La lussuria nel Canto V dell'Inferno Un'analisi basata sugli scritti di Giulio Giorello, Lorenzo Renzi, Giorgio Inglese e Emilio Pasquini: quattro ...
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Faculteit Letteren en Wijsbegeerte 2010-2011 La lussuria nel Canto V dell’Inferno Un’analisi basata sugli scritti di Giulio Giorello, Lorenzo Renzi, Giorgio Inglese e Emilio Pasquini: quattro guide per una nuova lectura dantis Master in de Taal- en Letterkunde: Frans - Italiaans Masterproef ingediend door Leen Drieskens Promotor: Prof. Dr. Sabine Verhulst
Faculteit Letteren en Wijsbegeerte 2010-2011 La lussuria nel Canto V dell’Inferno Un’analisi basata sugli scritti di Giulio Giorello, Lorenzo Renzi, Giorgio Inglese e Emilio Pasquini: quattro guide per una nuova lectura dantis Master in de Taal- en Letterkunde: Frans - Italiaans Masterproef ingediend door Leen Drieskens Promotor: Prof. Dr. Sabine Verhulst
Ciò che agisce in modo subliminale può essere spesso altrettanto importante di quello che è palese.1 1 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, Bologna, il Mulino, 2007, pp.55.
Parola di ringraziamento In primo luogo, vorrei ringraziare la mia direttrice di tesi, la prof.ssa Sabine Verhulst, per mi aver offerto la possibilità di scrivere una tesi su un Canto della Divina Commedia, per la Sua pazienza e per i buoni consigli Suoi. Vorrei anche ringraziare il mio amico, il mio sostegno, e i miei genitori, in cui trovo sempre conforto, per la loro fede incrollabile in me.
Indice 0. Introduzione ........................................................................................................... p.7 1. Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo................................................ p.11 1.1. Il settenario .......................................................................................................... p.11 1.2. Il vizio della lussuria............................................................................................ p.12 1.2.1. Origine e delineazione del vizio nel Medioevo ................................................ p.12 1.2.2. Vizio del corpo ................................................................................................. p.13 1.2.3. Vizio dell’anima ............................................................................................... p.15 1.2.4. I coniugati e la lussuria. «Se non riescono a contenersi si sposino, meglio sposarsi che ardere (I Cor. 7,9)» ..................................................................... p.17 2. La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno ........................................... p.19 3. La lussuria come potere nel Canto V dell’Inferno.............................................. p.31 4. La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell’Inferno ............................. p.44 5. La lussuria come filosofia nel Canto V dell’Inferno........................................... p.52 6. La lussuria come inganno e come sovversione nel Canto V dell’Inferno ......... p.61 7. La lussuria nel Canto V dell’Inferno: conclusione ............................................. p.66 Bibliografia................................................................................................................. p.70
0. Introduzione “Non v’è dubbio che fra gli’insegnamenti che Dante può riservare agli uomini del terzo millennio ci sia anche quello di puntare su un solo profondo amore al centro di tutta un’esistenza, persistente anche oltre la soglia della morte, capace di rinnovare la vita di una persona, di orientarla al meglio.” Come afferma Emilio Pasquini nel suo libro Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, la lettura della Divina Commedia dantesca si mostra rilevante anche nel terzo millennio. Ovviamente, un’opera di qualche secolo fa rischia di non essere più adatta alle generazioni contemporanee. Ogni epoca conosce tendenze critiche differenti per quanto riguarda la Commedia, “ogni generazione […] legge il ‘suo’ Dante” 2, e quindi, come lo pone Renzi, “siamo prigionieri anche noi del nostro tempo”3. Pasquini segnala che, di tutti gli episodi della Commedia, soprattutto quello di Paolo e Francesca risulta molto interessante per i lettori di oggi4. L’amore-passione che forma il nucleo della storia continua a intrigare. Rappresenta una delle idee riguardanti l’uomo tra cui Dante, in un modo meraviglioso, stabilisce legami nei suoi versi. Quelle connessioni creano la celebre “feconda ricchezza di Dante”, la quale fa sì che tanto all’epoca (quando si trattava della fede, della relazione tra Creatore e creatura) quanto oggi (ormai importa la nostra coscienza etica) si scoprono delle idee sorprendenti e chiarificatrici nell’opera5. Accanto a questo, la storia dei due lussuriosi illustra pure la “persuasione [di Dante] della presenza, nella vita di ognuno, di un gesto decisivo che sanziona la sorte eterna dell’uomo […]”. Oggi, asserisce Pasquini, una simile prospettiva riguarda (e riguarderà in futuro), su un piano totalmente terreno, le scelte radicali che decidono il corso di un’esistenza, le svolte cruciali che imprimono alla vita di un individuo una precisa e irreversibile direzione, decidendo del suo destino in terra6. 2 Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, Paravia, Bruno Mondadori Editori, 2001, pp.257. 3 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit., pp.12. 4 Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.259. 5 Ibidem, pp.269. 6 Ibidem, pp.275. 7
Introduzione Si può aggiungere che, in generale, la ricerca della sapientia mundis del giovane Dante s’inserisce perfettamente nella visione contemporanea del mondo, la quale è completamente fissata sull’acquisizione di nuove conoscenze e su uno sviluppo personale completo. Parallelamente, si rivela adatto alla società di oggi l’avvertimento di Dante adulto che tale ricerca deve essere interrotta quando rischia di condurre non alla magnanimità ma alla folia.7 D’altronde, Inglese segnala che “il carattere ‘realistico’ del poema, dei suoi personaggi e delle sue scene” illustra che Dante utilizza il mondo terreno come una “metafora dell’oltremondo”, “l’altro mondo è reso sensibile e leggibile con le forme del nostro mondo”8. Anche questo aspetto della Commedia fa sì che i lettori di oggi possono capire abbastanza facilmente il mondo sotterraneo evocato dal poeta. La conoscenza del mondo, inoltre, stabilisce il legame tra il commento di Pasquini e quello del filosofo Giulio Giorello, la cui teoria riguardante la lussuria non concorda con la visione cristiana del fenomeno, esposta nel primo capitolo della presente tesi. Ne risulta che la lussuria, dal punto di vista cristiano, si presenta come un fenomeno disprezzabile. Si tratta di una caratteristica umana da combattere e da eliminare. Il filosofo, invece, adotta un punto di vista molto differente nella sua recente monografia Lussuria. La passione della conoscenza9. Propone un’analisi molto originale del vizio, mirata a provocare, nel ventunesimo secolo, una sensazione di liberazione nel lettore della letteratura d’ispirazione cristiana sul soggetto. Giorello considera la lussuria non solo come un peccato, ma anche, e in primo luogo, come una libertà: “E per ciò [la lussuria] può costituire il nucleo di una società aperta e libertaria, insofferente di qualsiasi costellazione di dogmi stabiliti”10. Anche se il concetto centrale della tesi vi è inquadrato in un contesto quotidiano, universale e laico, non viene trascurato il significato cristiano del termine. L’autore approfondisce il concetto di lussuria descrivendo come il desiderio lussurioso può manifestarsi in varie forme: parla della lussuria come potere, come filosofia, come inganno… Andando al fondo della nozione di lussuria, stabilisce delle relazioni significative tra vari testi, autori e concetti. 7 Ibidem, pp.271-273. 8 Giorgio Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Roma, Carocci editore, 2007, pp.9. 9 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, il Mulino, Bologna, 2010. 10 Ibidem, risvolto della sopraccoperta. 8
Introduzione A mio giudizio la lettura del Canto V dell’Inferno dantesco nell’ottica proposta da Giorello può offrirmi, e con me a tutti i lettori del capolavoro di Dante Alighieri, una lettura fresca e interessante di questi versi già ampiamente commentati. Vorrei dimostrare che le sue idee nuove permettono di attualizzare questa parte del testo dantesco –anzi, tutta la Commedia- e di agganciarlo alla società del ventunesimo secolo (cf. Pasquini, cf. supra). Tutte le manifestazioni della lussuria contemplate dal filosofo verranno applicate al Canto V, poiché i suoi ragionamenti permettono di gettare nuova luce sul testo dantesco e di presentarlo a una società diventata quasi completamente laica, nella quale la religione cristiana è diventata un vago ricordo di altri tempi, un fenomeno soltanto latente (cf. supra). Anche nel libro di Giorello l’aspetto religioso della lussuria non è quello più importante, ma è sempre presente in modo velato. Ciò significa che predomina la ricchezza rappresentata dalle varie manifestazioni del concetto denominato lussuria, a scapito della visione cristiana del fenomeno, la quale predica la restrizione di questo vizio. Tutto ciò spiega perché i concetti delimitati da Giorello, in combinazione con commenti da parte di Pasquini, mi faranno da filo conduttore per redigere la presente tesi. L’accostamento evidenzierà paralleli e complementi interessanti. Dato che il mio scopo è l’elaborazione di una nuova analisi della lussuria nel celebre Canto V prendendo come guide alcuni studiosi contemporanei, l’aggiunta di pensieri e di ragionamenti provenienti dal libro Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante di Lorenzo Renzi arricchirà ancora l’esposizione, tra l’altro la parte nella quale si tratta della colpevolezza o dell’innocenza di Paolo e Francesca. Renzi, nel suo libro, vuole reagire “sia alla retrocessione di Francesca in generale, sia all’interesse privilegiato mostrato dai critici per la tirata lirica di Francesca”11. L’autore specifica che l’episodio di Francesca forma, infatti, una metonimia della Commedia, “cioè la parte per il tutto: […] drammatizza e presenta in exemplo la palinodia di Dante, il suo abbandono degli errori giovanili, del mondo dell’amore terreno e della sua poesia (lo Stil novo), per cominciare l’ascensione”. Riferendosi a Paolo Valesio, afferma però anche che il personaggio di Francesca si rivela tanto intrigante che la palinodia rischia di diventare il suo contrario, una “palinodia della 11 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit., pp.12. 9
Introduzione palinodia: una nuova esaltazione dell’amore terreno”12. Accanto al riferimento a Valesi il testo di Renzi offre ancora molte informazioni sorprendenti riguardanti altri autori e commentatori. Giorgio Inglese, poi, è il quarto critico principale che sarà evocato. Il suo commento all’Inferno mi ha procurato vari elementi chiarificatori, distinguendo, nella Commedia, una struttura e una poesia, per esempio, o puntando sull’importanza, nel Canto V, di contrasti forti. Anche lui si mostra un difensore di una dantistica del terzo millennio. La maturità della disciplina (“la quantità [dei studi] è ormai misurabile solo con i mezzi dell’elettronica”) non implica però “stagnazione”, “e lo dimostra bene, per quanto riguarda la Commedia, proprio la vitalità del genere ‘commento’”13. In ogni capitolo della presente tesi, una nozione filosofica evidenziata nel libro già citato di Giorello si trova alla base delle idee sviluppate nel capitolo relativo. A quei ragionamenti s’intrecciano varie riflessioni dalla parte di Pasquini, Renzi, Inglese e alcuni altri commentatori. 12 Ibidem, pp.7-8. 13 Giorgio Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.12. 10
1. Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo Come capitolo introduttivo presenterò un resoconto generale del paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo, incluso un attenzione particolare per la storia del vizio della lussuria. Baserò questa visione d’insieme sul volume I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo di Carla Casagrande e Silvana Vecchio, pubblicato dalle Edizioni Einaudi nel 2000. 1.1. Il settenario Anzitutto si deve segnalare che il sistema dei vizi capitali non è un’invenzione di un individuo. Si tratta piuttosto di una raccolta di idee che si è sviluppata attraverso secoli, continenti e persone diversi; di un “enorme enciclopedia nella quale si trova di tutto, un efficace schema classificatorio per parlare [...] ‘del mondo’”14. Un topos, per così dire. Una volta che il paradigma aveva ottenuto la sua forma definitiva, ben circoscritta, ha avuto un successo immenso, tanto presso i chierici quanto presso i laici. Si potrebbe dire che, per quanto riguarda l’Occidente, la storia medievale di questi sette vizi inizia con gli scritti di tre ecclesiastici: Evagrio Pontico, Giovanni Cassiano e Gregorio Magno. Cassiano (V° secolo), avendo delineato nelle sue opere l’insieme delle teorie del suo maestro Pontico sui sette vizi capitali, ha scritto una delle opere più significative per la cultura tanto religiosa quanto laica del Medioevo. Fino al XV° secolo, il settenario dei vizi capitali, al quale Cassiano –ed Pontico attraverso gli scritti del suo allievo- ha contribuito, ha avuto grande successo. Dante, quindi, ha vissuto in un’epoca che accordava molto importanza all’idea dei sette vizi capitali. Si deve specificare che tanto Pontico quanto Cassiano distinguono otto vizi capitali, al posto di sette: gola, lussuria, avarizia, tristezza, ira, accidia, vanagloria e superbia (elenco tratto dall’opera di Casagrande e Vecchio). Magno, nella sua opera Moralia in Job (fine VI° secolo), ne distingue sette; non menziona più l’invidia come vizio capitale. Anche Moralia in Job costituisce un’opera di notevole importanza per la cultura medievale: “è molto più di un 14 C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, Torino, Einaudi, 2000, pp.XVI. 11
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo commento: esegesi, teologia, etica si mescolano a comporre un disegno di larghissimo respiro”15. Il paradigma dei vizi capitali porta, naturalmente, l’impronta dell’ambito nel quale è stato lavorato, cioè l’impronta della società monastica –non solo quella occidentale. Infatti, Cassiano aveva apportato all’Occidente conoscenze orientali –egiziane, siriane-, adottate dalla cultura monastica orientale, raccolta nell’Egitto. Anche il suo maestro, Pontico, aveva imparato molto sui vizi capitali “in quel crogiolo culturale che fu Alessandria d’Egitto alla fine del IV° secolo”16, e nelle sue riflessioni, idee della filosofia occidentale si sono confuse con questa sapienza proveniente dall’Oriente. Di più, le idee rappresentate dai sette vizi capitali risalgono, infatti, alle difficoltà proprie alla vita nel monastero: “Per i monaci essi rappresentano gli ostacoli da superare lungo il cammino di perfezione al quale si sono votati, in una continua battaglia contro se stessi e contro quel ‘mondo’ che si sono lasciati alle spalle”17. Detto questo, si può inquadrare la nascita e lo sviluppo del settenario, almeno per quanto riguarda il Medioevo. In quello che segue tratterò più in dettaglio la storia medievale di uno dei vizi capitali, cioè di quello che costituisce il nucleo centrale della mia tesi: la lussuria. 1.2. Il vizio della lussuria 1.2.1. Origine e delineazione del vizio nel Medioevo Non solo il cristianesimo ha trattato il desiderio sessuale con diffidenza. Già nella cultura pagana, gli individui si sfidavano da persone che riconoscevano apertamente di sentire tali voglie. La religione cristiana si è adeguata molto abilmente a queste preoccupazioni, riunendole in un vizio capitale chiamato lussuria. Denominando così sentimenti vari e irrequieti, la fede calma, crea ordine nel mondo, nella società, nella vita particolare di ogni persona che si riallaccia alla tradizione cristiana. Diventa molto attraente in questo modo. Lo sviluppo di paradigmi simili contribuisce alla popolarità di una concezione di vita, tanto di visioni di tipo religioso come di concezioni pagani. 15 Ibidem, pp.XI. 16 Ibidem, pp.XII. 17 Ibidem, pp.XV. 12
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo Cassiano descrive la lussuria, situandola nell’ambito della natura propria agli uomini, come un vizio intrinseco, come un aspetto essenziale della specie umana. Magno –monaco e papa-, anzi, pone che essa sarebbe un’attività tutto naturale del corpo, che, per di più, sarebbe intento da Dio. Da un punto di vista laico (nel senso di ateistico), si vede apparire, in questo discorso, una concezione molto moderna della sessualità umana. Rimanendo nel contesto cristiano, il papa, sviluppando una tale visione, crea infatti un idea che spiana la via per la lussuria: se forma un desiderio proprio all’uomo tanto naturale quanto il bisogno di mangiare e di bere, non si può evocare più niente per intimargli l’alt. Ma, a dire il vero, la visione della lussuria divisa in modo più ampio durante i secoli medievali è quella ideata da Agostino. Secondo lui, l’elemento chiave che trasforma la sessualità dell’uomo in un’attività peccaminosa, sarebbe stato il peccato originale. Prima della ribellione di Eva e Adamo contro Dio, i due primi esseri umani sarebbero stati i padroni assoluti dei loro organi sessuali, presenti per rassicurare la procreazione della specie umana. Dopo, invece, come punizione reciproca per la loro disubbidienza a Dio, queste parti dei loro corpi diventano insubordinati, non li possono più controllare. Anzi, sono quegli organi del corpo a poter dominare l’anima dell’essere umano. Lì si ritrova il primo vero aspetto della pena imposta ad Adamo ed Eva. La seconda è rappresentata da una conseguenza irrimediabile del fatto che si sta parlando dell’attività responsabile per la generazione: l’uomo trasmette quel peccato di padre in figlio, per l’eternità. Per forza, i figli nascono peccatori. Nonostante il fatto che la visione agostiniana della lussuria era molto diffusa durante il Medioevo, si comincia già a rivederla nel XII° secolo. Si osserva infatti “un processo di ‘desessualizzazione’ del peccato originale”18. Implica l’accettazione della concupiscenza come una delle conseguenze del peccato originale, non come l’effetto principale di questo. Tuttavia, la sessualità non viene tolta dall’ambito peccaminoso nel quale era stata introdotta: “La natura era ormai inevitabilmente corrotta”19. 1.2.2. Vizio del corpo Cassiano attribuisce alla lussuria (denominata, in un primo momento, la fornicazione), tutto come alla gola, lo statuto di vizio carnale, “un vizio cioè che implica 18 Ibidem, pp.151. 19 Ivi. 13
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo necessariamente la partecipazione del corpo”20. Rivendica non solo la cooperazione degli organi sessuali, ma pure quella di tutti gli organi legati alle esperienze sensoriali: gli occhi, le orecchie, il naso, la bocca e le mani. La lussuria, infatti, si presenta come il solo vizio capitale che coinvolge ognuno dei cinque sensi. Nel Medioevo, la collaborazione tanto versatile del corpo umano alla fornicazione approda all’idea che questo corpo non solo partecipa allo svolgimento del vizio, ma ne subisce anche le conseguenze. Quelle, naturalmente –si tratta di conseguenze di atti peccatori-, non appaiono sotto forme agrevoli: terribili mali di testa che i medici non sanno come curare, progressiva perdita delle forze, vita breve e, su tutto, l’immonda malattia che attraverso piaghe ripugnanti e maleodoranti consuma lentamente ma inesorabilmente il corpo, la lebbra21. Per di più, il debole corpo umano è inestricabilmente connesso con il vizio della fornicazione: senza la presenza di un corpo, non si può manifestare la lussuria. Il vizio rivendica la sussistenza della carne umana per poter apparire. Si tratta quindi di un peccato intrinseco al fisico umano. A dire il vero, la lussuria non tocca a qualsiasi corpo. Si ritrova essenzialmente in fisici maschili. Questo aspetto della fisionomia della fornicazione non deve sorprendere: si parla di un peccato il quale carattere ed essenza sono stati messi a punto negli monasteri –abitati da ecclesiastici maschili (fra le altre “i padri fondatori del settenario dei vizi”22: Pontico, Cassiano e Magno). A lungo, le donne non entravano nel discorso sulla fornicazione, tranne come oggetti degli impulsi lussuriosi maschili. Non vengono mai considerate capaci di intervenire come iniziatrici per quanto riguarda questo peccato. La femmina, invece, ritenuta un essere più debole che il maschio, era creduta molto suscettibile delle avance peccatori esibite dal suo corrispondente maschile. Inoltre, l’insieme di gioielli, profumi, tenute ecc. (l’ornatus, come scrivono Casagrande e Vecchio) che mette l’accento sull’eleganza femminile si considerava un tutto che serviva essenzialmente a rendere i corpi delle donne ancora più attraenti e, di conseguenza, più sensibili ai suggerimenti lussuriosi dalla parte dei maschi. Peraldo descrive “le donne che si vestono e si truccano per andare a ballare” tramite una metafora memorabile: “[sono 20 Ibidem, pp.152. 21 Ibidem, pp.153. 22 Ibidem, pp.155. 14
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo come] un esercito di soldatesse del Diavolo che si prepara a dare battaglia per strappare a Dio l’anima degli uomini”23. Quindi, nonostante il fatto che le donne non possono esibirsi come istigatrici del vizio della lussuria, sono consapevoli degli effetti che hanno i loro fisici sui loro complementi, si avvalgono di queste loro qualità, e così, inconsapevolmente, incitano negli uomini gli impulsi che li portarono ad atti lussuriosi. 1.2.3. Vizio dell’anima Fin qui, la lussuria è stata dipinta come un vizio essenzialmente corporale. A dire il vero, la sua origine non è soltanto carnale, ma si trova nell’interiorità più profonda dell’anima umana. Proprio i monaci –abitanti dell’ambito nel quale è cresciuta l’idea del vizio capitale abbordata- hanno (tra l’altro) riconosciuto che il nucleo della fornicazione sarebbe di natura spirituale. Nel vangelo secondo Matteo si può leggere una frase che non lascia adito ad alcun dubbio: “Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt. 5, 28)24. Ma questa idea non implica che il corpo non potesse essere lussurioso. Inserisce piuttosto una fase intermedia nell’insieme di fasi propri all’azione peccaminosa. In primo luogo nascono le idee lussuriose nell’anima dell’uomo; in seguito si osserva che, da questi pensieri, sorge una specie di corpo virtuale (questa costituisce quindi la tappa alla quale si riferisce nella sentenza evangelica); infine l’atto adultero si svolge per quanto riguarda il corpo reale, di carne e ossa. A proposito della nozione di carne, si dovrebbe ancora specificare la differenza, quanto al peccato della lussuria, tra carne e corpo, vale a dire: quando l’anima cessa di pensare, immaginare, ricordare, assecondare, ascoltare, in una parola servire il corpo, il corpo cessa di essere carne, oggetto e strumento di quel desiderio eccessivo e disordinato che ha colpito l’uomo dopo il peccato originale, per tornare a essere solo corpo, un aggregato di materia che garantisce la vita dell’individuo25. 23 Ibidem, pp.157. 24 Il nuovo testamento, a cura di Giuliano Vigini, revisione di Rinaldo Fabris, Milano, Paoline Editoriale Libri, 2000, pp.47. 25 C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, cit., pp.160. 15
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo Si potrebbe dire, dunque, che, riguardo alla fornicazione, non ci entra il corpo umano vero e proprio, ma un suo equivalente virtuale, come l’hanno formulato Casagrande e Vecchio. In effetti, già nell’ottica agostiniana della lussuria è inclusa l’idea che gli impulsi concupiscenti corporali, da soli, non costituiscono sensazioni peccaminose. È precisamente la condiscendenza dell’anima alle pulsioni carnali che trasforma queste ultime in impulsi peccatori. In seguito, si deve segnalare, in questo capitolo, il punto di vista piuttosto sorprendente di Pietro Abelardo (XII° secolo) sul vizio capitale della lussuria, soprattutto per quanto riguarda la relazione tra anima e corpo. Abelardo sosteneva che tanto la concupiscenza quanto l’atto sessuale e i compiacimenti che lo accompagnano avevano fatto parte della natura dell’uomo a partire dal peccato originale. Affermava che l’elemento vizioso stava solamente nella transigenza dell’anima umana al corpo (carne, infatti) corrispondente. Con questa teoria, Abelardo sviluppa, a dire il vero, una concezione molto moderna della sessualità umana. Non per niente le sue asserzioni hanno provocato moltissime reazioni alla sua epoca. La notevole importanza dell’anima in quest’ambito viene confermata dalle conseguenze che ha il vizio della lussuria non solo per il fisico dell’uomo ma anche, e specialmente, per la sua anima immortale. La fornicazione corrompe il corpo umano, lo rende impuro e infangato; ma è ancora molto più dannosa all’anima: una volta imbrattata da questo peccato, lo spirito dell’essere umano, debilitato e confuso, incoerente, è sull’orlo della rovina. Si tratta di un vizio talmente onnicomprensivo che abbraccia tutti i livelli e strati dello spirito; si espande in tutti gli angoli della mente. Il danneggiamento dell’anima dalla lussuria si rivela incontestabilmente il più grave nell’indebolimento della ragione, componente più nobile e preziosa dello spirito umano. Mina il potere della capacità più eccezionale dell’uomo, cioè la potenza di dominare tutti i suoi sentimenti, emozioni e impulsi facendo appello alla ragione. In effetti, non solo la Chiesa si preoccupava dalla decadenza della ragione sotto l’influsso di attività sessuali. Prima della tradizione cristiana, un’ampia tradizione pagana aveva cercato di offrire uno sfogo a simili preoccupazioni. In questo modo, ha potuto crescere, fra le altre –prima in ambito pagano, poi in contesto cristiano-, l’idea che l’intelligenza – concetto concepito come positivo- dovrebbe essere capace di mettere l’uomo nella 16
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo possibilità di controllare gli impulsi carnali –concepiti come negativi. Dato che gli ultimi avvicinavano l’essere umano dall’animale, il contrasto tra questi di una parte, e la nobiltà incontestabile della ragione umana d’altra parte, si rivelava grandissimo. Se è vero che tale opposizione si presentava palesemente in contesto scientifico, per dirlo così –intellettuale, filosofico ecc.-, la sua importanza per la vita quotidiana dell’uomo medio è inequivocabile, visto la “funzione [della ragione] di garantire la misura, la compostezza, l’equilibrio nella vita di ciascun individuo”26. Trasposto in ambito letterario, il dualismo fra la ragione e gli stimoli carnali, e, più in particolare, la follia nella quale può sfociare la vittoria riportata dalla carne alla ragione, s’impadronisce dei protagonisti dei romanzi cortesi. Il fenomeno rappresenta il culmine assoluto dell’incostanza confusa che può essere provocata in varie misure dalla lussuria. 1.2.4. I coniugati e la lussuria. “Se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere” (I Cor. 7,9)27 Tra tutte le persone che non scelgono la castità come cura della lussuria, i coniugati formano un gruppo speciale. Il matrimonio, in effetti, “non elimina la lussuria”, ma nella misura in cui vieta tutti i rapporti extraconiugali e limita quelli coniugali [a quelli che servono alla procreazione e quelli che sono necessari per soddisfare le sensazioni concupiscenti dei coniughi ed evitare, in questo modo, che commettono il peccato della fornicazione], la contiene e la riduce28. La storia del concetto di matrimonio, per quanto riguarda il vizio della lussuria, si rivela alquanto complicata. In primo luogo si deve segnalare che la ragione per la quale certi cristiani propendevano per la castità e non per il matrimonio consisteva nel fatto che il matrimonio limitava solamente la lussuria; non poteva escluderla. Ma, allo stesso tempo, questo fatto veniva anche rivendicato dai credenti che volevano proteggersi dalla lussuria: il matrimonio, dopo tutto, delimitava la portata del vizio. Poi, Agostino aggiunge che “considera l’unione coniugale un bene, certamente inferiore a quello della castità, ma comunque un bene, e questo ‘non solo per la procreazione dei figli 26 Ibidem, pp.167. 27 Il nuovo testamento, cit., pp.603. 28 C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, cit., pp.172. 17
Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo ma anche per la società naturale che l’unione tra i due sessi comporta’”29. Di più, pone che Dio avrebbe previsto l’unione carnale tra gli uomini e i loro complementi femminili prima del peccato originale, visto che entrambi i sessi erano già dotati di organi sessuali chiaramente visibili e differenti prima che Eva ed Adamo disubbidivano a Dio. “Il peccato non sta dunque nel coito [...] ma nell’uso che gli uomini [...] ne fanno.”30 Queste idee agostiniane sono state molto diffuse durante tutto il Medioevo. Finalmente, si deve ancora segnalare che il legame stabilito tra il vizio della lussuria e il matrimonio fa sì che il peccato si estende dall’essere umano individuale alla comunità intera. Può corrompere tutta una società; non si tratta più di un vizio dannoso alla vita e all’anima di una singola persona, a tal punto che minaccia tutta la specie umana. Da questo punto di vista, il peccato occupa una posizione particolare, anzi unica nel settenario dei vizi capitali. 29 Ibidem, pp.173. 30 Ivi. 18
2. La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno Nella sua esposizione sulla lussuria come potenza (o impotenza) Giorello asserisce che “la lussuria […] è mescolanza di tutte le cose del mondo, rotture d’ordine, spezzatura”31. Nel caso di Paolo e Francesca, di certo, la lussuria è stata responsabile di una rottura dell’ordine quotidiano, anzi, dell’ordine del mondo come i due innamorati lo conoscevano. La spezzatura della loro realtà viene causata direttamente dalla potenza (cioè, dalla potenza nel senso filosofico della parola: potenza come volontà) che costituisce una parte essenziale del desiderio lussurioso che sperimentano. Dal momento in cui cedono alla loro volontà lussuriosa, Francesca, consapevolmente, abbandona suo marito, pone fine al suo matrimonio. Nel v. 107 “Caìn attende chi a vita ci spense”32 il nome di Gianciotto “è taciuto per disprezzo, non certo per ‘femminile riserbo’”33. Neanche Paolo può più tornare indietro; la relazione tra lui e suo fratello è irrimediabilmente danneggiata. Il bacio dei due lussuriosi segna un passaggio chiave nella loro storia lussuriosa. Dopo una fase di dubbi e di disperazione, è arrivato il momento in cui decidono di rinunciare a tutto quello che è familiare, e di perdersi in un’avventura della quale sanno che gli porterà sia la felicità assoluta sia la perdizione. La tragica combinazione di tenerezza e di rovina è illustrata dal v. 106 “Amor condusse noi ad una morte”34: “la prima e l’ultima parola del verso si rispondono fonicamente ‘AMOR condusse noi ad unA MORte’”. Inglese chiarisce che, in questo modo, il verso s’iscrive nella lunga tradizione “di una diffusa paretimologia (Federigo dall’Ambra, son. Amor che tutte cose: ‘Amor da’ savi quasi A! mor si spone’)”. Per di più, la parola morte, nel Canto V dell’Inferno, “conclude la serie di proposizioni principali il cui soggetto è Amore”35. In questo senso, la lussuria si presenta come una mescolanza di tutte le cose del mondo: ogni diritto ha il suo rovescio. Di rado, la realtà nella quale vivono gli esseri umani offre una gioia senza che, contemporaneamente, appaia anche qualcosa che tempera questo sentimento. È un dato che si manifesta in modo particolarmente chiaro in situazioni 31 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.23. 32 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, revisione del testo e commento di Giorgio Inglese, Roma, Carocci editore, 2007, pp.90. 33 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Roma, Carocci editore, 2007, pp.90. 34 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.90. 35 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.90. 19
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno lussuriose. Paolo e Francesca propendono non solo per la felicità (lussuriosa) ma anche per l’aspetto penoso che essa implica. Da quanto appena enunciato risulta che la dimensione della lussuria identificata come la volontà forma una caratteristica fondamentale del fenomeno. Se manca una forte volontà, non si può parlare di lussuria. È appunto dalla volontà umana che procede il desiderio di qualcosa. Dal testo di Giorello emerge che il desiderio an sich deve, infatti, considerarsi come essenzialmente lussurioso. Nel caso di Paolo e Francesca, si tratta del desiderio dell’altro. Dante presta molta attenzione all’espressione di tale potenza. È probabilmente una delle più belle manifestazioni dello spirito umano: unica, forte, ma anche tragica. Forse la bellezza risiede, appunto, nella tragicità. Quello che un essere umano può realizzare grazie alla volontà commuove solo quando si mescola con altre caratteristiche come, in questo caso, il tragico. Il desiderio umano, giudicato lussurioso per definizione, è presente nel Canto V non solo nella decisione presa da Paolo e Francesca. Ci troviamo nella prima parte dell’Inferno, cioè all’inizio del viaggio sotterraneo di Dante personaggio. E siccome Dante parla, infatti, di ognuno di noi, ci troviamo all’inizio del viaggio che ogni peccatore potrebbe desiderare, un giorno. Anche lui sperimenta un forte desiderio. Si trova sulla via della perdizione, e vuole ritrovare la retta via. Vuole andare verso la luce divina, è in cerca di una direzione nella sua vita. Questa aspirazione predomina su tutto il suo essere, come il desiderio di Francesca domina su Paolo e vice versa. Inoltre, Giorello pone che “la laicizzazione è la lussuria dell’emancipazione dalla soggezione alla natura e/o alla divinità – emancipazione che costituisce la premessa di una società politica matura”36. Secondo me, l’autore suggerisce che l’assunto che la laicizzazione sia un processo lussurioso sarebbe ovviamente consono alla visione cristiana della lussuria che la considera un vizio capitale. Classificare la laicizzazione tra le varie forme in cui può manifestarsi la lussuria le conferirebbe lo statuto di un’azione peccaminosa. L’idea principale che vuol esprimere il filosofo in questa frase, però, è che il desiderio umano di venir liberati dall’assoggettamento a un potere superiore si rivela lussurioso, poiché si tratta di un desiderio. Dante personaggio, tuttavia, desidera di esser assorbito completamente dalla luce divina del Dio cristiano. E aspira alla stessa sorte per tutti i suoi contemporanei. L’opposizione 36 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.26. 20
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno tra la volontà evocata da Giorello e quella di Dante personaggio illustra il punto di vista del filosofo sulla lussuria. Che il carattere di un fenomeno sia o non sia lussurioso non dipende dalla sua religiosità o laicità. Uno degli aspetti essenziali della lussuria è la forza immensa della potenza umana che fa sì che la lussuria può esistere. Oltre a ciò, l’autore menziona che “la lussuria istituisce il nesso tra conoscenza e oblio”37. L’aspetto della lussuria che è analizzato e commentato in questo capitolo, la potenza, costituisce la forza che spinge un essere umano ad avere curiosità e a cercare risposte alle proprie domande. In questo senso, forma, infatti, l’anello che lega l’ignoranza e la conoscenza. Dante personaggio vuole conoscere il mondo sotterraneo, e desidera sapere se e come si può salvare. Dalla sua curiosità, quindi dalla sua volontà, sorgerà la comprensione dei fenomeni che vuole capire. Si può pure trasformare la conoscenza in oblio per il tramite della lussuria. Una volta che la conoscenza è ottenuta, è possibile che essa provochi l’oblio di altri fatti conosciuti nell’essere umano che la ottiene, com’è illustrato dall’epopea mesopotamica la Saga di Gilgames alla quale si riferisce Giorello. Nel Canto V, tuttavia, si osserva il contrario. Quello che era conosciuto nel passato non è dimenticato, come pone appunto Francesca dopo che Dante le ha chiesto di raccontare come lei e Paolo si sono rivelati i sentimenti amorosi reciproci: “E quella a me: “Nessun maggior dolore/che ricordarsi del tempo felice/nella miseria: e ciò sa ‘l tuo dottore”. Chiaramente, i due lussuriosi si ricordano benissimo quello che sapevano prima del momento in cui la loro volontà di conoscere li ha messi sulla via della perdizione, cioè, prima del momento in cui si baciavano e s’appropriavano la conoscenza dell’altro. Anzi, in questo passo, Dante autore utilizza letteralmente il verbo conoscere: “Ma, s’a conoscer la prima radice/del nostro amor tu hai cotanto affetto/dirò come colui che piange e dice”38. Ciò illustra l’importanza ardente del significato del termine. Per di più, Giorello pone che “la potenza della dea [Venere] è quotidiana […], non solo eccezionale”39. Si potrebbe sostenere, quindi, che la caratteristica della lussuria rappresentata da questa volontà incredibilmente potente non si manifesta unicamente in situazioni o momenti eccezionali. Costituisce una forza sempre presente nell’essere 37 Ibidem, pp.28. 38 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.91-92. 39 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.35. 21
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno umano, gli appartiene. Non sarebbe capace di liberarsi da essa, se lo volesse. Questo, però, gli è connaturale: si tratta di una parte dello spirito umano troppo essenziale. Senza di essa non sarebbe più un uomo. Per di più, rappresenta un impulso troppo gradevole. All’uomo piace infinitamente provare una tale energia dentro di se. Gli dà l’idea che potrebbe, infatti, realizzare il progetto che ha in mente, che potrebbe trovare la risposta alla sua domanda. Gli dà il coraggio necessario per dare ascolto ai sentimenti che lo sopraffanno e per arrischiarsi in una ricerca o una situazione che possibilmente finirà male. È questo il momento in cui la volontà lussuriosa, quotidiana, alleggiando, diventa eccezionale. Questo momento speciale si osserva pure nella storia di Paolo e Francesca. Dopo un lungo tempo di voler esser insieme (da solo), arriva quel punto in cui il desiderio di Paolo di sapere come sarebbe di trovarsi nelle braccia della donna amata, diventa troppo forte. La bacia. Un momento riempito in modo molto eccezionale di volontà lussuriosa. Giorello menziona anche che la dea Venere (e quindi la lussuria) può rivelarsi “maestra di inganno”40. Certo, nel Canto V, si osservano delle azioni ingannevoli: Francesca tradisce suo marito, Paolo suo fratello. All’aspetto ingannevole della lussuria, però, sarà dedicato un altro capitolo della presente tesi. Ciò che colpisce nelle pagine sulla lussuria come potenza in Lussuria. Passione della conoscenza, e che potrebbe dar luogo a una riflessione interessante, è un’idea che deduce da un testo di Agostino, Città di Dio. Secondo Giorello si può capire da quest’opera che, secondo Agostino, “la fiacchezza della nostra volontà (contrapposta alla forza di quella divina) sia ben peggio […] di qualsiasi fisica impotentia coeundi”41 perché “nell’ordine naturale l’anima è anteposta al corpo”. Agostino descrive la “lotta della passione [il corpo] e della volontà [l’anima]” parlando della lussuria, affermando che esiste “almeno l’imperfezione della passione nei confronti della pienezza della volontà”42. Ciò pone l’accento sul valore più grande della forza mentale che è la volontà dell’uomo a paragone del suo corpo fisico. Rileva la preziosità e la versatilità della potenza, la quale è valutata non solo dai fedeli cristiani ma anche da laici. Si potrebbe sostenere, quindi, che si tratta di un punto di vista comune e, di conseguenza, unificatore. L’unione d’idee 40 Ibidem, pp.36. 41 Ibidem, pp.39-40. 42 Agostino, Città di Dio, Introduzione, traduzione, note e apparati di Luigi Alici, Milano, Bompiani, 2001, pp.684-685. 22
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno cristiane e laiche (nel senso di provenienti dagli antichi) si ritrova, appunto, nella Commedia dantesca. A mio giudizio questa fusione è una delle caratteristiche più meravigliose dell’opera. Si rivela in modo splendido nel passo su Paolo e Francesca. La ricchezza del Canto V proviene, tra l’altro, dall’enumerazione dei nomi di Semiramide, Cleopatra, Tristano, e di tutti gli altri personaggi lussuriosi della mitologia classica menzionati dalla guida di Dante, Virgilio. Inglese spiega che sono “donne antiche e cavalieri” (v. 71): insomma, l’intero mondo del romanzo epico-amoroso, che aveva, di fatto, connesso in un ciclo unico “Troianorum Romanorumque gesta… et Arturi regis ambages [‘avventure’] pulcerrime” (Dve I x 2)43. La loro apparizione conferisce un’atmosfera unica all’Inferno cristiano. Evocano la grandezza delle storie antiche di alcune coppie famosissime. Risulta dai versi quanto sono care a Dante, tutto come la sua fede. Il ricordo della disperazione, dell’amore e della perdizione caratteristico di queste storie si mescola, nel Canto V, ai sentimenti (simili) di Paolo, Francesca e Dante. Per quanto riguarda quella relazione emotiva triangolare tra Dante, Paolo e Francesca, si può segnalare che la sua forza emozionale è ancora aumentata dal fatto che, per Francesca, la visita del pellegrino forma un’opportunità unica per confessarsi (dal punto di vista dei colpevolisti di Renzi) o per comunicare e quindi rendere immortale la sua tragica storia d’amore (secondo la visione dei giustificazionisti di Renzi, cf. infra). Inglese afferma che gli incontri fra il P. [Dante personaggio] e i dannati si presentano come un momento affatto eccezionale nello “svolgersi” (che non ha però vero svolgimento) della pena di questi ultimi […]: per un motivo superiore – ossia, per l’edificazione del P. e poi dei viventi che leggeranno il resoconto del viaggio – la Provvidenza suscita in alcuni dannati un estremo atto di personalità (v. 84) [“vegnon per l’aere, dal voler portate”44]. Sul piano poetico, ciò si traduce in una forte drammatizzazione degli episodi: Francesca, per esempio, non avrà mai un’altra occasione di confessarsi, di dare forma verbale al proprio tormento45. 43 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.87. 44 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.88. 45 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.89. 23
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno Da quello che precede, risulta che “un estremo atto di personalità” implica una volontà potente, dato che la volontà costituisce una parte essenziale dell’essere umano. Si potrebbe dire che, con l’ultima frase, Inglese si presenta come un colpevolista, poiché “dare forma verbale al proprio tormento” può significare “dare forma verbale al suo peccato e al modo in cui lo strazio della punizione infernale la tortura”. La seconda parte della frase di Inglese, però, potrebbe anche essere interpretata come “dare forma verbale” al modo in cui entrambi il ricordo del “tempo d’i dolci sospiri”46 e quello della fine tragica della sua storia d’amore la tormentano. Allora, per quanto riguarda Francesca, Inglese si presenterebbe non solo come un colpevolista, ma anche come un giustificazionista. Ritornando alle “donne antiche e cavalieri”, Renzi asserisce quanto segue: Se ci sarà ancora una critica letteraria dedita a leggere con attenzione i testi, qualcuno noterà, per esempio, che la “pietà” di Dante per Francesca, primo segno della sua partecipazione emotiva alla storia di Francesca, seguita poi dallo svenimento, era già cominciata al v. 72 e si riferiva alle “donne antiche e ’ cavalieri”, dunque a tutti quei fantasmi letterari che prima sono definiti “peccator carnali”. Dunque Dante non solidarizza solo con Francesca.47 Mentre Virgilio annovera nome dopo nome, Dante personaggio sente come, nel suo cuore, cresce la compassione. Ascoltando la sua guida, diventa sempre più commosso, triste e silenzioso per tutto quell’amore disperato, perso. Anche lui ha amato e perso la persona amata. Pasquini pone che “non si ha soltanto il dramma cruento dei due giovani amanti riminesi; c’è anche il dramma interiore di Dante che si sente personalmente coinvolto in quella tragedia”48. Questo dramma interiore che sperimenta il pellegrino di fronte “alla tragedia romagnola” si spiega, secondo Pasquini, dall’atto d’accusa di Beatrice nel Purgatorio (cf. infra). “Qualcosa di Francesca ritorna in Dante e nel suo personale traviamento, sotto la spinta del rigoroso atto d’accusa cui lo sottopone Beatrice; il che spiega con chiarezza, quasi completandolo, il suo turbamento – che non è solo pietà – di fronte alla tragedia romagnola.”49 46 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.91. 47 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit., pp.11-12. 48 Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.259. 49 Ibidem, pp.262. 24
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno Secondo Pierre-Louis Ginguené (1748-1815), autore di Histoire littéraire d’Italie, non è stato il Dante filosofo e teologo che si rivela in altri passi della Commedia che ha scritto l’episodio di Paolo e Francesca, ma è stato il Dante innamorato di Beatrice.50 In questo senso, il Canto V parla da Enea e Didone, Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, e pure di Dante stesso. Di conseguenza, tratta anche di ognuno di noi, poiché il passaggio di Dante personaggio attraverso l’inferno, il purgatorio e il paradiso celeste rappresenta il viaggio simbolico di ogni peccatore che desidera ritrovare la retta via. Ginguené, per di più, non evidenzia la pietà di Dante, ma “nota che la pena in fondo, se non è mite, è la più piccola fra tutte quelle previste dal poeta”51. Renzi spiega come questo “non sembra una grande osservazione, ma la riprenderanno, in genere senza conoscersi l’uno con l’altro, molti critici, da Foscolo [Discorso sul testo della Commedia52] a Teodolinda Barolini [Dante and Cavalcanti (On Making Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its Lyric Context53]”. E ci aggiunge: “Bruno Nardi [Filosofia dell’amore nei rimatori italiani nel Duecento e in altri54], che era l’unico che di queste cose se ne intendeva davvero, ha notato che, tra i peccatori nella carne, Dante ha punito i golosi più gravemente dei lussuriosi, invertendo l’ordine di San Tommaso”55. Forma un argomento che sostiene la tesi di Ginguené secondo la quale l’unico vero autore dell’episodio di Francesca sarebbe stato il Dante amante di Beatrice, e certamente non il Dante teologo. Anche per Francesco De Sanctis (in Francesca da Rimini56) e per Benedetto Croce (La poesia di Dante57), segnala Renzi, Dante, come teologo e come cristiano, disapprova i peccati dei lussuriosi. Inglese definisce la pietà di Dante (“pietà mi giunse e fu’ quasi 50 Pierre-Louis Ginguené, Histoire littéraire d’Italie, citato da Lorenzo Renzi in Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit., pp.134. 51 Ibidem, pp.135. 52 Ugo Foscolo, Discorso sul testo della Commedia, in Id., Studi su Dante, a cura di Giovanni Da Pozzo, Firenze, Le Monnier, 1979, pp.175-573. 53 Teodolinda Barolini, Dante and Cavalcanti (On Making Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its Lyric Context, in “Dante studies”, 116, 1998, pp.31-63. 54 Bruno Nardi, Filosofia dell’amore nei rimatori italiani nel Duecento e in altri, in Id., Dante e la cultura medievale, Bari, Laterza, 1929, pp.1-88, il passo che interessa con i riferimenti a san Tommaso è alle pp.81- 82. 55 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit., pp.135. 56 Francesco De Sanctis, Francesca da Rimini, in Id., Lezioni e saggi su Dante, a cura di Sergio Romagnoli, Torino, Einaudi, 1967, pp.633-652. 57 Benedetto Croce, La poesia di Dante, Bari, Laterza, 1966, pp.73-75. 25
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno smarrito”58) un “profondo turbamento in cui sono fusi l’orrore per il peccato e il dolore per l’umanità peccatrice giustamente punita”59. Per De Sanctis e per Croce, da un punto di vista emozionale, invece, Dante non condanna i lussuriosi. Croce sottolinea pure il potere estasiante che ha avuto il libro narrando la storia di Lancillotto e Ginevra sui due peccatori. Asserisce però che Dante, al contrario di altri poeti, riesce a rompere e a superare l’incantesimo dolce dell’amore. Così, afferma Renzi, il critico italiano “è riuscito a ottenere un momento di sovrano equilibrio nella storia della critica [della Commedia], e in particolare dello scontro tra colpevolisti [quelli che considerano Francesca una peccatrice integralmente responsabile delle vicende] e giustificazionisti [quelli che si fanno paladino della donna]”60. D’altronde, per quanto riguarda la colpevolezza o l’innocenza di Francesca, Inglese segnala che la donna, affermando che “Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende”61, da un punto di vista psicologico si rivela sincera, ma che, “nella prospettiva etica del poema, [è] obiettivamente falsa” poiché “Amore [è] sempre soggetto delle azioni determinanti [“prese costui della bella persona/che mi fu tolta: e ‘l modo ancor m’offende./Amor, ch’a nullo amato amar perdona/mi prese del costui piacer sì forte/che, come vedi, ancor non m’abandona./Amor condusse noi ad una morte”]”62. Da quest’angolatura, infatti, tutte le due ipotesi (tanto quello della colpevolezza quanto quello dell’innocenza di Francesca) rientrano nelle possibilità. Si può considerare Amore come il vero colpevole, o giudicare che la donna si è arresa a lui, caso in cui lei si rivela responsabile per le vicende. Secondo Inglese, l’aggettivo leggieri che si trova nel v. 75 “e paion sì al vento esser leggieri”63 farebbe parte di un’idea esclusivamente poetica (e quindi non strutturale) che vuole dimostrare, al lettore, “il ‘peso’ carnale del peccato d’amore”. Tutto come questo formerebbe un suggerimento puramente poetico, Francesca, nella poesia, vive “come anima tormentata dalla passione d’amore”, mentre dalla struttura “è dannata per adulterio incestuoso”64. Quindi, quello che De Sanctis e Croce attribuiscono a Dante teologo e 58 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.87. 59 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.87. 60 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L’episodio di Francesca nella “Commedia” di Dante, cit., pp.144. 61 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.89. 62 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.89. 63 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.87. 64 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.87. 26
La lussuria come potenza nel Canto V dell’Inferno cristiano, nella visione di Inglese (che distingue una struttura e una poesia nella Commedia) appartiene alla struttura. Per quanto riguarda la relazione tra la volontà umana, cioè il desiderio, e l’aspirazione alla conoscenza propria all’uomo (anch’essa parte intrinseca della lussuria, cf. il titolo dell’opera di Giorello Lussuria. Passione della conoscenza) il filosofo cita, a un certo momento, Tommaso d’Aquino, il quale “concluderà […] che l’eccesso di conoscenza (anche sessuale) fa male:”65 “Non bisogna che una vana e peritura curiosità ci attardi nell’interessarci delle creature”66 “invece che indirizzarci al Creatore”67. Secondo lui, il desiderio di conoscere Dio dovrebbe, quindi, prevalere su quello di conoscere la natura, le caratteristiche del mondo che ci attornia, e sul desiderio di appropriarsi “comprensione, intelligenza e consapevolezza”68. Ovviamente, si tratta della visione cristiana sulle cose. Anche per Dante personaggio, la scoperta della luce divina istituisce lo scopo principale del suo viaggio sotterraneo. In Dante autore, invece, si uniscono tanto il desiderio dell’amore divino quanto l’aspirazione alla conoscenza, alla sapientia mundi (cf. infra). Si osserva anche che, quando la passione (ovvero il desiderio) della conoscenza riguarda il divino, d’Aquino non considera tale desiderio come lussurioso e quindi non si parla di peccato. Se, invece, concerne le creature che popolano il mondo, è bollato come peccaminoso. Dalle pagine precedenti, però, risulta che il desiderio umano si presenta come una proprietà intrinseca della lussuria, e che, per di più, è lussurioso per definizione. Può manifestarsi sotto innumerevoli forme, ma sarà sempre lussurioso. Dato che lussurioso, nell’ottica cristiana, equivale a peccaminoso, la visione del fenomeno adottata nella presente tesi (e nel testo di Giorello) non concorda con quella di d’Aquino. Quale sarebbe il punto di vista di Dante scrittore? Adottando l’ottica di Inglese (che, nella Commedia, individua una struttura e una poesia), si potrebbe sostenere che secondo la struttura e la poesia elaborate da Dante scrittore, “il volere […] [poeticamente] sembra eccezionalmente concesso alle anime perdute, [ma] appartiene in realtà [quindi 65 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.41. 66 Tommaso d’Aquino, La somma teologica, a cura della Redazione delle Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1996, II-II, qu. 167, art. 1, Concl. 67 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.41. 68 Ibidem, pp.42. 27
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