Le cure primarie, la Casa della Salute - Quaderni del socio sanitario n. 6 - PER IL DIRITTO ALLA SALUTE, UN SISTEMA DI QUALITÀ
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PER IL DIRITTO ALLA SALUTE, UN SISTEMA DI QUALITÀ Le cure primarie, la Casa della Salute Q uaderni del socio sanitario n. 6
Segreteria di redazione: Velia Mariconda Progetto grafico: Daniela Boccaccini Stampa: Tipografia Salemi Finito di stampare nel mese di maggio 2004 Disponibile on line: www.cgil.it/welfare
INDICE La domanda di salute e di benessere sociale dei cittadini. Le risposte sociosanitarie sul territorio di Michele Mangano……………………………………………………………….....…....................... 05 Il distretto sociosanitario come area-sistema di Roberto Polillo…………………………...………………………………………….......................... 15 1. Il Servizio sanitario e la sfida delle crescenti fragilità..……………..................... 15 2. L’impegno della Who per lo sviluppo delle Cure primarie…….…...................... 17 3. La definizione di un nuovo modello: il distretto come Area-sistema............................................................................. 19 4. Il ruolo delle Regioni e dell’Ente locale............................................................... 24 5. Conclusioni: allocazione delle risorse ed uniformità dei Livelli delle prestazioni........................................................................................ 26 Una nuova proposta per l’Assistenza Primaria: la Casa della Salute di Maurizio Marchionne……...………………………………………………………............................ 30 La Casa della Salute di Bruno Benigni.......……………………………………………………………………....................... 37 1. La Casa della Salute: le funzioni/attività distribuite per aree.……....................... 44 Il ruolo degli operatori della sanità per la promozione della salute di Rossana Dettori…………………………………………………….……………............................... 54 Genova: alcune idee per costruire il distretto socio-sanitario di Roberta Papi….........………………………………………………………………............................ 58 Distretti e cure primarie in Sardegna di Elisabetta Perrier………………………...…………………………………………........................... 63 1. La legislazione speciale.................................................……………................... 63 2. I distretti in Sardegna…...........................................................….…................... 65 3. Il rapporto fra ospedale e territorio...................................................................... 67 4. I medici di famiglia.............................................................................................. 68 5. Le prospettive...................................................................................................... 70 Le cure primarie di Daniela Cappelli………………………………………………………………………........................ 72 Il distretto di domani di Gavino Maciocco……………………………………………………………………........................... 75 1. Introduzione.................................................…………….................................... 75 2. Il riequilibrio dell’offerta….....................................................….…..................... 77 3. Il caso inglese....................................................................................................... 78 4. Il caso americano.................................................................................................. 80 5. Il Distretto di domani............................................................................................ 83 6. Le diverse aree di governo del Distretto................................................................ 85 7. Gli strumenti per il governo del Distretto............................................................... 87 3
LA DOMANDA DI SALUTE E DI BENESSERE SOCIALE DEI CITTADINI. LE RISPOSTE SOCIOSANITARIE SUL TERRITORIO di Michele Mangano, Segreteria nazionale Spi Cgil La sanità e la sicurezza sociale, sono temi che suscitano sempre maggiore interesse tra i cittadini, e richiedono interventi sempre più adeguati e qualificati da parte dello stato e delle istituzioni pubbliche in generale. Oggi, però, le prestazioni sanitarie e sociali vengono erogate più in relazione alle compatibilità economiche e di bilancio dei soggetti che li erogano, anziché dalla necessità e dai bisogni di chi li chiede. In altri termini, alla centralità della persona si è sostituita la centralità del mercato, che secondo il pensiero liberista rappresenta l'unico regolatore delle prestazioni sanitarie e sociali in rapporto alle sue compatibilità. Gli stessi livelli essenziali, che sono costituzionalmente garantiti (art. 117 nuova Cost.) vengono subordinati a questa logica che assume un carattere meramente risarcitorio. Il Governo italiano con la stesura del libro bianco sul welfare, ha consolidato questa filosofia traducendola in atteggiamenti e provvedimenti che stanno smantellando lo stato sociale nel nostro Paese. Sotto il mirino non c'è solo la previdenza con una riduzione della spesa dello 0,7%, ma anche la scuola, l'assistenza e la sanità. La riduzione annuale del fondo nazionale sociale e la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali impediscono di fatto il potenziamento e la qualificazione dei servizi sociali e mettono a dura prova ogni possibile intervento per realizzare l'integrazione socio sanitaria nei territori. La sottostima del fondo sanitario nazionale produce un oggettivo indebolimento del servizio sanitario pubblico che in questo momento non è in grado di garantire neppure i livelli essenziali di assistenza. Tutto ciò, incide profondamente sulla offerta pubblica che e spinge i cittadini a rivolgersi all’offerta privata. Accanto a questa politica vi sono poi altre difficoltà che nascono dai cambiamenti presenti nella società che pongono problemi sulla individuazione il più possibile precisa della domanda di salute e di benessere sociale avanzata dai cittadini. 5
Non bisogna sottovalutare il fatto che siamo in presenza di un passaggio epocale da una "società giovane" ad una "società sempre più anziana" che richiede un'organizzazione complessa di opportunità modulate nella diversa evoluzione demografica. Quindi anche l'anziano va visto come soggetto che partecipa al cambiamento, e ne influenza gli orientamenti. Nuovi bisogni e nuove regole possono promuovere processi economici in cui il benessere individuale e collettivo s'intrecciano e costituiscono la base per creare rapporti e scambi tra le generazioni. Appare evidente che anche la domanda di salute e di benessere dei cittadini è collegata alle mutevoli condizioni economiche, sociali dei soggetti e dei territori in cui essi vivono; dagli stili di vita che conducono; dalle scelte libere o meno che essi fanno in relazione alle condizioni ambientali, di lavoro, di formazione e di cultura che hanno. Vi è dunque una forte correlazione tra i fattori ora richiamati e la domanda di salute, perché da essi dipendono molte patologie ordinarie e/o croniche che vengono diagnosticate in medicina. Non è un caso che l'Oms nel progetto "Health 21" sottolinea l'esigenza di porre maggiore attenzione alle variabili condizioni sociali, sanitarie ed economiche che influiscono sullo stato di salute. Indicando agli stati membri europei la necessità di intervenire in questa direzione. Esistono, infatti, numerose e solide indagini epimiedologiche che dimostrano che a bassi livelli di qualità della vita (livello economico, livello di lavoro, livello di informazione, ecc.) corrisponde un'alta incidenza di patologie gravi e in molti casi invalidanti. Se a questo aspetto si aggiunge, poi, l’effetto che l'invecchiamento della popolazione produce nei consumi di assistenza, di sanità e di farmaci, si può avere la cartina tornasole dell'andamento della domanda in relazione alle necessità ed ai bisogni della popolazione compresa quella anziana. Vi è, dunque, una dimensione etica del problema (l'etica della salute come ricordava Massimo Cozza nella sua relazione d'insediamento della Cgil Medici) che va affrontata superando intanto le disuguaglianze, ed adottando misure idonee contro la povertà, la fame e le malattie (soprattutto quelle infettive) ed adottando politiche di coesione sociale che aiutino a prevenire le patologie prima ancora di curarle e sconfiggerle. 6
Lo stato socio economico dei cittadini è una condizione "multidimensionale" le cui coordinate principali sono determinate dal sapere (istruzione); dal reddito (lavoro); dal sociale (benessere) che sono strutturalmente legate tra loro. Non è un caso che il tasso di mortalità ma anche di malattie degenerative e/o invalidanti è più basso nelle società dove la differenza di reddito sono minori e quindi con un più basso livello di povertà relativa. Il nostro Paese, comunque, al di là della sua notevoli contraddizioni, è stato considerato fino al 2001 uno dei migliori Paesi per condizioni di vita e di salute. Segno che nonostante le difficoltà e le carenze denunciate ha avuto un sistema sanitario pubblico tra i migliori del mondo. Un sistema che rischia però di esplodere per la dissennata politica del governo nazionale richiamata all'inizio. Oggi, infatti, la situazione è profondamente cambiata rispetto al 2001 e volge decisamente al peggio. Questa diagnosi è confermata da tutti gli osservatori che si occupano di sanità. L’abbiamo denunciato alla 1° Conferenza sulla Salute a Roma. Lo si legge nel IV rapporto sulle politiche della cronicità pubblicato dal coordinamento nazionale delle associazioni dei malati, cittadinanza attiva: vi è una lenta ma costante erosione del Ssn con una riduzione dell'accessibilità ai servizi, un consolidamento dei tagli alle prestazioni, lunghi ed inaccettabili tempi di attesa per le principali prestazioni di diagnostica strumentale, ma anche per la radioterapia, un uso disinvolto della libera professione intramuraria come sistema per aggirare, a spese dei cittadini, i ritardi e le insufficienze del servizio pubblico. Si attuano, in altri termini, politiche governative mirate a privatizzare il sistema sanitario pubblico per ridurre i costi a carico dello stato. Questa situazione incide sulle condizioni di salute dei cittadini che denunciano molti nuovi punti di criticità del sistema sanitario pubblico che vanno affrontati e rapidamente rimossi. Eppure nonostante si faccia questa analisi alcune indagini statistiche fatte sul territorio nazionale evidenziano che in apparenza la generalità dei cittadini, ad eccezione della popolazione anziana, non mostra particolari sofferenze. L'ultima indagine multiscopo Istat sulle famiglie (anno 2003) per esempio ha rilevato che la percentuale di persone che 7
dichiara di godere di un buono stato di salute è sostanzialmente stabile nel tempo ed è pari a due terzi della popolazione (74,7% nel 2002). Tale percentuale risulta più elevata negli uomini (78,1%) che nelle donne (71,5%). La percezione di buona salute decresce rapidamente al crescere dell'età. Solo il 24,2% degli ultrasessantacinquenni dichiara un buono stato di salute. In questo contesto lo svantaggio femminile emerge anche dall'analisi dei dati relativi alla quota di popolazione che soffre di almeno una malattia cronica, il 38,9% delle donne si trova in queste condizioni contro il 33,4% degli uomini. Anche la proporzione di malati cronici che dichiara di stare bene in salute è più elevata negli uomini (52,6%) che nelle donne (43,3%). Eppure un italiano su tre soffre di almeno una patologia cronica, uno su cinque dichiara di essere afflitto da almeno due patologie croniche. All'incirca un malato cronico su due dice comunque di stare bene. Si tratta di un paradosso che può avere diverse letture: difficoltà a curarsi, difficoltà di accesso alle cure, fragilità economica, disinformazione o semplice negligenza, rassegnazione alla malattia. Non c’è dubbio che il caro vita ed il caro prezzi e tariffe hanno inciso profondamente anche sui consumi sanitari. E tuttavia il problema esiste e va meglio indagato. Approfondendo, invece, fin nel dettaglio le singole malattie croniche che determinano una variazione della domanda di cura e di assistenza, quelle più frequentemente riportate sono: l'artrosi o artriti, l'ipertensione, il diabete, la bronchite cronica, l'osteoporosi, le malattie cardiache, le malattie allergiche, le malattie nervose, l'ulcera gastrica o duodenale. Vi sono, poi, i malati di Alzheimer (circa 800.000), i nefropatici (39.000), gli affetti da sclerosi multipla (50.000) e i non autosufficienti (2.800.000). Quello che è certo e che dai dati statistici si rileva una rapida crescita delle percentuali di persone affette dalle diverse malattie croniche all'aumentare dell'età, con l'eccezione delle malattie allergiche che, in particolare negli uomini, hanno una prevalenza nell'età giovanile. In relazione a questo quadro d patologie, ma anche più in generale, il consumo dei farmaci è medio con il 38,5% al Nord, il 35,1% al Centro e il 30,5% al Sud anche in conseguenza della 8
diversa struttura per età che nella prima ripartizione presenta quote più elevate per le persone anziane. Il peso del costo dei farmaci incide molto sulla spesa sanitaria. E tuttavia noi riteniamo che non è con la politica dei ticket che si possa affrontare il problema. Credo sia utile tornare rapidamente a ragionare sull'appropriatezza delle prescrizioni, sul tema dei generici, sulle composizioni monodosaggio, sul ruolo della nuova Agenzia nazionale del farmaco che assorbe la Cuf; ma soprattutto confrontarsi con l’idea ormai sempre più diffusa di pensare al cosiddetto farmaco personalizzato che farebbe la fortuna delle case farmaceutiche. Ritornando al tema della cronicità, possiamo dire che esse rappresentano uno degli elementi di maggiore sollecitazione della domanda assistenziale e sanitaria, sia per le dimensioni che esse hanno sia per i bisogni che esse esprimono in tutto il paese. Lo si può constatare per i soggetti non autosufficienti il cui fenomeno ha raggiunto dimensioni elevatissime con 2.800.000 persone colpite dalla nascita o del sopraggiungere di patologie invalidanti, il 70% dei quali sono anziani ultrasessantacinquenni (1.800.000); il 44% di queste persone rimane confinato in casa, il resto va in RSA o in casa di riposo. (Il fenomeno è dato in costante crescita tanto che l'Istat prevede che il trend della non autosufficienza avrà nel 2010 un'incidenza del 6,1% rispetto all'attuale 4,9% per passare nel 2020 al 7,1% con un aumento di oltre un milione di nuovi soggetti non autosufficienti). Appare evidente che in questo caso la domanda di assistenza e di sanità è fortemente collegata alla necessità ed ai bisogni della persona malata e della sua famiglia, ed evidenzia una forte esigenza d'integrazione tra il sociale ed il sanitario (229/99 e 328/2000 ed atto d'indirizzo). Lo strumento organizzativo per rendere esigibili le prestazioni socio assistenziali e socio sanitarie è il distretto dal quale deve partire il progetto per l'integrazione, per la costruzione della rete dei servizi, per i progetti individualizzati indicati dalla UVM, per l'ADI, per i ricoveri in RSA o in case protette, per i centri diurni, ecc. Analogo ragionamento va fatto per alcune patologie specifiche che stanno dentro il concetto stesso di non autosufficienza. (Demenza senile, Alzheimer, che hanno un'incidenza sempre crescente per i soggetti ultrasessantacinquenni 11,9 di casi su 1.000 all'anno di cui 10,3 uomini e 13,3 donne). 9
I costi di queste patologie invalidanti, gravano ancora prevalentemente sulla famiglia e sulle donne. Sono stimati attorno al 77% dell'intero costo assistenziale. Se il costo totale di ogni paziente è stimato per la gestione complessiva a circa 50.000 euro l'anno, si può comprendere quanto incide, anche sul piano economico, tale condizione in ogni famiglia. Ovviamente non è solo la non autosufficienza a determinare la domanda di assistenza e di sanità. Vi sono molte altre malattie che meriterebbero una attenta valutazione (allergie, malformazioni congenite, all’asma ecc.) ma per ragioni di tempo richiamerò la vostra attenzione solo su quelle che Oms ha ritenuto di rilevantissimo interesse. Il diabete, per esempio, rappresenta una vera e propria epidemia globale. Le ultime stime parlano di 2 milioni di diabetici in Italia e di circa 177.000.000 nel mondo ed il numero è destinato ad aumentare addirittura a raddoppiare entro il 2025. Non occorre ricordare ad una platea di esperti cosa significa questa malattia e gli effetti che essa produce se mal curata o trascurata come spesso avviene: cecità, insufficienza renale, complicazioni cardiovascolari, ulcerazioni e pericoli di amputazioni). Il diabete è una delle malattie che produce uno dei più alti tassi di ricoveri ospedalieri. Anche in questo caso, una maggiore azione di prevenzione e soprattutto la possibilità di accedere con maggior felicità alla glargine che è un nuovo tipo di insulina a lento rilascio in grado di mantenere più stabili la glicemia, potrebbe prevenire almeno il 20% di rischio ipoglicemico e ridurre la somministrazione giornaliera di normale insulina nonché i ricoveri ospedalieri. Un'altra patologia che evidenzia una forte richiesta di assistenza è l'osteoporosi. A tale riguardo si calcola che nel nostro paese almeno 2 milioni di persone si trovano già nelle condizioni di osteoporosi con elevato rischio di frattura. L'Unione Europea ritiene che ogni anno circa 150.000 persone muoiono a seguito di fratture osteoporotiche di femore o di vertebra e che circa un milione e mezzo di lavoratrici e lavoratori subiscono analoghe fratture (con costi elevatissimi, circa 17 miliardi di euro l'anno). Eppure anche in questo caso nel nostro Paese c’è poca prevenzione e lo stesso esame di densiometria ossea è parzialmente esclusa dai Lea, come 10
risultano parzialmente escluse dai Lea l'assistenza odontoiatrica che colpisce oltre il 70% della popolazione anziana. Vale la pena, inoltre, richiamare alla nostra attenzione un'altra patologia che risulta in costante aumento tra i cittadini adulti, mi riferisco alla incontinenza urinaria. Anche in questo caso nel nostro Paese si calcola che oltre 3 milioni di persone adulte e anziane siano affette da questa forma di malattia che risulta essere invalidante per chi ne soffre. E' importante in questa patologia la conoscenza, i fattori a rischio, la diagnosi e la terapia approfondita per dare un aiuto concreto a chi ne soffre. Non ritengo sia il caso di richiamare molte altre malattie come la cefalea, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (4.000.000 di persone) le artriti o artrosi reumatoide che risultano particolarmente presenti anche nel nostro Paese e dalle quali derivano necessità e bisogni ai quali occorre dare risposte adeguate ed efficaci. Mi pare che il quadro fino ad ora richiamato è sufficiente per capire l’evoluzione della domanda di assistenza e di sanità che c’è nel nostro Paese. Le offerte del servizio sanitario pubblico e di quello sociale non sono, al momento, in grado di rispondere in modo appropriato a tale domanda. Recentemente qualcuno ha opportunamente ricordato che non c’è iniziative nel campo sanitario e/o sociale dove il tema della qualità e dell’appropriatezza non venga sollevato. La domanda da porsi è cosa si intende per appropriatezza. Ritengo che la risposta debba essere un servizio sanitario pubblico effettivamente efficace ed efficiente. Ma come può fare un cittadino a sapere che ciò che gli viene somministrato è davvero utile per la sua salute o per curare le sue patologie. Ecco questa è una sfida sulla quale è giusto impegnarsi sia come professionisti che come associazioni o forze sociali. La prima Conferenza nazionale della Cgil sulla salute ha rilevato tra i tanti temi da approfondire e da sviluppare proprio quello della qualità e dell’appropriatezza degli interventi sanitari ed assistenziali. Quali risposte bisogna dare, allora, ai cittadini ed alle loro necessità ed ai bisogni di salute e di assistenza che esprimono? Credo che una prima risposta riguarda l’attuazione dei Lea. 11
Come Spi-Cgil siamo stati sempre critici sulla loro determinazione che oltre ad essere stata definita in modo unilaterale dal Governo (fuori dal piano sanitario; senza concertazione con le parti sociali e con Dpcm anziché con legge) presenta significative esclusioni che intercettano bisogni sempre crescenti nelle persone soprattutto quelle anziane. Mi riferisco alla odontoiatria, alla riabilitazione ed alla medicina non convenzionale (non tutta, ovviamente, ma su questi argomenti occorrerebbe un ulteriore approfondimento anche tra noi). Tuttavia riteniamo che al momento dato è indispensabile rendere almeno esigibile e garantire in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale i livelli già definiti. In particolare riteniamo sia necessario garantire, potenziare e qualificare l’assistenza distrettuale quella erogata dalla Asl e dai distretti sanitari che comprende la medicina di base ambulatoriale e domiciliare, la guardia medica, l’emergenza, l’assistenza farmaceutica, l’assistenza integrativa e quella per le persone con il diabete mellito, l’assistenza specialistica e diagnostica con particolare riferimento alla eliminazione delle liste di attesa, l’assistenza protesica e domiciliare e tutte le attività rivolte a particolari categorie di persone: i disabili, i non autosufficienti; tossicodipendenti ecc… Per l’assistenza ospedaliera vanno garantiti il pronto soccorso (eliminando l’assurda pratica dei ticket laddove ci sono); il ricovero ordinario; il day hospital e il day surgery; l’ospedale domiciliare, la riabilitazione e la lunga degenza per i post-acuti: (forse è necessario rivedere le norme previste dal D. Lgs. 502/92 che ha introdotto il sistema dei Drg che stabilisce rigidamente i giorni di ricovero in relazione all’intervento subito. Tale sistema ha particolarmente penalizzato tutte quelle situazione per cui i tempi di recupero sono superiori agli standard previsti e nella generalità dei casi l’assistenza dei post-acuti grava quasi esclusivamente sulle famiglie. E’ necessario realizzare un collegamento tra le strutture sanitarie residenziali e quelle territoriali in modo che le dimissioni dall’ospedale siano seguite e protette. Oltre alla garanzia sui Lea, la domanda di salute espressa dai cittadini ci porta a chiedere una nuova e più efficace organizzazione della medicina nel territorio con l’obiettivo di dare continuità assistenziale, presa a carico dei pazienti, la realizzazione di una più incisiva attività di promozione della 12
salute e di educazione alla salute; abbattimento delle liste di attesa, riduzione dei ricoveri impropri; attivazione dei percorsi assistenziali anche quelli personalizzati; efficace politica d’integrazione socio-sanitaria. In questi obiettivi e nella loro concreta attuazione si sostanzia il processo evolutivo della sanità nel territorio che assume una nuova centralità come sede primaria di assistenza rispetto ai servizi ospedalieri. In questa direzione il distretto socio-sanitario è per noi lo strumento organizzativo più efficace per realizzare questi obiettivi: la costituzione del nuovo distretto deve essere l’occasione per avviare e sviluppare attraverso la programmazione e la concertazione il patto di solidarietà per la salute. Il distretto deve garantire al cittadino la presa in carico della sua domanda di salute e deve realizzare la continuità assistenziale. Gli altri attori principali di questo processo diventano il medico di medicina generale e il pediatra di libera scelta che attraverso un recupero del rapporto diretto con il paziente diventano i primi responsabili della funzione di analisi e valutazione dei bisogni e di quella d’indirizzo delle migliori modalità per soddisfarli. A loro compete, infatti, la indicazione dell’appropriatezza delle cure e delle prestazioni, dialogare con il distretto; l’ospedale o le altre strutture di assistenza nel territorio. Interagire con il modello organizzativo più in termini professionali che burocratici (non certo per loro responsabilità dato l’eccessivo numero di certificazioni che sono chiamati a rilasciare per conto della Asl). Interagire inoltre, con le unità di valutazione multidimensionali che rappresentano nell’ambito del distretto un punto di riferimento importante per la valutazione del caso e per la costruzione e la presa in carico del percorso assistenziale. Tutto questo significa affrontare con maggiore determinazione i temi relativi alle cure primarie ed alla degenze territoriali nella rete distrettuale in applicazione della legge 229/99 (costituzione ospedali di comunità, casa della salute, società della salute, proposte che bisogna confrontare con le unità territoriali di assistenza proposte in via sperimentale del Ministro della Salute). E’ necessario pensare a sviluppare un approccio integrato ai percorsi assistenziali ed alla richiesta di una attenzione diversa per la personalizzazione degli stessi o al bisogno di disporre sempre di più della possibilità di essere presi in carico dal 13
sistema dei servizi e non di doversi preoccupare in prima persone o attraverso i propri familiari della ricomposizione di ciò che il servizio può offrire. In questa direzione e concludo assume un particolare rilievo il tema dell’informazione e della comunicazione. In un recente convegno organizzato da Federsanità Anci e Welfarmed è stato rilevato da fonti autorevoli che la comunicazione in sanità è uno strumento fondamentale per consentire agli utenti la fruizione dei servizi offerti; superando le difficoltà di accesso per disinformazione e/o per mancata informazione. Importante a tal riguardo è la costruzione ed il funzionamento della carta dei servizi e l’attivazione degli uffici relazioni con il pubblico previsti nella PA dalla legge 150/2000. Uffici che devono diffondere in modo chiaro e con linguaggio comprensibile e semplice la normativa di accesso ed illustrare l’attività delle istituzioni sanitarie. La carta dei servizi in molti casi ha funzionato male perché si è trasformata in poderosi documenti pieni di nomi e di orari del tutto illeggibile per l’utenza ed in altri casi ancora perché ha assunto la caratteristica dell’episodicità e dello scarso aggiornamento. Per questo motivo e per l’utilità che esse hanno nella comunicazione vanno riproposte e riformate. Riteniamo che a tal riguardo occorre raccogliere e realizzare i suggerimenti dati dalla Federazione Europea circa l’alleanza tra sistema sanitario e cittadini per costruire insieme tutto ciò che è necessario per garantire ai cittadini uno dei diritti fondamentali della Costituzione: il diritto alla salute. 14
IL DISTRETTO SOCIOSANITARIO COME AREA-SISTEMA di Roberto Polillo, Responsabile Politiche della Salute Cgil nazionale 1. Il Servizio sanitario e la sfida delle crescenti fragilità L’estate appena trascorsa ha evidenziato una fragilità inattesa nei servizi sanitari del vecchio continente; decine di migliaia di anziani sono deceduti stroncati dal caldo insopportabile ed ancora di più dall’indifferenza dei servizi pubblici che li hanno abbandonati, nell’incuria, alla loro solitudine. Il fenomeno è stato particolarmente vistoso in Italia ed in Francia, dove rispetto alla prima, sono stati subito disponibili i dati (le morti sono state superiori a 12.000) che hanno a loro volta determinato le tempestive dimissioni del Direttore del ministero della sanità. Nulla di tutto questo è accaduto nel nostro paese che ha registrato più di 7.000 morti e dove invece il Ministro della Sanità si è lanciato in un attacco ai Comuni addossando loro ogni responsabilità, colpevolmente immemore dei tagli dei trasferimenti agli enti locali e regioni perpetrati dal Governo con la Finanziaria 2003 e con la perversa applicazione della legge n. 63 ed ora riconfermati nella legge Finanziaria per il 2004. La vicenda è stata tuttavia doppiamente triste: per il carico di sofferenze che ha comportato e per la debacle subita dai servizi sanitari francese ed italiano, riconosciuti solo tre anni fa dalla OMS nella sua indagine “The world health report 2000. Health systems: improving performance” condotta sui 191paesi membri come i due migliori del mondo per performance complessiva (rapporto tra risorse impegnate e risultati, indice di valutazione 0.991 e 0.994) ed ora dimostratisi totalmente inadeguati ad affrontare una emergenza sanitaria che poteva essere controllata se fosse stato presente un efficace sistema di cure primarie. Bernardo Valli tra i tanti giornalisti che si sono occupati del problema, ha così sintetizzato sul quotidiano La Repubblica del 4 settembre 2003 le cause di quanto accaduto in Francia: sono stati ridotti gli aiuti personalizzati e finalizzati a rendere autonomi gli anziani come aveva invece fatto il precedente governo; 15
sono stati ridotti i finanziamenti complessivi per la terza età; non è stata compresa tempestivamente la gravità di quanto stava accadendo e non è stato dichiarato in tempo utile lo stato di emergenza sanitaria. La situazione nel nostro paese non è stata certo dissimile. E se da un lato è innegabile il profondo cambiamento avvenuto della società con la lacerazione di quelle reti di protezione per così dire di “riserva”, che, tessute in casa a proprie spese dalle comunità familiari o dai vicini, rappresentavano un tempo le trincee di seconda linea dove feriti e contusi si rifugiavano a curare i danni riportati nelle battaglie sul fronte del mercato (Z. Bauman: Il disagio della posmodernità Mondadori Milano 2000); dall’altro è altrettanto innegabile che si sono dimostrate parimenti inesistenti le reti di intervento che le istituzioni dovrebbero stendere a sostegno dei soggetti deboli ed in particolare degli anziani sempre più soli in questa società fortemente de-tradizionalizzata. Una società, la nostra, dove l’area della fragilità è progressivamente cresciuta a partire dalle condizioni di povertà che non investono ora soltanto i senza lavoro, ma al contrario si estendono minacciose a quote crescenti di salariati; è questo che evidenzia con chiarezza l’ultimo rapporto Istat che stima gli individui in condizione di povertà assoluta in oltre tre milioni di unità e quelli in povertà relativa in sette milioni (Istat: Rapporto sulla povertà, 2003). In questa battaglia contro l’emarginazione crescente di quote consistenti della popolazione, le Regioni e gli Enti Locali sono stati abbandonati dalla Stato che invece di investire, lesina i finanziamenti necessari allo sviluppo di un coerente sistema di protezione ed assistenza primaria (mancano alle casse delle regioni per il solo quadriennio 2001-2004 circa 25 miliardi di € tra deficit di cassa per mancati trasferimenti e deficit strutturale per insufficienti finanziamenti; mancano le risorse per i comuni che hanno visto nel 2004 un taglio nei trasferimenti pari al 3,7%); un sistema integrato di cure che va invece rafforzato ed in alcuni casi costruito partendo da un assunto fondamentale: sanare la frattura esistente tra intervento sanitario e sociale e nell’ambito del primo rivedere il primato tradizionalmente 16
attribuito all’ospedale rispetto al territorio. In altre parole questo significa porre al primo punto la costituzione di una forte rete distrettuale e di strutture dove realizzare: interventi di prevenzione primaria e di educazione finalizzata all’acquisizione per tutti di una effettiva capability (Amarthia Sen); una assistenza sanitaria in grado di affrontare tutte quelle condizioni cliniche che per particolare complessità non possono essere gestite al di fuori dell’ambiente ospedaliero; una reale domiciliarizzazione ed umanizzazione delle cure attraverso la costituzione di equipes di intervento multidisciplinari e muntiprofessionali; una definizione puntuale di percorsi assistenziali personalizzati capaci di integrare la fase della cura con quello della riabilitazione e della prevenzione secondaria e terziaria non abbandonando il paziente nell’incertezza. 2. L’impegno della Who per lo sviluppo delle Cure primarie L’importanza della presenza e dello sviluppo in ogni paese di un efficace sistema di cure primarie è testimoniato dalla stessa storia della Organizzazione Mondiale della Sanità. La Who infatti fin dalla sua costituzione, avvenuta nel 1946, ha messo con decisione al centro della sua azione di promozione della salute questa idea forte dello sviluppo delle cure primarie, ritenuta l’unico mezzo realmente efficace per il raggiungimento di effettiva equità tra i cittadini. Con la storica Dichiarazione di Alma Ata del 1978 vennero successivamente elencate le questioni più significative per garantire la “salute per tutti nel 2000”; la dichiarazione muoveva dall’assunzione che le diseguaglianze nello stato di salute tra e all’interno degli stati erano “politicamente, socialmente ed economicamente inaccettabili” e che l’obiettivo di offrire a tutti i cittadini un livello di cure adeguato ad una vita degna e produttiva poteva essere raggiunto solo tramite lo sviluppo di un sistema di cure diffuse. I principi della Dichiarazione, rimasta purtroppo in molti paesi una formula vuota o vanificata da una progressiva privatizzazione dei servizi, sono stati riconfermati nel World health report 2003; in tale sede è stata ribadita sia la necessità di un forte impegno etico sulla strada dell’equità come fondamento 17
su cui costruire il sistema di cure primarie e sia la condivisione che i servizi per essere realmente efficaci devono essere orientati all’integrazione delle cure, un altro concetto questo su cui ritorneremo. Questi concetti sono stati ripresi ancora più recentemente in un saggio sulla più prestigiosa rivista medica (Lee Jong-wook: Global improvement and Who: shaping the future The Lancet, volume 362, numero 9401 del 2003) dall’attuale Direttore del Who in cui l’autore riconferma che gli impegni sottoscritti ad Alma Ata lungi dall’essere superati, rimangono ancora oggi una vera priorità per tutti gli Stati; Lee Jong-wook ha anche ricordato le azioni che devono essere portate a termine per sviluppare concretamente un adeguato sistema di cure primarie: realizzare, in accordo ai principi di equità costitutivi della dichiarazione di Alma Ata, universalità di accesso alle cure, partecipazione della comunità e strategie di approcci ai problemi di tipo multi settoriali; prendersi carico dei problemi sanitari più importanti della popolazione rafforzando le funzioni sanitarie del sistema pubblico; creare le condizioni per una effettiva erogazione di servizi a vantaggio dei poveri e dei gruppi sociali più svantaggiati; organizzare un sistema di cure integrato e continuato, collegando strettamente tra loro i momenti della prevenzione con quelli delle cure della fase acuta e della fase cronica; impegnarsi e sforzarsi per il miglioramento continuo della performance del sistema. La costruzione di un sistema basato su queste attività e su una coraggiosa politica dell’intervento pubblico è dunque per il Direttore della Who l’elemento indispensabile per elevare il livello di salute delle popolazioni e superare le disuguaglianze che la società globale tende ad accentuare. Queste considerazioni hanno trovano ampia conferma negli studi del premio Nobel per l’economia Amarthia Sen che in un suo libro (“Lo sviluppo è libertà” Mondatori edizioni, 2000) dimostra gli stretti rapporti intercorrenti tra quello che definisce “sviluppo mediato dal sostegno” della società ed effetti sulla salute umana. 18
In particolare per Amartya Sen il miglioramento delle condizioni di vita di una popolazione, misurabile utilizzando come indicatore complessivo di risultato la riduzione della mortalità, possono essere rapidamente modificati attraverso due distinti processi: il primo growth-mediated (mediato dalla crescita) e il secondo support-led (mediato dal sostegno). Ma mentre il primo può operare solo attraverso una crescita economica rapida e sostenuta ed è quindi da questa dipendente, il secondo agisce proprio grazie ad un programma ben calibrato di supporto sociale ed assistenza sanitaria, istruzione e altri assetti sociali pertinenti, da questa indipendente ma fortemente legata ad una equa politica di ridistribuzione dei vantaggi sociali e di investimento in socialità; questo processo è ben esemplificato dalle esperienze di economia dello Sri Lanka, della Cina, del Costa Rica e del Kerala che hanno presentato un calo della mortalità e un miglioramento delle condizioni di vita rapidissimi senza una grande crescita economica. Nella fattispecie gli abitanti del Kerala, della Cina e dello Sri Lanka, nonostante i loro bassissimi livelli di reddito (inferiori a 500 dollari annui por capite nel 1994) hanno presentato una speranza di vita enormemente superiore rispetto a quelle di popolazioni molto più ricche del Brasile del Sudafrica e della Namibia con valori corrispondenti per i primi a 73, 71 e 73 anni e per i secondi a 61, 62 e 58. Quel che conta dunque non è tanto la ricchezza complessivamente prodotta da un paese ma le modalità con cui vengono distribuiti i vantaggi derivanti dalla crescita economica, piccoli o grandi che essi siano; fatto questo che rimanda al primato della politica e dell’equità delle sue scelte e che toglie di mezzo il pensiero unico neoliberista dimostrando l’infondatezza delle teorie fondate sulle capacità salvifiche del mercato come unico mezzo idoneo al raggiungimento del benessere collettivo. 3. La definizione di un nuovo modello: il distretto come Area-sistema E’ ormai fatto acquisito che i contesti sociali dei paesi a capitalismo avanzato sono stati sottoposti negli ultimi anni ad una serie di trasformazioni che hanno esercitato conseguenze di 19
rilievo sui sistemi di protezione sociali ed in modo particolare su quello sanitario. Mutamenti particolarmente significativi che, essendo avvenuti negli assetti profondi della società, sono ormai tali da rappresentare una vera sfida con cui confrontarsi ai fini anche della sostenibilità complessiva dei sistemi di welfare; tra questi fattori per diversi studiosi sono sicuramente da annoverare: a) il consolidarsi di processo di inflazione medica inteso come l’incremento della spesa sostenuta per la sanità ad un ritmo di crescita superiore a quello della ricchezza prodotta in termini di Pil; tale processo, verificatosi in quasi tutti i paesi europei, è tuttavia fondamentalmente mancato nel nostro dove, secondo i dati Ocse del 2002, la spesa sanitaria reale pro capite riferita all’ultimo decennio (1990-2000) è cresciuta ad un tasso del solo 1,4% del tutto equivalente quindi all’aumento registrato nel Pil (tavola 1); dati questi che dimostrano chiaramente come sia infondata la tesi di quanti parlano di una presunta insostenibilità finanziaria dell’attuale welfare state pubblico; in realtà costoro utilizzano strumentalmente la crescita dei costi effettivamente registrata negli altri paesi per proporre anche nel nostro caso, come unica soluzione possibile quella di un sistema misto assicurativo sul modello americano, nonostante questo si sia dimostrato nei fatti assai più costoso, iniquo e assolutamente meno efficiente; 20
b) il processo di iperspecializzazione del sapere medico ovvero la progressiva frammentazione e settoralizzazione delle competenze sempre più orientate alla parcellizzazione del sapere e degli interventi di cura e sempre meno capace di mantenere una dimensione olistica nella Medicina; c) la transizione epidemiologica evidenziata dal passaggio da una prevalenza di patologie di tipo acuto infettivo a quelle di tipo cronico degenerativo in linea con il progressivo invecchiamento della popolazione; d) lo sviluppo del consumerismo come elemento di nuova partecipazione e di affermazione di una maggiore contrattualità da parte dei cittadini che vogliono ora essere protagonisti informati e consapevoli delle scelte che riguardano la propria salute (G. Giarelli: in “Trasformazione dei sistemi sanitari e sapere sociologico a cura di Costatino Cipolla, Franco Angeli editore, Milano, 2002). Questi mutamenti investono la globalità del mondo industrializzato; essi pongono con urgenza delle domande sia in termini di sostenibilità economica dei sistemi e sia in termini di equità sostanziale, universalità, efficacia e capacità di risposta all’esigenza di partecipazione dei cittadini; per questo, a nostro giudizio, esse rendono necessario, anche all’interno del nostro modello di assistenza sanitaria, procedere nella definizione di un nuovo paradigma; un cambio importante negli assetti organizzativi del sistema a partire dalla necessità di una chiara definizione delle risorse finanziarie indispensabili al suo funzionamento; una riorganizzazione complessiva che tuttavia esige, a garanzia di equità e di universalità di accesso, il pieno mantenimento della centralità di quell’intervento pubblico che molti cercano ora mettere in discussione. Contro questa tesi è invece, all’opposto, ormai definitivamente acclarato che, nell’ambito delle tre diverse tipologie di servizi sanitari esistenti, così come delineate da Martinelli, il servizio sanitario di tipo pubblico (presente in Italia ed UK) quando raffrontato con gli altri due il tipo assicurativo obbligatorio (presente in Francia e Germania) e il tipo assicurativo privato (presente negli Stati Uniti) risulta di gran lunga il superiore sia in termini di performance che in termini di salute effettivamente guadagnata da parte dei cittadini. 21
Il sistema sanitario del nostro paese tuttavia, pur avendo raggiunto risultati di grande rilievo, attestati dal fortissimo incremento della attesa di vita alla nascita, ha fortemente privilegiato finora una visione ospedalocentrica che ha lasciato alla medicina del territorio e delle cure primarie un ruolo secondario e spesso scarsamente qualificato. Questo sistema non appare più adeguato tanto alle mutate condizioni epidemiologiche e demografiche che hanno investito il nostro paese e tanto ai cambiamenti nella società e nella vita privata dei singoli cittadini determinati dall’affermazione della globalizzazione. Il cambio di paradigma necessario consiste dunque nel ribaltare questa condizione e nell’impegnarsi attivamente nello sviluppare su tutto il territorio nazionale un’efficiente rete di distretti e di servizi alla persona in grado di rispondere al nuovo contesto sociale e a quell’inedita condizione esistenziale (solitudine crescente, frammentarietà delle identità, incertezza) tipica delle moderne società senza tradizioni. In questo nuovo scenario il distretto deve acquisire una reale centralità connotandosi come il punto di incontro tra domanda di salute dei cittadini ed offerta di cure, benessere e nuova socialità; esso deve potersi configurare come una vera area– sistema e ricomprendere quella serie di presidi e servizi, ora dispersi, che sono finalizzati a dare risposte territoriali ai problemi di salute e di cura dei cittadini rendendo finalmente possibile la piena integrazione tra le attività sanitarie e quelle di tipo sociale. Le attività che devono essere garantite nell’area-distretto sono quelle che riguardano i bisogni reali dei cittadini e che possono incidere favorevolmente sulla capacità per ognuno di riuscire a sviluppare il proprio progetto esistenziale; queste attività riguardano dunque la persona come soggetto consapevole e si estendono dall’educazione sanitaria, alla prevenzione, all’erogazione dell’insieme delle cure che non necessitano del ricovero in ambiente ospedaliero per arrivare alla riabilitazione e alle attività socio-sanitarie ad alta integrazione. Il modello organizzativo più consono per rispondere a tali esigenze è quello della rete integrata dei servizi che pone l’utente al centro del contesto sanitario e che richiede, proprio per rendere effettiva questa prossimità al cittadino, una idonea strutturazione dello 22
spazio distrettuale a partire dalla costituzione di aree elementari corrispondenti ad uno o più comuni o a un quartiere urbano. Nel distretto dovrà essere coordinata la presenza di un dipartimento delle cure primarie di tipo funzionale in cui vengano ricomprese, in un assetto organizzativo a matrice, tutte le funzioni costitutive della medicina territoriale: assistenza medica di base (medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, guardia medica e continuità assistenziale); assistenza specialistica ambulatoriale extra-ospedaliera; assistenza domiciliare (ADI, ADP, assistenza sociale, assistenza a malati oncologici e a persone con infezione da HIV); assistenza extra- ospedaliera, residenziale e semiresidenziale; assistenza consultoriale, familiare e pediatrica; programmazione degli accessi all’ospedale di comunità. Nelle aree elementari distrettuali inoltre dovrà essere avviata la costituzione di strutture polivalenti e funzionali in grado di erogare l’insieme delle cure primarie e di garantire la piena continuità assistenziale. In tale senso riteniamo prioritario procedere alla istituzioni di strutture e luoghi di lavoro comune (la “Casa della Salute” oggetto del convegno odierno) in cui possano cooperare il personale assegnato al distretto (tecnico-amministrativo, infermieristico, della riabilitazione, dell’intervento sociale) insieme ai medici di base (che vi eleggeranno il proprio studio associato) e agli specialisti ambulatoriali. Nella Casa della Salute dovrà essere possibile effettuare gli accertamenti diagnostico-strumentali di base e la gestione informatizzata dei dati sanitari con il ricorso al teleconsulto e alla telemedicina. L’accesso al web, tramite gli opportuni strumenti messi a disposizione dalla moderna tecnologia, aprirà la possibilità di comunicare con le altre strutture, di stabilire connessioni in rete con altri centri di pari o superiore livello e di realizzare la formazione continua on line per tutto il personale. Nella Casa della Salute sarà presente inoltre lo sportello unico per tutte le attività sociali ed assistenziali e sarà quindi possibile effettuare la presa in carico del paziente superando la precedente frammentarietà negli interventi. Nel distretto dovranno trovare completa attuazione le attività di prevenzione non solo relative all’ambiente di vita, ma anche quelle connesse al controllo e alla sorveglianza degli ambienti di lavoro ed al contrasto delle tecnopatie e degli infortuni sul lavoro. Su questo campo occorre invertire con urgenza quella 23
linea di tendenza ormai prevalente, che vede l’intervento pubblico come non necessario e residuale e considera le attività di prevenzione e sorveglianza un ostacolo allo sviluppo industriale e alla competitività. Fatto ancora più grave il disimpegno nella prevenzione delle malattie professionali si è ora associato allo sviluppo e alla introduzione surrettizia di una serie di indagini predittive, i test genetici, con i quali si vorrebbe screenare la popolazione lavorativa, identificando i soggetti “predisposti” ad ammalare; la medicina del lavoro si ridurrebbe a questo: allontanare dall’ambiente di lavoro i soggetti costituzionalmente meno resistenti, lasciando inalterata l’organizzazione del lavoro e riducendo al minimo gli interventi di bonifica ambientale. 4. Il ruolo delle Regioni e dell’Ente locale Ai fini di un piena realizzazione di questo modello di rete distrettuale un ruolo fondamentale ed insostituibile riveste l’attività di programmazione e di regolamentazione di competenza dei due principali soggetti istituzionali coinvolti: le Regioni e gli Enti locali, ai quali la riforma del Titolo V della Costituzione ha assegnato ora nuove prerogative e responsabilità. Questi soggetti dunque devono sviluppare sinergie che si devono concretizzare nell’assunzione dei seguenti atti legislativi: recepimento dei principi contenuti nella legge 229/99 e nella legge 328/2000, sviluppandone appieno le potenzialità per assegnare un ruolo e una responsabilità ai Comuni nel Piano Attuativo locale (PAL) e nel programma delle attività territoriali (PAT) intesi entrambi come strumenti di programmazione e di pianificazione degli interventi; realizzazione del Piano Sanitario Regionale in modo coordinato rispetto al Piano regionale degli interventi e dei servizi sociali con la piena condivisione delle strategie atte a realizzare l’integrazione tra attività sanitarie e sociali; assegnazioni al distretto di “risorse definite” anche al fine di riequilibrare la spesa tra attività ospedaliera e attività sanitarie territoriali. 24
L’emanazione coordinata di questi atti è dunque finalizzata a definire una corrispondenza funzionale e sostanziale tra il distretto (D. Lgs. 229/99) e la zona sociale (D. Lgs. 328/2000) (la cui esatta definizione è ovviamente demandata alle regioni) su cui possano insistere, in parallelo alle competenze proprie delle Regioni, le capacità di programmazione dei Comuni, a cui compete l’approvazione dei piani di zona, dei piani delle attività territoriali, degli accordi di programma e dei risultati ottenuti. Viene così a risolversi favorevolmente quella condizione precedente dovuta al D. Lgs. n. 502 che faceva dell’Ente locale un soggetto passivo privo di capacità di intervento nella definizione delle scelte strategiche e nella valutazione di quanto concretamente realizzato. Il recepimento coordinato dei principi costitutivi di entrambi i provvedimenti legislativi significa dunque da un lato rendere possibile lo sviluppo della rete dei distretti e dall’altro di conferire a tali strutture, a cui compete l’organizzazione e la gestione integrata di tutto il sistema delle cure primarie, la piena titolarità degli strumenti del governo effettivo dell’assistenza e della verifica dei piani e dei risultati ottenuti. Entrando dunque più nel dettaglio va detto chiaramente che quegli strumenti con cui i distretti possono esercitare un’azione di governo effettivo (a cui le regioni devono dare indispensabilmente concreta implementazione pena la loro nullità) sono di duplice natura: finanziaria e gestionale al contempo. Questo significa che come elemento prioritario vi deve essere l’attribuzione all’area sistema di risorse certe sotto la forma di budget specifico e rispondente alle regole della contabilità analitica; a questo vi deve poi accompagnare il diretto affidamento della sua gestione a un direttore responsabile provvisto di idonee capacità gestionale ed infine devono essere previsti gli idonei strumenti di supporto ovvero la direzione strategica e il comitato di dipartimento; in conclusione il modello organizzativo dell’area-sistema per essere efficace deve essere equivalente a quello dei dipartimenti di tipo strutturale e come tale essere basato sui principi della programmazione, della multidisciplinarietà e del lavoro di team e della valutazione dei risultati ottenuti. 25
5. Conclusioni: allocazione delle risorse ed uniformità dei Livelli delle prestazioni Sviluppare una rete di distretti e potenziare gli interventi di territorialità significa in conclusione introdurre una discontinuità nel modello finora prevalente di servizio sanitario a partire da una diversa allocazione delle risorse tra i tre macrolivelli di assistenza previsti dal Piano Sanitario nazionale 1998-2000: prevenzione, assistenza distrettuale ed assistenza ospedaliera; occorre infatti invertire il trend del flusso dei finanziamenti così come è stato autorevolmente evidenziato dalla Corte dei Conti nella parte della “Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni per gli anni 2001 e 2002” dedicata ai livelli essenziali di assistenza erogati e alla ripartizione percentuale delle risorse. Nell’anno 2000 le percentuali di assorbimento sono state rispettivamente del 3,6% per la prevenzione, del 46,7% per la distrettuale, del 49,7% per l’ospedaliera, confermando la nota tendenza a privilegiare l’intervento ospedaliero. La consapevolezza di tale squilibrio è stata doverosamente recepita in sede di Conferenza Stato-Regioni dove nella relazione tecnica di base all’accordo del 22 novembre 2001 per la definizione dei Lea, si è convenuto sulla necessità di un incremento futuro della composizione percentuale da riservare alla prevenzione e alla distrettuale. La prima dovrebbe nel triennio 2002-2004 passare dalla attuale percentuale di composizione del 3,6% a quella maggiore del 5%, mentre per la distrettuale il valore di riferimento implicherebbe un incremento di peso percentuale dall’attuale 46,7% al 49,5%. Specularmente per l’ospedaliera l’obiettivo per il triennio 2002-2004 è di una diminuita presenza finanziaria da contenere entro la percentuale del 45,5%, a fronte dell’attuale 49,7%. Questa diversa e più opportuna allocazione delle risorse non risolve ovviamente il problema centrale della cronica sottostima del finanziamento a disposizione del Servizio sanitario; sottostima divenuta ora una vera emergenza che rischia di portare, senza immediati interventi correttivi, al collasso e all’implosione dell’intero sistema come denunciato in più occasioni e all’unanimità da parte di tutti i Governatori. 26
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