MARTE BIANCO Nel cuore dell'Antartide Un anno ai confini della vita - Edizioni LSWR

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MARTE BIANCO Nel cuore dell'Antartide Un anno ai confini della vita - Edizioni LSWR
Marco Buttu

MARTE
BIANCO
  Nel cuore dell’Antartide
Un anno ai confini della vita
MARTE BIANCO Nel cuore dell'Antartide Un anno ai confini della vita - Edizioni LSWR
MARTE BIANCO Nel cuore dell'Antartide Un anno ai confini della vita - Edizioni LSWR
A Micky, moglie e compagna di una vita
MARTE
BIANCO
  Nel cuore dell’Antartide
Un anno ai confini della vita
Marco Buttu

MARTE
BIANCO
  Nel cuore dell’Antartide
Un anno ai confini della vita
Marte Bianco | Nel cuore dell’Antartide. Un anno ai confini della vita

Autore: Marco Buttu
Editor: Louisette Palici di Suni
Publisher: Marco Aleotti
Copertina, progetto grafico e impaginazione: Roberta Venturieri
Foto di copertina: Marco Buttu

© 2019 Edizioni LSWR* – Tutti i diritti riservati

ISBN 978-88-6895-777-3
eISBN 978-88-6895-778-0

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i
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Via G. Spadolini 7,
20141 Milano (MI)
Tel. 02 881841
www.edizionilswr.it

Finito di stampare nel mese di luglio 2019 presso “Printer Trento” S.r.l., Trento

* Edizioni LSWR è un marchio di La Tribuna Srl. La Tribuna Srl fa parte di                           .
Indice

INTRODUZIONE................................... IX      CAPITOLO 12
                                                        LO SPACCAOSSA . . .............................. 89

CAPITOLO 1                                              CAPITOLO 13
LA DIMENSIONE ONIRICA.......................1
                                                        L’UNIVERSO E LA VITA.. ..................... 103

CAPITOLO 2                                              CAPITOLO 14
IL CALDO RIFUGIO................................ 9
                                                        IL PRIMO TRAMONTO......................... 115

CAPITOLO 3                                              CAPITOLO 15
LA PLACENTA DI AGATHA. . ..................21
                                                        LA LUNGA NOTTE.. ............................ 129

CAPITOLO 4                                              CAPITOLO 16
IL CASTELLO DEI RICORDI. . ................. 27
                                                        LA FINE DELL’ISOLAMENTO............... 145

CAPITOLO 5                                              CAPITOLO 17
L’ARCOBALENO. . ................................ 33
                                                        I RAPPORTI INTERPERSONALI . . .......... 159

CAPITOLO 6                                              CAPITOLO 18
L’IMPOSSIBILE................................... 39
                                                        LA PARTENZA.................................. 163

CAPITOLO 7                                              CAPITOLO 19
LA SCIENZA.. ..................................... 47
                                                        IL RIENTRO. . ..................................... 173

CAPITOLO 8                                              CAPITOLO 20
ANTARTIDE........................................ 51
                                                        IL CAMBIAMENTO.............................. 187

CAPITOLO 9
IL CLIMA DEL PASSATO....................... 61          NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI..... 193

CAPITOLO 10                                             COPYRIGHT . . ..................................... 195
L’ARRIVO A CONCORDIA...................... 69
                                                        RINGRAZIAMENTI.............................. 196
CAPITOLO 11
LA SAUNA......................................... 79

                                                                                                        \ VII \
Introduzione

Il nostro pianeta è popolato da circa otto miliardi di persone, ciascuna delle quali interagisce
quotidianamente con una miriade di esseri viventi. Batteri, virus, cani e gatti, insetti, uccelli,
alberi e fiori, fanno tutti parte della nostra vita e ci accompagnano in questo effimero e mi­
sterioso viaggio cadenzato dall’alternanza di giorno e notte. Eppure, sebbene possa sembrare
incredibile, vi sono delle eccezioni: alcuni esseri umani non hanno neppure un cespuglio, una
formica o un batterio a far loro compagnia, e nemmeno il Sole. Si trovano lontani da ogni forma
di vita, ancora più isolati degli astronauti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale: sono
irraggiungibili dal resto del mondo, senza la possibilità di essere soccorsi. Sono immersi per
diversi mesi nel buio più totale, e al gelo dei -80 °C si godono in solitudine la silenziosa compa­
gnia delle stelle. Vivono in un ambiente veramente anomalo, nel quale le ferite si cicatrizzano in
tempi lunghi e il respiro è difficoltoso per via della carenza di ossigeno. Si fatica a dormire e la
pelle è sempre secca, perché c’è pochissima umidità nell’aria. Non passano aerei, non ci sono
foglie che volano al vento, né profumi né colori. Tutto è statico, bianco e piatto, in ogni direzio­
ne. È un posto che somiglia più a un altro pianeta che alla Terra: ecco perché viene chiamato
“Marte Bianco”. Qui, insieme a dodici compagni d’avventura, abbiamo portato avanti una serie
di esperimenti e ci siamo occupati di ricerca scientifica. Allo stesso tempo eravamo noi stessi
oggetto di ricerca, visto che l’Agenzia Spaziale Europea ha compiuto su di noi studi di biologia
umana per capire come il corpo si adatti a un ambiente extraterrestre, in modo da pianificare al
meglio una futura missione su Marte.

A Marte Bianco non sono anomale solamente le condizioni ambientali, ma anche la routine quoti­
diana: non dovevamo pagare le bollette, non c’era il traffico, non eravamo costretti ad assimilare
la marea di notizie provenienti dai vari mezzi d’informazione, né a rispettare l’enorme quantità di
impegni che caratterizzano i ritmi frenetici della società moderna. Così ho avuto il tempo per riflet­
tere e pensare al passato, agli eventi che mi avevano condotto fin lì, alla realtà che percepiamo, as­
surda quanto un sogno. Sono pensieri che confluiscono nelle pagine di questo libro, mescolandosi
con i racconti della lunga e singolare esperienza che ho vissuto. Leggendoli, vi troverete immersi
nelle vicende di un piccolo gruppo di persone isolate dal resto del mondo, e viaggerete insieme a
me nel tempo e nello spazio, tra dimensioni mistiche e oniriche, seguendo un racconto atipico che
vi porterà a “surfare” le onde più grandi al mondo, a cercare forme di vita extraterrestre, a rivalutare
i confini dell’impossibile, a riflettere sulle coincidenze della vita e sui legami tra mente e corpo. Le
fotografie di Marte Bianco e del suo meraviglioso cielo stellato vi proietteranno nel buio dell’Alto­
piano Antartico, a condividere con me questa singolare e affascinante esperienza di vita.

                                                                                                  \ IX \
CAPITOLO 1

            La dimensione onirica
  Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu
 come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche
     sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio.
  Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato.
                                         Haruki Murakami

Quella mattina la base scricchiolava come una vecchia nave in mare aperto. Eolo era di cattivo
umore e noi potevamo solamente adeguarci ai suoi capricci, quindi restammo al sicuro tra le
tremolanti pareti. Nessuno si azzardò a uscire, perché sarebbe stato troppo rischioso. La neve
infatti era leggerissima e priva di consistenza, e il forte vento la sollevava facilmente creando
polveroni che nascondevano alla vista ogni cosa, compresa la base, e allora avremmo potuto
perdere l’orientamento e non trovare più la via del ritorno.

Oggi sono pienamente consapevole di questo fatto, ma non è stato così fin dall’inizio: durante
i primi mesi dell’inverno antartico, ero convinto che mai mi sarei perso a causa della scarsa vi­
sibilità, considerato che non mi allontanavo dalla base per più di duecento metri. Inoltre in quel
periodo c’era ancora luce, cosa che mi dava un ulteriore senso di sicurezza. Finché non arrivò
un’indimenticabile mattina di fine febbraio... Il vento soffiava a 30 chilometri orari e la visibilità
era discreta, perciò come di consueto mi dedicai alla manutenzione dei telescopi. Prima di usci­
re presi lo zaino e ci misi dentro la macchina fotografica e il cavalletto, in modo da immortalare
il movimento della neve sospinta dal vento: è simile a quello della sabbia in spiaggia durante una
giornata ventosa, con la differenza che nell’Altopiano Antartico la neve è molto più affascinante
da osservare perché non si sposta in linea retta ma lungo un percorso curvilineo, facendosi
strada tra i piccoli avvallamenti del suolo.

Rimasi all’interno della cupola per circa un’ora, e quando fu il momento di rientrare alla base, una
volta terminata la manutenzione, mi resi conto che il vento era aumentato fino a 45 chilometri

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MA RTE BIA N CO / Nel cuore dell’Antartide. Un anno ai confini della vita

orari e non si vedeva nulla, se non a pochi passi di distanza. Per tornare alla base decisi di se­
guire uno dei cavidotti che trasportano l’energia elettrica e connettono in rete il telescopio, ma
dopo alcuni minuti, affascinato da quella particolare atmosfera, mi allontanai di una decina di
metri per scattare una foto (Figura 1).

Subito dopo mi guardai intorno alla ricerca del cavidotto, ma non riuscivo più a vederlo. In più
avevo impiegato troppo tempo per scattare la foto, e il vento aveva cancellato le mie orme: avevo
perso l’orientamento e non avevo idea di dove fosse la base, non sapevo in quale direzione an­
dare. Provai a spostarmi di qualche passo alla ricerca del cavidotto, ma senza successo. Tornai
quindi indietro al punto di partenza, seguendo le tracce lasciate sulla neve, e mi spostai in un al­
tro verso e poi in un altro ancora, con il cuore che mi batteva forte in petto. Dopo qualche minuto,
per fortuna, ritrovai il cavidotto: quel giorno capii che il vento era uno dei nostri peggiori nemici.
Se ci si perdeva e non si era in grado di tornare al caldo in tempi ragionevoli - tanto più brevi quan­
to più era bassa la temperatura - allora si rischiava seriamente la vita. Con il vento forte infatti ci
si raffredda molto velocemente, perché la temperatura percepita, in inglese windchill, dipende
appunto dall’intensità del vento1. Per avere un’idea, con un vento di soli 15 chilometri orari una
temperatura di -75 °C viene percepita come molto più bassa, pari a -97 °C.

FIG. 1. Il vento crea un polverone di neve che non consente di vedere se non a pochi metri di distanza.

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CAPITO LO 1 / La dime nsione onirica

FIG. 2. Questa fotografia mette in evidenza l’effetto windchill: la parte sinistra del mio corpo, quella esposta al
vento, è più congelata rispetto alla destra. Foto di Rémi Bras.

In prossimità dell’uscita della base c’era uno schermo che riportava le condizioni meteo: tempe­
ratura, velocità e direzione del vento, windchill, pressione atmosferica e così via. La cosa impor­
tante prima di uscire non era tanto guardare la temperatura in sé, quanto il windchill e la velocità
del vento, e poi vestirsi di conseguenza. Con una temperatura di -75 °C e in assenza di vento, si
stava decisamente meglio che a -50 °C con 25 chilometri orari di vento: in quest’ultimo caso
infatti, oltre a raffreddarci più velocemente, rischiavamo di ustionarci la pelle del viso perché
l’aria si infilava in ogni piccolo pertugio, in particolare nei fori del passamontagna e attraverso la
guarnizione degli occhiali protettivi.

Dopo i primi mesi eravamo già in grado di capire come vestirci tenendo conto dell’intensità del
vento. Non solo, ormai riuscivo perfino a calcolare il tempo in cui potevo restare fuori svestito a
seconda del vento. Una domenica di marzo, quando la temperatura esterna era di -56 °C (che per
via del vento veniva percepita come -72 °C), uscimmo per scattare qualche foto (Figura 2). Ben­
ché il freddo fosse piuttosto penetrante, rimasi immobile per qualche minuto: mi si congelarono

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MA RTE BIA N CO / Nel cuore dell’Antartide. Un anno ai confini della vita

le orecchie, il naso e le dita delle mani, ma a quel punto avevo già abbastanza esperienza per
sapere che una volta tornato al caldo mi sarei ripreso senza problemi.

A metà inverno, nel pieno della notte polare, i ricordi degli esperimenti con il vento e la tem­
peratura erano ancora freschi e riaffioravano in ogni momento della giornata, rievocati dalle
condizioni meteorologiche o dai normali eventi quotidiani. Non erano però gli unici che mi ve­
nivano in mente, perché il buio che ormai avvolgeva la base da più di un mese, unito alla no­
stalgia di casa e alla consapevolezza di non poter lasciare quei luoghi, spesso orientava i miei
pensieri verso la Sardegna, dove sono nato e vissuto per buona parte del tempo. Ho trascorso
la gioventù a Gavoi, un paesino lontano dalla costa, situato in una zona che misteriosamente
conserva alcuni segreti di longevità2, e le immagini delle montagne, dei laghi, dei boschi e dei
resti delle civiltà più remote erano talmente vive in me che mi sembrava quasi di sperimentare
il teletrasporto. Così, da quella piccola stanza tappezzata con le fotografie dei miei cari, riusci­
vo a sentire i profumi, i raggi del sole sulla pelle e la sabbia del mare sotto i piedi. C’erano poi
le giornate nelle quali mi ritrovavo seduto a scrutare oltre il vetro della finestra, con lo sguardo
perso tra le stelle della Via Lattea, intento a ripensare ai passi che da una vita normale mi ave­
vano condotto fin lì. Tra i ricordi ne emerse uno in particolare, che più di tutti aveva segnato il
mio cammino verso Marte Bianco.

Negli ultimi anni, benché fossi felice del mio lavoro all’Istituto Nazionale di Astrofisica, ave­
vo sentito l’esigenza di spezzare la routine e vivere nuove esperienze all’estero. Inizialmente
mi ero ritrovato a un passo dal lavorare tra la Germania e il deserto di Atacama, in Cile, per
gestire la manutenzione del software di controllo di uno dei più grandi siti astronomici al
mondo, l’ALMA. Il colloquio durò nove mesi, e quando ormai ero pronto a fare le valigie arrivò
la sorpresa: la società tedesca non aveva vinto l’appalto, e così quell’opportunità svanì. Poi
fu la volta di Città del Capo, cercavano qualcuno con il mio profilo e la località era perfetta:
una città multietnica, con un clima mite e tanti luoghi dove coltivare una delle mie grandi
passioni, il kitesurf. Ero convinto che mi avrebbero assunto, ma dopo due settimane di atte­
sa scoprii che in realtà cercavano qualcuno del posto per poter usufruire di alcune sovven­
zioni statali, e così anche questa possibilità sfumò. Alla fine si consolidò nella mia mente
l’idea di andare in India e restarci qualche mese, ma durante l’estate del 2017 saltò anche
quest’ultimo progetto. Sul lavoro stavamo attraversando un periodo piuttosto impegnativo
per via di alcuni problemi al Sardinia Radio Telescope, e non era certo il momento giusto per
pensare a viaggi avventurosi o a cambi di vita, per cui decisi di rimandare alla fine dell’anno
eventuali soggiorni all’estero.

Il Sardinia Radio Telescope (SRT) è uno dei più grandi radiotelescopi al mondo: un gigante alto
74 metri che pesa circa 3000 tonnellate, quanto dieci Airbus A350 messi uno sopra l’altro, cia­
scuno a pieno carico con i suoi 325 passeggeri. Come tutti i radiotelescopi, osserva il cielo per

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CAPITO LO 1 / La dime nsione onirica

FIG. 3. Foto scattata al Sardinia Radio Telescope (SRT) durante la sua inaugurazione3.

catturare segnali provenienti dal cosmo, consentendoci di vedere al di là di ciò che i nostri occhi
sono in grado di osservare (Figura 3).

Purtroppo, nonostante la giovanissima età di SRT, alcuni componenti si erano rovinati e avrem­
mo dovuto ripararli o sostituirli. Non sarebbe stato un lavoro di poco conto. Questa operazio­
ne si accavallò con un’importante missione dell’Agenzia Spaziale Italiana, che nella prima metà
di settembre, in collaborazione con la NASA, avrebbe dovuto captare i segnali trasmessi dalla
sonda Cassini nei suoi ultimi giorni di vita, che sarebbero culminati il 15 settembre 2017 con il
suo ingresso nell’atmosfera di Saturno. Non potevamo certo deludere i nostri partner e perdere
l’appuntamento con quello che veniva definito “il gran finale”, per cui avremmo dovuto assoluta­
mente garantire il pieno funzionamento del telescopio per la fine di agosto.

Come responsabile del software di controllo di SRT sentivo addosso un gran bel peso, per cui
mi concessi solamente pochi giorni di ferie a cavallo di ferragosto. Non furono sufficienti per li­
berare del tutto la mente dagli incombenti impegni lavorativi, e così, mentre trascorrevo la gior­
nata al mare in compagnia di mia moglie Micky e di alcuni amici, mi domandai se non sarebbe

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MA RTE BIA N CO / Nel cuore dell’Antartide. Un anno ai confini della vita

stato meglio abbreviare le vacanze e rientrare al lavoro. Arrivò sera e io non avevo ancora deciso
il da farsi, il tempo iniziava a stringere perché la mia sede lavorativa si trovava dall’altra parte
dell’isola, a circa tre ore di viaggio. Così partimmo alla volta di Gavoi in modo che l’indomani, se
avessi scelto di andare al lavoro, avrei dovuto percorrere solamente metà strada.

Il giorno dopo, al risveglio, decisi di tornare al lavoro. In quell’istante, nel preciso momento in cui
presi quella decisione impulsiva e sostanzialmente casuale, la mia vita svoltò in una direzione
che mai e poi mai avrei immaginato di imboccare.

Quel giovedì mattina, durante il viaggio in macchina, compii una seconda scelta, che combinata
con quella di qualche ora prima fece sì che io mi trovassi nel posto giusto al momento giusto, e
da allora la mia vita è cambiata in modo totalmente inatteso. Ero partito da Gavoi con l’idea di
lavorare nella sede dell’Osservatorio Astronomico, ma poi, arrivato quasi a destinazione, decisi
di svoltare in direzione del radiotelescopio. Non ricordo nemmeno il motivo di quel cambio di
programma dell’ultimo momento. Così, invece che starmene in spiaggia o all’Osservatorio, alle
dieci del mattino mi trovavo nella sala controllo del Sardinia Radio Telescope, dove un collega,
Gian Paolo, parlava della sua esperienza nella Terra del Fuoco. Trascorsero pochi minuti, giusto
il tempo di sistemare le mie cose e accendere il computer, quando Gian Paolo si spinse più a
sud, fino all’Antartide. A quel punto, sapendo della mia passione per l’avventura, disse: “Ecco
dove dovrebbe andare Marco”.

Ero intento a leggere le mail per cui non avevo colto tutto il discorso. Sentendo pronunciare il
mio nome domandai: “Cosa state farfugliando?”. “Dicevo che dovresti andare a lavorare in Antar-
tide”, rispose Gian Paolo. E io, scherzando: “Solo se posso fare kitesurf”. Un attimo dopo Andrea,
un altro mio collega, aggiunse: “A proposito, ieri ho ricevuto una mail proprio sull’Antartide. Se
non sbaglio cercano qualcuno che vada là per qualche mese”. “Ok, per qualche mese si può fare,
soprattutto se qui è inverno”, ribattei. Poi mi rimisi a lavorare ma una mezz’oretta dopo, ripen­
sando a quella discussione, chiesi ad Andrea di girarmi la mail, giusto per curiosità. La lessi
piuttosto velocemente e vidi che tra i requisiti c’era la conoscenza del linguaggio di program­
mazione Python e del sistema operativo Linux, più altre competenze che non destarono la mia
attenzione. Non sapevo in cosa consistesse il lavoro, ma adoravo sia Python sia Linux. C’era
però un problema: qualche anno prima avevo scritto un libro su Python, e proprio all’inizio dell’e­
state avevo firmato un contratto con la casa editrice che prevedeva la consegna di una seconda
edizione del libro entro dicembre. Il periodo lavorativo in Antartide sarebbe andato da novembre
a dicembre, ed era quindi incompatibile con il rispetto della scadenza concordata.

Nonostante ciò, spinto dal desiderio di viaggiare e vivere in ambienti inusuali, inviai il curricu­
lum, incurante del fatto che non fosse aggiornato e che sapessi pochissimo sull’Antartide. Non
lessi neppure la parte della mail relativa alle modalità contrattuali e al compenso. Due ore più

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CAPITO LO 1 / La dime nsione onirica

tardi, mi accorsi con stupore che mi avevano risposto: dissero che stavano valutando il mio
curriculum. “Sarà meglio che legga attentamente la mail”, pensai. Così feci, e mi accorsi che non
si trattava di due mesi, bensì di tredici: da novembre 2017 a dicembre 2018. La località sarebbe
stata Dome C, e non avevo la più pallida idea di dove si trovasse. Non sapevo veramente nulla
sull’Antartide, ma stare tredici mesi in mezzo ai ghiacci mi dava l’idea di un’avventura interes­
sante. Così inviai subito una mail a Micky: “Mi sono candidato per lavorare un anno in Antarti-
de!”. Considerato che ultimamente le avevo dato per certo che sarei andato a lavorare prima in
Cile e poi a Città del Capo, non prese la cosa troppo sul serio. Nemmeno io d’altronde.

Due giorni dopo, mentre stavo lavorando al libro su Python, squillò il telefono. Una voce maschile
si presentò, chiamava in merito alla mia candidatura per l’Antartide. Mi disse che sarebbe stata
una telefonata veloce, perché si trovava in un rifugio alpino e c’era poca copertura per il cellu­
lare. Mi parlò brevemente del trattamento economico, aggiunse che se fossi stato selezionato
avrei trascorso tredici mesi a Concordia Station, e si congedò dicendomi che il lunedì succes­
sivo avrei iniziato i corsi selettivi e propedeutici alla partenza. L’amministrazione mi avrebbe
contattato entro qualche giorno per darmi tutte le informazioni. E in effetti ne avevo davvero
bisogno, ero avvolto da una miriade di dubbi e privo di qualunque certezza. Cos’era Concordia
Station? Di quale amministrazione parlava? Avrei dovuto prendere delle ferie per frequentare i
corsi? E in questo caso il direttore me le avrebbe concesse proprio a ridosso del “gran finale” di
Cassini? Sarei riuscito a partire per l’Antartide e a mantenere il mio lavoro all’Istituto Nazionale
di Astrofisica?

Il cuore mi batteva all’impazzata, chiamai immediatamente Micky per raccontarle della telefo­
nata appena ricevuta. Non si trattava più di un’idea campata in aria, ma di qualcosa che si sa­
rebbe potuto concretizzare in breve tempo, per cui avremmo dovuto prendere una decisione di
fretta. Rispose subito, e con mio grande piacere non ci fu bisogno di discutere a lungo: si lasciò
trasportare dal mio entusiasmo e rafforzò le mie intenzioni.

Subito dopo andai su Internet alla ricerca di informazioni su Concordia Station, e tra i primi ri­
sultati mi apparve un articolo della CNN. Aprii la pagina e rimasi spiazzato nel leggere il tito­
lo: La cosa che sulla Terra più si avvicina a una missione su Marte4. Poi veniva introdotta la sta­
zione Concordia, descritta come una base di ricerca italo-francese dove tredici persone vivono
per un anno intero in completo isolamento, nel nome della scienza, senza alcuna possibilità di
essere soccorsi. L’autore continuava dicendo che la struttura si trova nell’estremità più a sud
della Terra, in un altopiano a 3200 metri sul livello del mare. Oltre ai suoi occupanti, l’essere
umano più vicino è distante 600 chilometri, il che la rende più isolata della Stazione Spaziale
Internazionale5. Ero arrivato a un terzo dell’articolo e continuavo a leggere incredulo, immobile
e con gli occhi spalancati. Il testo proseguiva evidenziando come Concordia sia il posto sulla
Terra le cui condizioni più si avvicinano a quelle di una missione spaziale di lunga durata su un

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MA RTE BIA N CO / Nel cuore dell’Antartide. Un anno ai confini della vita

altro pianeta: un anno di confinamento, tre mesi consecutivi di buio, aria estremamente secca,
carenza di ossigeno, rischio elevato, difficoltà di approvvigionamento, temperature che posso­
no scendere sotto i -80 °C. Ecco perché tra i partecipanti alla missione c’è sempre un medico
dell’Agenzia Spaziale Europea, che studia l’equipaggio al fine di ricavare informazioni utili per
una futura missione su Marte.

Più procedevo con la lettura più le emozioni si moltiplicavano, si mescolavano l’una con l’altra
dando luogo a un concentrato di sensazioni inebrianti vicine a uno stato di estasi. Iniziai a pen­
sare che quella non fosse la realtà, e che da un momento all’altro mi sarei svegliato. Benché la
gente in generale pensi che il sogno e la veglia siano due stati distinti e inconciliabili, in realtà
sono perfettamente compatibili e si possono sperimentare nello stesso momento. Quando ciò
accade, la coscienza razionale che percepiamo da svegli si sovrappone a quella onirica: si dice
allora che stiamo facendo un sogno lucido. Significa che stiamo sognando sapendo di farlo, e
a quel punto possiamo prendere il controllo del nostro sogno e vivere una realtà diversa, nella
quale non abbiamo alcun limite: possiamo fluttuare nell’aria, viaggiare nello spazio e così via.

Esistono alcune tecniche che consentono di constatare se stiamo vivendo un sogno: si tratta
del cosiddetto reality check, ovvero il test di realtà. In poche parole, per prendere coscienza
di trovarci in un sogno dobbiamo osservare noi stessi e ciò che ci circonda per capire se c’è
qualcosa di anomalo. Ad esempio, nei sogni le mani di solito sono sfocate, oppure hanno più di
cinque dita. Anche gli orologi sono un elemento distintivo tra sogno e realtà, perché quando si
sogna non si ha la percezione del tempo, tant’è che se osserviamo un orologio vediamo qualco­
sa di insensato, come un orario impossibile.

Ed è proprio ciò che feci quella mattina: mi controllai le mani, osservai attentamente l’orario
e tutti gli oggetti che avevo intorno, ma non notai nulla di strano. Apparentemente, non stavo
sognando. In effetti è la vita in sé, quella di tutti noi, a essere strana e misteriosa, a prescindere
dalle coincidenze e dagli eventi personali. Forse questa bizzarra esistenza non è altro che un
sogno dentro un altro sogno, una moltitudine di dimensioni oniriche fatte di falsi risvegli in
cui la morte è il risveglio che da questa realtà ci porta verso un altro mondo ancora, nel quale
magari non ci sarà più la gravità e percepiremo la materia in modo diverso.

Dopo aver completato il reality check, mi avvicinai alla finestra osservando il giardino con lo
sguardo perso nel vuoto. Ero frastornato da una varietà di sensazioni e da una moltitudine di
pensieri e di domande, che in modo disordinato vorticavano nella mia mente: avrei veramente
ricevuto una telefonata da chissà quale amministrazione? E in questo caso avrei ottenuto l’au­
torizzazione ad assentarmi dal lavoro per partecipare ai corsi selettivi e di addestramento? E
se anche fossi stato selezionato, di cosa mi sarei dovuto occupare precisamente in Antartide?
Avevo un’unica certezza sull’immediato futuro: sarebbe stato intenso e ricco di sorprese.

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