Libertà e l'allegria e rompe qualche tabù

Pagina creata da Cristina Cortese
 
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Libertà e l'allegria e rompe qualche tabù
Kubrick, Rossini e Winelivery tutti insieme
in uno spot che omaggia il cinema, la
libertà e l’allegria e rompe qualche tabù
Da pochi giorni sugli schermi televisivi italiani si può vedere uno spot davvero geniale e divertente,
che in un timelapse sulle festose note del Guglielmo Tell di Rossini vede un ragazzo e due
ragazze consumare un rapporto sessuale all’insegna della libertà e dell’allegria, ma scandito, e
opportunamente coperto nelle scene più scabrose, dal timer impostato a 30 minuti su di uno
smartphone in primo piano.

Molti, se non tutti, avranno riconosciuto nello spot una delle scene più emblematiche del capolavoro
di Stanley Kubrick “Arancia Meccanica” del 1971, che proprio quest’anno compie 50 anni, e del
quale la pubblicità in questione rappresenta un bellissimo omaggio. Un film che dimostra ancora la
sua freschezza e potenza espressiva tipica di quei capolavori che non invecchiano mai.

Il commercial è quello della nota startup Winelivery, nata nel 2016 a Milano, dove si ritaglia un
segmento molto particolareggiato del delivery, quello della consegna a domicilio delle bevande
alcoliche in 30 minuti, sempre alla giusta temperatura. L’azienda, giovane e determinata, attraverso
delle campagne di marketing ben studiate, in poche anni esplode, raggiungendo, ad oggi, oltre 60
città e andando di fatto a creare da zero un segmento del quale è leader.

Lo spot che omaggia uno dei più grandi capolavori di Stanley Kubrick e della cinematografia
mondiale è frutto della genialità di H-57 Creative Station; Marco Dalbesio, Ceo & Partner
dell’agenzia, a tal proposito ha dichiarato: “Cosa si può fare in 30 minuti? Tantissime cose, e una di
queste è scardinare un tabù pubblicitario. Ci è venuto spontaneo pensare alla scena di Arancia
Meccanica, in cui il protagonista porta a casa le due ragazze conosciute poco prima. Gli ingredienti
erano già tutti lì: musica, gioia, divertimento, inquadratura mozzafiato, ambientazione futuristica,
ma soprattutto ironia… tanta, tanta ironia. Ringraziamo Winelivery per averci creduto e seguito con
Libertà e l'allegria e rompe qualche tabù
coraggio, non è da tutti”.

Noi di Smart Marketing, da sempre appassionati di cinema e pubblicità, tanto da aver dedicato
all’argomento una rubrica, diversi articoli e in ultimo una recente puntata del nostro format
“Incontri ravvicinati”, abbiamo contatto Andrea Antinori, Founder & Ufficio Stampa di
Winelivery, alla quale abbiamo rivolto alcune domande su questo spot e sulla loro azienda dalla
spiccata personalità e dalla forte carica di innovazione.

Veniamo subito al sodo, come vi è venuto in mente di realizzare uno spot così geniale ed
anche irriverente, che da una parte omaggia il cinema e dall’altra attacca frontalmente, ma
ironicamente, un tabù come quello del sesso, per giunta di gruppo?

La scintilla scaturisce dal brief stesso: la consegna in 30 minuti, e qui lascio la parola a Marco
Dalbesio di H -57: “In fase di brainstorming abbiamo pensato a cosa si potrebbe fare nel lasso di
tempo che intercorre tra ordinazione e consegna: la mente è corsa subito all’aria del Guglielmo Tell
di Rossini e immediatamente dopo alla scena a cui è abbinata: Arancia Meccanica. Kubrick: IL
maestro. Quella scena, impressa indelebilmente nelle nostre menti, conteneva esattamente già tutti
gli ingredienti per la nostra campagna, incluso l’espediente di accelerare ciò che accade, per dare da
un lato un senso di compiutezza al racconto e dall’altro stemperare con ironia ciò che viene
rappresentato. Compreso il sesso a tre, che abbiamo voluto preservare – coi dovuti accorgimenti, per
evitare la volgarità – per risultare il più fedeli possibile al film. Sicuramente un bello sdoganamento
per il mainstream.”

Lo spot spiega con intelligenza e provocazione come impegnare “creativamente” il tempo
che intercorre da quando effettuiamo l’ordine sull’app di Winelivery a quando lo stesso ci
viene consegnato a casa. Vi rendete conto che in un Paese ancora “bigotto” come l’Italia
questo spot avrà un effetto ancora più dirompente?

Con questo spot abbiamo fatto un’iperbole della nozione di “occupare il tempo”, rendendo al
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contempo l’idea di servizio grazie al brindisi di chiusura. Per emergere dal mare magnum
pubblicitario c’è sempre più bisogno di idee, creatività, ironia, autoironia, capacità di rompere gli
schemi e di mettersi in gioco. In una parola sola: coraggio, sia da parte dell’agenzia pubblicitaria
che studia e produce la campagna, che del cliente che la commissiona e approva. Quando si riesce a
coniugare coerentemente tutti questi elementi al prodotto/servizio oggetto della comunicazione, il
gioco è fatto.

Cosa dire di un film come Arancia Meccanica, che ancora oggi non solo non pare per nulla
invecchiato, ma rappresenta addirittura una fonte di stimoli e visioni iconiche per i creativi
di mezzo mondo, a dispetto dei suoi 50 anni?

Arancia Meccanica è un capolavoro senza tempo da ogni punto di vista lo si consideri, prova ne sia
che è venuto subito e contemporaneamente a tutti noi in mente come fonte di ispirazione.

La curiosità legata al film è che è stato trasmesso in tv proprio la sera prima di girare lo spot: lo
abbiamo preso come un segno del destino.

In ultimo, dott.ssa Antinori, vorremmo che ci parlasse della sua azienda e di come ha
affrontato quest’ultimo anno, ma pure questo inizio 2021, contraddistinti dall’emergenza
sanitaria della pandemia da Coronavirus.

Nell’anno appena passato ci sono state quelle che noi definiamo le “Olimpiadi della delivery” un
periodo molto complesso ma anche davvero stimolante per tutte quelle realtà che, come noi, si
occupano di consegne a domicilio. Abbiamo quindi preso il testimone e iniziato la nostra corsa
ottenendo nel 2020 risultati davvero importanti: grazie alle oltre 750 mila app scaricate abbiamo
raggiunto un tasso di penetrazione superiore all’1.2% sulla popolazione italiana, chiudendo l’anno
con 7.5 milioni di euro di fatturato, 6 volte quello del 2019. Tutto questo consegnando in meno di 30
minuti, una bottiglia alla volta e bussando alle case degli Italiani con il loro drink preferito pronto da
stappare! Per il 2021 ci auguriamo di uscire al più presto da questa situazione, certi che,
continuando a dimostrare la validità del nostro servizio, i nostri clienti continueranno a restare al
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nostro fianco facendo raggiungere all’azienda risultati ancora migliori.

Che altro dire su questo spot?
Forse un’ultima cosa c’è, questo geniale spot non solo rappresenta un ottimo esempio di creatività e
coraggio da parte dell’azienda che l’ha promosso, Winelivery, e da parte dell’agenzia che lo ha
realizzato, H-57, ma sarà l’occasione per molti che lo hanno visto, e penso soprattutto alle nuove
generazioni, di riscoprire, grazie ad esso, un capolavoro della cinematografia mondiale come
Arancia Meccanica. Un film che già 50 anni fa ha anticipato le tensioni e le inquietudini che
percorrevano la società di allora (il film esce negli anni ’70), calandole in un futuro dispotico e
violento che assomiglia molto, troppo, al nostro presente.

Un destino questo che spetta solo a quei capolavori che diventano a tutti gli effetti dei media
franchise o, per dirla in maniera più semplice, patrimonio iconografico dell’umanità.
Libertà e l'allegria e rompe qualche tabù
Andrea Antinori

  Nata a Sondrio (SO) nel 1988, vissuta un po’ ovunque ma attualmente in pianta stabile a
  Milano. Dal 2016 è founder di Winelivery, L’App per bere!, dove, in principio si occupa di
  marketing e comunicazione e attualmente dell’Ufficio Stampa e PR. Grande
  appassionata di vino e tecnologia supporta l’azienda anche nello sviluppo di idee
  creative sia per la comunicazione che per la parte digital.

  Contatto: https://www.linkedin.com/in/andrea-antinori/

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Libertà e l'allegria e rompe qualche tabù
Upgrade - L’editoriale di Raffaello
Castellano
Come sintetizzare con una parola, al massimo due, la
complessità e le sfide che ci pone il tempo presente?

Qual è, se c’è, la dicotomia che meglio identifica la dualità di questo tempo nuovo che stiamo
vivendo?

Non so voi, ma io mi sono convinto che le due parole o meglio i due sentimenti contrastanti, ma solo
apparentemente, di questo periodo sono: la paura e il desiderio.

Paura e desiderio, Fear and desire, come il titolo del primo lungometraggio di Stanley Kubrick del
1953, che il regista newyorkese non amò mai particolarmente e che cercò di eliminare in ogni modo,
non riuscendoci per la nostra e sua fortuna.

Ma, in realtà, Kubrick a parte, sono debitore di questa dicotomia allo scrittore Alessandro
Baricco, che l’ha usata recentemente sia in un articolo su Repubblica, che nell’evento finale del
Salone del Libro di Torino del 2020, anzi SalToEXTRA, come è stato ribattezzato questa edizione
digitale, che a causa del Covid19 è andato in “onda” esclusivamente sul web, riscuotendo comunque
un grandissimo successo con oltre 5 milioni di utenti, contando solo quelli tra Facebook e
Youtube.

Bene, nell’ultima serata dell’evento, il 17 maggio, Alessandro Baricco, intervistato dal direttore
artistico del Salone del Libro e scrittore Nicola Lagioia, ha proposto un paio di coppie di parole per
affrontare il presente ed immaginare il futuro: una era prudenza ed audacia e l’altra paura e
desiderio.

Entrambe le coppie di parole sono affascinanti e particolarmente calzanti per descrivere questo
periodo, ma mi sono soffermato sulla seconda coppia sia perché mi ricorda, come ho detto, il mio
regista preferito, Kubrick, sia perché è la coppia che meglio identifica il mio attuale stato d’animo.

Con la fine del lockdown il 4 maggio scorso e il lento, ma inesorabile, avvicinamento alla normalità,
io per primo sono combattuto fra l’aderenza ad una o l’altra di queste parole; ho ancora molta paura,
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ma desidero ad ogni modo tornare a fare alcune delle cose che solo 3 mesi fa, a febbraio, mi
parevano scontate e banali.

Ma come sono stati questi due mesi di confinamento?
Innanzitutto, lo sappiamo, l’altra, e forse più eccellente, vittima di questa pandemia è stata
l’economia mondiale, franata a causa delle misure restrittive e delle chiusure di massa di attività
dovute al lockdown, che a livello mondiale si sono protratte ben oltre i due mesi di blocco.

                       Scopri il nuovo numero > Upgrade
    Upgrade rappresenta l’ultimo elemento di un racconto che parte a Febbraio 2020. In questi mesi
       abbiamo raccontato cosa stava succedendo (Virale), ci siamo domandati come la pandemia
       avrebbe cambiato noi stessi e l’economia (Tutto andrà bene(?)), e abbiamo offerto soluzioni
    (Reset). Con questo numero abbiamo voluto fare un passo in più: immaginare un domani diverso,
                                anche attraverso esperienze concrete.

Nel nostro Paese, il ritorno ad una fase con meno restrizioni è stato fortemente caldeggiato
soprattutto da tutti quei commercianti ed artigiani che dopo oltre 60 giorni di chiusura erano ormai
alla canna del gas ed incapaci di provvedere persino ai bisogni primari delle proprie famiglie.

Durante il lockdown la pachidermica burocrazia italiana ha dato il meglio di sè, rallentando ed alle
volte boicottando l’azione del Governo che, anche se talvolta confusa e tardiva, ha cercato di
fronteggiare, in ogni modo, una situazione senza precedenti.

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In questi due mesi di “fermo amministrativo” abbiamo assistito ad eventi duali e spesso in contrasto
fra loro, tanto al proliferare senza precedenti delle fake news e delle bufale non solo sul
Coronavirus, quanto al ritorno prepotente dei tecnici e degli scienziati che, soprattutto in TV,
hanno avuto spazi prima inimmaginabili; abbiamo visto il successo di applicazioni per le video
conferenze prima usate solo marginalmente ed ora diventate le app più famose e scaricate dagli
store; abbiamo appreso, volenti o nolenti, tutta una serie di abitudini che prima svolgevamo in
maniera differente, come studiare, lavorare, interagire o semplicemente conversare, che sono
migrate sul digitale, ed abbiamo imparato a farle, e molte volte anche bene, attraverso uno schermo
e con l’ausilio di una connessione internet.

Insomma, eravamo confinati, chiusi in casa, impauriti, eppure molti di noi erano desiderosi, e pur
di rimanere attivi abbiamo imparato ad usare molti nuovi strumenti ed appreso tutta una serie di
nuove abilità e competenze che adesso potrebbero tornarci utili per affrontare non solo il futuro ma
il presente di questa Fase 2 post Coronavirus.

Davanti a noi si schiudono tutta una serie di possibilità, di opportunità, di nuovi lavori, di nuove
incredibili professioni che dobbiamo saper cogliere per mettere a frutto questi due mesi di fermo che
però per molti di noi, ed anche per chi scrive, sono state importanti occasioni di formazione.

Dobbiamo solo imparare a non farci frenare dalla paura e, allo stesso tempo, non diventare avventati
per il troppo desiderio.

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Noi di Smart Marketing abbiamo immaginato un numero che potesse essere una road map per
questi tempi nuovi, lo abbiamo chiamato “Upgrade” proprio perché siamo convinti da una parte che
per ricominciare non avremo bisogno di un semplice “aggiornamento” ma dovremo passare alla
versione nuova di software se non ad un nuovo modello di computer; dall’altra che la maniera
migliore per entrare nel futuro sia raccogliere l’esperienza e il know-how di quelle persone e
professionisti che hanno fatto l’upgrade prima, più velocemente e più efficacemente degli altri.

In questo numero, il 73°, il primo del 7° anno di pubblicazioni, troverete soprattutto suggerimenti,
case history e best practice che secondo noi sono l’ideale per ri-cominciare o reinventarsi una
nuova normalità, sospesi e contesi fra le nostre paure e i nostri insaziabili desideri.

Buona lettura.

                                                                             Raffaello Castellano

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20 anni senza Stanley Kubrick
Il 7 marzo del 1999, a pochi giorni dalla conclusione del montaggio del suo ultimo film Eyes Wide
Shut, moriva stroncato da un infarto, a 77 anni, il grande cineasta Stanley Kubrick.

Un regista, geniale, irriverente e visionario, leggendario per almeno 3 generazioni (fra cui la mia),
che per molti, moltissimi appassionati rappresenta l’essenza stessa della regia; il suo nome è,
addirittura, diventato “sinonimo” delle parole regista e cinema.
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0 anni, che ci consegna solo 13 film, ma che sono altrettanti pietre miliari del cinema mondiale.
Basta scorrere l’elenco per rendersene conto: “Lolita”, “Il dottor Stranamore”, “2001 Odissea
nello spazio”, “Arancia meccanica”, “Shining”, “Eyes Wide Shut”, giusto per citare i più
celebri.

Il suo talento visionario, la cura maniacale per i particolari, il carattere riservato, il suo famigerato
controllo assoluto su tutti gli aspetti del film, sono solo alcune delle caratteristiche che ne hanno
aumentato la leggenda ed il mito. Stanley Kubrick resta indissolubilmente legato all’arte del
cinema e rappresenta, cosa rara, uno dei pochi registi apprezzato da pubblico e critica. I suoi
complessi e stratificati film, le sue smaglianti immagini, i suoi spunti narrativi ancora permeano ed
influenzano profondamente, non solo la cultura alta e quella pop, ma il nostro stesso immaginario
collettivo.
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Sarebbero tantissime le cose da dire su questo straordinario regista ed i suoi film (e francamente
sono un po’ in imbarazzo a scrivere di questo cineasta), ma vi propongo, tredici aneddoti, tanti
quanti i suoi film, tredici curiosità, tredici meta-informazioni cinematografiche per farvi
conoscere, approfondire, innamorare o ri-innamorare di questo regista.

1) Il primo film fu il cortometraggio/documentario Day of the Fight, è del 1951, ed è basato sul
reportage fotografico che lo stesso Kubrick realizzo per la rivista Look con la quale lavorava. Il film
segue per un giorno intero la preparazione del pugile Walter Cartier per un combattimento. Fu
autoprodotto con un investimento di 3900 dollari e Kubrick stesso si occupò di gran parte delle
mansioni della troupe, oltre a quella di regista, infatti, svolse quelle di sceneggiatore, operatore
della macchina da presa, direttore della fotografia, montatore e scenografo;
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k Nicholson sul set del film Shining (1980).

2) Il primo lungometraggio è del 1953, Fear and Desire (Paura e desiderio), dove il regista con una
piccola troupe filma le vicende di un plotone disperso dietro le linee nemiche. Il film rappresenta il
primo approccio del regista al genere bellico e la prima disamina sull’inutilità e la violenza della
guerra, argomenti sui quali tornerà con “Orizzonti di gloria” del 1957, “Full Metal Jacket” del 1987
ed, in parte, con “Barry Lyndon” del 1975. Per girare il film, gli amici del regista raccolsero 1000
dollari con una colletta fra conoscenti e parenti e, lo stesso Kubrick, coinvolse nel progetto suo zio
Martin Perveler, agiato proprietario di una catena di farmacie a Los Angeles, che divenne produttore
associato e fornì altri 9000 dollari. Il film fu presto ripudiato dal regista, che lo considerava un
errore giovanile e che si premurò di limitarne al massimo la diffusione, acquistando e facendo
“sparire” gran parte delle copie presenti negli archivi;

                Scopri la nostra rubrica dedicata al Cinema
    Film, serie TV e spot visti e analizzati per voi dal punto di vista delle loro implicazioni
                     nel marketing, nell’economia e nella comunicazione.

3) Il terzo lungometraggio The Killing (Rapina a mano armata) del 1956, viene girato dal regista
appena ventottenne con un budget di 330.000 dollari e con una piccola casa di produzione fondata
insieme al regista, sceneggiatore e produttore James B. Harris, che produrrà anche “Orizzonti di
gloria” e “Lolita”. Il film è un flop al botteghino dove incassa solo 30.000 dollari, ma un successo di
critica, alcuni commentatori parlano di Kubrick come il nuovo Orson Welles, inoltre, la pellicola,
diventa un vero paradigma del genere noir. Il regista, infatti, decide di adottare uno stile di racconto
non consequenziale, ma con struttura diegetica non lineare, con diversi e continui salti indietro e in
avanti nel tempo, che rendono lo svolgersi del film complesso ed originalissimo. Questa struttura del
racconto sarà ripresa, omaggiata e “saccheggiata” da molti altri registi del genere, tra cui Quentin
Tarantino che lo utilizzerà “pari-pari” per “Le Iene” del 1992, Michael Mann per “Heat – La sfida”
del 1995 e Paul McGuigan per, il più recente, “Slevin – Patto criminale” del 2006.

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a (1957).

4) Il quarto lungometraggio Paths of Glory (Orizzonti di Gloria) del 1957 è il primo film del regista
girato con una star hollywoodiana in forte ascesa, Kirk Douglas, che interpreta l’umano colonello
Dax. Il film è anche il primo del regista, prodotto da una grande casa di produzione, la United Artists
ed è considerato uno dei film più antibellici di sempre. La storia raccontata si ispira ad un fatto
realmente accaduto durate la Prima Guerra Mondiale al 336º Reggimento di fanteria francese,
comandato dal generale Géraud Réveilhac. Il film è l’occasione per mostrare la grande capacità di
Kubrick di utilizzare la tecnica di ripresa in maniera fortemente espressiva. In questo film, ad
esempio, il regista utilizza per le scene girate in trincea, il carrello, a precedere e seguire, montato
su gomma e non su rotaia, dando alle scene delle ispezioni delle trincee del colonello Dax, una
fluidità, un rigore ed una solennità fino allora impensabili. Il film di guerra è originale anche per il
fatto che il dramma e la morte sono tutte interne ad un solo esercito: il nemico menzionato, evocato,
combattuto, non appare in nessuna scena. Il film farà vincere il Nastro d’argento 1959 a Stanley
Kubrick come “Miglior regista straniero”;

5) Il quinto film di Kubrick è il colossal Spartacus del 1959, prodotto ed interpretato da Kirk
Douglas, che volle fortemente il regista newyorkese dopo l’abbandono di Anthony Mann, con cui
Douglas aveva avuto parecchi contrasti sul set. L’esperienza sarà negativa, Kubrick soffre il fatto di
non avere il controllo totale sul film e delle continue intromissioni sulle scelte registiche da parte di
Douglas. Il film è, a detta dello stesso regista, il meno kubrickiano dei suoi film, anche se in molte
soluzioni tecniche e in moltissime spettacolari riprese, si riconosce lo sguardo e lo stile del regista. Il
film vincerà 4 Oscar (Miglior attore non protagonista Peter Ustinov, Miglior fotografia, Miglior
scenografia e Migliori Costumi) e sarà un successo al botteghino, ma rappresenta anche il definitivo
addio di Kubrick ad Hollywood ed alle politiche delle major, l’anno dopo si trasferirà in Inghilterra,
dove realizzerà tutti gli altri suoi film e che non lascerà più fino alla morte;

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6) 2001: A Space Odyssey (2001: Odissea nello spazio) l’ottavo lungometraggio di Kubrick è forse
il film della storia del cinema con la più ampia letteratura critica, psicologica, filosofica dedicata. Sul
film, sul suo significato, sulle sue implicazioni filosofiche, sulla sua influenza nella cultura popolare,
sul suo aver ridato dignità al genere fantascientifico, fino allora di serie B, sulle sue innovazioni
tecniche e stilistiche, è stato detto e scritto di tutto e risulta davvero arduo trovare un aneddoto per
questa lista. Forse i più significativi, fra i tanti, sono due: il primo, legato alla lavorazione durata 4
anni ed ai costi di produzione di quasi 12 milioni di dollari di cui 6 milioni e mezzo solo per gli effetti
speciali; il secondo, legato al fatto che questo film fa vincere a Kubrick l’unico Oscar della sua
carriera, quello per gli effetti speciali ai quali aveva lavorato personalmente;

7) A proposito di Oscar, Stanley Kubrick ricevette nel corso della sua carriera 13 Nomination (tra
cui 3 per il “Miglior Film” e 4 per la “Miglior Regia”), ma non ne vinse nemmeno uno. Come abbiamo
detto, l’unico Oscar che vinse fu quello per i Migliori Effetti Speciali nel 1969 per 2001: Odissea
nello spazio.

8) 2001 Odissea nello spazio sarebbe dovuto cominciare con una serie di interviste a scienziati,
filosofi, ingegneri ed astronomi, che avrebbero dovuto parlare di evoluzione, intelligenza artificiale,
viaggi spaziali e vita extraterrestre; il progetto fu poi abbandonato dal regista e le interviste già fatte
a personalità del calibro di Isaac Asimov, Aleksandr Oparin, Margaret Mead, finirono poi nel libro
“Stanley Kubrick. Interviste extraterrestri”;
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9) Arancia meccanica del 1971 è il nono film realizzato dal regista, il primo degli anni ’70. Fu un
successo planetario sia di critica che di pubblico, la censura fu molto severa in tutta Europa,
soprattutto in Inghilterra, Germania ed Italia; addirittura in Inghilterra e Germania il regista fu
costretto a ritirare la pellicola dalle sale per un certo periodo, poiché molti giovani affascinati
dall’ultraviolenza cominciarono ad imitare i comportamenti dei protagonisti del film. In Italia ebbe
prima il divieto a 18 anni fino al 1998 poi abbassato a 14 anni ed ebbe il suo primo passaggio
televisivo nel 2007 sul canale La7, ben 35 anni dopo la sua uscita cinematografica;

10) Il film Shining rappresenta il primo film a fare un largo uso della steadycam, lo stabilizzatore
per le riprese in movimento inventato dall’operatore video Garrett Brown, che lavorava nel film di
Kubrick. Secondo lo stesso Brown, Shining, resta tuttora insuperato, per eleganza e capacità
espressiva delle riprese, proprio grazie alle idee del regista che seppe esaltare le possibilità
tecniche;
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11) È leggendaria e famigerata la cura maniacale che Kubrick dedicava a tutti gli aspetti del film
anche per ricreare quanto più fedelmente gli ambienti dei suoi film. Il set di Shining è emblematico
a riguardo: all’epoca delle riprese era il set cinematografico più grande del mondo, tanto da
contenere la facciata e l’interno dell’Overlook Hotel e lo smisurato giardino labirinto. Per ricreare la
neve del labirinto di “Shining”, vennero impiegate 900 tonnellate di sale da cucina mischiato
a palline di polistirolo;

12) Il regista detiene diversi record, fra i quali: quello per il maggior numero di riprese per
una singola scena, ben 127, quelle che fece a Shelley Duvall nel film Shining del 1980 e quello
per i tempi di lavorazione più lunghi per un film, ben 400 giorni per Eyes Wide Shut.

13) Infine Stanley Kubrick avrebbe potuto girare il Signore degli Anelli con i Beatles! Nel
1967 fu contattato da Denis O’Dell (collaboratore della band) che gli propose la regia
dell’adattamento del libro con Paul McCartney come Frodo, Ringo Starr come Sam, George Harrison
nei panni di Gandalf e John Lennon nella parte di Gollum. Kubrick che era già impegnato con le
riprese di 2001Odissea nello spazio rifiutò l’offerta.

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Arte Contemporanea e Cinema: un legame
imprescindibile

Domenico Palattella (126)

L’illusione ottica del cinema, come arte delle immagini in movimento, è cruciale nella storia del XX
secolo. Questa illusione ottica si ottiene con 24 fotogrammi al secondo impressi su pellicola
magnetica. Dunque il cinema non è altro che l’evoluzione dell’arte della fotografia, che era stata a
sua volta l’evoluzione della pittura, che a sua volta deriva dall’architettura. Il cinema è però la
completa evoluzione di tutte le altre arti, la definizione del Maestro giapponese Akira Kurosawa,
peraltro rimasta nella storia, aiuterà a definire davvero cosa è l’arte del cinema:

  «Il cinema racchiude in sé molte altre arti; così come ha caratteristiche proprie della letteratura,
  ugualmente ha connotati propri del teatro, un aspetto filosofico e attributi improntati alla pittura,
  alla scultura, alla musica.»

  (Akira Kurosawa)
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ta Akira Kurosawa.

Il cinema con la fusione in esso di tutte le altre arti ha il potere di creare una “magia”, il pathos, una
carica di emozioni che scaturiscono dai suoi vari elementi. Il pathos, che affonda le sue radici agli
albori della nostra civiltà, e precisamente nella Grecia classica, patria del sapere occidentale. In
Grecia esso corrispondeva alla parte irrazionale dell’animo, mentre oggi con lo stesso termine si fa
riferimento proprio alla carica emotiva data da alcune opere artistiche. Il pathos è generato
dall’insieme di suoni e immagini che compongono il film. In realtà ognuna delle varie Arti ha un
“suo” pathos, e nel Cinema, che è un’unione delle Arti stesse, si ha un insieme di emozioni
provenienti ognuna da una di esse.

Cinema e Arte hanno da sempre intrecciato i loro percorsi, costruendo relazioni proficue e articolate
all’insegna di uno scambio reciproco di specificità e suggestioni, all’insegna di una contaminazione
tra ambiti culturali paralleli e, in qualche caso, complementari. Gli artisti, a partire dalla nascita
della “Settima Arte” e sempre più frequentemente nel corso del XX secolo, si sono avvicinati al
mondo cinematografico per coglierne l’essenza caratterizzante e per poi rielaborarne le influenze.
Viceversa i cineoperatori hanno subito il fascino della Storia dell’Arte, in particolar modo quella
contemporanea, portando sul set la biografia dei grandi artisti o rielaborando, attraverso il filtro
particolare del video, le suggestioni provenienti dalle loro opere.

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ancesco Hayez, Il bacio, 1859 e
Luchino Visconti, Senso, 1954.

In Italia le prove più evidenti della commistione tra Arte Contemporanea e Arte cinematografica, si
compirono negli anni d’oro del nostro cinema, dapprima con i capolavori neorealisti di Luchino
Visconti, Roberto Rossellini e Vittorio De Sica, e poi con la susseguente nascita della commedia
all’italiana. La capacità di esprimere in pochissime immagini l’essenza di un’epoca è stata raggiunta,
ai massimi livelli, da un esiguo numero di pellicole, dirette però da veri e propri Maestri dell’arte
cinematografica. I risultati migliori in tal senso, nel nostro Paese, sono stati raggiunti da Luchino
Visconti, sia in “Senso”(1954) che nel “Gattopardo”(1963), splendide ricostruzioni dell’epoca di
passaggio dalla Sicilia borbonica alla creazione del Regno d’Italia; in “Policarpo, ufficiale di
scrittura”(1959) di Mario Soldati, nella descrizione dell’epoca della Roma umbertina di inizio
novecento; e nel capolavoro di Federico Fellini, “La Dolce Vita”(1960), lo splendido affresco del
benessere economico italiano degli anni ‘60. Non solo paragonati ad un quadro d’arte per aver
immortalato l’essenza dell’epoca di riferimento, ma anche ineccepibili dal punto di vista storico, e
addirittura epocali per le musiche che li adornano. La perfezione sarà poi raggiunta da Pier Paolo
Pasolini e la sua personalissima commistione tra cinema, Arte e letteratura, nel cortometraggio “La
ricotta”, episodio del film lungo “Ro.Go.Pa.G.”(1963).

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les e Pier Paolo Pasolini sul set del film “La
Ricotta” del 1963.

Pasolini giunge a uno dei più intensi risultati del rapporto del suo cinema con l’arte, del gusto per
l’immagine e della ricerca storica. Qui Pasolini, utilizzando come modello la pittura di Rosso
Fiorentino, con la celeberrima opera “La deposizione di Cristo”, sintetizza la propria visione della
società capitalistica italiana affermatasi con la modernità. Il regista dunque, rappresenta un caso
particolare e certamente il più emblematico del Novecento di come cinema e letteratura possano
essere il prodotto alto di un solo autore. Curioso è poi il caso Alberto Sordi, con l’episodio “Vacanze
intelligenti”, del film corale “Dove vai in vacanza?”(1978), che prende di mira l’arte contemporanea,
in un film che è un piccolo gioiello dell’arte comica e dissacrante dell’Albertone nazionale. Sordi
riesce ad ironizzare con classe e grande maestria, sulla Biennale d’arte di Venezia che aveva appena
consacrato le correnti neoastrattiste, concettuali, poveriste e iperrealiste, troppo lontane però, dal
gusto del cittadino medio.

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a del film “Le vacanze intelligenti” del 1978,
di e con Alberto Sordi.

L’attore e regista romano dunque, prende di mira un pò tutto l’impianto culturale italiano, negli
strepitosi panni di un fruttarolo romano, sempre accompagnato dall’ingombrante moglie (una
deliziosa Anna Longhi). Tra vacanze snob, diete, tombe etrusche e Biennale, un film intransigente,
che diverte con fervido gusto del dettaglio e dissacrante autoironia. Il miglior risultato del Sordi
autore. Sul lato internazionale poi, non si può non parlare di Alfred Hitchcock e del suo
personalissimo modo di intendere il cinema. Lui è un maestro della messa in scena: nulla nei suoi
film è estemporaneo o gratuito. All’epoca della loro uscita, molti film di Hitchcock furono criticati
proprio per l’inverosimiglianza delle situazioni; ma un giudizio di questo tipo si basa su un errore di
prospettiva. A Hitchcock infatti non interessa tanto riprodurre “realisticamente” eventi e
personaggi, quanto suscitare emozioni tramite un racconto.

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Alfred Hitchcock e l’artista Salvador Dalí sul
set del film Io ti salverò (Spellbound) del
1945.

Riprodurre insomma quel pathos che è parte integrante dell’Arte a tutti i suoi livelli e in tutti i suoi
generi. In ultimo poi, l’etica e l’estetica dell’Arte raggiungono il loro massimo con Stanley Kubrick,
uno dei più importanti cineasti del XX secolo. Nel guardare le sue opere, stupisce la sua espressività
lontana dai canoni hollywoodiani e la sua capacità unica di esplorare la gran parte dello spettro dei
generi, senza farsi dominare dalle convenzioni, ma anzi trasfigurandole. La sua è una cura ossessiva
per i particolari dell’immagine, per la prospettiva e l’illuminazione, per la posizione degli attori e
degli oggetti di scena, tanto che ogni suo film è studiabile in ogni fotogramma come “album di
inquadrature”. A livello mondiale, paragonabile a lui, per questa attenzione maniacale al dettaglio,
c’è solo l’altrettanto grande Luchino Visconti.

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a del film “Barry Lyndon” del 1975, di
Stanley Kubrick.

Tornando a Kubrick, il senso estetico dei suoi film è però il risultato di un lavoro di integrazione fra
diversi canali comunicativi: il contesto reale delle sue storie è infatti un tessuto d’immagine e
musica, elemento fondamentale per veicolare emozioni nello spettatore. Nelle pellicole il regista
prende ispirazioni dalla storia dell’arte di ogni secolo: da Jack Torrance abbandonato sulla sedia di
lavoro che richiama “Il sonno della ragione genera mostri”, un’acquaforte e acquatinta di Goya, ai
magistrali piani sequenza di Barry Lyndon, continue citazioni dei quadri inglesi tra il Seicento e il
Settecento.

E’ dunque questo, il quadro della commistione tra Arte contemporanea e Cinema, intesa ai suoi
livelli più alti e capace di suscitare quel pathos che è parte integrante dell’emozione che un’opera
d’arte deve necessariamente conferire per essere definita tale.
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