non vi si pensa quanto sangue costa / seminarla nel mondo, e quanto piace / chi
umilmente con essa s’accosta” (16).

[ 36. ] E sicuramente ciò non ha nulla a che vedere con la tesi, introdotta da Marsilio da
Padova e diffusasi nella nostra epoca, secondo cui la città terrena deve essere radicalmente
separata dalla Chiesa.

[ 37. ] All’imperatore è affidato il compito, più che altro di ordine morale, di far trionfare la
giustizia e di annientare l’avidità, che è causa di disordine e di guerre: da ciò appare
necessaria una monarchia universale. Questa — tratteggiata in termini medievali — esige
una potestà sovranazionale, che faccia vigere un’unica legge a tutela della pace e della
concordia dei popoli. Il presagio del divino poeta non è affatto utopistico, come ad alcuni
potrebbe sembrare, dal momento che ha trovato nella nostra epoca una certa attuazione
nell’Organizzazione delle Nazioni Unite, con estensione e beneficio che tendono a
riguardare i popoli del mondo intero.

[Poeta dei teologi, teologo dei poeti]

[ 38. ] Non possiamo esimerCi dall’accennar pure brevemente a quali relazioni intercorrano
fra la verità della religione e quella della poesia, e questo per porre maggiormente in luce
come tali rapporti si realizzino nella Divina Commedia e per trattare in breve dell’arte
poetica di Dante Alighieri, dal momento che soprattutto ciò è, per molti motivi, richiesto
perché la poesia rifiorisca, sia in generale sia, particolarmente, quella religiosa.

[ 39. ] Giovanni di Virgilio preparò per il sepolcro di Dante un epitaffio in cui così lo
lodava: “Dante teologo, di nessuna dottrina ignaro, / che filosofia scaldi nel suo nobile
seno”.

[ 40. ] Da questi egli è stato onorato soprattutto con il titolo di teologo. È prevalso tuttavia
— per consenso che non tardò a farsi unanime — l’appellativo di sommo poeta, con cui lo
acclamarono i secoli; e divina è stata chiamata la sua Commedia.
[ 41. ] L’onore di entrambi i titoli gli si addice giustamente. E tuttavia non va considerato
poeta, bensì teologo, ma ancor meglio va proclamato signore dell’altissimo canto, poiché si
rivelò teologo dalla mente sublime.

[ 42. ] La nobiltà, la grandezza, i pregi grandissimi della sua poesia sono a tal punto evidenti
che non è affatto il caso di ricorrere, per provarle, a complicate argomentazioni. L’eccelsa
cima di un monte, non toccata — per tanto trascorrere di tempo — dall’erosione delle
acque, non ha bisogno di discorsi lunghi e prolissi per mostrarsi nella sua grandezza: è
sufficiente darle un rapido sguardo.

[Mistagogo nel santuario dell’arte]

[ 43. ] È più utile che, come Virgilio fu guida a Dante, così Dante possa essere per altri,
quanto più numerosi possibile, un secondo Virgilio, che li introduca nel santuario dell’arte,
e soprattutto dell’arte poetica. E questo è ancor più auspicabile ai nostri tempi, in cui al
progresso economico e tecnologico non di rado corrisponde un regresso della vita spirituale.
L’arte soffre d’indigenza: assai spesso viene portata a espressioni inconsistenti e unilaterali,
viene ridotta a un soggettivismo — per così dire — manicheo, sprezzante della natura, viene
trasformata in riso cinico, in descrizione ed esaltazione dei vizi; e, per quanto riguarda la
poesia, si ammette solamente o di gran lunga si preferisce la lirica, poiché si pongono
restrizioni e limitazioni sterili e per nulla indispensabili.

[Essenza della poesia]

[ 44. ] Ci sono alcuni che deducono da princìpi filosofici da loro inventati o abbracciati che
non v’è differenza fra poesia e prosa; altri invece, pur riconoscendo tale distinzione,
attribuiscono alla poesia il carattere di liricità, teso a commuovere l’animo, ed esigono da
essa il solo linguaggio del sentimento e dell’intuizione, mentre alla prosa attribuiscono il
carattere logico, scientifico, oggettivo.

[ 45. ] È evidente che nella profondità dello spirito si può trovare il luogo da cui la poesia
trae i propri temi. Ma pure, quando abbandona o disprezza la facoltà intellettiva, non giunge
mai a qualcosa di logico, perspicuo, concreto; e così viene alla luce gracile, oscura,
sostenuta da uno stile ampolloso, e produce emozioni che si spengono in vuoto languore.
[ 46. ] La costruzione poetica invece non va affatto svalutata per la sua grandezza. Presso gli
antichi le forme poetiche più apprezzate erano il poema epico e la tragedia. Platone
attribuiva il primato alla prima, Aristotele invece alla seconda (17), poiché riteneva che vi
fossero contenute le arti più sublimi.
[Psicagogia, ispirazione e ritmo]

[ 47. ] Il criterio per determinare il grado di bellezza e di perfezione era richiesto soprattutto
alla psicagogia, ossia alla potenza con cui l’autore — in modo efficace, conveniente e
compiuto — conduce gli animi là dove si era proposto. E anche Orazio attribuisce all’arte
questa regola imprescindibile: “Non basta che i componimenti poetici siano belli; siano
piacevoli: / E conducano ovunque vogliano l’animo dell’uditore” (18).

[ 48. ] Ora, tutto ciò si può ottenere con il linguaggio proprio della poesia, e soprattutto con
quella facoltà, certamente misteriosa e che forse mai sarà ben conosciuta, che chiamiamo
ispirazione divina. Questa non abbatte né disprezza affatto la ragione, ma costituisce
piuttosto un altro modo di conoscere, un’altra via per impossessarsi della realtà, e scopre
così rapporti che quella non vede. Ma l’arte ha bisogno della ragione nell’attività tumultuosa
che precede il bagliore dell’ispirazione, che viene a illuminare, placare, rendere semplice
tutto quanto era stato abbozzato; e della medesima ragione ha bisogno pure per il successivo
completamento dell’opera, che va senza dubbio condotto con abilità e talento, per
partecipare agli altri gli stati e le disposizioni d’animo non solo suscitando idee, immagini,
affetti, ma anche con una perfetta fusione e armonia dei diversi elementi: infatti “principio e
fonte del bello scrivere è l’esser saggio” (19).

[ 49. ] A ciò s’aggiunga che è necessario produrre quasi un fluido, come una forza
magnetica, grazie all’ordine e all’accorta congiunzione delle parole, alla dolcezza del suono,
al ritmo: “A chi abbia ingegno, mente più divina e bocca / che canti grandi cose, darai
l’onore di un tale titolo [di poeta] “ (20).

[Eccellenza di forma e di pensiero nella “Divina Commedia”]

[ 50. ] E certamente in Dante Alighieri la forza come di fiamma e l’ispirazione sono le cause
che animano la sua opera e la sollevano a una mirabile altezza quasi in un abbraccio di tutto
il mare dell’essere: “ [...] I’ mi son un, che quando / Amor mi spira, noto, e a quel modo /
ch’e’ ditta dentro vo significando” (21).

[ 51. ] Nella Divina Commedia si trovano tutti i generi poetici: vi sono infatti l’epico, il
lirico, il didascalico, il satirico, il drammatico, e di quest’ultimo sia quello di carattere che
quello d’azione; e ciò viene ottenuto con un continuo combinare elementi diversi e
molteplici, conservando l’armonia di una splendida unità architettonica. E tutti i sentimenti
e i toni vi sono chiamati a risuonare: dolci e bellicosi, tristi e lieti, pieni di sprezzo e di
ammirazione, esprimenti ira, terrore, paura, amore, preghiera, adorazione, dolce riso, estasi.

[ 52. ] Con il suo stile tutto proprio, il sommo poeta canta le realtà più misteriose e sublimi
della vita, i misteri di Dio e i più alti pensieri degli uomini. Quella fonte da cui sgorga un
così largo fiume di eloquenza appare cosa grandiosa e straordinaria, sol che si pensi che si
serve di quella lingua italiana allora neonata e informe, senza alcuna esperienza di
espressione artistica. E proprio essa, “pane orzato [...] [e] sole nuovo” (22) —, che di fronte
a Dante Alighieri potrebbe dire: “da mia natura / trasmutabile son per tutte guise” (23) —,
gli si offre come strumento docile per esprimere — ora con dignità aristocratica, ora con una
certa rozzezza popolare, ora con forza, ora con delicatezza — con molteplice timbro e
colorito musicale tutto quanto muove il suo animo o rapisce la sua mente, accessi d’ira e
slanci d’amore, rimproveri e lodi, le grida dei dannati nell’Inferno e le preghiere dei santi in
Paradiso, visioni, sogni, presagi, decisioni, le sottigliezze della filosofia e le vette della
teologia.

[Rapporti fra teologia e poesia]

[ 53. ] Questo accenno alla teologia apre un problema che la riguarda. Alcuni critici hanno
sostenuto che la Divina Commedia non fosse poetica quando e dove è impregnata di
teologia. Altri invece ritengono diversamente, certi che proprio in quei punti essa risplenda
e brilli di una luce meridiana, tutta sua. Non siamo di parere diverso da questi ultimi, sia per
ragioni generali, sia per ragioni particolari, relative al problema sollevato dalla teologia.
[ 54. ] Chi può mettere in dubbio che il senso religioso, le verità di fede, gli aneliti che dal
finito salgono verso l’Infinito, siano stati e siano sempre una fonte da cui la poesia sgorga
abbondantemente? Non ne è questa la forma più alta e più pura? Quando con il linguaggio
che le è proprio — preferisce cantare anziché parlare, dipingere anziché argomentare, e
scolpire, quando vuol perorare — la poesia esprime l’esperienza mistica, i moti della grazia,
l’estasi, quando si eleva alla suprema Bellezza, al Bene e al Vero che trascende l’umana
intelligenza, di fronte a cui vien meno la capacità di dire — “alla etterna luce, / che, vista,
sola e sempre amore accende” (24) —, proprio allora essa diventa un dono preziosissimo
della bontà divina, un riflesso della sua gloria: appare infatti: “ [...] giorno a giorno / essere
aggiunto, come quei che puote / avesse il ciel d’un altro sole adorno” (25).

[Preghiera e poesia]

[ 55. ] Del resto i contemplativi, cioè gli uomini religiosi per eccellenza, sono portati più di
tutti gli altri alla grande poesia; e meravigliosi esempi di essa sono da tutti considerati i
vaticini dei profeti e i salmi di Davide.

[ 56. ] Una segreta parentela unisce certamente i mistici e i veri poeti, e in generale gli
artefici delle arti, di cui la poesia è generatrice e madre. In realtà il dono della poesia
corrisponde, nell’ordine naturale, a quello della profezia e dell’estasi nell’ordine
soprannaturale; infatti nella loro esplicazione vi è un analogo movimento e processo
psicologico; mistici e poeti cercano la dimora più recondita dell’animo, il vertice dello
spirito, il centro del cuore, dove gli uni sentono la presenza Dio, mentre gli altri vi
percepiscono — benché non intimamente compresa, ma piuttosto sospettata e in qualche
modo intuita — la presenza di un dono dell’ “autore della bellezza” (26).
[Si coltivi la poesia religiosa: modello Dante Alighieri]

[ 57. ] Cogliamo ora l’occasione che Ci si offre per esortare a coltivare la poesia religiosa,
sia quella corale, accompagnata dalla musica, che raccoglie in sé i sentimenti della
moltitudine nell’interpretazione delle vere voci della natura, nella celebrazione delle feste
religiose e degli avvenimenti importanti — lieti e tristi — che accadono, sia di quella poesia
che manifesta i colloqui dell’anima con Dio, che le apre la fonte della vita e la trascende.

[ 58. ] Senza dubbio i credenti in Cristo, nel cui cuore, per la grazia della fede, abita come
maestro e pedagogo il Verbo della vita, possono considerare loro propria in modo
particolare l’arte della parola, anche se semplice e umile. La coltivino dunque, come un
terreno fecondo, guardando all’esempio di Dante Alighieri, che ne è modello difficilmente
superabile anche per le ragioni che esponiamo.

[ 59. ] Se si considera l’unione, nella sua opera, degli elementi dottrinali e dei princìpi
dell’arte poetica, appare con evidenza l’opportunità e la validità della loro mutua alleanza.
Nessuno dei due elementi — benché l’uno sia all’altro sottoposto — è giustapposto in modo
disordinato all’altro, entrambi invece costituiscono un organismo vivo e armonioso, non
diversamente che le ossa e la carne nel corpo umano: cosicché se l’uno viene a mancare
anche l’altro non può sostenersi; la bellezza consiste infatti nel loro accordo.

[La bellezza ancella di verità e di bontà]

[ 60. ] Di più: la teologia e la filosofia hanno un altro rapporto con la poesia, consistente in
questo: la bellezza, offrendo alla dottrina il suo ornamento e la sua veste — ora con la
dolcezza del canto, ora con le immagini dell’arte figurativa — apre la strada a che i suoi
preziosissimi insegnamenti siano comunicati a molti.

[ 61. ] Le alte disquisizioni e i sottili ragionamenti risultano inaccessibili agli umili, che pure
— e sono una moltitudine — desiderano il pane della verità. Sennonché anch’essi
avvertono, gustano, apprezzano l’efficacia e il dono della bellezza; e per questa via è più
facile che la verità risplenda loro e li nutra. Questo si propose, questo realizzò l’autore
dell’altissimo canto, per cui la bellezza divenne ancella della bontà e della verità, e la bontà
materia della bellezza.

[“Onorate l’altissimo poeta”]

[ 62. ] Ma è giunto il momento di porre termine alla Nostra impari celebrazione delle lodi di
Dante Alighieri, concludendo con la viva esortazione: “Onorate l’altissimo poeta”.

[ 63. ] Tutti l’onorino, poiché egli tutti riguarda: onore del nome di cattolico, cantore
ecumenico ed educatore del genere umano: e con maggior diligenza e più fermo impegno
l’onorino coloro che più gli sono vicini per religione, carità di patria, vicissitudini, affinità
di studi.
[ 64. ] Quelli poi che più sono dotati non solo abbiano in mano giorno e notte una copia
della Divina Commedia , sublime capolavoro, ma approfondiscano anche tutto quanto vi
rimane d’inesplorato e d’oscuro.

[ 65. ] Cerchino tutti di leggerla integralmente, senza precipitazione né di corsa, ma con
mente penetrante e attenta riflessione. Che se, per vari motivi, a molti ciò non riesca
possibile, che difficilmente si trovi qualcuno che ne ignori il contenuto, gl’ideali, le parti e i
versi più famosi.

[Conclusione]

[ 66. ] Esortiamo infine gli uomini della nostra epoca a perfezionare e illuminare la loro
cultura incontrandosi con un così alto spirito. Il settimo centenario della sua nascita infatti
ce lo conduce quale astro luminosissimo, a cui volgere lo sguardo e a cui — ostacolati da
una selva oscura — chiedere di orientarci verso “il dilettoso monte / ch’è principio e cagion
di tutta gioia” (27).

[ 67. ] Noi, da parte Nostra — per tributargli onore nelle presenti solenni celebrazioni, e
desiderando che se ne conservi il ricordo con un’iniziativa utile al suo culto — abbiamo
istituito Motu proprio , come abbiamo detto sopra, un insegnamento o Cattedra di Studi
Danteschi nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. E affidiamo tutto ciò che
abbiamo stabilito motu proprio alla fedele esecuzione del nostro Venerabile Fratello Carlo
Colombo, Vescovo titolare di Vittoriana, Preside dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Milano,
e, per suo tramite, al Nostro diletto figlio Ezio Franceschini, Magnifico Rettore
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

[ 68. ] Quanto poi con questa lettera apostolica, data motu proprio , abbiamo stabilito,
ordiniamo che sia sempre valido e stabile, senza che alcunché possa essere addotto a
ostacolo.

Dato in Roma, il giorno 7 del mese di dicembre, festa di sant’Ambrogio Vescovo, anno
1965, terzo del Nostro Pontificato.

Paolo VI

Note

(1) Cfr. Eccli. 44, 1-5.
(2) Cfr. A.A.S. XIII, 1921, pp. 209 ss.
(3) Par. XXIV, 147.
(4) Ibid. , 89-90.
(5) Par. XXV, 1-9.
(6) Inf. XIX, 17.
(7) Par. XXII, 42.
(8) Ep. XIII, 15.
(9) Par. XXX, 40-42.
(10) Par. XXIII, 88-89.
(11) Ibid. , 93.
(12) Par. XXXIII, 22-33.
(13) Monarchia , I, IV, 2.
(14) Cfr. Summa Theologiae , I, q. 1, a. 8 ad 2; I-II, q. 109, a. 8; I, q.29, a. 3 ad 2.
(15) Par. XXII, 151.
(16) Par. XXIX, 91-93.
(17) Plato, Leg. II, 658 d et ss.; Aristoteles, Poetica , 1461 b 26 et ss.
(18) Horatius, Ars poetica , 99-100; cfr. Epist. II, I, 212-214.
(19) Id., Ars poetica , 309.
(20) Id., Satir. I, IV, 43-44.
(21) Purg. XXIV, 52-54.
(22) Conv. I, 13.
(23) Par. V, 99.
(24) Ibid., 8-9.
(25) Ibid. I, 61-63.
(26) Sap. 13, 3; cfr. H. Bremond, Prière et poésie , Paris 1926.
(27) Inf. I, 77-78.
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