La guerra della Turchia ai missionari cristiani - GIAN MARIA COMOLLI

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La guerra della Turchia ai missionari cristiani
Il giorno dopo che il pastore evangelico americano Andrew Brunson è stato rilasciato da
una prigione turca, un altro cristiano residente nel paese da quasi vent’anni è stato
fermato dalle autorità turche e gli è stato detto che avrebbe avuto due settimane di tempo
per lasciare la Turchia senza la moglie e i tre figli. Il missionario evangelico americano-
canadese, David Byle, non solo ha subito diversi fermi e interrogatori nel corso degli anni,
ma è anche stato tacciato di espulsione per ben tre volte. Ogni volta, però, è stato salvato
dalle sentenze giudiziarie. Questa volta, però, non è riuscito a evitare l’esilio e ha lasciato
il paese dopo aver trascorso due giorni in un centro di detenzione.

Ma quando il 20 novembre aveva cercato di tornare dalla sua famiglia in Turchia, gli è
stato negato l’ingresso nel paese. Secondo Claire Evans, responsabile regionale
dell’organizzazione International Christian Concern:

“La Turchia sta rendendo sempre più evidente che non c’è spazio per il Cristianesimo,
anche se la Costituzione afferma il contrario. Non è una coincidenza che la Turchia abbia
deciso di avviare questo processo il giorno dopo la scarcerazione di Brunson e che, così
facendo, le autorità abbiano ignorato un ordine giudiziario. Dobbiamo pregare per la
famiglia di Byle durante questo difficile periodo di separazione”.

Brunson e Byle sono tra i numerosi religiosi cristiani che sono rimasti vittime
dell’avversione nutrita dalla Turchia verso il Cristianesimo. Nelle sue relazioni annuali sulle
violazioni dei diritti umani, pubblicate dal 2009, l’Associazione turca delle Chiese
protestanti ha circostanziato le discriminazioni sistematiche compiute dalla Turchia contro i
protestanti, comprese le aggressioni fisiche e verbali, e che il governo di Ankara non
riconosce la comunità protestante come “entità legale”, negandole il diritto di creare
liberamente e mantenere i luoghi di culto.

I protestanti turchi non possono aprire le proprie scuole o formare i propri religiosi,
costringendoli a fare affidamento sul sostegno dei leader religiosi. Tuttavia, a molti
operatori religiosi stranieri e a numerosi membri della Chiesa è stato vietato l’ingresso in
Turchia, sono stati loro negati i permessi di soggiorno o sono stati espulsi.

Sebbene le attività missionarie non siano illegali secondo il codice penale turco, sia i
pastori stranieri sia i cittadini turchi che si convertono al Cristianesimo vengono comunque
trattati come dei reietti dalle autorità e da gran parte della gente. Non c’è da meravigliarsi
che sia così, dati gli annosi “rapporti” anti-cristiani stilati dalle istituzioni statali che
modellano la politica governativa.

Ad esempio:

      Nel 2001, dopo aver ricevuto un report della Organizzazione di Intelligence
       nazionale turca (MIT), il Consiglio di Sicurezza nazionale (MGK) dichiarò che le
       attività missionarie cristiane “costituiscono una minaccia alla sicurezza” e sancì che
       occorreva “prendere delle precauzioni contro le [loro] attività disgreganti e
       distruttive”.
   Nel 2004, la Camera di Commercio di Ankara (ATO) pubblicò un rapporto in cui si
       affermava che “le attività missionarie provocano aspirazioni secessioniste etniche e
       religiose e prendono di mira la struttura unitaria dello Stato”.

      Nel 2005, il ministro di Stato Mehmet Aydın disse: “Riteniamo che le attività
       religiose [cristiane] tendano a distruggere l’unità storica, religiosa, nazionale e
       culturale (...) [e tali attività] vengono viste come un movimento estremamente
       pianificato con obiettivi politici”.

      Nel 2006, le Forze armate turche (TSK) pubblicarono su una rivista mensile un
       articolo sui missionari cristiani definendoli “una minaccia”, sottolineando la
       necessità di porre in essere delle norme di legge per contrastare tali attività. Quello
       stesso anno, Ali Bardakoğlu, all’epoca a capo della Diyanet (la Direzione per gli
       Affari religiosi finanziata dallo Stato), dichiarò in televisione che “è compito
       della Diyanet mettere in guardia la gente sui missionari e su altri movimenti che
       minacciano la società”.

      Nel 2007, Niyazi Güney, un funzionario del ministero della Giustizia, affermòche “i
       missionari sono ancora più pericolosi delle organizzazioni terroristiche”.

Tali condanne pubbliche dei missionari cristiani hanno avuto conseguenze concrete e
devastanti.

Nel 2006, ad esempio, un leader di una chiesa protestante di nome Kamil Kıroğlu, un
musulmano convertito al Cristianesimo, fu picchiato fino allo svenimento da cinque uomini,
uno dei quali gli urlò: “Nega Gesù o ti ucciderò”, e un altro gli disse: “Non vogliamo cristiani
in questo paese!”

Sempre nel 2006, padre Andrea Santoro, un prete cattolico di 61 anni,
fu assassinato mentre pregava nella chiesa di Santa Maria, a Trabzon. Cinque mesi dopo,
a Samsun, fu accoltellato e ferito don Pierre François René Brunissen, un prete di 74 anni.
L’aggressore disse di aver agito contro il sacerdote in segno di protesta contro “le sue
attività missionarie”.

Nell’aprile 2007, tre cristiani furono torturati a morte nel massacro della casa editrice
evangelica Zirve. Nel novembre dello stesso anno, un prete assiro-caldeo, Edip Daniel
Savcı, venne rapito. Un mese dopo, un prete cattolico, padre Adriano Franchini,
fu accoltellato durante la messa domenicale. Secondo quanto riferito, il francescano era
stato “accusato di attività missionarie” da alcuni siti web.

Nel giugno 2010, il vescovo Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, in Turchia, fu
assassinato dal suo autista al grido di “Allahu Akbar” (“Allah è il più grande”), mentre
tagliava la gola al sacerdote. Al processo, l’assassino dichiarò che il vescovo era un “falso
messia”, e per due volte in aula recitò a gran voce l’adhan(la chiamata islamica alla
preghiera).

Nonostante la sua attuale presenza esigua e disintegrata in Turchia, il Cristianesimo ha
una lunga storia in Asia Minore (che fa parte dell’attuale territorio turco), il luogo di
nascita di numerosi apostoli e santi, come Paolo, Luca, Efrem, Policarpo, Timoteo, Nicola
e Ignazio. Molti episodi menzionati nella Bibbia ebbero luogo in quell’area. Le popolazioni
autoctone – come gli armeni, gli assiri e i greci – sono tra le prime nazioni ad aver
abbracciato la fede cristiana.

I primi sette Consigli ecumenici si svolsero in un territorio che oggi fa parte della Turchia.
Stiamo parlando di Antiochia (Antakya) dove i seguaci di Gesù furono chiamati “cristiani”
per la prima volta nella storia e dove San Pietro stabilì una delle prime
chiese. Edessa (Urfa nel sudest della Turchia) era un antico centro della Chiesa ortodossa
assira (siriaca). L’antica città greca di Bisanzio (conosciuta anche come Costantinopoli –
l’attuale Istanbul) era un fulcro del Cristianesimo e la Basilica di Santa Sofia (Hagia
Sophia), costruita lì nel VI secolo, era la più grande chiesa del mondo – fino a quando i
turchi ottomani invasero la città nel 1453 e trasformarono la chiesa in una moschea. Da
allora, i cristiani della regione sono stati sotto la dominazione musulmana.

Oggi, solo circa lo 0,2 per cento della popolazione turca che comprende quasi 80 milioni di
persone, è cristiano. Il genocidio cristiano perpetrato nella Turchia ottomana dal 1913 al
1923 e il pogrom del 1955 che colpì i greci di Istanbul sono alcuni degli eventi più
importanti che portarono in gran parte alla distruzione dell’antica comunità cristiana del
paese. Ma ancora oggi in Turchia – anche dopo l’adesione del paese al Consiglio
d’Europa nel 1949 e alla NATO nel 1952 – i missionari e i cittadini cristiani continuano a
essere oppressi.

E questo sembra accadere per due ragioni. La prima ha a che fare con la visione che
l’Islam ha dei kafir (“gli infedeli”). Come spiega il dottor Bill Warner, direttore del Centro per
lo Studio dell’Islam politico:

“La dottrina coranica sui kafir afferma che sono odiati e sono amici di Satana.
I kafir possono essere derubati, uccisi, torturati, violentati, derisi, maledetti, condannati e si
può tramare contro di loro”.

Warner parla anche della distruzione della civiltà greco-cristiana in Anatolia:

“Ci sono voluti secoli per il processo di annientamento. Alcune persone ritengono che
quando l’Islam invase, i kafir furono messi davanti a una scelta: la conversione o la morte.
Non fu assolutamente così. Fu introdotta la legge della Sharia e i dhimmi cristiani
conservarono il loro status di ‘protetti’ come gente del Libro che viveva sotto la Sharia. Il
dhimmi pagava pesanti tasse, non poteva testimoniare in tribunale, non poteva esercitare
alcuna autorità sui musulmani ed era umiliato dalle norme sociali. Un dhimmi doveva farsi
da parte e offrire il proprio posto a un musulmano, non poteva portare armi e doveva
rimettersi a un musulmano in tutto e per tutto. In tutte le questioni sociali, il dhimmi doveva
piegarsi a un musulmano. Nel corso dei secoli, il degrado, la mancanza di diritti e la tassa
che i dhimmi erano obbligati a pagare indussero i cristiani a convertirsi. È la Sharia che
distrugge i dhimmi”.

Secoli dopo – nonostante la Costituzione turca non sia basata sulla Sharia – la mentalità e
il comportamento della maggior parte dei turchi sono ancora in gran parte islamici.
Secondo il professor Ali Çarkoğlu della Koç University, che ha condotto insieme al
professor Ersin Kalaycıoğlu della Sabancı University uno studio sul nazionalismo:

“Una questione che differenzia la Turchia dal resto del mondo è che la nostra identità
nazionale è principalmente modellata dall’identità religiosa. Ciò che rende un turco tale
non è tanto l’etnia, né la lingua parlata, ma soprattutto il fatto di essere musulmano. (...)
Una larga maggioranza di turchi pensa che nella loro storia non c’è nulla di cui
vergognarsi. [Essi] non sono legati all’Europa e nemmeno al Medio Oriente; in poche
parole, sentono di potersi fidare solo di se stessi. Questa identità globale è estranea alla
mentalità turca. I turchi sono turchi e un fatto sorprendente è che [alla domanda da noi
posta] se tutti fossero turchi, il mondo sarebbe un posto migliore, i turchi hanno risposto
molto favorevolmente. Nessuna autocritica di alcun tipo”.

L’altro motivo della persecuzione cristiana in Turchia sembra essere una paura diffusa – al
limite della paranoia – che i cristiani mirino, attraverso il proselitismo, a riappropriarsi dei
territori turchi sottratti loro dalla conquista turca. Ad esempio, un rapporto del 2001 della
Organizzazione di Intelligence nazionale turca (MIT) afferma che “i missionari fanno
riferimento al Ponto [un antico territorio greco] nel Mar Nero, allo Yazidismo, alla Chiesa
caldea e ai curdi cristiani nel sud-est della Turchia, agli armeni nella parte orientale della
Turchia e alle antiche terre cristiane nella regione dell’Egeo e a Istanbul per impressionare
le persone e conquistarle”.

Inoltre, nel rapporto dell’esercito turco del 2004 si afferma che il 10 per cento dell’intera
popolazione della Turchia sarà cristiano entro il 2020.

Paradossalmente, prima del genocidio cristiano del 1913-1923, la popolazione del
territorio che è oggi la Turchia era di circa 14 milioni di persone, di cui quasi un terzo (4,5
milioni) era cristiano. Il genocidio svuotò in gran parte l’Impero ottomano e l’attuale Turchia
della propria popolazione cristiana, creando un paese quasi interamente musulmano.

Nonostante questa storia criminale, molti turchi continuano a colpire costantemente i
cristiani. Molte personalità – tra cui politici, accademici, polizia e sindacati – demonizzano i
missionari, accusandoli di impegnarsi in attività “secessioniste”, “minacciose”,
“aggressive”, “distruttive” e “terroristiche”.

Queste persone sembrano essere impegnate in una proiezione, poiché sono i jihadisti
islamici che hanno violentemente invaso e conquistato le terre straniere, e trasformato i
non musulmani in schiavi o in cittadini di seconda classe del loro impero – qualcosa che
molti turchi approvano con orgoglio ed esaltano della loro storia. Il sito web ufficiale delle
forze armate turche, ad esempio, data con orgoglio la creazione dell’esercito turco al “209
a.C., durante il Grande Impero unno”, i cui governanti e soldati, come scrive lo storico
Joshua J. Mark, “portarono morte e devastazione ovunque andarono”, inclusa l’Europa.
L’esercito turco, un membro della NATO, si vanta altresì del fatto che i turchi abbiano
“sottomesso e dominato numerose popolazioni, nazioni e stati di un’ampia area geografica
che va dall’Asia all’Europa sino all’Africa”.
In concreto, dal punto di vista della Turchia, la persecuzione dei pastori evangelici
Brunson e Byle è perfettamente normale.

di Uzay Bulut (Gatestone Institute)

07 gennaio 2019

Traduzione a cura di Angelita La Spada

http://www.opinione.it/esteri/2019/01/07/uzay-bulut_pastore-evangelico-americano-
andrew-brunson-prigione-turca-david-byle-claire-evans/
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