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Bambini d’oggi in psicoterapia
Dina Vallino

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Per citare questo scritto:

VALLINO D., “Bambini d’oggi in psicoterapia”. Presentazione a Maria Luisa
Algini, Il viaggio, 7-15. Roma: Borla 2003.

h"p://associazionedinavallino.it/wp-content/uploads/2017/06/bambini-psi.pdf

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Presentazione di Dina Vallino
        Bambini d’oggi in psicoterapia

 Bambini d ’oggi in psicoterapia è il titolo che avrebbe potu
 to avere questo bellissimo libro di Maria Luisa Algini che
 racconta la psicoterapia di diversi pazienti e va diretta-
 mente e con grande competenza alla questione: «Cos'è la
 psicoterapia di un bambino e cosa vi accade».
 Il Viaggio analitico con questo compagno speciale - che è
 Maria Luisa psicoterapeuta - riguarda un tempo e uno
 spazio dedicato al bambino, uno spazio dedicato ai suoi
 desideri, che, per quanto siano informi o manifestati in
 modo rozzo e difficile da capire, esistono come una realità
 che è la sua, del bambino. A questa realtà psichica dell’Io,
 del desiderio, del bisogno, dell’affetto la psicoterapeuta
presta il suo operare mentale.
 Non posso sintetizzare, anche volendolo, questo libro:
bisogna accettare di entrare nel suo Viaggio, che a volte è
barca nella tempesta, a volte stanza magica dove si com
pongono incantesimi e sortilegi, a volte castello degli or
rori e delie trappole. Inviterei il lettore a seguirla nei suoi
passaggi: anche quelli che possono sembrare difficili,
qualche pagina dopo si schiariscono nella visione del cam
biamento. Il suo linguaggio è vivace, problematico, lettera
riamente immaginifico, ricco di colore, di paesaggi e di
straordinari brividi. I suoi capitoli sono brevi, di lettura
piana, articolati com e un manuale, ma a tratti enigmatici
com e un «giallo», commoventi com e un libro per bambi
ni. fiabeschi com e una scelta di favole per adulti.
Leggiamo: «...l'idea di un aiuto di questo tipo si affaccia
in un genitore in difficoltà. Può nascere da istanze, espe
rienze o sensibilità personali; da spinte degli insegnanti...
da medici particolarmente sensibili... da am ici...» (p. 15).
È un Viaggio davvero speciale quello illustrato in questo li
bro: in m odo vivace e affascinante sono presenti l’ambien-

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te di vita, le famiglie, i difetti della nostra cultura che a
volte i bambini non riescono a metabolizzare e a sop
portare. Anch’essi sono contrappunto deH’anima dei bam
bini. È infatti anche un disagio «sociale», dell’ambiente di
vita, quello che porta i genitori a chiedere aiuto. È molto
chiaro, nel libro, come e quando i genitori diventano in
capaci di capire i loro figli e come per essi si apre di con
seguenza un disagio mentale cui soltanto la psicoterapia
può dare un pronto soccorso o un intervento prolungato:
un Viaggio per i bambini, ma anche per i genitori.

Il Viaggio con i bambini nella psicoterapia è un libro con
molti pregi.
Il primo è il metodo di lavoro: in modo assai originale
Maria Luisa Algini sceglie di raccontare, per far capire ad
altri, cosa succede con un bambino quando inizia, conti
nua, interrompe o conclude una psicoterapia. Non è da
poco impegnarsi a rappresentare pubblicamente le tra
sformazioni che il lavoro analitico consente di fare ai suoi
pazienti. Non voglio introdurre al pensiero e alla pratica
deH’Autrice, ma dire il m io apprezzamento - questo sì lo
voglio fare - per il suo impegno a cogliere e a descrivere i
cambiamenti che avvengono nella storia del bambino at
traverso la comunicazione e la relazione del bambino con
lei terapeuta.
È un libro vivo questo, dove si vuol far conoscere, non so
lo intuire, a chi è fuori dalla stanza della terapia - genitori
ma anche insegnanti ed educatori - il senso di quanto suc
cede nell’esperienza analitica, in questo particolare per
corso col bambino per curarlo e accompagnarlo a soffrire
meno, a esprimersi di più, a uscire dal suo carcere dei sin
tomi.
Fa parte del pensiero dell’Autrice e della sua pratica tera
peutica, andare a cercare dove vi è un aspetto davvero igno
to ai genitori e rivisitarlo col bambino:
«...Nel Viaggio si cerca di costruire u n ’a ltra storia, ossia
una storia che non sia cieca ripetizione di quanto già vis
suto» (p. 65).
Che significa costruire un’altra storia? Maria Luisa Algini
suppone che i bambini abbiano un loro mondo interno ed
esterno, un habitat : genitori, fratelli, nonni, scuola, com
pagni, amici, personaggi di servizio, mobili, cose, vacanze
ecc. D problema è che non sanno rappresentarlo. Per poter

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rappresentare lo scenario quotidiano della loro vita, bi
 sogna prima sostare sul paesaggio inventato, interamente
 straordinario e fiabesco, quello segnato dagli aspetti di pe
 na, di persecuzione, di orrore che colora la vita del distur
 bo mentale. La «storia», che si propone al bambino di creare
 in seduta, lo impegna a dare forma e a rappresentare qual
 cosa di quel Luogo del patimento, della persecuzione.
 Paolo, il bambino dei giochi dell’orrore, «mi portava-scrive
 la terapeuta - nei suoi territori, nel suo Luogo Immagi
 nario, per vivere insieme quell’esperienza di orrore e godi
 mento che costituiva il suo mondo» (p. 114). La descrizione
 delle sedute con Paolo è fortemente evocativa di sensazioni
 forti e moleste, che scuotono e rendono impossibile qual
 siasi altra reazione emotiva che non sia l’essere ammaliati
 o spaventati. Il bambino sembrava ripetere quello che lui
aveva vissuto, sia tra le lenzuola dei genitori, sia alla tv a
vedere film pornografici. Mi sembra di intuire che l’aiuto
offerto dall’analista al paziente, è stato quello di accettare
di vivere il trauma di un abuso della sua soggettività di
bambino, di trovare per lui e con lui m ezzi simbolici af
finché potesse mettere in scena, in modo diverso dall’or
rore, quello che sentiva, sino a che col disegno o la co
struzione del gioco non gli fu reso possibile il rappresentare
il paesaggio del terrore, e, dunque, distanziarsene ed ab
bandonarlo.
In molti punti ho sentito l’analogia del procedere di Algi-
ni nel Viaggio con la visitazione e l’esplorazione del con
cetto a me caro di Luogo Immaginario: «la città delle bam
bine» di Martina, o per Paolo «la casa dei mostri» e la «love
boat», o «la casa del dottore» di Dario, ecc. In tutti questi
Luoghi dell’immaginazione dominano l’orrore o il terrore
o i'illusione, ma, se visitati insieme all’analista, si smon
tano com e un castello di carte rispetto alla nuova storia,
all’importanza affettiva delle persone, ai sentimenti di fidu
cia e di speranza. È in un certo senso una de-costruzione
quella che risulta indispensabile fare nel Viaggio terapeu
tico, affinché il bambino trovi la capacità di rappresentare
esperienze di sentimenti reali, i suoi: nel bambino si svilup
pa così la rèverie e la funzione alfa che, potenzialmente pre
senti, si erano pietrificate nel Luogo del patimento, della
persecuzione o deU’illusione.
Con la parola «psicoterapia» si tende a designare, in sen
so lato, tutto ciò che mira a far stare meglio i bambini, a

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elaborare la loro sofferenza aumentando le loro capacità
 di creatività, di socializzazione, di apprendimento. Ma non
 basta ancora, ci vuole la trasformazione nella nuova storia.
 Nella psicoterapia psicoanalitica, l’ottica di utilizzare il gio
 co e il disegno per favorire l’attività espressiva parte da un
 presupposto particolare: che il funzionamento psichico sia
 per la maggior parte regolato dall'inconscio, che la comu
 nicazione tra l’inconscio del bambino e l’inconscio della
Terapeuta sia lo strumento principe per accedere alla mente
 di una persona attraverso il transfert.
 Transfert, appunto, trasferimento, trasferire. Magica ed enig
 matica parola ben collegata all’idea di Viaggio. «Comune
 mente evocatrice di temibili passioni tra un paziente e un
analista, il transfert, cosa potrà essere con un bambino?
Parlarne non è semplice, perché entriamo in una dimen
sione specifica dell’esperienza psicoanalitica» (p. 123). Dob
biamo accedere all'idea che nella psicoanalisi «riuscita» c’è
sempre una comunicazione fluida tra Inconsci, l’inconscio
del bambino e l’inconscio della terapeuta. La carica esplo
siva che anima i piccoli pazienti non è tanto nella loro ca
pacità di narrare o informare, quanto in quella di esprimere.
Perciò inizialmente tutte le storie sono di materiale grezzo,
rudimentale: servono a esprimere, a esprimere che cosa?
Si può capire il tuffo nell’immaginazione che pervade la psi
coterapia infantile e a cui si assiste nel Viaggio constatan
do come l’inconscio del bambino e l’inconscio della tera
peuta, si raccontano le vicende delle identificazioni profonde.
Ogni bambino si identifica con tanti aspetti profondi dei
suoi genitori a volte anche quelli più fragili e patologici, ci
dice Algini. Egli può trovarsi allora con un carico in
sostenibile. Come avviene a Milena «che continuava a por
tare nelle sedute il sentimento di non esistere se non in
globata nei genitori. Mi chiedeva di farle delle figurine con
la pasta da modellare: non appena avevano preso forma, si
angosciava talmente che le rischiacciava e le infilava di nuo
vo dentro il blocco informe di pasta» (p. 130). Infatti dis
graziatamente Milena non riuscirà a venire estratta da Maria
Luisa dal blocco informe della identificazione malata.
Per alcuni bambini, con meno difese degli adulti, «quello
che nei genitori poteva essere contenuto da altre parti più
sane ... può esplodere. Oppure è lui, con il suo imprevisto
modo di essere, a far esplodere qualche area debole già
presente nei genitori ed esserne a sua volta travolto» (p.

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187). Naturalmente alcune storie, Ludovico, Martina, Pao
lo, ci mostrano particolarmente bene l’uscita dalle identi
ficazioni malate, quelle che esplodono quando sono di
venute fardelli insostenibili. Alla loro esplosione e all’usci
ta dall’identificazione precedente, segue l’imporsi del sen
so di Sé, il valore del singolo bambino nella sua specificità
che è rispettata al massimo nella pratica terapeutica, come
si vede in tutti i resoconti clinici.
L’Autrice si preoccupa moltissimo delle più piccole tracce
di esistenza, visibili nei disegni, «segni di sé, su una mate
ria altra da sé». Infatti l’esistenza mentale del bambino
«evolve nella e con la relazione analitica». Il disegno «è non
solo un mostrarsi all’altro, un esprimere cosa sta succe
dendo dentro di sé e lì nella relazione, ma è anche poter
lasciare una traccia di sé all’esperienza emozionale e visi
va dell’altro» (p. 90).

Molto interessante, nella lettura complessiva, è com e tutte
le storie di bambini e bambine si presentano com e vere e
proprie strutture di esistenza: vengono in superficie, si or
dinano tra loro e fanno nascere altre storie, più corte o più
lunghe o presentano invece lampi di intuizioni che ven
gono utilizzati per capire altri pazienti. Durante il Viaggio,
capitolo dopo capitolo, capitoli brevi invero, piacevoli alla
lettura, il ritratto di ogni paziente-bambino appare a tutto
tondo, misterioso dapprima e poi così nitido da far escla
mare: «ma certo che stava male per quel problema». In
tanto sono passati anni di terapia, e Maria Luisa ci ha in
dotto a capire i «segreti», il sapere nascosto, i pensieri segre
ti inconfessabili, impensabili, disegnabili, però, e gioca-bili,
quindi esprimibili. In ogni bambino deve maturare la
certezza che «l'analisi è il luogo dei segreti, ma anche del
rispetto di ciò che vuole rimanere segreto» (p. 70).
Completamente rispettosa dei suoi pazienti, Algini si pre
occupa di dialogare col Bambino-paziente delle finalità del
la psicoterapia e di ciò che si fa insieme. Molto interes
sante, in proposito, è la sua idea sulle teorie che i bambi
ni si fanno delle finalità della psicoterapia. L’ho constata
to anch'io e lo riferisco al fatto che appare considerevol
mente strano a un bambino che una persona estranea ven
ga introdotta, con tale livello di intimità, nella famiglia. In
effetti non bisogna, da parte dei terapeuti, abusare di codes
ta delega dei genitori, e neanche bisogna abusare del dif-

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fuso e persistente bisogno di autenticità di ogni bambino,
 che chiede risposte che non lo facciano dubitare della sua
 fiducia nell’analista, (cfr. il magnifico capitolo Segreti e
 Come un bidone-pattumiera). L’ascolto analitico di Maria
 Luisa Algini non è attenzione to u t court, ma un’esperien
 za molto profonda di sé e dell’altro, rivolta a ciò che ac
 cade nella relazione col bambino, diretta alla parola, come
 al silenzio, al tono, al ritmo, alla ripetizione, all’atmosfera
della seduta, che si manifesta attraverso il corpo, gli odori,
 i gesti, gli sguardi, i movimenti. La trasformazione però
esige ancora di più che solo l’attenzione all'atmosfera del
la seduta. Ci vuole un «compagno vivo», un compagno spe
ciale, che offre al bambino le sue risorse di adulto per cer
care i mezzi di simbolizzare. Come la tenerezza dei geni
tori trae fuori il bambino da una condizione insopporta
bile, dallo scivolare verso il senso di non esistere, anche la
 «tenerezza» dell’analista Algini permette a entrambi di
trovare mezzi per stare insieme, perché cerca di parlare al
bambino il suo linguaggio e l’idioma della sua immagi
nazione, offrendogli i mezzi e le risorse adulte che gli fan
no trovare un compagno vivo.
È questo forse che deve intendersi come il costruire u n ’al
tra storia? Testimoniare al bambino che la ricerca della te
rapia è quella di costruire insieme un sentimento di esisten
za, indispensabile per poter affrontare paure e sentimenti
drammatici?
Chiunque lavori come m e nel campo dell’analisi infantile
sa che questa - di saper costruire un'altra storia col pazien
te - è una garanzia di lavoro scientifico, disciplinato, effi
cace, ma che non tutti sanno dimostrare di saperlo realiz
zare. Non voglio dire che non abbondino nel panorama
della letteratura psicoterapeutica le «narrazioni cliniche».
Potrei fare molti esempi, anche tratti dai libri dello stesso
Editore Boria. Ma in questo libro c’è una questione di lin
guaggio e di pensiero che è di una novità assoluta : niente
tecnicismi perché il libro è destinato ai genitori, ma è la
voro approfondito perché ugualmente rivolto agli opera
tori dell’infanzia, colleghi psicoterapeuti ed altri con cui
Maria Luisa Algini colloquia proponendo, senza darlo a
vedere, una sua visione sapiente e personale della terapia
dei bambini. In altre parole si confronta.
Importante per l’Autrice è essere il «compagno vivo» del
paziente, la terapeuta amica che si presta a «immaginare

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in proprio i vissuti del bambino» e si rende disponibile ad
aiutare il paziente a sviluppare la sua particolare impronta
narrativa e la sua creatività. Le storie di Martina, Ettore,
Giovanni e molte altre, sono storie emblematiche di vite
infantili a un tratto risucchiate in un vortice infelice, op
pure attraversate da un impedimento e un blocco partico
lare, «quell’eccesso di affetti e di dolore, insostenibile dal
la debolezza dell’Io infantile che si esprimeva nei sintomi».
Per Maria Luisa il bambino è sempre un Io bisognoso di
attenzioni e di rispetto, è un Io che chiede «un’apertura e
un potenziamento di nuove possibilità di pensare e di sim
bolizzare» (p. 178).

Queste qualità fanno l’utilità del libro per Genitori e Ope
ratori dell’Infanzia in genere. Ci sono molti suggerimenti
per i genitori, ma anche per degli operatori che vogliano
confrontarsi. Un esempio: il primo capitolo «Crescendo tut
to passa»?, che parla dei sintomi, è molto importante, un
vero straordinario apprendimento per i genitori il saper
distinguere quale sofferenza nel proprio figlio/a è transi
toria e modificabile con propri mezzi e quale è invece croni
cizzata, permanente e richiede aiuto. I sintomi segnalano
direttamente un disturbo nella relazione genitori-bambino
e comunque l’impossibilità da parte dei genitori di soc
correre la fragilità del figlio nelle vicende della crescita.
Penso che queste pagine possono far pensare i genitori e
aiutarli a iniziare quel tipo di intervento indispensabile
affinché una sofferenza non divenga un sintomo.
Maria Luisa Algini è molto nota nel nostro campo, inten
do dire tra gli psicoterapeuti di bambini e gli operatori
dell’infanzia in genere, per la sua competenza sapiente e
gentilissima con cui dirige una collana di Boria, «La came
ra dei bambini» e molti numeri dei famosi Quaderni di Psi
coterapia infantile. Ha già curato altri sei libri, collettanei,
con saggi di diversi autori sul transfert, sulla depressione
nei bambini, sul sessuale, sui fratelli: già lì toccava il tema
della sofferenza specifica dei piccoli pazienti ed anche la
logica del rapporto analitico che è sempre data da una co
municazione fluida tra Inconsci. Ma con questo prim o li
bro tutto suo, compie una parabola assai originale per una
psicoterapeuta: arrivare direttamente a dialogare con i gen
itori del perché il loro bambino può aver bisogno di una
psicoterapia.

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Il lavoro di Algini è innovativo anche dal punto, di vista
stilistico, ella stessa si costringe a un rigore speciale: non
si permette, come la maggior parte degli Autori, di forzare
il proprio pensiero con una citazione, un nome, una data,
una bibliografia tra parentesi, come per tamponare la pro
pria insicurezza con un «l’ha detto X nel 1988». Così si usa
fare tra noi quando non si è tanto sicuri dei concetti usati,
e allora li si completa col pensiero altrui, che, in quel ca
so, tampona la propria oscurità e non rappresenta chiara
mente al lettore il problema con cui si sta dialogando. Al
gini non lo fa. Voglio dire che il suo modo di scrivere è una
scelta stilistica di assoluta novità in quanto comporta un
impegno di autenticità nel far conoscere ai Colleghi il suo
pensiero e ciò che fa col bambino nella stanza di terapia.
Mai in questo incantevole libro di psicoanalisi dei bambi
ni Maria Luisa dimentica la sua vena poetica e la sua in
fanzia in favore di tratti saccenti, eppure è una psicotera
peuta molto esperta, già pedagogista e giornalista, voca
zioni che l’hanno portata indubbiamente a innumerevoli
«Viaggi» in vari paesi ed esperienze editoriali e la cui im
pronta resta a testimonianza di una ricchissima esperien
za di vita.

«Giocavamo "ai bambini del mare", - scrive di sé e del suo
 “quintetto" di fratelli - noi che il mare potevamo solo im
maginarlo... Navigazioni senza fine in mari tempestosi e
sereni... E ci svegliavamo perdendo l’incanto sul far della
sera, quando il buio non permetteva di andare oltre...
Chissà quale buio. Quello esterno che rompeva la concen
trazione, o qualcosa che scoppiava dentro l’incanto e lo dis
solveva a poco a poco? Non sapevamo mai perché lascia
vamo il gioco così sazi e così melanconici. Come se quel
gioco tutti insieme fosse già preparazione, presagio e m e
tafora del diventare grandi. Forse sarà nata anche da lì
l’idea di un Viaggio “speciale” con i bambini»(p. 86).

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