Nicolás Gómez Dávila (1913-1994) - Alleanza Cattolica

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Nicolás Gómez Dávila (1913-1994)

Nota del 17 maggio 2019.
Nel venticinquesimo anniversario della morte ricordiamo Nicolás Gómez Dávila proponendo la voce
del Dizionario del Pensiero Forte dedicata a questo autore e scritta da Giovanni Cantoni, fondatore
di Alleanza Cattolica.

Nicolás Gómez Dávila (1913-1994)

1. Un ricco eremita in casa propria: il «certosino dell’altopiano»

Nicolás Gómez Dávila nasce il 18 maggio 1913 in Colombia, a Cajicá, nel dipartimento di
Cundinamarca, di cui è capoluogo la capitale dello Stato iberoamericano, Santa Fe de Bogotá, da
una famiglia dell’alta società. Non si laurea e della sua formazione si possono considerare regolari
solo gli studi, elementari e medi, compiuti in scuole private o sotto la guida di precettori, durante u-
na lunghissima permanenza in Francia, dai sei ai ventitre anni. La sua naturale avidità intellettuale
si esprime nelle pratiche della lettura e della riflessione, confermate e trasformate — per così dire
— da stile di vita in destino da un incidente occorsogli andando a cavallo, incidente che lo
condiziona e contribuisce a relegarlo, dai primi anni 1960, in casa propria, «ubicata in un’affollata
via di Bogotá, in mezzo al traffico e al rumore della strada, come un monumento preistorico che la
routine sembra condannare alla dimenticanza, nonostante la sua isolata bellezza»: in questi termini
Óscar Duque Torres, uno dei suoi pochi critici, descrive suggestivamente l’abitazione, in stile Tudor.
Così Gómez Dávila vive quasi trent’anni come in clausura, da «certosino dell’altopiano» — la defini-
zione è dello stesso critico e l’altopiano è quello dov’è ubicata Santa Fe de Bogotá, a 2630 metri
d’altitudine —, nella «cella» costituita dalla sua monumentale biblioteca, di oltre trentamila volumi,
soprattutto in lingua originale — rifiuta le traduzioni —, greco, latino, tedesco, inglese, portoghese,
francese, italiano, russo e, naturalmente, spagnolo. Vi riceve una mezza dozzina d’interlocutori —
fra essi il critico e scrittore Hernando Téllez (1908-1966), il dotto frate minore Félix Wilches
(1905-1972) e l’uomo politico conservatore, diplomatico e appassionato d’arte Douglas Botero Bo-
shell (1916-1997) — e l’abbandona quasi solo per la «cappella», la chiesa del convento francescano

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Nicolás Gómez Dávila (1913-1994)

de La Porciúncula, nella stessa via. Muore il 17 maggio 1994, mentre s’appresta a studiare il danese
per accostare Søren Kierkegaard (1813-1855), lasciando la moglie, María Emilia Nieto de Gómez,
tre figli e nipoti.

2. Gli scritti: «glosse a un testo implicito»

Di fatto Gómez Dávila è autore di una sola grande opera continua, Escolios a un texto implícito, la
cui pubblicazione inizia con questo titolo nel 1977, prosegue nel 1986 come Nuevos escolios a un
texto implícito e si conclude, nel 1992, come Sucesivos escolios a un texto implícito. Tutti questi
volumi hanno la stessa struttura e sono frutto della stessa concezione: una sequenza di escolios, di
«glosse», di genere anticipate, con il modesto titolo di Notas, nel 1954 in un’edizione privata in Mes-
sico, quindi, nel 1956, sulla rivista d’avanguardia colombiana Mito. In apparenza diverso è il volume
Textos I, del 1959, un testo unico con qualche rara suddivisione, che raccoglie pensieri in paragrafi
l’uno seguente l’altro, poi «svanito» nella stessa consapevolezza dell’autore, così come costituisco-
no eccezioni, dal punto di vista formale, i saggi Il vero reazionario e De Jure. Ma in Textos I sono già
presenti i caratteri delle glosse, meno il «testo implicito»: un pensiero libero e concentrato e un’e-
spressione ricercata.

3. La fortuna dello «scrittore reazionario» o la «celebrità discreta»

Gli scritti del pensatore colombiano vengono proposti al pubblico nonostante la sua ritrosia e solo
grazie all’interessamento dei pochi ma fedelissimi amici. Del resto — la notazione è dello stesso
Gómez Dávila —, «lo scrittore reazionario deve rassegnarsi a una celebrità discreta, dal momento
che non si può ingraziare gl’imbecilli».

La letteratura critica è limitata a qualche saggio quando non a rievocazioni giornalistiche. I suoi
scritti e il suo pensiero hanno però trovato eco nel mondo di lingua tedesca, negli anni 1980, grazie
a un’editrice conservatrice viennese, così acquisendo fra i suoi estimatori lo scrittore Ernst Jünger

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(1895-1998), lo studioso e pensatore politico Erik von Kuehnelt-Leddihn (1909-1999) e il filosofo Ro-
bert Spaemann. Sono pure riferibili i giudizi di ben altrimenti noti scrittori suoi compatrioti. Il roman-
ziere e poeta Álvaro Mutis — uno dei suoi frequentatori — parla di Escolios a un texto implícito co-
me di «un capolavoro del pensiero occidentale», «[…] una vasta summa di sapere, disseminata […]
di allusioni e di elusioni, la cui piena utilizzazione supporrebbe lunghe veglie con i testi essenziali
della nostra eredità ebraica, ellenica, romana, cristiana e occidentale»; e la definisce «opera su-
perba che presenta nello stesso tempo una feconda teoria della storia e un’inconfutabile dottrina
politica, un’essenziale meditazione sulla poesia e un non meno definitivo esame del pensiero
metafisico e teologico», tale da essere — prevede — motivo di scandalo per gli «[…] eredi della tra-
dizione liberale e democratica nata con la riforma protestante, incubata nel secolo dei lumi e battez-
zata con il sangue nelle giornate del 1789», ma atta a esser utilizzata anche dall’uomo qualunque,
come dice con espressione italiana, dal momento che, per quanto «inconsueta e vasta», «[…] con-
cerne anche i nostri affari di tutti i giorni». E del romanziere Gabriel García Márquez viene citata
l’impegnativa affermazione: «Se non fossi comunista, penserei come Gómez Dávila».

4. Il genere letterario: la tecnica «pointilliste» e il «testo breve»

L’opera del pensatore colombiano va esaminata secondo le prospettive formale e contenutistica
non per scelta del critico, ma perché indicate, più che soltanto suggerite, dai titoli spogli dei suoi
volumi, privi di qualsiasi richiamo, costituiti dalla reiterazione di «glosse» e di «testo implicito». Si
tratta infatti di consistenti raccolte di pensieri brevi — oltre diecimila —, ai quali l’autore nega la
natura di aforismi: «Il lettore non troverà aforismi in queste pagine» — scrive —, «le mie brevi frasi
sono i tocchi cromatici di una composizione “pointilliste”». E il riferimento alla tecnica pittorica
pointilliste, in una delle prime glosse della prima raccolta, costituisce indicazione ermeneutica fon-
damentale, che vieta un giudizio non d’insieme sulla «composizione» e sull’«artista» — sua la
dichiarazione: «Pretendo soltanto di non aver scritto un libro lineare, ma un libro concentrico» — e
che suggerisce un apprezzamento corrispondente dei singoli «punti», dei singoli «tocchi cromatici»:
«Il discorso continuo — sentenzia — tende a occultare le rotture dell’essere.

«Il frammento è espressione del pensiero onesto». Quanto alle «brevi frasi», «un testo breve non è

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affermazione presuntuosa, ma un gesto che scompare appena abbozzato»; e l’aforisma «negato» è
però difeso, svelando la consapevolezza della difficoltà di definirlo — «Accusare l’aforisma di espri-
mere soltanto parte della verità equivale a supporre che il discorso prolisso possa esprimerla tutta»
—; viene denunciata la prolissità — «la prolissità non è eccesso di parole, ma scarsità di idee» — e
tessuto l’elogio del testo breve in quanto «poetico», cioè creativo, quindi costruttivo per il lettore:
«L’opera frammentaria conquista la propria poesia obbligandoci a completare le sue curve mutila-
te». Lo «spettro» dell’aforisma va infatti dalla definizione alla massima, alla «degnità» — il richiamo
è a Giambattista Vico (1668-1744) —, alla «monografia compressa» — la formula è dello studioso
canadese della comunicazione Marshall McLuhan (1911-1981) —, alla glossa, alla breve osserva-
zione, al rimando, all’appunto, alla nota a margine. E costituisce retaggio dell’oralità ed elemento di
una plurisecolare farmacopea spirituale.

Dunque, glosse a margine. Ma a margine di che? S’impone, oltre il contenuto di tali glosse, l’identifi-
cazione del texto implícito, di cui i critici propongono — in alternativa o in combinazione — quella
letterale, stretta, che rimanda a un ampio tratto dei Textos I di dura polemica sia con la democrazia
che con l’uomo democratico; e quella lata, che identifica tale testo con l’intero corpus culturale del-
l’Occidente, da Omero ai contemporanei.

5. Il «pensiero reazionario»

Se il genere dell’opera favorisce l’apprezzamento anzitutto del paradosso, un’attenzione maggiore
permette l’identificazione in essa di una dialettica di tipo vichiano fra «stoltezza» e «sapienza», na-
scoste dalla varietà delle formulazioni dell’una e dell’altra: «Gli uomini cambiano meno idee che le
idee maschere.

«Nel decorso dei secoli dialogano le stesse voci».

Ma «imbecillità», «stupidità» e «follia», oppure, con riferimento temporale, «modernità», possono
suggerire nell’autore pura emotività e far dimenticare sia la gamma espressiva che l’espressione
singola, talora strutturata a paradosso, cioè a figura logica in apparenza assurda in quanto contra-

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Nicolás Gómez Dávila (1913-1994)

stante non solo, eventualmente, con il buon senso, ma, nel caso, con l’opinione corrente, e atta
peraltro a decantare in proverbio.

Dal punto di vista culturale, del pensiero reazionario Gómez Dávila non coglie e non svolge
solamente l’ascendenza spagnola — ricordo, anche per la consonanza formale, i Pensamientos va-
rios di Juan Donoso Cortés (1809-1853) —, francese o anglosassone, ma pure quella tedesca; quindi
procede a un ricupero del romanticismo, non solo del pre-romanticismo della sensibilité e della sen-
sibility, sia contenutisticamente, sia espressivamente, attraverso l’apprezzamento della continuità
fra pensiero contro-rivoluzionario e poesia soprattutto ottocentesca. Infatti, «la poesia del secolo
XIX è l’eredità che la contro-rivoluzione soffocata ha lasciato alla letteratura». Sì che — osserva acu-
tamente —, «identificando romanticismo e democrazia, così condannando il romanticismo, Maurras
[Charles, 1868-1952] è caduto in un terribile errore.

«Condannando il romanticismo, Maurras condannava il pensiero reazionario e adottava un’ideologia
rivoluzionaria in nome della contro-rivoluzione».

Dal punto di vista sostanziale «la saggezza si riduce a non insegnare a Dio come si devono fare le
cose» e a vivere l’individualità, l’irripetibilità e la frammentarietà nel mistero: «Contro lo
svuotamento moderno del mistero affermiamo la sua presenza inglobante». Però «la radice del
pensiero reazionario non è la sfiducia nella ragione, ma la sfiducia nella volontà»; e il pensiero
reazionario viene abbozzato almeno su tre «cavalletti», suggeriti da un’autoqualificazione: esser
l’autore «cattolico, reazionario e retrogrado». Cioè non ha solo dimensioni politiche e culturali, ma
radici religiose ed esistenziali: se «la Reazione comincia a Delfi» e se «la Reazione è cominciata con
il primo pentimento», «la reazione esplicita comincia alla fine del secolo XVIII; ma la reazione
implicita comincia con l’espulsione del diavolo»; ed «essere reazionario significa capire che l’uomo
è un problema senza soluzione umana». Così i testi brevi sono percorsi da una vena polemica, talo-
ra esplicita e dura, in aggressivo contrasto con ogni filosofia e con ogni teologia razionalistiche —
perché «razionalismo è lo pseudonimo ufficiale dello Gnosticismo», «la democrazia è la politica
della teologia gnostica», «la Gnosi è la teologia satanica dell’esperienza mistica.

«Nell’interpretazione gnostica dell’esperienza mistica si genera la divinizzazione dell’uomo», e
«l’ugualitarismo è inferenza gnostica: infatti ogni particella della divinità è ugualmente divina» —,

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Nicolás Gómez Dávila (1913-1994)

in una prospettiva filosofica e teologica negativa, che richiama quella platonico-tomistica di Josef
Pieper (1904-1997). E a tale vena se ne affianca un’altra, antimoralistica ma non certo immorale,
percorsa dall’evangelica «prudenza del serpente» da affiancare alla «semplicità della colomba»
(cfr. Mt. 10, 16), la cui divisa potrebbe essere «Credere in Dio, confidare in Cristo, guardare con
malizia», e la cui espressione è talora non solo dura quanto al contenuto ma pure cruda quanto al
modo. Insomma — la dichiarazione è formale —, Gómez Dávila elabora ed espone «un platonismo e-
sistenziale e uno storicismo agostiniano».

Ma l’orizzonte limitato e cupo non alimenta la disperazione, anche se «la nostra ultima speranza sta
nell’ingiustizia di Dio» e «l’unica precauzione sta nel pregare in tempo»: infatti, poiché «per rin-
novare non è necessario contraddire, basta approfondire», e siccome «il peso di questo mondo si
può sopportare solo in ginocchio», «l’unica ragione di sperare è stata espressa perfettamente da
Huizinga [Johan, 1872-1945] in una delle sue ultime parole: “Per fortuna l’uomo non ha l’ultima pa-
rola”».

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Per approfondire: dell’autore vedi, in italiano, Il vero reazionario, in Cristianità, anno XXVII, n.
287-288, Piacenza marzo-aprile 1999, pp. 18-20; e In margine a un testo implicito, trad. it., a cura
di Franco Volpi, Adelphi, Milano 2001; sull’autore, vedi Óscar Duque Torres ed Ernesto Monsalve, Ni-
colás Gómez Dávila: la pasión del anacronismo, in Boletín Cultural y Bibliográfico, vol. 32, Santa Fe
de Bogotá 1995, número 40, pp. 31-49; il mio Un contro-rivoluzionario cattolico iberoamericano
nell’età della Rivoluzione culturale: il «vero reazionario» postmoderno Nicolás Gómez Dávila, in
Cristianità, anno XXVII, n. 298, Piacenza marzo-aprile 2000, pp. 7-16; e F. Volpi, Un angelo
prigioniero nel tempo, in N. Gómez Dávila, In margine a un testo implicito, cit., pp. 157-183.

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