Le cure primarie, la Casa della Salute - Quaderni del socio sanitario n. 6 - PER IL DIRITTO ALLA SALUTE, UN SISTEMA DI QUALITÀ

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Le cure primarie, la Casa della Salute - Quaderni del socio sanitario n. 6 - PER IL DIRITTO ALLA SALUTE, UN SISTEMA DI QUALITÀ
PER IL DIRITTO ALLA SALUTE, UN SISTEMA DI QUALITÀ

                Le cure primarie,
              la Casa della Salute

Q      uaderni del socio sanitario n. 6
Segreteria di redazione: Velia Mariconda
Progetto grafico: Daniela Boccaccini
Stampa: Tipografia Salemi
Finito di stampare nel mese di maggio 2004

Disponibile on line: www.cgil.it/welfare
INDICE

La domanda di salute e di benessere sociale dei cittadini.
Le risposte sociosanitarie sul territorio
di Michele Mangano……………………………………………………………….....….......................                                                                        05

Il distretto sociosanitario come area-sistema
di Roberto Polillo…………………………...…………………………………………..........................                                                                      15
                   1. Il Servizio sanitario e la sfida delle crescenti fragilità..…………….....................                                   15
                   2. L’impegno della Who per lo sviluppo delle Cure primarie…….…......................                                        17
                   3. La definizione di un nuovo modello:
                      il distretto come Area-sistema.............................................................................              19
                   4. Il ruolo delle Regioni e dell’Ente locale...............................................................                 24
                   5. Conclusioni: allocazione delle risorse ed uniformità dei
                      Livelli delle prestazioni........................................................................................        26

Una nuova proposta per l’Assistenza Primaria: la Casa della Salute
di Maurizio Marchionne……...………………………………………………………............................                                                                   30

La Casa della Salute
di Bruno Benigni.......…………………………………………………………………….......................                                                                       37
                     1. La Casa della Salute: le funzioni/attività distribuite per aree.…….......................                              44

Il ruolo degli operatori della sanità per la promozione della salute
di Rossana Dettori…………………………………………………….……………...............................                                                                    54

Genova: alcune idee per costruire il distretto socio-sanitario
di Roberta Papi….........………………………………………………………………............................                                                                  58

Distretti e cure primarie in Sardegna
di Elisabetta Perrier………………………...…………………………………………...........................                                                                   63
                     1. La legislazione speciale.................................................……………...................                      63
                     2. I distretti in Sardegna…...........................................................….…...................              65
                     3. Il rapporto fra ospedale e territorio......................................................................            67
                     4. I medici di famiglia..............................................................................................     68
                     5. Le prospettive......................................................................................................   70

Le cure primarie
di Daniela Cappelli………………………………………………………………………........................                                                                         72

Il distretto di domani
di Gavino Maciocco……………………………………………………………………...........................                                                                        75
                  1. Introduzione.................................................……………....................................                    75
                  2. Il riequilibrio dell’offerta….....................................................….….....................                77
                  3. Il caso inglese.......................................................................................................    78
                  4. Il caso americano..................................................................................................       80
                  5. Il Distretto di domani............................................................................................        83
                  6. Le diverse aree di governo del Distretto................................................................                  85
                  7. Gli strumenti per il governo del Distretto...............................................................                 87

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LA   DOMANDA    DI   SALUTE   E   DI   BENESSERE   SOCIALE   DEI   CITTADINI.   LE   RISPOSTE
SOCIOSANITARIE SUL TERRITORIO

di Michele Mangano, Segreteria nazionale Spi Cgil

                 La sanità e la sicurezza sociale, sono temi che suscitano sempre
                 maggiore interesse tra i cittadini, e richiedono interventi sempre
                 più adeguati e qualificati da parte dello stato e delle istituzioni
                 pubbliche in generale.
                 Oggi, però, le prestazioni sanitarie e sociali vengono erogate più
                 in relazione alle compatibilità economiche e di bilancio dei
                 soggetti che li erogano, anziché dalla necessità e dai bisogni di
                 chi li chiede.
                 In altri termini, alla centralità della persona si è sostituita la
                 centralità del mercato, che secondo il pensiero liberista
                 rappresenta l'unico regolatore delle prestazioni sanitarie e sociali
                 in rapporto alle sue compatibilità.
                 Gli stessi livelli essenziali, che sono costituzionalmente garantiti
                 (art. 117 nuova Cost.) vengono subordinati a questa logica che
                 assume un carattere meramente risarcitorio.
                 Il Governo italiano con la stesura del libro bianco sul welfare, ha
                 consolidato questa filosofia traducendola in atteggiamenti e
                 provvedimenti che stanno smantellando lo stato sociale nel
                 nostro Paese. Sotto il mirino non c'è solo la previdenza con una
                 riduzione della spesa dello 0,7%, ma anche la scuola,
                 l'assistenza e la sanità. La riduzione annuale del fondo nazionale
                 sociale e la mancata definizione dei livelli essenziali delle
                 prestazioni sociali impediscono di fatto il potenziamento e la
                 qualificazione dei servizi sociali e mettono a dura prova ogni
                 possibile intervento per realizzare l'integrazione socio sanitaria
                 nei territori. La sottostima del fondo sanitario nazionale produce
                 un oggettivo indebolimento del servizio sanitario pubblico che
                 in questo momento non è in grado di garantire neppure i livelli
                 essenziali di assistenza.
                 Tutto ciò, incide profondamente sulla offerta pubblica che e
                 spinge i cittadini a rivolgersi all’offerta privata.
                 Accanto a questa politica vi sono poi altre difficoltà che nascono
                 dai cambiamenti presenti nella società che pongono problemi
                 sulla individuazione il più possibile precisa della domanda di
                 salute e di benessere sociale avanzata dai cittadini.

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Non bisogna sottovalutare il fatto che siamo in presenza di un
    passaggio epocale da una "società giovane" ad una "società
    sempre più anziana" che richiede un'organizzazione complessa
    di opportunità modulate nella diversa evoluzione demografica.
    Quindi anche l'anziano va visto come soggetto che partecipa al
    cambiamento, e ne influenza gli orientamenti. Nuovi bisogni e
    nuove regole possono promuovere processi economici in cui il
    benessere individuale e collettivo s'intrecciano e costituiscono la
    base per creare rapporti e scambi tra le generazioni.
    Appare evidente che anche la domanda di salute e di benessere
    dei cittadini è collegata alle mutevoli condizioni economiche,
    sociali dei soggetti e dei territori in cui essi vivono; dagli stili di
    vita che conducono; dalle scelte libere o meno che essi fanno in
    relazione alle condizioni ambientali, di lavoro, di formazione e
    di cultura che hanno.
    Vi è dunque una forte correlazione tra i fattori ora richiamati e la
    domanda di salute, perché da essi dipendono molte patologie
    ordinarie e/o croniche che vengono diagnosticate in medicina.
    Non è un caso che l'Oms nel progetto "Health 21" sottolinea
    l'esigenza di porre maggiore attenzione alle variabili condizioni
    sociali, sanitarie ed economiche che influiscono sullo stato di
    salute. Indicando agli stati membri europei la necessità di
    intervenire in questa direzione.
    Esistono, infatti, numerose e solide indagini epimiedologiche
    che dimostrano che a bassi livelli di qualità della vita (livello
    economico, livello di lavoro, livello di informazione, ecc.)
    corrisponde un'alta incidenza di patologie gravi e in molti casi
    invalidanti.
    Se a questo aspetto si aggiunge, poi, l’effetto che
    l'invecchiamento della popolazione produce nei consumi di
    assistenza, di sanità e di farmaci, si può avere la cartina
    tornasole dell'andamento della domanda in relazione alle
    necessità ed ai bisogni della popolazione compresa quella
    anziana.
    Vi è, dunque, una dimensione etica del problema (l'etica della
    salute come ricordava Massimo Cozza nella sua relazione
    d'insediamento della Cgil Medici) che va affrontata superando
    intanto le disuguaglianze, ed adottando misure idonee contro la
    povertà, la fame e le malattie (soprattutto quelle infettive) ed
    adottando politiche di coesione sociale che aiutino a prevenire le
    patologie prima ancora di curarle e sconfiggerle.

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Lo stato socio economico dei cittadini è una condizione
"multidimensionale" le cui coordinate principali sono
determinate dal sapere (istruzione); dal reddito (lavoro); dal
sociale (benessere) che sono strutturalmente legate tra loro.
Non è un caso che il tasso di mortalità ma anche di malattie
degenerative e/o invalidanti è più basso nelle società dove la
differenza di reddito sono minori e quindi con un più basso
livello di povertà relativa.
Il nostro Paese, comunque, al di là della sua notevoli
contraddizioni, è stato considerato fino al 2001 uno dei migliori
Paesi per condizioni di vita e di salute. Segno che nonostante le
difficoltà e le carenze denunciate ha avuto un sistema sanitario
pubblico tra i migliori del mondo. Un sistema che rischia però di
esplodere per la dissennata politica del governo nazionale
richiamata all'inizio. Oggi, infatti, la situazione è profondamente
cambiata rispetto al 2001 e volge decisamente al peggio.
Questa diagnosi è confermata da tutti gli osservatori che si
occupano di sanità. L’abbiamo denunciato alla 1° Conferenza
sulla Salute a Roma.
Lo si legge nel IV rapporto sulle politiche della cronicità
pubblicato dal coordinamento nazionale delle associazioni dei
malati, cittadinanza attiva: vi è una lenta ma costante erosione
del Ssn con una riduzione dell'accessibilità ai servizi, un
consolidamento dei tagli alle prestazioni, lunghi ed inaccettabili
tempi di attesa per le principali prestazioni di diagnostica
strumentale, ma anche per la radioterapia, un uso disinvolto
della libera professione intramuraria come sistema per aggirare,
a spese dei cittadini, i ritardi e le insufficienze del servizio
pubblico.
Si attuano, in altri termini, politiche governative mirate a
privatizzare il sistema sanitario pubblico per ridurre i costi a
carico dello stato.
Questa situazione incide sulle condizioni di salute dei cittadini
che denunciano molti nuovi punti di criticità del sistema
sanitario pubblico che vanno affrontati e rapidamente rimossi.
Eppure nonostante si faccia questa analisi alcune indagini
statistiche fatte sul territorio nazionale evidenziano che in
apparenza la generalità dei cittadini, ad eccezione della
popolazione anziana, non mostra particolari sofferenze.
L'ultima indagine multiscopo Istat sulle famiglie (anno 2003)
per esempio ha rilevato che la percentuale di persone che

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dichiara di godere di un buono stato di salute è sostanzialmente
    stabile nel tempo ed è pari a due terzi della popolazione (74,7%
    nel 2002). Tale percentuale risulta più elevata negli uomini
    (78,1%) che nelle donne (71,5%).
    La percezione di buona salute decresce rapidamente al crescere
    dell'età. Solo il 24,2% degli ultrasessantacinquenni dichiara un
    buono stato di salute.
    In questo contesto lo svantaggio femminile emerge anche
    dall'analisi dei dati relativi alla quota di popolazione che soffre
    di almeno una malattia cronica, il 38,9% delle donne si trova in
    queste condizioni contro il 33,4% degli uomini. Anche la
    proporzione di malati cronici che dichiara di stare bene in salute
    è più elevata negli uomini (52,6%) che nelle donne (43,3%).
    Eppure un italiano su tre soffre di almeno una patologia cronica,
    uno su cinque dichiara di essere afflitto da almeno due patologie
    croniche. All'incirca un malato cronico su due dice comunque di
    stare bene. Si tratta di un paradosso che può avere diverse
    letture: difficoltà a curarsi, difficoltà di accesso alle cure,
    fragilità economica, disinformazione o semplice negligenza,
    rassegnazione alla malattia. Non c’è dubbio che il caro vita ed il
    caro prezzi e tariffe hanno inciso profondamente anche sui
    consumi sanitari.
    E tuttavia il problema esiste e va meglio indagato.
    Approfondendo, invece, fin nel dettaglio le singole malattie
    croniche che determinano una variazione della domanda di cura
    e di assistenza, quelle più frequentemente riportate sono:
    l'artrosi o artriti, l'ipertensione, il diabete, la bronchite cronica,
    l'osteoporosi, le malattie cardiache, le malattie allergiche, le
    malattie nervose, l'ulcera gastrica o duodenale.
    Vi sono, poi, i malati di Alzheimer (circa 800.000), i nefropatici
    (39.000), gli affetti da sclerosi multipla (50.000) e i non
    autosufficienti (2.800.000).
    Quello che è certo e che dai dati statistici si rileva una rapida
    crescita delle percentuali di persone affette dalle diverse malattie
    croniche all'aumentare dell'età, con l'eccezione delle malattie
    allergiche che, in particolare negli uomini, hanno una prevalenza
    nell'età giovanile.
    In relazione a questo quadro d patologie, ma anche più in
    generale, il consumo dei farmaci è medio con il 38,5% al Nord,
    il 35,1% al Centro e il 30,5% al Sud anche in conseguenza della

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diversa struttura per età che nella prima ripartizione presenta
quote più elevate per le persone anziane.
Il peso del costo dei farmaci incide molto sulla spesa sanitaria. E
tuttavia noi riteniamo che non è con la politica dei ticket che si
possa affrontare il problema. Credo sia utile tornare rapidamente
a ragionare sull'appropriatezza delle prescrizioni, sul tema dei
generici, sulle composizioni monodosaggio, sul ruolo della
nuova Agenzia nazionale del farmaco che assorbe la Cuf; ma
soprattutto confrontarsi con l’idea ormai sempre più diffusa di
pensare al cosiddetto farmaco personalizzato che farebbe la
fortuna delle case farmaceutiche.
Ritornando al tema della cronicità, possiamo dire che esse
rappresentano uno degli elementi di maggiore sollecitazione
della domanda assistenziale e sanitaria, sia per le dimensioni che
esse hanno sia per i bisogni che esse esprimono in tutto il paese.
Lo si può constatare per i soggetti non autosufficienti il cui
fenomeno ha raggiunto dimensioni elevatissime con 2.800.000
persone colpite dalla nascita o del sopraggiungere di patologie
invalidanti, il 70% dei quali sono anziani ultrasessantacinquenni
(1.800.000); il 44% di queste persone rimane confinato in casa,
il resto va in RSA o in casa di riposo.
(Il fenomeno è dato in costante crescita tanto che l'Istat prevede
che il trend della non autosufficienza avrà nel 2010 un'incidenza
del 6,1% rispetto all'attuale 4,9% per passare nel 2020 al 7,1%
con un aumento di oltre un milione di nuovi soggetti non
autosufficienti).
Appare evidente che in questo caso la domanda di assistenza e
di sanità è fortemente collegata alla necessità ed ai bisogni della
persona malata e della sua famiglia, ed evidenzia una forte
esigenza d'integrazione tra il sociale ed il sanitario (229/99 e
328/2000 ed atto d'indirizzo). Lo strumento organizzativo per
rendere esigibili le prestazioni socio assistenziali e socio
sanitarie è il distretto dal quale deve partire il progetto per
l'integrazione, per la costruzione della rete dei servizi, per i
progetti individualizzati indicati dalla UVM, per l'ADI, per i
ricoveri in RSA o in case protette, per i centri diurni, ecc.
Analogo ragionamento va fatto per alcune patologie specifiche
che stanno dentro il concetto stesso di non autosufficienza.
(Demenza senile, Alzheimer, che hanno un'incidenza sempre
crescente per i soggetti ultrasessantacinquenni 11,9 di casi su
1.000 all'anno di cui 10,3 uomini e 13,3 donne).

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I costi di queste patologie invalidanti, gravano ancora
     prevalentemente sulla famiglia e sulle donne. Sono stimati
     attorno al 77% dell'intero costo assistenziale. Se il costo totale di
     ogni paziente è stimato per la gestione complessiva a circa
     50.000 euro l'anno, si può comprendere quanto incide, anche sul
     piano economico, tale condizione in ogni famiglia. Ovviamente
     non è solo la non autosufficienza a determinare la domanda di
     assistenza e di sanità. Vi sono molte altre malattie che
     meriterebbero una attenta valutazione (allergie, malformazioni
     congenite, all’asma ecc.) ma per ragioni di tempo richiamerò la
     vostra attenzione solo su quelle che Oms ha ritenuto di
     rilevantissimo interesse.
     Il diabete, per esempio, rappresenta una vera e propria epidemia
     globale. Le ultime stime parlano di 2 milioni di diabetici in Italia
     e di circa 177.000.000 nel mondo ed il numero è destinato ad
     aumentare addirittura a raddoppiare entro il 2025.
     Non occorre ricordare ad una platea di esperti cosa significa
     questa malattia e gli effetti che essa produce se mal curata o
     trascurata come spesso avviene: cecità, insufficienza renale,
     complicazioni cardiovascolari, ulcerazioni e pericoli di
     amputazioni).
     Il diabete è una delle malattie che produce uno dei più alti tassi
     di ricoveri ospedalieri. Anche in questo caso, una maggiore
     azione di prevenzione e soprattutto la possibilità di accedere con
     maggior felicità alla glargine che è un nuovo tipo di insulina a
     lento rilascio in grado di mantenere più stabili la glicemia,
     potrebbe prevenire almeno il 20% di rischio ipoglicemico e
     ridurre la somministrazione giornaliera di normale insulina
     nonché i ricoveri ospedalieri.
     Un'altra patologia che evidenzia una forte richiesta di assistenza
     è l'osteoporosi. A tale riguardo si calcola che nel nostro paese
     almeno 2 milioni di persone si trovano già nelle condizioni di
     osteoporosi con elevato rischio di frattura.
     L'Unione Europea ritiene che ogni anno circa 150.000 persone
     muoiono a seguito di fratture osteoporotiche di femore o di
     vertebra e che circa un milione e mezzo di lavoratrici e
     lavoratori subiscono analoghe fratture (con costi elevatissimi,
     circa 17 miliardi di euro l'anno). Eppure anche in questo caso
     nel nostro Paese c’è poca prevenzione e lo stesso esame di
     densiometria ossea è parzialmente esclusa dai Lea, come

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risultano parzialmente escluse dai Lea l'assistenza odontoiatrica
che colpisce oltre il 70% della popolazione anziana.
Vale la pena, inoltre, richiamare alla nostra attenzione un'altra
patologia che risulta in costante aumento tra i cittadini adulti, mi
riferisco alla incontinenza urinaria.
Anche in questo caso nel nostro Paese si calcola che oltre 3
milioni di persone adulte e anziane siano affette da questa forma
di malattia che risulta essere invalidante per chi ne soffre.
E' importante in questa patologia la conoscenza, i fattori a
rischio, la diagnosi e la terapia approfondita per dare un aiuto
concreto a chi ne soffre.
Non ritengo sia il caso di richiamare molte altre malattie come
la cefalea, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (4.000.000
di persone) le artriti o artrosi reumatoide che risultano
particolarmente presenti anche nel nostro Paese e dalle quali
derivano necessità e bisogni ai quali occorre dare risposte
adeguate ed efficaci.
Mi pare che il quadro fino ad ora richiamato è sufficiente per
capire l’evoluzione della domanda di assistenza e di sanità che
c’è nel nostro Paese.
Le offerte del servizio sanitario pubblico e di quello sociale non
sono, al momento, in grado di rispondere in modo appropriato a
tale domanda.
Recentemente qualcuno ha opportunamente ricordato che non
c’è iniziative nel campo sanitario e/o sociale dove il tema della
qualità e dell’appropriatezza non venga sollevato.
La domanda da porsi è cosa si intende per appropriatezza.
Ritengo che la risposta debba essere un servizio sanitario
pubblico effettivamente efficace ed efficiente.
Ma come può fare un cittadino a sapere che ciò che gli viene
somministrato è davvero utile per la sua salute o per curare le
sue patologie. Ecco questa è una sfida sulla quale è giusto
impegnarsi sia come professionisti che come associazioni o
forze sociali.
La prima Conferenza nazionale della Cgil sulla salute ha
rilevato tra i tanti temi da approfondire e da sviluppare proprio
quello della qualità e dell’appropriatezza degli interventi sanitari
ed assistenziali.
Quali risposte bisogna dare, allora, ai cittadini ed alle loro
necessità ed ai bisogni di salute e di assistenza che esprimono?
Credo che una prima risposta riguarda l’attuazione dei Lea.

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Come Spi-Cgil siamo stati sempre critici sulla loro
     determinazione che oltre ad essere stata definita in modo
     unilaterale dal Governo (fuori dal piano sanitario; senza
     concertazione con le parti sociali e con Dpcm anziché con
     legge) presenta significative esclusioni che intercettano bisogni
     sempre crescenti nelle persone soprattutto quelle anziane. Mi
     riferisco alla odontoiatria, alla riabilitazione ed alla medicina
     non convenzionale (non tutta, ovviamente, ma su questi
     argomenti occorrerebbe un ulteriore approfondimento anche tra
     noi). Tuttavia riteniamo che al momento dato è indispensabile
     rendere almeno esigibile e garantire in modo omogeneo su tutto
     il territorio nazionale i livelli già definiti.
     In particolare riteniamo sia necessario garantire, potenziare e
     qualificare l’assistenza distrettuale quella erogata dalla Asl e dai
     distretti sanitari che comprende la medicina di base
     ambulatoriale e domiciliare, la guardia medica, l’emergenza,
     l’assistenza farmaceutica, l’assistenza integrativa e quella per le
     persone con il diabete mellito, l’assistenza specialistica e
     diagnostica con particolare riferimento alla eliminazione delle
     liste di attesa, l’assistenza protesica e domiciliare e tutte le
     attività rivolte a particolari categorie di persone: i disabili, i non
     autosufficienti; tossicodipendenti ecc…
     Per l’assistenza ospedaliera vanno garantiti il pronto soccorso
     (eliminando l’assurda pratica dei ticket laddove ci sono); il
     ricovero ordinario; il day hospital e il day surgery; l’ospedale
     domiciliare, la riabilitazione e la lunga degenza per i post-acuti:
     (forse è necessario rivedere le norme previste dal D. Lgs. 502/92
     che ha introdotto il sistema dei Drg che stabilisce rigidamente i
     giorni di ricovero in relazione all’intervento subito. Tale sistema
     ha particolarmente penalizzato tutte quelle situazione per cui i
     tempi di recupero sono superiori agli standard previsti e nella
     generalità dei casi l’assistenza dei post-acuti grava quasi
     esclusivamente sulle famiglie. E’ necessario realizzare un
     collegamento tra le strutture sanitarie residenziali e quelle
     territoriali in modo che le dimissioni dall’ospedale siano seguite
     e protette.
     Oltre alla garanzia sui Lea, la domanda di salute espressa dai
     cittadini ci porta a chiedere una nuova e più efficace
     organizzazione della medicina nel territorio con l’obiettivo di
     dare continuità assistenziale, presa a carico dei pazienti, la
     realizzazione di una più incisiva attività di promozione della

12
salute e di educazione alla salute; abbattimento delle liste di
attesa, riduzione dei ricoveri impropri; attivazione dei percorsi
assistenziali anche quelli personalizzati; efficace politica
d’integrazione socio-sanitaria. In questi obiettivi e nella loro
concreta attuazione si sostanzia il processo evolutivo della sanità
nel territorio che assume una nuova centralità come sede
primaria di assistenza rispetto ai servizi ospedalieri. In questa
direzione il distretto socio-sanitario è per noi lo strumento
organizzativo più efficace per realizzare questi obiettivi: la
costituzione del nuovo distretto deve essere l’occasione per
avviare e sviluppare attraverso la programmazione e la
concertazione il patto di solidarietà per la salute. Il distretto deve
garantire al cittadino la presa in carico della sua domanda di
salute e deve realizzare la continuità assistenziale.
Gli altri attori principali di questo processo diventano il medico
di medicina generale e il pediatra di libera scelta che attraverso
un recupero del rapporto diretto con il paziente diventano i primi
responsabili della funzione di analisi e valutazione dei bisogni e
di quella d’indirizzo delle migliori modalità per soddisfarli.
A loro compete, infatti, la indicazione dell’appropriatezza delle
cure e delle prestazioni, dialogare con il distretto; l’ospedale o le
altre strutture di assistenza nel territorio. Interagire con il
modello organizzativo più in termini professionali che
burocratici (non certo per loro responsabilità dato l’eccessivo
numero di certificazioni che sono chiamati a rilasciare per conto
della Asl).
Interagire inoltre, con le unità di valutazione multidimensionali
che rappresentano nell’ambito del distretto un punto di
riferimento importante per la valutazione del caso e per la
costruzione e la presa in carico del percorso assistenziale.
Tutto questo significa affrontare con maggiore determinazione i
temi relativi alle cure primarie ed alla degenze territoriali nella
rete distrettuale in applicazione della legge 229/99 (costituzione
ospedali di comunità, casa della salute, società della salute,
proposte che bisogna confrontare con le unità territoriali di
assistenza proposte in via sperimentale del Ministro della
Salute).
E’ necessario pensare a sviluppare un approccio integrato ai
percorsi assistenziali ed alla richiesta di una attenzione diversa
per la personalizzazione degli stessi o al bisogno di disporre
sempre di più della possibilità di essere presi in carico dal

                                                                   13
sistema dei servizi e non di doversi preoccupare in prima
     persone o attraverso i propri familiari della ricomposizione di
     ciò che il servizio può offrire.
     In questa direzione e concludo assume un particolare rilievo il
     tema dell’informazione e della comunicazione.
     In un recente convegno organizzato da Federsanità Anci e
     Welfarmed è stato rilevato da fonti autorevoli che la
     comunicazione in sanità è uno strumento fondamentale per
     consentire agli utenti la fruizione dei servizi offerti; superando
     le difficoltà di accesso per disinformazione e/o per mancata
     informazione.
     Importante a tal riguardo è la costruzione ed il funzionamento
     della carta dei servizi e l’attivazione degli uffici relazioni con il
     pubblico previsti nella PA dalla legge 150/2000. Uffici che
     devono diffondere in modo chiaro e con linguaggio
     comprensibile e semplice la normativa di accesso ed illustrare
     l’attività delle istituzioni sanitarie.
     La carta dei servizi in molti casi ha funzionato male perché si è
     trasformata in poderosi documenti pieni di nomi e di orari del
     tutto illeggibile per l’utenza ed in altri casi ancora perché ha
     assunto la caratteristica dell’episodicità e dello scarso
     aggiornamento. Per questo motivo e per l’utilità che esse hanno
     nella comunicazione vanno riproposte e riformate.
     Riteniamo che a tal riguardo occorre raccogliere e realizzare i
     suggerimenti dati dalla Federazione Europea circa l’alleanza tra
     sistema sanitario e cittadini per costruire insieme tutto ciò che è
     necessario per garantire ai cittadini uno dei diritti fondamentali
     della Costituzione: il diritto alla salute.

14
IL DISTRETTO SOCIOSANITARIO COME AREA-SISTEMA

di Roberto Polillo, Responsabile Politiche della Salute Cgil nazionale

1. Il Servizio sanitario e la sfida delle crescenti fragilità

                  L’estate appena trascorsa ha evidenziato una fragilità inattesa
                  nei servizi sanitari del vecchio continente; decine di migliaia di
                  anziani sono deceduti stroncati dal caldo insopportabile ed
                  ancora di più dall’indifferenza dei servizi pubblici che li hanno
                  abbandonati, nell’incuria, alla loro solitudine. Il fenomeno è
                  stato particolarmente vistoso in Italia ed in Francia, dove
                  rispetto alla prima, sono stati subito disponibili i dati (le morti
                  sono state superiori a 12.000) che hanno a loro volta
                  determinato le tempestive dimissioni del Direttore del ministero
                  della sanità. Nulla di tutto questo è accaduto nel nostro paese
                  che ha registrato più di 7.000 morti e dove invece il Ministro
                  della Sanità si è lanciato in un attacco ai Comuni addossando
                  loro ogni responsabilità, colpevolmente immemore dei tagli dei
                  trasferimenti agli enti locali e regioni perpetrati dal Governo con
                  la Finanziaria 2003 e con la perversa applicazione della legge n.
                  63 ed ora riconfermati nella legge Finanziaria per il 2004.
                  La vicenda è stata tuttavia doppiamente triste: per il carico di
                  sofferenze che ha comportato e per la debacle subita dai servizi
                  sanitari francese ed italiano, riconosciuti solo tre anni fa dalla
                  OMS nella sua indagine “The world health report 2000. Health
                  systems: improving performance” condotta sui 191paesi membri
                  come i due migliori del mondo per performance complessiva
                  (rapporto tra risorse impegnate e risultati, indice di valutazione
                  0.991 e 0.994) ed ora dimostratisi totalmente inadeguati ad
                  affrontare una emergenza sanitaria che poteva essere controllata
                  se fosse stato presente un efficace sistema di cure primarie.

                  Bernardo Valli tra i tanti giornalisti che si sono occupati del
                  problema, ha così sintetizzato sul quotidiano La Repubblica del
                  4 settembre 2003 le cause di quanto accaduto in Francia:
                     „     sono stati ridotti gli aiuti personalizzati e finalizzati a
                     rendere autonomi gli anziani come aveva invece fatto il
                     precedente governo;

                                                                                   15
„      sono stati ridotti i finanziamenti complessivi per la
        terza età;
        „      non è stata compresa tempestivamente la gravità di
        quanto stava accadendo e non è stato dichiarato in tempo
        utile lo stato di emergenza sanitaria.

     La situazione nel nostro paese non è stata certo dissimile. E se
     da un lato è innegabile il profondo cambiamento avvenuto della
     società con la lacerazione di quelle reti di protezione per così
     dire di “riserva”, che, tessute in casa a proprie spese dalle
     comunità familiari o dai vicini, rappresentavano un tempo le
     trincee di seconda linea dove feriti e contusi si rifugiavano a
     curare i danni riportati nelle battaglie sul fronte del mercato (Z.
     Bauman: Il disagio della posmodernità Mondadori Milano
     2000); dall’altro è altrettanto innegabile che si sono dimostrate
     parimenti inesistenti le reti di intervento che le istituzioni
     dovrebbero stendere a sostegno dei soggetti deboli ed in
     particolare degli anziani sempre più soli in questa società
     fortemente de-tradizionalizzata.
     Una società, la nostra, dove l’area della fragilità è
     progressivamente cresciuta a partire dalle condizioni di povertà
     che non investono ora soltanto i senza lavoro, ma al contrario si
     estendono minacciose a quote crescenti di salariati; è questo che
     evidenzia con chiarezza l’ultimo rapporto Istat che stima gli
     individui in condizione di povertà assoluta in oltre tre milioni di
     unità e quelli in povertà relativa in sette milioni (Istat: Rapporto
     sulla povertà, 2003).

     In questa battaglia contro l’emarginazione crescente di quote
     consistenti della popolazione, le Regioni e gli Enti Locali sono
     stati abbandonati dalla Stato che invece di investire, lesina i
     finanziamenti necessari allo sviluppo di un coerente sistema di
     protezione ed assistenza primaria (mancano alle casse delle
     regioni per il solo quadriennio 2001-2004 circa 25 miliardi di €
     tra deficit di cassa per mancati trasferimenti e deficit strutturale
     per insufficienti finanziamenti; mancano le risorse per i comuni
     che hanno visto nel 2004 un taglio nei trasferimenti pari al
     3,7%); un sistema integrato di cure che va invece rafforzato ed
     in alcuni casi costruito partendo da un assunto fondamentale:
     sanare la frattura esistente tra intervento sanitario e sociale e
     nell’ambito del primo rivedere il primato tradizionalmente

16
attribuito all’ospedale rispetto al territorio. In altre parole questo
              significa porre al primo punto la costituzione di una forte rete
              distrettuale e di strutture dove realizzare: interventi di
              prevenzione       primaria    e     di     educazione       finalizzata
              all’acquisizione per tutti di una effettiva capability (Amarthia
              Sen); una assistenza sanitaria in grado di affrontare tutte quelle
              condizioni cliniche che per particolare complessità non possono
              essere gestite al di fuori dell’ambiente ospedaliero; una reale
              domiciliarizzazione ed umanizzazione delle cure attraverso la
              costituzione di equipes di intervento multidisciplinari e
              muntiprofessionali; una definizione puntuale di percorsi
              assistenziali personalizzati capaci di integrare la fase della cura
              con quello della riabilitazione e della prevenzione secondaria e
              terziaria non abbandonando il paziente nell’incertezza.

2. L’impegno della Who per lo sviluppo delle Cure primarie

              L’importanza della presenza e dello sviluppo in ogni paese di un
              efficace sistema di cure primarie è testimoniato dalla stessa
              storia della Organizzazione Mondiale della Sanità. La Who
              infatti fin dalla sua costituzione, avvenuta nel 1946, ha messo
              con decisione al centro della sua azione di promozione della
              salute questa idea forte dello sviluppo delle cure primarie,
              ritenuta l’unico mezzo realmente efficace per il raggiungimento
              di effettiva equità tra i cittadini. Con la storica Dichiarazione di
              Alma Ata del 1978 vennero successivamente elencate le
              questioni più significative per garantire la “salute per tutti nel
              2000”; la dichiarazione muoveva dall’assunzione che le
              diseguaglianze nello stato di salute tra e all’interno degli stati
              erano “politicamente, socialmente ed economicamente
              inaccettabili” e che l’obiettivo di offrire a tutti i cittadini un
              livello di cure adeguato ad una vita degna e produttiva poteva
              essere raggiunto solo tramite lo sviluppo di un sistema di cure
              diffuse.

              I principi della Dichiarazione, rimasta purtroppo in molti paesi
              una formula vuota o vanificata da una progressiva
              privatizzazione dei servizi, sono stati riconfermati nel World
              health report 2003; in tale sede è stata ribadita sia la necessità di
              un forte impegno etico sulla strada dell’equità come fondamento

                                                                                  17
su cui costruire il sistema di cure primarie e sia la condivisione
     che i servizi per essere realmente efficaci devono essere
     orientati all’integrazione delle cure, un altro concetto questo su
     cui ritorneremo.

     Questi concetti sono stati ripresi ancora più recentemente in un
     saggio sulla più prestigiosa rivista medica (Lee Jong-wook:
     Global improvement and Who: shaping the future The Lancet,
     volume 362, numero 9401 del 2003) dall’attuale Direttore del
     Who in cui l’autore riconferma che gli impegni sottoscritti ad
     Alma Ata lungi dall’essere superati, rimangono ancora oggi una
     vera priorità per tutti gli Stati; Lee Jong-wook ha anche
     ricordato le azioni che devono essere portate a termine per
     sviluppare concretamente un adeguato sistema di cure primarie:
        „     realizzare, in accordo ai principi di equità costitutivi
        della dichiarazione di Alma Ata, universalità di accesso alle
        cure, partecipazione della comunità e strategie di approcci ai
        problemi di tipo multi settoriali;
        „     prendersi carico dei problemi sanitari più importanti
        della popolazione rafforzando le funzioni sanitarie del
        sistema pubblico;
        „     creare le condizioni per una effettiva erogazione di
        servizi a vantaggio dei poveri e dei gruppi sociali più
        svantaggiati;
        „     organizzare un sistema di cure integrato e continuato,
        collegando strettamente tra loro i momenti della prevenzione
        con quelli delle cure della fase acuta e della fase cronica;
        „     impegnarsi e sforzarsi per il miglioramento continuo
        della performance del sistema.

     La costruzione di un sistema basato su queste attività e su una
     coraggiosa politica dell’intervento pubblico è dunque per il
     Direttore della Who l’elemento indispensabile per elevare il
     livello di salute delle popolazioni e superare le disuguaglianze
     che la società globale tende ad accentuare.
     Queste considerazioni hanno trovano ampia conferma negli
     studi del premio Nobel per l’economia Amarthia Sen che in un
     suo libro (“Lo sviluppo è libertà” Mondatori edizioni, 2000)
     dimostra gli stretti rapporti intercorrenti tra quello che definisce
     “sviluppo mediato dal sostegno” della società ed effetti sulla
     salute umana.

18
In particolare per Amartya Sen il miglioramento delle
               condizioni di vita di una popolazione, misurabile utilizzando
               come indicatore complessivo di risultato la riduzione della
               mortalità, possono essere rapidamente modificati attraverso due
               distinti processi: il primo growth-mediated (mediato dalla
               crescita) e il secondo support-led (mediato dal sostegno). Ma
               mentre il primo può operare solo attraverso una crescita
               economica rapida e sostenuta ed è quindi da questa dipendente,
               il secondo agisce proprio grazie ad un programma ben calibrato
               di supporto sociale ed assistenza sanitaria, istruzione e altri
               assetti sociali pertinenti, da questa indipendente ma fortemente
               legata ad una equa politica di ridistribuzione dei vantaggi sociali
               e di investimento in socialità; questo processo è ben
               esemplificato dalle esperienze di economia dello Sri Lanka,
               della Cina, del Costa Rica e del Kerala che hanno presentato un
               calo della mortalità e un miglioramento delle condizioni di vita
               rapidissimi senza una grande crescita economica.
               Nella fattispecie gli abitanti del Kerala, della Cina e dello Sri
               Lanka, nonostante i loro bassissimi livelli di reddito (inferiori a
               500 dollari annui por capite nel 1994) hanno presentato una
               speranza di vita enormemente superiore rispetto a quelle di
               popolazioni molto più ricche del Brasile del Sudafrica e della
               Namibia con valori corrispondenti per i primi a 73, 71 e 73 anni
               e per i secondi a 61, 62 e 58.
               Quel che conta dunque non è tanto la ricchezza
               complessivamente prodotta da un paese ma le modalità con cui
               vengono distribuiti i vantaggi derivanti dalla crescita economica,
               piccoli o grandi che essi siano; fatto questo che rimanda al
               primato della politica e dell’equità delle sue scelte e che toglie
               di mezzo il pensiero unico neoliberista dimostrando
               l’infondatezza delle teorie fondate sulle capacità salvifiche del
               mercato come unico mezzo idoneo al raggiungimento del
               benessere collettivo.

3. La definizione di un nuovo modello: il distretto come Area-sistema

               E’ ormai fatto acquisito che i contesti sociali dei paesi a
               capitalismo avanzato sono stati sottoposti negli ultimi anni ad
               una serie di trasformazioni che hanno esercitato conseguenze di

                                                                               19
rilievo sui sistemi di protezione sociali ed in modo particolare su
     quello sanitario. Mutamenti particolarmente significativi che,
     essendo avvenuti negli assetti profondi della società, sono ormai
     tali da rappresentare una vera sfida con cui confrontarsi ai fini
     anche della sostenibilità complessiva dei sistemi di welfare; tra
     questi fattori per diversi studiosi sono sicuramente da
     annoverare: a) il consolidarsi di processo di inflazione medica
     inteso come l’incremento della spesa sostenuta per la sanità ad
     un ritmo di crescita superiore a quello della ricchezza prodotta
     in termini di Pil; tale processo, verificatosi in quasi tutti i paesi
     europei, è tuttavia fondamentalmente mancato nel nostro dove,
     secondo i dati Ocse del 2002, la spesa sanitaria reale pro capite
     riferita all’ultimo decennio (1990-2000) è cresciuta ad un tasso
     del solo 1,4% del tutto equivalente quindi all’aumento registrato
     nel Pil (tavola 1); dati questi che dimostrano chiaramente come
     sia infondata la tesi di quanti parlano di una presunta
     insostenibilità finanziaria dell’attuale welfare state pubblico; in
     realtà costoro utilizzano strumentalmente la crescita dei costi
     effettivamente registrata negli altri paesi per proporre anche nel
     nostro caso, come unica soluzione possibile quella di un sistema
     misto assicurativo sul modello americano, nonostante questo si
     sia dimostrato nei fatti assai più costoso, iniquo e assolutamente
     meno efficiente;

20
b) il processo di iperspecializzazione del sapere medico ovvero
la progressiva frammentazione e settoralizzazione delle
competenze sempre più orientate alla parcellizzazione del sapere
e degli interventi di cura e sempre meno capace di mantenere
una dimensione olistica nella Medicina; c) la transizione
epidemiologica evidenziata dal passaggio da una prevalenza di
patologie di tipo acuto infettivo a quelle di tipo cronico
degenerativo in linea con il progressivo invecchiamento della
popolazione; d) lo sviluppo del consumerismo come elemento di
nuova partecipazione e di affermazione di una maggiore
contrattualità da parte dei cittadini che vogliono ora essere
protagonisti informati e consapevoli delle scelte che riguardano
la propria salute (G. Giarelli: in “Trasformazione dei sistemi
sanitari e sapere sociologico a cura di Costatino Cipolla,
Franco Angeli editore, Milano, 2002).

Questi mutamenti investono la globalità del mondo
industrializzato; essi pongono con urgenza delle domande sia in
termini di sostenibilità economica dei sistemi e sia in termini di
equità sostanziale, universalità, efficacia e capacità di risposta
all’esigenza di partecipazione dei cittadini; per questo, a nostro
giudizio, esse rendono necessario, anche all’interno del nostro
modello di assistenza sanitaria, procedere nella definizione di un
nuovo paradigma; un cambio importante negli assetti
organizzativi del sistema a partire dalla necessità di una chiara
definizione delle risorse finanziarie indispensabili al suo
funzionamento; una riorganizzazione complessiva che tuttavia
esige, a garanzia di equità e di universalità di accesso, il pieno
mantenimento della centralità di quell’intervento pubblico che
molti cercano ora mettere in discussione. Contro questa tesi è
invece, all’opposto, ormai definitivamente acclarato che,
nell’ambito delle tre diverse tipologie di servizi sanitari
esistenti, così come delineate da Martinelli, il servizio sanitario
di tipo pubblico (presente in Italia ed UK) quando raffrontato
con gli altri due il tipo assicurativo obbligatorio (presente in
Francia e Germania) e il tipo assicurativo privato (presente negli
Stati Uniti) risulta di gran lunga il superiore sia in termini di
performance che in termini di salute effettivamente guadagnata
da parte dei cittadini.

                                                                21
Il sistema sanitario del nostro paese tuttavia, pur avendo
     raggiunto risultati di grande rilievo, attestati dal fortissimo
     incremento della attesa di vita alla nascita, ha fortemente
     privilegiato finora una visione ospedalocentrica che ha lasciato
     alla medicina del territorio e delle cure primarie un ruolo
     secondario e spesso scarsamente qualificato. Questo sistema non
     appare più adeguato tanto alle mutate condizioni
     epidemiologiche e demografiche che hanno investito il nostro
     paese e tanto ai cambiamenti nella società e nella vita privata dei
     singoli     cittadini   determinati       dall’affermazione     della
     globalizzazione. Il cambio di paradigma necessario consiste
     dunque nel ribaltare questa condizione e nell’impegnarsi
     attivamente nello sviluppare su tutto il territorio nazionale
     un’efficiente rete di distretti e di servizi alla persona in grado di
     rispondere al nuovo contesto sociale e a quell’inedita condizione
     esistenziale (solitudine crescente, frammentarietà delle identità,
     incertezza) tipica delle moderne società senza tradizioni.
     In questo nuovo scenario il distretto deve acquisire una reale
     centralità connotandosi come il punto di incontro tra domanda di
     salute dei cittadini ed offerta di cure, benessere e nuova
     socialità; esso deve potersi configurare come una vera area–
     sistema e ricomprendere quella serie di presidi e servizi, ora
     dispersi, che sono finalizzati a dare risposte territoriali ai
     problemi di salute e di cura dei cittadini rendendo finalmente
     possibile la piena integrazione tra le attività sanitarie e quelle di
     tipo sociale.
     Le attività che devono essere garantite nell’area-distretto sono
     quelle che riguardano i bisogni reali dei cittadini e che possono
     incidere favorevolmente sulla capacità per ognuno di riuscire a
     sviluppare il proprio progetto esistenziale; queste attività
     riguardano dunque la persona come soggetto consapevole e si
     estendono dall’educazione sanitaria, alla prevenzione,
     all’erogazione dell’insieme delle cure che non necessitano del
     ricovero in ambiente ospedaliero per arrivare alla riabilitazione e
     alle attività socio-sanitarie ad alta integrazione. Il modello
     organizzativo più consono per rispondere a tali esigenze è quello
     della rete integrata dei servizi che pone l’utente al centro del
     contesto sanitario e che richiede, proprio per rendere effettiva
     questa prossimità al cittadino, una idonea strutturazione dello

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spazio distrettuale a partire dalla costituzione di aree elementari
corrispondenti ad uno o più comuni o a un quartiere urbano.
Nel distretto dovrà essere coordinata la presenza di un
dipartimento delle cure primarie di tipo funzionale in cui
vengano ricomprese, in un assetto organizzativo a matrice, tutte
le funzioni costitutive della medicina territoriale: assistenza
medica di base (medici di medicina generale e pediatri di libera
scelta, guardia medica e continuità assistenziale); assistenza
specialistica ambulatoriale extra-ospedaliera; assistenza
domiciliare (ADI, ADP, assistenza sociale, assistenza a malati
oncologici e a persone con infezione da HIV); assistenza extra-
ospedaliera, residenziale e semiresidenziale; assistenza
consultoriale, familiare e pediatrica; programmazione degli
accessi all’ospedale di comunità. Nelle aree elementari
distrettuali inoltre dovrà essere avviata la costituzione di
strutture polivalenti e funzionali in grado di erogare l’insieme
delle cure primarie e di garantire la piena continuità
assistenziale. In tale senso riteniamo prioritario procedere alla
istituzioni di strutture e luoghi di lavoro comune (la “Casa della
Salute” oggetto del convegno odierno) in cui possano cooperare
il personale assegnato al distretto (tecnico-amministrativo,
infermieristico, della riabilitazione, dell’intervento sociale)
insieme ai medici di base (che vi eleggeranno il proprio studio
associato) e agli specialisti ambulatoriali. Nella Casa della
Salute dovrà essere possibile effettuare gli accertamenti
diagnostico-strumentali di base e la gestione informatizzata dei
dati sanitari con il ricorso al teleconsulto e alla telemedicina.
L’accesso al web, tramite gli opportuni strumenti messi a
disposizione dalla moderna tecnologia, aprirà la possibilità di
comunicare con le altre strutture, di stabilire connessioni in rete
con altri centri di pari o superiore livello e di realizzare la
formazione continua on line per tutto il personale. Nella Casa
della Salute sarà presente inoltre lo sportello unico per tutte le
attività sociali ed assistenziali e sarà quindi possibile effettuare
la presa in carico del paziente superando la precedente
frammentarietà negli interventi.
Nel distretto dovranno trovare completa attuazione le attività di
prevenzione non solo relative all’ambiente di vita, ma anche
quelle connesse al controllo e alla sorveglianza degli ambienti di
lavoro ed al contrasto delle tecnopatie e degli infortuni sul
lavoro. Su questo campo occorre invertire con urgenza quella

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linea di tendenza ormai prevalente, che vede l’intervento
                pubblico come non necessario e residuale e considera le attività
                di prevenzione e sorveglianza un ostacolo allo sviluppo
                industriale e alla competitività. Fatto ancora più grave il
                disimpegno nella prevenzione delle malattie professionali si è
                ora associato allo sviluppo e alla introduzione surrettizia di una
                serie di indagini predittive, i test genetici, con i quali si vorrebbe
                screenare la popolazione lavorativa, identificando i soggetti
                “predisposti” ad ammalare; la medicina del lavoro si ridurrebbe
                a questo: allontanare dall’ambiente di lavoro i soggetti
                costituzionalmente meno resistenti, lasciando inalterata
                l’organizzazione del lavoro e riducendo al minimo gli interventi
                di bonifica ambientale.

4. Il ruolo delle Regioni e dell’Ente locale

                Ai fini di un piena realizzazione di questo modello di rete
                distrettuale un ruolo fondamentale ed insostituibile riveste
                l’attività di programmazione e di regolamentazione di
                competenza dei due principali soggetti istituzionali coinvolti: le
                Regioni e gli Enti locali, ai quali la riforma del Titolo V della
                Costituzione ha assegnato ora nuove prerogative e
                responsabilità. Questi soggetti dunque devono sviluppare
                sinergie che si devono concretizzare nell’assunzione dei
                seguenti atti legislativi:
                „ recepimento dei principi contenuti nella legge 229/99 e nella

                legge 328/2000, sviluppandone appieno le potenzialità per
                assegnare un ruolo e una responsabilità ai Comuni nel Piano
                Attuativo locale (PAL) e nel programma delle attività territoriali
                (PAT) intesi entrambi come strumenti di programmazione e di
                pianificazione degli interventi;
                „ realizzazione     del Piano Sanitario Regionale in modo
                coordinato rispetto al Piano regionale degli interventi e dei
                servizi sociali con la piena condivisione delle strategie atte a
                realizzare l’integrazione tra attività sanitarie e sociali;
                „ assegnazioni al distretto di “risorse definite” anche al fine di

                riequilibrare la spesa tra attività ospedaliera e attività sanitarie
                territoriali.

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L’emanazione coordinata di questi atti è dunque finalizzata a
definire una corrispondenza funzionale e sostanziale tra il
distretto (D. Lgs. 229/99) e la zona sociale (D. Lgs. 328/2000)
(la cui esatta definizione è ovviamente demandata alle regioni)
su cui possano insistere, in parallelo alle competenze proprie
delle Regioni, le capacità di programmazione dei Comuni, a cui
compete l’approvazione dei piani di zona, dei piani delle attività
territoriali, degli accordi di programma e dei risultati ottenuti.
Viene così a risolversi favorevolmente quella condizione
precedente dovuta al D. Lgs. n. 502 che faceva dell’Ente locale
un soggetto passivo privo di capacità di intervento nella
definizione delle scelte strategiche e nella valutazione di quanto
concretamente realizzato.

Il recepimento coordinato dei principi costitutivi di entrambi i
provvedimenti legislativi significa dunque da un lato rendere
possibile lo sviluppo della rete dei distretti e dall’altro di
conferire a tali strutture, a cui compete l’organizzazione e la
gestione integrata di tutto il sistema delle cure primarie, la piena
titolarità degli strumenti del governo effettivo dell’assistenza e
della verifica dei piani e dei risultati ottenuti.

Entrando dunque più nel dettaglio va detto chiaramente che
quegli strumenti con cui i distretti possono esercitare un’azione
di governo effettivo (a cui le regioni devono dare
indispensabilmente concreta implementazione pena la loro
nullità) sono di duplice natura: finanziaria e gestionale al
contempo. Questo significa che come elemento prioritario vi
deve essere l’attribuzione all’area sistema di risorse certe sotto
la forma di budget specifico e rispondente alle regole della
contabilità analitica; a questo vi deve poi accompagnare il
diretto affidamento della sua gestione a un direttore responsabile
provvisto di idonee capacità gestionale ed infine devono essere
previsti gli idonei strumenti di supporto ovvero la direzione
strategica e il comitato di dipartimento; in conclusione il
modello organizzativo dell’area-sistema per essere efficace deve
essere equivalente a quello dei dipartimenti di tipo strutturale e
come tale essere basato sui principi della programmazione, della
multidisciplinarietà e del lavoro di team e della valutazione dei
risultati ottenuti.

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5. Conclusioni: allocazione delle risorse ed uniformità dei Livelli delle prestazioni

                Sviluppare una rete di distretti e potenziare gli interventi di
                territorialità significa in conclusione introdurre una discontinuità
                nel modello finora prevalente di servizio sanitario a partire da
                una diversa allocazione delle risorse tra i tre macrolivelli di
                assistenza previsti dal Piano Sanitario nazionale 1998-2000:
                prevenzione, assistenza distrettuale ed assistenza ospedaliera;
                occorre infatti invertire il trend del flusso dei finanziamenti così
                come è stato autorevolmente evidenziato dalla Corte dei Conti
                nella parte della “Relazione sulla gestione finanziaria delle
                regioni per gli anni 2001 e 2002” dedicata ai livelli essenziali di
                assistenza erogati e alla ripartizione percentuale delle risorse.

                Nell’anno 2000 le percentuali di assorbimento sono state
                rispettivamente del 3,6% per la prevenzione, del 46,7% per la
                distrettuale, del 49,7% per l’ospedaliera, confermando la nota
                tendenza a privilegiare l’intervento ospedaliero. La
                consapevolezza di tale squilibrio è stata doverosamente recepita
                in sede di Conferenza Stato-Regioni dove nella relazione tecnica
                di base all’accordo del 22 novembre 2001 per la definizione dei
                Lea, si è convenuto sulla necessità di un incremento futuro della
                composizione percentuale da riservare alla prevenzione e alla
                distrettuale. La prima dovrebbe nel triennio 2002-2004 passare
                dalla attuale percentuale di composizione del 3,6% a quella
                maggiore del 5%, mentre per la distrettuale il valore di
                riferimento implicherebbe un incremento di peso percentuale
                dall’attuale 46,7% al 49,5%. Specularmente per l’ospedaliera
                l’obiettivo per il triennio 2002-2004 è di una diminuita presenza
                finanziaria da contenere entro la percentuale del 45,5%, a fronte
                dell’attuale 49,7%.
                Questa diversa e più opportuna allocazione delle risorse non
                risolve ovviamente il problema centrale della cronica sottostima
                del finanziamento a disposizione del Servizio sanitario;
                sottostima divenuta ora una vera emergenza che rischia di
                portare, senza immediati interventi correttivi, al collasso e
                all’implosione dell’intero sistema come denunciato in più
                occasioni e all’unanimità da parte di tutti i Governatori.

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