Medici e Sifilide nei secoli XVI e XVII

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Medici e Sifilide nei secoli XVI e XVII
    A cura di:
    Maria Luisa Portulano-Scoditti, già Preside Scuola Media M. Materdona di Mesagne (Br). Socio SISM.
    Amedeo Elio Distante, Pediatra e Medico di Medicina Generale, Asl BR/01 – Mesagne. Socio SISM.

  Il Cinquecento fu anche il secolo della presenza, fra le altre malattie, della sifilide che all’inizio
assunse un decorso di tipo epidemico, mietendo innumerevoli vittime, sia perché sconosciuta, sia
perché non si erano trovati i medicamenti ad essa appropriati.
  Essenza e origine.
  Giovanni Antonio Roverella (XV–XVI sec.) cominciò ad ammettere un umore specifico morboso
che produceva le pustole ed i dolori.
  Niccolò Massa (1489-1564/69) più chiaramente parlò di un veleno venereo come causa di tutti i
sintomi.
  Girolamo Mercuriale (1530-1606) osservò che ... le ulcere, le gomme ed altro non sono la causa
della Sifilide ma i sintomi e che gli effetti sono perciò conosciuti, mentre le vere cagioni e la vera
natura non si conoscono. Pertanto, egli prosegue, il capo, il fegato ed i genitali non sono la sede
del Morbo gallico, e tanto meno le discrasie degli Antichi, ma esso dipende da una materia
speciale, provvista di particolare virulenza...
  Ercole di Sassonia (1551-1607), corrispondente di Epifanio Ferdinando (1569-1638), stabilì che la
cagione unica e prima era un veleno contagioso e la sua azione sugli umori.
  Clemente Clementino (XV-XVI sec.), fautore come gli antichi dell’Astrologia, credeva che ogni
parte del corpo umano fosse influenzata dalle costellazioni e dai pianeti e affermando, per esempio,
che gli organi genitali erano influenzati da Venere e dallo Scorpione, concludeva: et Scorpius,
signum magnae illius conjunctionis, causa fuit Morbi Gallici.
  Zaccuto Lusitano (1575-1642), ebreo di Lisbona, nel De Medicorum Principum Historia, nel
primo dei due libri, alla Storia Settantatre, scrivendo del morbo gallico, dichiara che il morbo è
antichissimo e che ... ab immodico veneris usu oriri possit... ed ipotizza che ... sit contagiosus ad
distans...
  Alessandro Traiano Petronio (? - 1585), medico di papa Gregorio XIII, dichiarava che il morbo
era connaturato, preparato dall’alimento che si riceve nell’utero e svegliato poi dal contagio.
  Gabriele Falloppio (1523-1563) lo addebita agli Spagnoli per aver essi avvelenato i pozzi e fatto
mettere il gesso nel pane.
  Andrea Cesalpino (1519-1603) dichiara di essere in possesso di una storia diversa e più veritiera,
perché riferita da quegli stessi che furono presenti; di sicuro (riferita) da un soldato aretino che in
quel periodo militava con gli Spagnoli. Costui riferiva, a detta del Cesalpino, di una città, alle falde
del monte Vesuvio, chiamata Somma [Vesuviana], dove esiste gran quantità di un vino corposo,
denominato Vino Greco; essa venne abbandonata di nascosto dagli spagnoli, assediati dai francesi,
non prima di aver mescolato a quel vino il sangue infetto, estratto dai malati dell’Ospedale di San
Lazzaro. I francesi, entrati in città, dopo aver tracannato quel vino, cominciarono a star male con
comparsa di sintomi gravissimi, dovuti all’Elefantiasi. Si sarebbe originata in tal modo la malattia.
  Leonardo Fioravanti (1518-1588) scrive che il morbo cominciò nel 1456 durante la guerra di
Alfonso di Aragona e Giovanni, figlio di Renato, perché i venditori di carne avevano mescolato
carne di cadaveri umani con quella delle bestie macellate, vendendola ai soldati.
  Filippo Aureolo Teofrasto Paracelso (1493-1541) la considerò una malattia derivante dall’unione
della lebbra con la cambucca 1.
  Girolamo Fracastoro (1483-1556), nel De contagione et morbis contagiosis (1546), sostenne
chiaramente l’origine contagiosa della Sifilide. Anche il nome dato a questa malattia derivò dal suo
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  Cambucca o cambucca membrata: specie di bubbone o di tumore ulceroso dell’inguine o intorno ai genitali. Questo
termine fu tratto da Paracelso dall’idioma tedesco o svizzero.

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poema Syphilis sive morbus gallicus, edito a Verona nel 1530, opera in versi di squisita fattura,
forse ispirata dalle Georgiche di Virgilio, dedicata al cardinale Pietro Bembo.
  Niccolò Leoniceno (1428-1524) nacque a Lonigo (da qui il nome), in territorio di Vicenza e più
strettamente appartiene al XV secolo. Egli scrisse l’opera Librum de Epidemia, quam Itali Morbum
Gallicum, Galli vero Neapolitanum vocant... che pubblicò, tra i primi autori Italiani, a Venezia nel
1497. Sulla natura del morbo suppone che non fosse da identificare né con quello che gli antichi
chiamarono Elefantiasi, né con il Lichene, o con l’Asafato o ancora con la Prugna o il Carbone, o
col Fuoco persico o Fuoco sacro .... Egli confuta tutto ciò dichiarando: il Morbo gallico va
compreso tra le epidemie cioè tra i morbi che si diffondono tra la popolazione e che accadono, per
ira divina, secondo i teologi, o per influsso degli astri, secondo gli astrologi, o per una particolare
disposizione dell’aria, come dichiarano i medici. Alla fine dell’opera riporta pochi rimedi per
guarire il morbo gallico; ma all’infuori del salasso, della purga, della modificazione degli umori
salsi, della dieta ed altro non fa alcuna menzione dei rimedi mercuriali. Morì a Ferrara nel 1524.
  Manifestazioni e sedi
  La malattia si diffuse come un’epidemia tra le classi sociali più ricche. In verità la suddivisione in
tre stadi sarà codificata nel XIX secolo, ad opera di Filippo Ricord (1799-1889), ma già allora la
descrizione che se ne faceva riguardava le manifestazioni esterne dei genitali sotto forma di ulcere
che comparivano pochi giorni dopo il contagio e venivano assegnate al primo stadio. Le
manifestazioni secondarie e i dolori ossei e articolari, compaiono da trenta a centoventi giorni dopo
l’infezione, termine questo indicato dal Fracastoro; nel secondo stadio venivano comprese le forme
cutanee, sotto forma di pustole, variabili per forma, grandezza e colore che erompono in tutto il
corpo. Le forme erosive e distruttive, che attaccano la gola, le labbra e gli occhi, furono, alle prime
comparse del morbo, talmente gravi da causare anche la morte del soggetto infetto. Il terzo stadio è
caratterizzato da affezioni delle ossa e comparsa di tumori con distruzioni anche gravi di organi e
tessuti. Le diversità delle forme morbose cutanee, quali la presenza di verruche, grandi come
nocciole, descritte da Marcello Donato (1538-1602), e da Leonardo Botallo (1519-1588), sparse per
tutto il corpo; tubercoli carnosi alla pianta dei piedi, le corrosioni e scissure [ragadi] alle palme delle
mani, rilevati da Benedetto Vittori, o de Vittorijs (1481-1561)2, e le altre forme descritte anche da
Marco Aurelio Severino (1580-1656), fecero paragonare la lue venerea al vaiolo, al fuoco persico
[herpes zooster o fuoco di Sant’Antonio], alla lebbra, all’elefantiasi, al lichene, alla mentagra
[impetigine], alla patursa [scabbia indica], eccetera. Musa Antonio Brasavola (1500-1555) ammette
addirittura duecentotrentaquattro specie di morbi sifilitici ed Alessandro Massaria (1510-1598)
ancora di più. Niccolò Massa, come si vedrà in seguito, dice di aver trovato nei cadaveri
dissezionati dei sifilitici una sovrabbondanza di pituita. La maggior parte degli autori galenisti
pensava che la sede della sifilide fosse il fegato, tanto che Eustachio Rudio (1548-1612) sosteneva
di avere guarito la lue venerea anche con l’applicazione del cauterio sulla regione epatica! Al
contrario, Prospero Borgarucci (1540-?) provava con i fatti l’erroneità di tale opinione. Massaria,
oltre a discutere sull’essenza del morbo - che peraltro alcuni negano essere tale, mentre altri
dichiarano essere una causa morbifica, altri un veleno, altri ancora un’alterazione degli spiriti o una
lesione delle proprietà del temperamento, oppure una putredine o un escremento - esclude una sede
propria della malattia, che alcuni ripongono nel fegato, altri nel cervello oppure nel cuore o nelle
parti pudende od ancora in tutto il corpo, e dichiara altresì che le manifestazioni patologiche
appartengono alla malattia o sono la causa della malattia o i sintomi.
  Vie di trasmissione
  Brasavola è del parere che il contagio venereo si diffonda per contatto tramite tre vie, ... con il
coito; ed in tal caso vengono attaccate per prime le parti genitali; con l’allattamento, e questa volta
sono attaccate le mammelle; col bacio, con vibrazione e scontro delle lingue, ed in tale eventualità
si verifica l’ulcerazione della gola e del palato... Infine aggiunge che può contrarsi anche ...
attraverso l’ano, e questo non può accadere se non per congiungimento contro natura; accade per

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    E’ conosciuto anche con il nome di Vittore Faventino.

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tale motivo qualcosa di divino in costoro che prendono il contagio per tale via, poiché in essi
l’affezione sifilitica è sempre gravissima, per la punizione inflitta da Dio per tale nefando
misfatto... Tuttavia, continua l’autore, per quanto mi riguarda, non dormirei con uno affetto da
scabbia gallica, né berrei alla stessa coppa o mangerei nello stesso piatto (lance), né userei lo
stesso tovagliolo (mappula) per asciugare le labbra... E conclude ... però non ho conosciuto
nessuno che sia morto, avendola contratta in questo modo o sicuramente solo con questa pratica ...
né tantomeno ho udito che se ne sia visto qualcuno...
  Prevenzione e cura
  Vi furono cure stravaganti per prevenire la sifilide, come quella di Eustachio Rudio, che dopo il
coito con una donna infetta, o sospetta tale, proponeva, per prevenire il morbo, di mettere subito un
legaccio di lino della larghezza di un dito, intorno alla radice del pene, circondandolo
strettamente; questo venga sciolto ed allentato durante la minzione o il rilassamento... Nel
frattempo si lavi tutto il membro con una spugna nuova, bagnata in liscivia di cenere di sarmenti o
di legno di fico, o in una soluzione di acqua e aceto in cui avrai bollito il guaiaco, o in salamoia ... .
Le prostitute, egli continua, per preservare la loro salute ma anche quella dei maschi, subito dopo
il coito, si lavino la vulva e la vagina ... con liscivia od altro già detto, e subito dopo pongano in
vagina in profondità un pessario, di adatta proporzione, bagnato in decotto di guaiaco. Tuttavia,
asserisce l’autore, è validissimo e sicurissimo rimedio preservativo l’astenersi dalle meretrici;
infatti egli aveva talvolta osservato ... che su dieci prestantissimi giovani, che si erano accoppiati
con la medesima prostituta, a mala pena se ne salvava uno!
  Giulio Cesare Claudino (1550/53-1618), preventivamente, in caso di contatto sospetto, proponeva
di sezionare e sventrare colombini, pulcini e cagnolini vivi, di prenderne i polmoni ancora caldi e di
applicarli alle parti pudende per estirparne il veleno; consigliava ancora, ... illis, qui cupidini ultra
rationem indulgentes in periculo malunt periclitari, quam abstinendo incolumes servari..., prima
del coito, di applicare sopra il glande delle pezzuole di lino, infuse a lungo in decotto antivenereo.
Si usarono inizialmente la dieta, le purghe, il salasso, i rimedi correttivi, i bagni, le stufe, eccetera,
mentre localmente si adoperarono i disseccativi sulle ulcere, gli unguenti e gli oli sui punti dolorosi.
  Carlo Musitano (1635-1697) per la cura dei tubercoli affermava essere utile l’uso della ventosa
infuocata, perché il fuoco di Vulcano spaventa l’infedele Venere.
  A tutto ciò si aggiunse il mercurio che veniva usato nei primi tempi dagli Arabi e dai chirurghi
italiani del Medioevo nelle malattie cutanee e forse anche su manifestazioni analoghe. Falloppio e
Fracastoro riferiscono che il mercurio, come rimedio, venne trovato per caso. Scrive Fracastoro,
Accepit nova fama fidem, populosque per omnes / Prodiit haud fallax medicamen: coeptaque
primum / Misceri argento fluitanti axungia porcae. Giovanni da Vigo (1450-1525) ricorda di aver
appreso l’uso del mercurio dal medico lucchese Teodorico 3 nel capitolo De Male mortuo
(gangrena) e da Arnaldo da Villanova (1240-1312) nel capitolo De Cura Scabiei; ed ancora,
riferendosi alla cura, che tutto ciò che era stato trovato... fuit potius ex novis experimentis quam ex
antiquis auxiliis... Per parte sua Fracastoro riferisce che un suo amico barbiere aveva trovato un
antico ricettario che riportava una ricetta dal titolo Ad scabiem crassam quae cum doloribus
juncturarum accidit. Pertanto, quando apparve il morbo gallico, giudicando che l’unguento di
mercurio potesse per analogia riuscire utile, consultò altri medici i quali lo sconsigliarono
fortemente dall’usare tale preparato pensando che per l’elevato contenuto in mercurio e zolfo
potesse causare danni. Fracastoro, con fine ironia, scriverà in seguito: Felix nisi medicos illos
consuluisset, incredibili quaestu dives futurus. Ferdinando proponeva teneramente per gli infanti
ammalati la cura consistente nel farli dormire nel letto accanto alla madre, ben unta di unguento
mercuriale, per respirarne l’alito.

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 Teodorico Borgognoni (1205-1298), figlio del chirurgo Ugo da Lucca, seguì il padre a Bologna, apprendendone l’arte.
Passato nell’Ordine dei Predicatori, divenne poi Penitenziere per nomina di papa Innocenzo IV. Nel 1262 fu nominato
da papa Urbano IV Vescovo di Bitonto e poi nel 1266 Vescovo di Cervia, da papa Clemente IV: Esercitò, con dispensa
pontificia, l’arte chirurgica a Bologna e sembra sia stato il primo ad usare l’unzione di mercurio nel Malo Mortuo, o
Lepra, o Asafato degli Arabi. Morì a Bologna nel 1298.

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Giovanni Fernelio (1486-1557/58), uno dei pochi, scriveva che il mercurio non era un vero
antidoto, ma una sostanza trovata dai praticoni. Pur essendo la maggior parte degli autori concordi
sull’uso del mercurio nelle sue varie preparazioni e modalità di somministrazione, alcuni, come
Guido Guidi il Vecchio (1500 ca.-1569), alle frizioni preferivano i suffumigi; Fracastoro invece
adoperava i suffumigi non su tutto il corpo ma solo su alcune parti di esso, mentre sia Giorgio
Dordoni (1500 ca.-1571 ca.) che Antonio Fracanzano (1506-1569) li disapprovavano del tutto. Da
parte sua il Borgarucci, pur ritenendo utile il mercurio nella cura del morbo, avanza alcune riserve,
convinto che esso abbia la forza di spegnere la fertilità: ... innumeros pene novi & homines &
mulieres, qui post indebitas unctiones filios unquam habuerunt... Il Roverella, invece, radunava
sotto la dizione di morbo mercuriale gli effetti collaterali prodotti dal mercurio, tra i quali le
ulcerazioni gengivali, la carie e l’annerimento dei denti e la loro conseguente caduta, la sensazione
di soffocamento, l’alienazione mentale, la febbre lenta. Il mercurio veniva usato negli impiastri e
nei suffumigi per uso esterno e più raramente per uso interno, con la somministrazione di alcuni
preparati tra i quali le pillole del Barbarossa 4. Il torinese Pietro de’ Bayro (1468-1558), in un suo
scritto del 1540, ne riporta la composizione: R. Argento vivo, dramme 25; rabarbaro scelto,
dramme 10; diagridio, dramme 3; mosco ed ambra, ana, dramma 1; farina di frumento, dramme 2.
Con succo di limone impastare pillole, grandi quanto ceci. Se ne dia una alla volta, ogni giorno,
prima di cena. Pietro de’ Bayro racconta più avanti che queste pillole vennero importate dalla
Turchia e che il primo tra i Cristiani che le usò cadde morto all’istante sopra il ponte di Avignone,
città in cui in quel periodo eravamo rifugiati a causa della guerra del 1537, cioè quando Francesco
I, re di Francia, scacciato Carlo III, col quale era in guerra, occupò la Sabaudia ed il Piemonte.
   Giovanni da Vigo per primo usò per l’interno il precipitato rosso di mercurio che venne perciò
chiamato polvere rossa di Giovanni da Vigo; dopo di lui lo usò Niccolò Massa, ma per l’esterno,
facendolo passare per un suo antidoto col nome di polvere angelica.

  A completamento di quanto sopra detto, riportiamo stralci di opere sulla sifilide, scritti da alcuni
medici più o meno famosi.
  - Niccolò Massa, autore del Liber de Morbo Gallico, pubblicato a Venezia il 14 luglio del 1532
con dedica all’arcivescovo di Milano, Cardinale Carlo Borromeo, asserisce che è un morbo nuovo,

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  Cheiredinus o Cheiradinus, detto Barbarossa, cioé Enobarbo [Aenobarbus: Dictus est Domitius, quoniam Castor et
Pollix cum victoriam illi nuntiarent, ipseque minime crederet narrantibus, malas barbamque manibus permulserunt et
eam ex fusca in flavam converterunt. Unde a barba rutila Aeneique coloris Aenobarbus dictus, quod postea Dovitiorum
cognomen fuit (Calepinus). Venne così chiamato un Domizio, al quale, non credendo alle parole con cui gli
annunziavano la vittoria, Castore e Polluce toccarono con le mani le gote e la barba, trasformandogliela da nera in
bionda; perciò, per la barba rosseggiante, color del bronzo, venne chiamato Enobarbo, attributo che in seguito divenne
un cognome di famiglia]. Originario di Mitilene, nell’isola di Lesbo, era fratello del famoso pirata Horuch che aveva
atterrito un tempo, agli inizi del secolo sedicesimo, le popolazioni del mare Mediterraneo con latrocini ed aveva
occupato con l’inganno il Regno di Algeria che mantenne con la forza fino al 1518, anno in cui venne ucciso dagli
Spagnoli. Cheiredinus, avvezzo alla pratica di tali ribalderie, morto il fratello, gli successe, acquisendo per diritto
ereditario il Regno che ampliò, espugnando e annettendo Tunisi. Venne inoltre nominato da Solimano “il Magnifico”,
imperatore dei Turchi, prefetto della flotta turca con la quale egli terrorizzò, depredandoli, gli abitanti di tutti i litorali
d’Italia. Nemico giurato e perpetuo dell’imperatore Carlo e degli Spagnoli, si adoperò con atti di coraggio a favore di
Francesco I, re di Francia, al fianco del quale affrontò il re spagnolo in campo aperto. Perciò, quando il sovrano
francese venne con maggiore ostilità minacciato da Carlo V, che tramava per una monarchia unificata in tutta l’Europa,
il Barbarossa, per portargli aiuto, su comando di Solimano, attraccò a Marsiglia, nell’anno 1543, con grande
spiegamento di forze. Riunita la flotta assediò coraggiosamente Nicea (Nizza), città allora sotto il dominio di Carlo III,
duca di Savoia, alleato di Carlo V. Questa impresa, iniziata però sotto cattivi auspici, finì infelicemente; e nel contempo
quegli odiati aiuti valsero non pochi malumori contro Francesco I, senza procurargli in realtà alcun vantaggio.
Cheiredino, già ottantenne, morì a Costantinopoli nel 1547. In vita fu uomo di sfrenata lussuria e venne pertanto
attaccato, più di una volta, dal morbo venereo, che infieriva in special modo in quei tempi. Tramandano che si curasse
da solo con certe pillole che, oltre a sostanze purgative molto elaborate (mochlica), contenevano idrargirio crudo, cioè
mercurio vivo la cui composizione aveva appreso da un medico giudeo. La fama di tali pillole divenne grande per la
quantità che il Barbarossa aveva preparato per Francesco I, re di Francia. Tali pillole vennero perciò chiamate
popolarmente Pillole del Barbarossa.

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trasmesso tramite molteplici contagi ... che viene causato anche da alterazione intrinseca,
concorrendovi alcune disposizioni corporee, la dieta alimentare, il bere, ed altre res non naturales.
Afferma, tra l’altro, che l’umore predominante, base della malattia, è quello flemmatico. Io stesso,
prosegue l’autore, incisi per studio le pustole di tale morbo, le quali per quanto all’esterno
apparissero rosse o di altri colori, una volta incise, mostravano alla base, sul fondo, una materia
biancastra, densa, vischiosa, che null’altro che flegma si può definire. Ancora di seguito l’autore
scrive:... molto spesso nelle dissezioni dei corpi dei pazienti deceduti, che in vita avevano avuto
dolori per Morbo Napolitano, nel luogo dei dolori vidi una grande quantità di materia biancastra,
vischiosa, talvolta dura, talaltra più molle, come nella dissezione, nel 1524, di un paziente che
aveva sofferto tale malattia con dolori alle gambe, come affermavano quelli a lui vicini; sezionata
la sede di tale dolore vi venne trovata questa materia biancastra e vischiosa, aderente alla gamba
come un pannicolo coprente; e così anche in molte altre articolazioni, nella vicinanza delle quali
trovai la maggiore quantità di questa materia bianca e vischiosa... L’autore ammonisce di evitare il
coito con donne mestruate da poco e infettate da tale malattia, ma aggiunge:... se per caso uno si
congiungesse con donna infetta, le parti, dopo il coito, siano lavate con vino bianco caldo o con
aceto, ... affinché si rinforzi il membro e non avvenga la corruzione in quella cattiva qualità ... . Se
comunque qualcuno volesse, come accade, congiungersi ugualmente con donna infetta, la vulva
venga lavata con vino e aceto e il membro maschile con aceto, affinché non si attacchi quella
cattiva qualità... e non ci si attardi nel coito... ma dopo si lavi il membro come già detto... . Se al
contrario è la donna a congiungersi con l’uomo infetto lavi la vulva e il membro maschile prima e
dopo il coito, senza attardarsi nell’accoppiamento... Riguardo alla cura parla diffusamente del
modo di preparare e somministrare il legno santo, la salsapariglia e le radici di china; propone
altresì svariati generi di unzioni o di cerotti mercuriali e le cautele che sono necessarie per ricorrervi
con sicurezza; descrive il modo di curare le lesioni della bocca e delle gengive e delle altre parti
della gola ed ancora delle modalità ... per guarire il Morbo Gallico con le unzioni alle giunture
nelle quali il mercurio penetra; ed è una via infallibile e sicurissima per sanare tale malattia ... . Le
unzioni ed i linimenti a base di sugna [grasso di maiale] e di mercurio costituiscono uno
straordinario presidio ed un medicamento sicuro con i quali, come si è visto di frequente, vengono
guariti tutti quelli affetti da Morbo Gallico; e continua: ... si possono somministrare in tutti gli
organismi e in tutte le evenienze di tale morbo, in qualunque tempo ed età, e finanche nelle donne
gravide e nei bambini, come spesso feci io stesso, con vantaggio per costoro. Descrive poi il suo
unguento, detto benedetto e completo, per questa affezione... poiché guarisce le pustole del Morbo
di Napoli e i dolori e risolve le aposteme dure o grumi, e sana le ulcere infette se con esso vengano
unte le giunture e le pustole... . La descrizione dell’unguento è la seguente: R. Sugna porcina
(privata della pelle e colata per setone, senza fuoco), libbre 2; argento vivo [mercurio metallico]
libbra 1; litargirio [protossido di piombo], once 3; cerussa [carbonato basico di piombo], once 2;
olibano, oncia 1. mescolare in un mortaio di pietra e fare l’unguento, estinguendo dapprima
l’argento vivo con la sugna e aggiungendovi dopo tutte le altre cose, sempre manovrando il
pestello.... Risanai, afferma Massa, molti che soffrivano di marasma, indeboliti dalla intensa
malattia, ripetendo più volte le unzioni: li ungevo per quattro giorni consecutivi tutte le sere, poi li
lasciavo riposare senza unzioni per una settimana ... ed ancora dopo li ungevo la sera per cinque
giorni, a seconda delle loro forze, e di nuovo li lasciavo riposare ... e così vennero restituiti alla
buona salute... Sempre riguardo alla cura l’autore continua spiegando la qualità e la
somministrazione dei suffumigi e le modalità da osservare nella loro applicazione per evitare di
nuocere alle parti principali dell’organismo.
  - Gerolamo Capivaccio nacque agli inizi del Cinquecento (1523?) a Padova dove frequentò la
Facoltà di Medicina, discepolo del Montano e dell’Argentieri. Dopo la laurea cominciò ad
insegnare, nello stesso Ateneo, nel 1552 Medicina Pratica e nel 1561 anche Medicina Teorica. Fu
invitato nel 1587 per lettera dal Granduca di Toscana Francesco de’ Medici a dirigere “in primis” la
Medicina pratica nel Ginnasio pisano, con la proposta di uno stipendio notevole. Egli rifiutò
cortesemente, avendo peraltro accumulato con la professione medica e specie con la cura della

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sifilide, ingenti ricchezze, pari a più di ottomila corone. Credendo che egli usasse qualcosa di
arcano nella cura della sifilide, un suo alunno gli chiese di metterlo al corrente di tale segreto; al che
egli rispose: leggi il metodo e conoscerai il mio segreto. Morì nel 1589. Fu autore di un trattato
sulle malattie veneree nel quale dichiara che sono inutili molte cose della teoria tratta dai commenti
dei Peripatetici. Capivaccio si preoccupa poco della prima origine della malattia venerea,
affermando che... non c’è da ricercare quale fosse la causa prima originaria della lue con tale
insistenza, poiché senza dubbio essa è una materia nuova ... ed in qualunque modo tale causa fosse
stata generata, sarebbe come se qualcuno chiedesse se l’uovo è stato generato prima della
gallina... Egli dichiara che la lue... non può generarsi nel corpo umano, ma vi accede dall’esterno
... anche se all’inizio è piccola, gradualmente, via via che il corpo la riduce nella propria sostanza,
la aumenta... Perciò la lue venerea viene così definita:... est excrementum praeter naturam toto
genere, potens multifariam laedere hominem, genitum ex humana substantia, a simili... Continua
spiegando che per “escremento” si intende sia il contenente che il contenuto alimentare degenerati;
con praeter naturam caratterizza l’escremento morbifico, non quello naturale e differenzia quello
praeter naturam non toto genere [come la bile escrementizia morbifica], da quello praeter naturam
toto genere, che necessariamente deve essere putrido; così accade quando il sangue, il catarro, la
bile, l’ichor, il siero, il latte, il seme, il pus, degenerano in materia infettiva. Ed ancora la lue può
colpire tutto il corpo o parti diverse di esso (potens multifariam laedere hominem) e specifica che la
materia e qua è la sostanza dell’uomo, cioè la sostanza contenuta [succhi del corpo come: sangue,
siero, latte, seme] e quella contenente [quali le parti carnose e adipose, quelle spermatiche, le ossa],
escludendo gli spiriti, che possono soffrire ed alterarsi, ma non putrefarsi. Distingue la lue venerea
in ereditaria ed avventizia. La prima può essere procurata dal padre o dalla madre, mentre pensa
che la seconda possa contrarsi ... col congiungimento carnale, con l’allattamento, con la suzione del
latte, col bacio, col dormire assieme agli infetti, specie se le lenzuola sono umide di sudore o di
trasudati... Ammette quattro metodi di cura: l’uso dei decotti di guaiaco [legno indico o legno
santo], di china, di salsapariglia e di sassofrasso; le unzioni mercuriali; i suffumigi; l’uso
dell’antimonio. Descrive sia le modalità sia la durata delle somministrazioni dei decotti sudorifici
senza però discostarsi dal metodo popolare in quanto crede che esso sia preferibile agli altri metodi
perché meno pericoloso. Riguardo alle unzioni mercuriali stabilisce che ... il mercurio liquido è più
efficace nel debellare la Lue venerea e perciò, per quanto questa sia massimamente cronicizzata, se
la condizione e la forza del corpo lo permettono, non disapprova che si usi l’idrargirio...
Raccomanda tra le altre cose che l’unzione mercuriale ... avvenga frizionando con le mani, non a
mani nude, dalle parti inferiori alle superiori, non dalle superiori alle parti inferiori affinché la
forza dell’unguento penetri meglio attraverso i pori... e raccomanda inoltre di non ripeterle ... più di
sette volte poiché, se l’ammalato non espelle la malattia durante le sette applicazioni, non vi è più
speranza... Riguardo all’uso delle fumigazioni asserisce che ... tale metodo è più sicuro da usare e
meno pericoloso delle unzioni ... infatti il suffumigio richiama le parti spiritali...; pertanto, se il
paziente è sano di torace e di polmoni, è lecito ricorrere proprio al suffumigio per il motivo che
esso è più efficace delle unzioni. Riguardo al quarto metodo di cura, cioè l’uso dell’antimonio, egli
afferma che ... pur possedendo in sé la forza di sciogliere veementemente col vomito e la diarrea, e
per quanto egli stesso avesse esperimentato e trattato più casi, di rado esso guariva la lue... e
pertanto l’autore sentenzia che ... nella Lue venerea bisogna desistere dall’uso dell’antimonio ed
affidarsi agli altri metodi... Conclude scrivendo... che dopo la cura la lue, se ancora residuata, si
riconosce se non sono ancora scomparsi gli effetti, cioè le malattie e i sintomi... nello stesso modo
si riconosce quando la cura non è stata diligente o è stata breve, per esempio per quindici giorni,
ecc....
   - Epifanio Ferdinando, filosofo-medico, nacque a Mesagne nel Salento, terra dell’allora Regno di
Napoli, nel 1569. Studiò all’Università di Napoli dove ebbe per maestro il famoso Giovanni
Altomare. Praticò con lode l’arte medica nella sua patria, tra il secolo XVI e il XVII. Morì nel 1638.
   Non scrisse un trattato specifico sulla Lue venerea, riporta Giovanni Astruc (1684-1766), ma tra
le sue Centum Historiae... edite a Venezia, nel 1621, nella Storia XVII ne parla così eruditamente

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che il suo nome può ben figurare fra tutti coloro che sull’argomento hanno un posto di preminenza.
Si riassume di seguito la sua “dottrina”: il Morbo Gallico era sconosciuto ai medici greci, quali
Ippocrate e Galeno e a quelli arabi, come Avicenna; era nuovo per il mondo europeo, ma antico
nelle Indie Occidentali, nelle quali è frequente e conosciuto, è popolare ed endemico, come lo è da
noi la scabbia, e viene da quelli chiamato bughe; nel periodo in cui da noi giunse il Morbo Gallico,
in contemporanea fiorirono nelle Indie Occidentali variole e morbilli, secondo quanto riferito da
Hernando di Oviedo (1478-1557) e Ferdinando Cortes (1485–1547); non è cosa strana a vedersi che
talora malattie sconosciute si originino ex novo, così come attestano Platone, Strabone, Plinio,
Plutarco e molti altri (sexcenti) importanti scrittori; la malattia può essere trasmessa per via
ereditaria dai genitori, o per contagio tramite il coito, la suzione del latte, per fomite [esca, veicolo]
con gli indumenti, o per aver dormito insieme ad infetti una volta, o per aver mangiato e bevuto on
essi, o per altra abitudine; oppure baciando e toccando le parti oscene genitali, eccetera; la Lue
venerea, ad esordio gravissimo e molto contagioso, ... è adesso cambiata rispetto all’inizio ed è
molto più benigna; e che questa mutazione sia in meglio, il Ferdinando ritiene debba dedursi dal
fatto che ... è molto più conosciuta la sua cura in tutto l’Orbe; la virulenza venerea è differente
dall’elefantiasi e su questo dato l’opinione degli scrittori è comune, eccettuato Sebastiano Aquilano
[1440 ca.-1513/43], contro il quale si espressero in molti; nel Salento non si è visto alcun Morbo
Gallico da quando, da vent’anni, viene praticata la cura medica, eccettuate le ricadute e le recidive
per non averlo perfettamente curato ed estirpato del tutto. Predisposto in precedenza l’organismo,
quattro sono le vie principali attraverso le quali infallibilmente, servendosene sugli ammalati in
modo appropriato e con metodo, si svelle dal fondo ogni virulenza venerea e la si estirpa
radicalmente; ciò si ottiene: con i decotti; con l’unzione; con gli impiastri; con i suffumigi
[fumigazioni]; la prima via, quella attraverso i decotti, è più sicura delle altre e ... se per questa via
– dice il Nostro - accadesse sempre quel che ti sei proposto, e voglia il cielo che così si possa dire
sempre, non importerebbe passare ad altre cure ...; tale cura però il più delle volte, anzi spesso, da
sola non è in grado di estirpare la Lue venerea; l’altra via, cioè l’unzione col mercurio, è sicura,
utile e molto efficace: ... questa via in Francia, in Spagna, in Italia e in tutta l’Europa è usata nel
Morbo Gallico ... . Il Ferdinando, alle obiezioni contro l’uso della unzione di mercurio, riferendo
che alcuni, in vero pochissimi, senza ragione hanno cercato di opporsi perché il mercurio è un
veleno, che in nessun modo deve essere usato sul corpo umano, dal momento che non si può curare
nessuno con il veleno, affermando inoltre che molti sono morti per le unzioni, mentre in altri esse
hanno provocato orribili sintomi, così risponde: prima di tutto il mercurio non è un veleno ma,
ammesso e non concesso che lo sia, quanti veleni non curano, scacciano e sono distrutti da altri
veleni?... Non neghiamo che alcuni muoiano (ma per varie ragioni ... nonostante l’uso di ottimi
medicamenti) ... . Botallo con le unzioni guarì dei bambini, ed anche noi ne abbiamo fatto più volte
esperienza ... .Queste unzioni vanno applicate agli ammalati di morbo gallico, purché ... non
recente o appena manifestatosi, ma di vecchia data, ribelle e resistente ... dopo che siano stati
adoperati altri medicamenti, quali il legno santo, la salsapariglia, la china, il ginepro, eccetera ...
avendo prima bene liberato il corpo ... . Non convengono ai vecchi ed ai soggetti deboli o molto
emaciati. Non vanno usate su coloro che soffrono di debolezza nervosa, di paralisi, o che abbiano il
capo debole e soggetto a flussi catarrali, non perché il mercurio sia un veleno, ma perché
indebolisce le forze ... . Convengono ai giovani... agli adulti ed anche ai vecchi, se sono robusti, e
così anche alle donne gravide, specialmente dal quarto al settimo mese ... qualora incomba il
pericolo di abortire... Agli infanti – dice - basterà l’alito ed il dormire insieme con le madri ben unte
con mercurio. Riguardo alla quantità raccomanda non più di sette once di mercurio per unzione
negli adulti, nei bambini tre once; nelle persone deboli e nelle donne gravide quattro o cinque once.
Per quanto tempo bisogna usare le unzioni? Egli spiega che ... possono bastarne tre, o cinque o
sette o più ... per tre giorni di seguito e poi ad intervalli ... . Qualora insorgessero sintomi gravi e
preoccupanti, quali le ulcerazioni della bocca, gonfiori della lingua e del palato, impedimento della
deglutizione, indebolimento dei denti, copioso vomito di acqua o flegma o sangue, oppure diarrea o
dissenteria, il Nostro raccomanda di interrompere subito la pratica delle unzioni. Se non si verifica

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nessuno di questi sintomi, ma solo sudori ed una moltiplicazione di esantemi sul corpo, ed ancora
se gli ammalati guariscono o... non c’è nulla di quanto detto innanzi, allora è da credere che il
mercurio ha domato questa feroce belva gallica. E’ bene anche sapere che il mercurio ... abbisogna
di correzione e preparazione. Vanno preparati e corretti soprattutto l’asprezza e forse il caldo e il
secco ... . Per l’asprezza vanno aggiunte sostanze grasse, soprattutto grasso di maiale, o di gallina o
anche d’uomo, affinché il mercurio si addolcisca.... Aggiungerei anche il burro e le altre sostanze
oleose ed untuose per evitare il danno che potrebbe derivare dalla eccessiva secchezza del
mercurio – e continuando consiglia - anche lo zucchero rosso in quantità un po’ minore ... su sei
once di mercurio, quattro once di zucchero che molto bene lo addolcisce, corregge e prepara...
Poiché il mercurio suole essere dannoso ai nervi e alle giunture o per la sua forma intrinseca (a
forma occulta) o perché li essicca o perché trasmette loro effetti indesiderati (materias praeter
naturam), allora è opportuno mescolare erbe e semplici, atti a rafforzare i nervi, come la salvia, il
rosmarino, il timo, il sambuco, eccetera... Siccome a causa dello zolfo il mercurio ha un odore
spiacevole e nocivo che giunge al cervello, ad esso devono essere mescolate sostanze odorose che
ricreano gli spiriti e rafforzano il cervello; così anche nella camera da letto devono essere a portata
di mano sostanze odorose... Nelle unzioni mercuriali bisogna sempre tener presente che dove si
formano gomme e tubercoli bisogna mescolare al mercurio sostanze più untuose e grasse che
possano rilassare ed ammorbidire, ma quando sono presenti pustole, ed ulcerazioni, bisogna
mescolare sostanze essiccanti, quali incenso, mastice, minio, litargirio, cerussa, eccetera. Se negli
infetti si presentano dolori allora bisogna mescolare al mercurio sostanze oleose temperate, quali:
l’olio di mandorle dolci ed amare, il costo, l’iperico, eccetera... Infine bisogna sempre tener conto
del temperamento dell’ammalato, della stagione, dell’età e dei sintomi; infatti nella stagione calda,
in un temperamento caldo, per contenere il calore del mercurio, possiamo aggiungere succhi di
indivia, di piantaggine, di portulaca ed unguento di rose e di sandalo. Per il nostro ammalato -
scrive il Ferdinando - abbiamo usato l’unguento seguente:
  R. Terebentina veneta, libbra 1; mercurio, once sette; tale mercurio viene estinto con la
terebentina; aggiungi poi sugna di maiale, once otto; cerussa e litargirio aureo, ana, oncia 1; olio
di mandorle dolci ed amare, ana, once due; polvere di cinnamomo, scrupoli 2; mosco, grani
cinque; mescolare e fare l’unguento secondo arte.
  Nei vecchi, nelle donne gravide e nei fanciulli bisogna aggiungere una minore quantità di argento
vivo, come già detto. Se il temperamento è sanguigno, bisogna aggiungere al mercurio, oltre ai
sopraddetti succhi, anche acqua di rose e succo di solatro; e così anche se il temperamento è bilioso.
Se invece il temperamento è pituitoso bisogna accrescere la quantità di oli e talora anche un po’ di
acquavite o di vino generoso e succo di salvia e polvere di rosmarino. Se poi predomina il
temperamento melanconico si potrà aggiungere succo di buglossa e di melissa e talora, per
maggiore consistenza, possiamo aggiungere due o tre rossi d’uovo... Quindi tali unzioni variano
secondo tre modalità: se nel morbo gallico sono più evidenti gomme, nodosità, tofi, tubercoli e il
temperamento secco, allora al mercurio bisogna aggiungere ed accrescere la dose delle sostanze
untuose; se i dolori predominano bisogna ricorrere maggiormente a sostanze oleose; se il corpo è
afflitto da varie ulcerazioni, prevarranno i medicamenti essiccativi in aggiunta al mercurio. Tempo:
in generale il tempo più favorevole è la primavera, poi l’autunno; possibilmente evitare l’estate e
l’inverno, ma in casi di somma urgenza bisogna ricorrere alle unzioni con la massima prudenza e di
rado. L’ora propizia è quella prima del pranzo e a digiuno. Modo: le unzioni vanno praticate, in una
stanza da letto ben calda e chiusa, dalle parti inferiori del corpo a quelle superiori e in direzione
opposta ai pori e ai peli. Luogo: ungere gli arti e le parti vicine, quali gli internodi (articolazioni) dei
piedi, le ginocchia, le cosce, gli internodi della mano, del gomito e dell’omero, sia a destra che a
sinistra. L’unzione sia calda e si utilizzino ogni volta due o tre once di unguento. Evitare le parti
carnose, sebbene qualche volta, se l’ammalato è robusto e ti sembra inevitabile... si possono ungere
gli emuntori del fegato, cioè gli inguini e la spina dorsale. Sarebbe più prudente che tale unzione
venisse effettuata con i guanti [chirotecis]. E’ regola costante – ricorda l’autore - che nel corso
dell’unzione, e prima e dopo, l’ammalato tenga in bocca un oggetto d’oro, il quale venga

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frequentemente posto sui carboni, bagnato poi nel vino e messo nuovamente in bocca. L’oro infatti
possiede una particolare affinità col mercurio, per cui bisogna eseguire questa pratica perché non
si ulcerino le mucose della bocca. Ma, poiché dalle unzioni possono derivare molti inconvenienti,
useremo i provvedimenti adottati dagli autori che hanno scritto sul morbo gallico. Nel nostro
ammalato – scrive - sopravvennero ulcere alla bocca, che dovette gargarizzare con il seguente
preparato:
  R. Acqua di piantaggine, libbre 2; acqua di rose, libbra mezza; sciroppo di mirto e di more, e
conserva di rose rosse, ana, oncia 1; un po’ di aceto; mescolare e fare gargarismi.
  La terza via, cioè quella degli impiastri, ... è sostitutiva dell’unzione; in questo caso, però, il
mercurio opera più lentamente...; mentre al contrario nella unzione... ad opera del frizionamento si
raggiunge lo scopo più celermente... La quarta via, quella dei suffumigi, ... con i quali i praticoni
debellano il Morbo Gallico, è ancora più pericolosa dell’unzione, infatti la base dei suffumigi è
costituita da Cinabro artificiale, Sandaraca dei Greci, Pigmento di oro, Sublimato ed Arsenico, che
sono veleni pericolosi e bisogna perciò usarli raramente ed in casi di urgente necessità e quando sia
stato fatto ogni tentativo senza aver raggiunto il risultato sperato. In verità per i casi in cui bisogna
usare i suffumigi oppure no, se devono essere generalizzati o localizzati, e se possono essere
benigni o maligni, si consulti il Falloppio, che ampiamente ne ha scritto. Da parte mia – dice il
Ferdinando - ne ho fatto uso molto raramente; infatti fino ad oggi li ho usati due volte nei
contadini; uno di questi ne uscì risanato. Questo suffumigio, tra quelli usati frequentemente a
Napoli nell’Ospizio degli Incurabili, era il seguente:
  R. Litargirio, once cinque; antimonio, cinabro, ana, oncia mezza; rabarbaro, once sei; polipodio,
once tre; incenso, once 2; stirace e cariofilla, ana, dramme 8; calamo aromatico, cinnamomo,
laudano, macis rosso, noce moscata, allume, verderame, aloe, ana, dramme 3; minio, sandaraca
dei Greci, ana, oncia 1; gomma dragante, oncia 1; acqua di rose e di fiori di citrangolo, quanto
basta. Fare secondo arte.
  Oppure altro suffumigio, con il quale curai Giovanni Andrea Romano, affetto da forma ostinata
di morbo gallico, era composto nel modo seguente:
  R. Cinabro e sublimato, ana, oncia 1; gomma di olivo e laudano, ana, oncia mezza; noce
moscata, bacche di alloro e di ginepro, ana, dramme 3; incenso, cinnamomo, ana, dramme 2;
samsuco, amaraco, calcanto, ana, dramma 1 e mezza; terebentina, quanto basta per incorporare e
fare massa.
  Leggere in Falloppio il modo di usarlo. Più di frequente abbiamo usato tali suffumigi per alcune
parti esterne; ulcerate o dolorose, ma tuttavia all’esterno; non per via orale, e con grandissimo
successo. Tuttavia si potrebbero talora usare, non senza successo, la Teriaca, ... la Confezione
Cyfoide, ... o l’Acqua teriacale, che tanto viene utilizzata da Guglielmo Rondolezio (1507-1566)
nell’estirpare tale Morbo Gallico, soprattutto in presenza di continuo dolore di testa e nella cefalea
cronica ... ed infine l’Acqua Filosofica del Mattioli (Pier Andrea Mattioli, 1500-1577).
  - Marco Aurelio Severino nacque nel 1580 a Tarsia, nella Calabria Citeriore, vicino al fiume
Crati, per cui veniva da alcuni chiamato “Cratigeno”. Insegnò nel Ginnasio napoletano, creandosi
fama grandissima, l’Anatomia e la Chirurgia. Morì a settantasei anni nel 1656. Nella sua opera De
recondita Abscessuum doctrina..., edita a Napoli nel 1632, nel libro IV, al cap. 23, formula alcune
proposte Super Syphilide morbo selectae aliquot animadversiones. Nel primo paragrafo, a pagina
271, Severino definisce in tal modo la lue venerea: La Sifilide è una manifestazione proveniente da
un luogo di origine putrido oltre misura e denso che da tutta la sostanza assalta il temperamento
umano e che si rivolge prima alle parti spermatiche, in seguito alle altre con la forza di un acre
fermento che nel passaggio pervade di aria virulenta; se ciò persiste all’interno e non viene
allontanato con nessun flusso all’esterno, occupato il fegato, consuma del tutto il corpo e lo
distrugge .... Nel secondo paragrafo ammette che il sesso... crea le varietà o le modalità della Lue
venerea. Nella prima varietà vi sono: ...l’infiammazione, nella quale sono comprese la flogosi e il
calore intenso, specie alle mani; l’erisipela, il bruciore dell’urina e del pene, chiamato dai
Francesi riscaldamento dell’urina (pisse-chaud); le pustole, gli esantemi, il prurito, la scabbia, la

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psoriasi, l’alopecia (su di essi leggi il Montano [Giovan Battista Montano, 1488/90-1551] che
attribuisce il Morbo venereo ad intemperie caldo-secca)... Nella seconda sono comprese ... le
Escrescenze, tra le quali annovera la Marisca 5, il Timo (verruca minore), la Verruca, il Fungo, il
Tubercolo, la Gomma, l’Ateroma, il Sarcoma, la Sicosi, la Tonsilla, la Caruncola 6, specialmente
dell’uretra, e tra gli interstizi femminili e delle dita, soprattutto dei piedi. Nella terza varietà
l’autore comprende le pustole, tra le quali: ...le Pustole minute, sparse per tutto il corpo come le
Variole, le Papule, che sono solite erompere nella pseudo gonorrea, più larghe e più grandi, le
quali spesso si vedono ricoperte da croste che si riformano e recidivano: queste dagli spagnoli
sono chiamate Bubboni, Dartres dai francesi e presso il nostro popolo Scabbia gallica. Alla quarta
varietà appartengono le corrosioni, tra le quali ...le ulcere del pene, l’herpes, la gangrena, le
mutilazioni delle narici, eccetera. Nella quinta varietà descrive le fissurazioni [desquamazioni o
screpolature] le quali si localizzano dietro le orecchie, alla lingua, agli angoli labiali, alle
mammelle, all’ombellico, al pene, alla vulva, all’ano; ma soprattutto tali fissure, che come i Greci
chiamiamo Ragadi, sono solite occupare le palme delle mani e le piante dei piedi e gli interstizi
delle dita. Un'altra varietà, la sesta, è ...la causa dei dolori e delle insonnie, la cui forza sembra
risiedere in una materia vaporosa ed insieme densa, che si fissa intimamente sotto le membrane del
periostio e dei muscoli, tanto da strapparle e lacerarle quando si accrescono, sia distendendo le
giunture delle ossa e le loro terminazioni, sia intorno alle intercapedini distese dal gonfiore;
procedendo la sera i dolori vengono provocati più acutamente. Riguardo alla terapia, a pagina 295,
Severino, oltre al guaiaco (legno indico), loda quei preparati di Argento vivo, proposti da Giuseppe
Quercetano, du Chesne (1540-1609), tra i quali il Turbith minerale, descritto nella sua
Pharmacopaea Restituta e nella Basilicae chimicae di Osvaldo Crollio (1580-1609); e lo Spirito di
mercurio, sempre del Quercetano, che ...si prepara facilmente versando, sopra l’Argento fluido,
l’Olio di sale ammoniaco; infatti la connessione del metallo viene subitamente scissa di nuovo: una
parte di questa dimostrerà, sia all’interno col vino caldo che spalmata all’esterno, la sua
meravigliosità, tanto che tu la richiederai per respingere la Sifilide ed i suoi sintomi. Oltre a ciò
con lo stesso medicamento vengono distrutte le ghiandole purulente, se crediamo alle prove che
Giuseppe [Quercetano] ha più volte esposto.
  - Carlo Musitano nacque da Scipione Musitano e Laura Pugliese nel 1635, in Calabria Citeriore,
nella città di Castrovillari. Fu autore dell’opera Del Mal Francese. Libri IV, pubblicata a Napoli nel
1697. Aveva studiato Lettere e Filosofia nella città natale, ma in seguito si recò a Napoli per
studiare Medicina, professata con lode dopo la laurea, ed ivi intraprese la carriera sacerdotale.
Raggiunse la fama con la terapia delle malattie veneree. Morì all’età di settantanove anni a Napoli
nel 1714. Il medico Giuseppe Musitano, suo nipote, tradusse l’opera dello zio nell’idioma italiano
per ... beneficio di tutti coloro che non intendono la lingua latina, a ciò da se stessi senza l’aiuto
d’alcun Medico, possano dar rimedio a tale male... pubblicandola col titolo Del Mal Francese.
Libri IV in Napoli MDCXCVII. L’opera in latino, dal titolo Trutinae Chirurgico-Physicae, venne
pubblicata proprio dall’autore a Ginevra nell’anno MDCXCVIII ed era ripartita in quattro parti: i
Tumori; le Ulcere; le Ferite; la Lue Venerea.
  All’inizio della versione italiana, il Musitano spiega che cosa intendono i medici per Mal
Francese: quante volte un uomo sano userà della vulva di donna infetta, bacerà la bocca piena di
pustole o di ulcere, overo per il contrario una donna sana ammetterà un huomo infetto nelli
pudendi, o nella bocca, costoro ricevono tal forte veleno nelli pudendi, o nella bocca, il quale, in
alcuni presto e in altri dopo molti giorni, ma non più di quaranta, si manifesterà sotto diverse
apparenze: ... Pustule con profonda e dura radice, che mandano fuora una marcia corrosiva, quali
chiamano Taroli; ... scolazione velenosa e marciosa con bruciore d’urina ... dolore in radrizzare la
verga; Tinconi nell’inguine, overo... glandule gonfie... Esse sono i primi frutti e fioriscono nella
parte esterna ... essi ingannano i medici, ché attendono a sanare questi e più non pensano del
veleno nascosto. I corpi, che conservano il ricevuto veleno, rappresentano nuove scene di malori...;
5
    Marisca e Ficus sono equivalenti e indicano la tigna e le ulcere saniose del capo.
6
    Caruncola (o carnosità): escrescenze carnose riguardanti il collo vescicale e il meato dell’uretra.

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se il veleno imbratta gli spiriti produce la febre putrida, se le parti solide, produce la febre ettica.
Poscia... gli difetti dell’urina... gocciolamenti, difficoltà d’urinare per le escrescenze di carne, gli
bruciori ...; e gli taroli... le cancrene, i tagli ... ed ancora le corrosioni della laringe, delle fauci,
della vulva... il perdimento di voce, i forami del palato, la consunzione delle labbra ... la cascada
del naso, la perdita dell’osso ioide ... la corruttela della calvaria [cranio] e di tutti gl’ossa ... ed
ancora la cecità d’occhi, il cifolamento [tinnito] d’orecchie... e surdità... e poi i nodi, le gomme, i
dolori... Enumera ancora di seguito... le fessure serpiginose, piene di squame, nelle mani e nei
piedi... gl’insulti epilettici ... gli palpiti di cuore, la sincope, l’assiccazione del polmone... i bruciori
del fegato, le lienterie, le diarree... la cascada di tutti i capelli e peli, di modo che alcuni appaiono
ridicoli senza barba, altri senza sopracigli, altri con il capo pelato ... nessuno membro e nessuna
parte del corpo è libera dalle di lui velenosità...
  A proposito dei nomi attribuiti al male francese egli afferma che... la varietà dei sintomi apportò
multiplicità e varietà di nomi. Disquisisce come tanti altri, prima e dopo di lui, sulla provenienza
del morbo dalle Indie Occidentali e del suo propagarsi, tramite gli Spagnoli, ai Napoletani e da
questi ai Francesi. Per la diversità dei sintomi... i medici diedero diversi nomi, presi dagli antichi:
Albatin da Avicenna, o Terminto dei Greci; altri Saphato7 overo una sorta di rogna piena di
pustole; altri la chiamarono Artritide, per gli dolori degl’articoli; altri Psora, cioè male sporco
della cute; altri Elefantiasi; altri ancora la chiamarono Morbo Vagante ... Peste di Venere ... e
finalmente fu chiamata Rogna de’ Puttanieri, o piuttosto Mentulagra di Bordello... e da alcuni altri
Pudendagra ... Taroli di Venere, Pustula vergognosa, Variola grande ... ed infine Girolamo
Fracastoro... la chiamò Sifilide... Ed anche noi, continua Musitano... gli daremo tale nome... col
quale nessuna nazione si infami...
  Riguardo alla cura con l’argento vivo, scrive ... sin’adesso dissero tante ciancie... coloro i quali
dissero essere veleno l’argento vivo, altri negarono ciò essere vero ... e noi senza nessuna offesa ...
avemo dato l’argento vivo a fanciulli moribondi, più di cento volte, al peso d’uno scropolo... e
furono liberati dalla morte... E noi conoscemmo una donna che per lo medesimo effetto s’inghiottì
mezza libra d’argento vivo... ma non ottenne l’aborto... Le Commari sogliono dare alle donne, che
parturiscono con difficoltà, uno scropolo di mercurio per accelerare il parto... Le donne adultere
molte volte tentarono di uccidere i gelosi mariti, dandoli a bere l’argento vivo, ma questo, più
benigno delle mogli, non commise mai omicidio... Li servi, che raccogliono l’argento vivo nelle
miniere, per rubare i padroni, si bevono alcuna quantità d’argento vivo, e doppo cacciano quello
per secesso, e secretamente lo danno a vendere. Sperimentiamo ogni giorno che qualora si spruzzi
la veste con l’argento vivo si ammazzano i pidocchi... ed allo stesso modo se con l’unguento si unga
la testa dei bambini, infestati dai pidocchi... Musitano cita nella sua opera Epifanio Ferdinando che,
alla Storia XVII delle sue Centum Historiae, afferma... con giuramento di aver sanato cinquanta
infrancesati, differenti d’età, sesso, paese, temperamento ed in varie stagioni... L’autore, a
proposito della caduta dei capelli, asserisce: i galenisti dicono che la depilazione si faccia
dall’erosione della radice de’ capelli per gli succhi infetti di Mal Francese, quali certamente
credono essere sottili, ed avere una natura vaporosa... ma non spiegano la proprietà di questi
succhi, o vapori.
  Nei capitoli successivi descrive così la maggior parte delle lesioni luetiche:
  - Taroli (o Caroli), sono ulcere piccole e rotonde... chiamate anche carie quando colpiscono
gl’ossa. - Bubone, detto anche Tincone, overo Dragongello dai Napoletani, Ingordio dagli
Spagnoli: esso è tumore dell’inguinaglie... ha origine dal concubito venereo con donna infetta ...
Lodano che sopra la parte ammalata si metta una ventosa con gran fiamma, qual sorte di spavento,
lo giudicano buono perché Vulcano minaccia l’adultera Venere. - Ragadi, overo Fissure,
volgarmente qui chiamate Serchie. - Creste, escrescenze dell’ano... che rappresentano creste di
galline, che nascono per l’uso del vizio nefando. - Verruche, altrimenti chiamate Porri, escrescenze
di carne, le quali dalla parte di fuori hanno certe radichette a similitudine delli porri, e ciò per la
7
 Saphato (o Saphado): Paracelso chiama così le squame, un pò rosse, che aderiscono ai peli ed hanno forma identica a
quella della tigna, solo che in quest’ultima esse sono di colore biancastro.

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maggior siccità. - Fichi, escrescenze tanto intorno all’ano overo alla verga virile quanto alla
vulva... essi hanno la base stretta e la parte di sopra larga... come i fichi e si chiamano anche
Marisce. - Condilomi, tumori che nascono nelle parti vergognose della donna, overo nello margine
dell’ano, somiglianti alla sommità delle dita, o alli gelsi maturi, overo allo fico, overo all’acino
dell’uva negra. - Timo, escrescenza che si inalza aspra, rotondeggiante e lunga, che rappresenta il
colore della sommità del timo, e cresce, ed al taglio versa molto sangue; la sua generazione è
intorno all’ano e l’altre parti vergognose. - Acrocordone, verruca pendente, rotonda, di base
stretta... pare appesa con nodo di corda... della grandezza di un pisello, overo all’ultimo, di una
fava. - Mirmecie, verruche più basse, più larghe sotto, più sottili sopra... muovono dolore... come
morso di formiche... sono di colore nero... appena nella grandezza eccedono un lupino. - Mori,
escrescenze con somiglianza alli celsi degli alberi, donde il nome. Nascono nel membro virile,
vulva ed ano.

 Traduzioni curate da M. Luisa Portulano-Scoditti e A. Elio Distante.
 Diritti riservati.

 Mesagne, 27 marzo 2006.

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