Le Borse Merci Elisabetta Bani - Pisa 10 aprile 2008

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Elisabetta Bani

Le Borse Merci

    Pisa 10 aprile 2008

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Capitolo 1
                                                I mercati organizzati

1. Premessa

Le borse merci in Italia hanno rappresentato finora un fenomeno molto specifico e molto poco
studiato, per altro facilmente equivocabile e confondibile con altri: se infatti è chiara la distinzione
tra borse merci e borse valori, peraltro storicamente, disciplinate unitariamente nel nostro
ordinamento per un breve lasso di tempo sotto la comune denominazione di borse di commercio,
meno evidente è la peculiarità delle borse merci rispetto ad altri fenomeni talora denominati “borse”
ma da non confondere con le borse merci disciplinate dal legislatore, talora denominati nei modi più
disparati (sale contrattazioni, e-market place ecc..), ma che apparentemente svolgono le stesse
funzioni delle borse merci, talora infine equivalenti alle borse merci del nostro ordinamento, ma
profondamente diverse non solo e non tanto per rilevanza giuridica, quanto per rilevanza
economica.
Vero è che già di per sè il termine borsa crea qualche problema, dato che come è stato rilevato
anche in passato “Borsa è parola difficile a definire perché ha parecchi significati: indica il luogo
dove si radunano quanti vogliono trattare affari di commercio; il pubblico che vi si raduna; il
complesso delle operazioni fatte in un giorno; l’istituzione che agevola la negoziazione dei titoli e
delle merci” 1 .
In realtà il termine più vicino a Borsa è quello di “mercato” (parola di per sé polisensa) intesa come
luogo dove si incontrano i flussi di domanda e di offerta, si formano i prezzi, si consolidano prassi
commerciali che portano alla standardizzazione dei contratti; è per questa via che si passa da
mercati di fatto a mercati “organizzati” e sono questi ultimi quelli che trovano una emersione
giuridicamente rilevante, non necessariamente di stampo pubblicistico. Ad esempio nei Paesi anglo-
sassoni prevale da sempre un modello organizzativo di stampo privatistico (di solito il mercato è
composto dagli stessi operatori del settore), mentre nei sistemi dell’Europa continentale ha prevalso
il modello pubblicistico, che è stato abbandonato, per quanto riguarda le borse valori (nel nostro
ordinamento) attraverso il recepimento di disposizioni comunitarie avvenuto con il c.d. Decreto
Eurosim (d. lgs. 23 luglio 1996, n. 415) e il modello permane invece per le borse merci tradizionali
e anche, per quanto riguarda la partecipazione al capitale da parte di soggetti pubblici in larga
misura legati al sistema delle Camere di Commercio, in relazione alla Borsa Merci Telematica.
A prescindere dal modello organizzativo, la rilevanza degli interessi coinvolti dalle attività che si
svolgono all’interno di questi mercati organizzati determina l’intensità e la tipologia dei controlli a
cui queste vengono sottoposte.
Le ragioni della disciplina legale dell’istituto dipendono dunque dalla valutazione che il legislatore
svolge degli interessi coinvolti dall’attività svolta dalla e nella “borsa-mercato”, che portano quindi
a regolare il fenomeno come istituzione e l’attività che in essa si svolge 2 .
Mentre delle borse valori si sa praticamente tutto, delle borse merci ci si chiede talvolta se ancora
esistano o se sostanzialmente continuino ad operare.
L’interrogativo riguarda le borse merci del nostro ordinamento, cioè quelle istituzioni, emanazione
delle Camere di Commercio, disciplinate dalla legge 20 Marzo 1913, n. 272 e dal relativo
regolamento di esecuzione approvato con r.d. 4 Agosto 1913, n. 1068, non certo le borse merci
estere, il cui operare è di riferimento mondiale, quali le storiche borse americane, alcune importanti
piazze europee (Londra, Parigi, Le Havre, Rotterdam, Liverpool) e quelle dei mercati di produzione
(Sidney per la lana, Singapore per la gomma lo stagno e il pepe, Yokoama per la seta, Buenos Aires
per i cereali e semi, Mumbay e Karachi per il cotone).

1
  VIVANTE C., Trattato di diritto commerciale, I, Milano, 1922, p. 248.
2
  Peraltro, come vedremo, nel caso delle borse più che in altri campi il legislatore inizialmente si limita a dare forza di
legge a discipline nate dalle prassi commerciali.

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Per come sono andate configurandosi nel tempo, ci si potrebbe quasi chiedere se le nostre borse
merci abbiano ancora una propria rilevanza, tale da giustificare una struttura pubblica ed una
disciplina ad hoc.
Vero è che la disciplina legislativa era stata dettata originariamente – come detto – per disciplinare
tanto le borse merci che le borse valori. Ben presto queste ultime hanno preso una strada autonoma 3
e la disciplina originaria, soprattutto organizzativa, era rimasta in vigore – potremmo dire che è
sopravvissuta a sé stessa – per le borse merci, perciò il problema che si pone oggi è quanto siano
ancora attuali il fenomeno delle borse merci e la relativa disciplina.
È forse venuto il momento di chiedersi se avesse ancora un senso mantenere in vigore il sistema
delle borse merci così come disciplinate originariamente: premesso che, per comune consenso, così
come era venuto configurandosi negli anni il sistema era divenuto un fenomeno assolutamente
marginale, le strade che si sarebbero potute aprire erano tre: in un’ottica di semplificazione
strutturale e legislativa si sarebbe potuto pensare di sopprimerle, oppure, in una prospettiva di
rassegnato pragmatismo, decidere che fossero sì un fenomeno obsoleto e che l’interesse pubblico ad
una loro disciplina fosse divenuto praticamente inesistente, ma lasciare le cose così come stavano
perché era meno defatigante mantenerle in vita che tentare di sopprimerle, oppure, infine, si sarebbe
potuto ritenere che il sistema potesse avere ancora una sua utilità, ma previa una sua rivitalizzazione
ed attualizzazione, ciò che equivale a dire che si sarebbe dovuto porre mano a ripensarne il ruolo e
quindi la disciplina, come di fatto è avvenuto con la tortuosa via del partire dal progetto Meteora per
giungere alla Borsa Merci Telematica Italiana.
Il fine delle borse merci tradizionalmente è quello di agevolare e garantire la più ordinata, corretta e
funzionale libera commercializzazione delle merci e delle produzioni, nonché di rilevare
correttamente gli andamenti dei prezzi, fornendo anche tutte quelle indicazioni necessarie per una
valutazione anticipata delle possibili tendenze dei mercati sulla base delle previsioni dei raccolti e
dell’evoluzione della domanda e dell’offerta a livello nazionale e internazionale 4 .
Nel nostro ordinamento con il tempo queste istituzioni sembravano essere divenute dei semplici
punti di ritrovo per lo scambio di notizie e di opinioni, nei quali – nella maggior parte dei casi – il
numero di affari concluso era piuttosto modesto, così come le quantità effettivamente trattate.
Ben diversa è la situazione per le borse merci mondiali, mercati all’ingrosso internazionali dove si
formano i prezzi delle materie prime: si pensi per il settore agricolo al Chicago Board of Trade
(CBOT) la più grande borsa dei cereali al mondo, istituita nel 1848 per riunire agricoltori e
mercanti, al fine principale di standardizzare quantità e qualità del grano negoziato, e al Chicago
Mercantile Exchange (CME) di poco successivo (risale al 1874), all’inizio specializzato nei mercati
dei prodotti agricoli deperibili come uova, burro e pollame, poi (dal 1919) esteso a molte delle
merci che attualmente vi vengono trattate, come la pancetta di maiale, i bovini da macello, i bovini
da allevamento, i suini da ingrasso, mercati oggi unificati 5 .
Le borse merci estere non solo non hanno smesso negli anni di essere fiorenti, ma hanno anzi
registrato un dinamico aumento della circolazione verso la fine del XX secolo, insieme allo
sviluppo di moderne tecnologie ed all’afflusso globale di capitale 6 . Peraltro si noti che la

3
  La scissione tra le borse aventi l’obiettivo di trattare le merci e quelle aventi l’obiettivo di trattare i valori, è avvenuta
nel 1925 con R.D. del 7 marzo n. 222.
4
  L. AMADEI, Guida alle borse merci, Il Sole 24 Ore – Edagricole, …….., p. 30.
5
  Così come potremmo ricordare il Kansas City Board of Trade e il Minneapolis Grain Exchange
noti per i contratti sul grano duro o il canadese Winnipeg Commodity Exchange.
6
  A livello internazionale l'aumento dinamico dei prezzi delle materie prime più importanti (in
particolare, del petrolio, dell’oro, dell’argento e di metalli industriali come il rame, lo zinco e
l’alluminio) ha avuto un'enorme influenza sull’economia mondiale. I mercati delle merci, si sono
trovati al centro dell’interesse degli investitori, (che operano cioè sui mercati dei titoli e dei derivati
connessi alle materie prime), ma il fenomeno dovrebbe indurre a riflettere anche sul funzionamento
delle istituzioni che regolano il c.d. “sottostante”, come le borse merci appunto nelle quali i prezzi si
formano o dovrebbero formarsi.
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negoziazione sui mercati merci mondiali viene condotta sia nell’ambito di mercati borsistici regolati
che sul mercato Over-the-Counter, che peraltro è un mercato solo in senso molto particolare e
limitato.

La grande differenza tra questi mercati e le borse merci italiane, oltre ovviamente alla diversità di
volumi trattati, come da più punti di vista e in più passaggi vedremo, è che nei primi è praticata
anche la contrattazione a termine, mentre le borse merci italiane si sono strutturate come mercati
dell’effettivo, sebbene il legislatore non abbia espressamente vietato l’operatività a termine 7 .
Mentre le borse merci estere, dove si sono sviluppati i contratti future 8 9 , hanno attirato anche
“altri” attori (diversi cioè dai produttori ed acquirenti delle materie prime) come speculatori e
arbitraggisti, le borse italiane non hanno avuto analoga evoluzione, perdendo sempre più
importanza, svuotandosi di operatori e riducendosi l’attività a poco più che punti di incontro,
quindi configurandosi esclusivamente come luoghi di contrattazione che offrono in più (rispetto ai
mercati all’ingrosso e al minuto) la possibilità di contrattare senza la presenza fisica della merce 10 .
Per porre rimedio a questo stato di fatto che aveva relegato le nostre borse merci a piazze marginali,
localisticamente connotate, poco operative e ancor meno significative sull’andamento delle
contrattazioni (quantità contrattate e prezzi), si è puntato sul passaggio alla creazione di una rete
telematica di vendite, iniziato con l’instaurazione di Meteora e approdato alla realizzazione della
Borsa Merci Telematica Italiana.

Le borse merci italiane hanno la possibilità di divenire future market? È auspicabile questo
passaggio? E se ciò non avviene quale è il ruolo che le borse merci devono ritagliarsi e sviluppare
per non correre il rischio di divenire una sorta di ombellico, una cicatrice ricordo di una funzione
ormai non più svolta?
Dal punto di vista della regolazione i primi due interrogativi ripropongono il dilemma se sia
opportuno o meno consentire alle borse merci di operare in parallelo alle borse valori quando

7
 In Italia esiste una normativa base che consente teoricamente l’avvio di queste tipologie contrattuali, rinvenibile nel
D.M. 12 marzo 1981 ( G.U. n. 82 del 24 marzo 1981) e D.M. del 29 giugno 1984 (G.U. del 10 luglio 1984), seguito poi
dalla circolare n. 1/17 dell’Ufficio Italiano Cambi del 12 luglio 1984, che contiene le disposizioni per concludere
direttamente contratti a termine su Borse estere, ma la realtà è che le Borse italiane classiche non erano attrezzate
adeguatamente soprattutto in termini di quantità produttive.
8
  Dopo il 1972, con l’avvento delle contrattazioni elettroniche, si è assistito ad un’ulteriore
diffusione di questi contratti, che attualmente non sono più relegati agli Stati Uniti ma vengono
normalmente trattati sia in Europa che in Sud America.
In America latina il principale mercato merci è la Bolsa Mercadoria y Futuros (BMF) brasiliana
che tratta sia contratti su granaglie come soia, mais e frumento, che sul bestiame, che sui prodotti
chiamati coloniali (zucchero, caffè e cacao), che sull’alcol etilico utilizzato per l’auto trazione. In
Europa contratti futures su diverse produzioni agricole come frumento, orzo, mais e patate sono
stati trattati a Londra, Parigi e Amsterdam ed ora sono trattati su un unico circuito (Euronext), al
quale però le nostre borse merci non aderiscono.
In altri termini a livello internazionale –come vedremo – le borse merci non sono solo piazze di
scambio di materie prime, dove i prezzi si formano in ragione delle quantità offerte e richieste, ma
sono divenute ben presto negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo, anche piazze “finanziarie”.
Ciò ha avuto conseguenze differenziate, a seconda degli ordinamenti, sulle preesistenti borse merci “fisiche”
9 Il fenomeno dei future come accennato, e come vedremo meglio in seguito, si è sviluppato soprattutto negli Stati
Uniti, nella Borsa di Chicago nel 1860 e in quella di New York, per diffondersi velocemente in tutti gli altri mercati, da
Parigi, a Rio de Janeiro, a Londra, a Rotterdam, a Minneapolis, anche se la nascita e l’operatività di tale sistema
commerciale si fa risalire al mercato di Amsterdam intorno al 1605.
10
   Come vedremo la funzione non è comunque da trascurare perché consentendo di lasciare le merci
a disposizione per l’eventuale trasferimento nel magazzino, fa realizzare evidenti risparmi in
termini di costi relativi sia al trasporto che alla conservazione, senza contare le altre funzioni
accessorie che si sviluppano nelle borse merci tradizionali.
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vengono in questione quelle particolari operazioni che sono i contratti future o derivati su merci; nel
primo caso si sceglie di avere due mercati: uno “valori” per i derivati finanziari e uno merci a
termine per i derivati su merci: questa è la strada che dà più peso al “sottostante” e riconosce un
ruolo specifico alle borse merci rispetto ai mercati finanziari. L’alternativa è quella di trattare tutti i
derivati sul mercato “maggiore”, ossia quello finanziario, a prescindere dal sottostante.
Quest’ultima opzione dà ovviamente più peso al tipo di operazione finanziaria collegata alla merce
che alle caratteristiche della merce e quindi alle esigenze di tutela degli investitori e dei mercati
finanziari che alle esigenze economiche dei produttori e dei consumatori (secondo una tendenza che
ha portato negli ultimi anni alla prevalenza della finanza sull’economia reale).
Questa scelta è quella che è stata fatta in passato nel nostro ordinamento: concentrare le operazioni
finanziarie nella borsa valori e lasciare alle borse merci l’operatività non a termine.
Scegliere di sviluppare dei mercati merci specializzati nei quali si trattano anche i derivati collegati
a quelle specifiche merci viceversa indica una propensione a valorizzare le peculiarità di una
materia prima più che i profili finanziari dell’operazione ad essa collegata.
D’altro canto, come insegna la storia, i mercati merci in cui si opera a termine devono preoccuparsi
anche della tutela degli investitori e quindi devono darsi una regolazione finanziaria: con lo
sviluppo delle tecnologie informatiche e telematiche da un lato e degli strumenti finanziari
dall’altro, potrebbe essere inefficiente mantenere due distinte strutture e discipline per i mercati
finanziari e per i mercati merci a termine.
Come vedremo ad alcuni di questi interrogativi ha già risposto la normativa MiFID nella parte in
cui ridefinisce la nozione di strumenti finanziari derivati e di “merce”.

2. Borse merci – borse valori
La sovrapposizione tra borse merci e borse valori si trova già nella storia di questi istituti: ben prima
che il nostro legislatore ne dettasse una disciplina unitaria sotto la comune denominazione di borse
di commercio, le vicende storiche ci rimandano a epoche, anche remote, in cui le vie delle borse
valori, delle fiere e mercati e delle borse merci si sono intersecate, evolvendo poi autonomamente
per essere talvolta ricondotte ad unità dal legislatore, talaltra distinte nettamente.
Storicamente non si ritrova una “anteriorità” assoluta, ontologica, delle borse merci rispetto a quelle
valori, né tanto meno il contrario. Alcuni storici fanno coincidere la nascita delle borse con le prime
borse valori (per la collocazione dei titoli di debito pubblico), ma in epoche meno remote molte
borse nascono come borse merci e poi si sviluppano come borse valori.
In Italia ad esempio la Borsa di Trieste iniziò ad operare come "Borsa Merci" nel 1830 (istituita già
nel 1755 da parte di Maria Teresa con la prima sede nel palazzo comunale dove si riunivano gli
affaristi triestini), alimentata dal commercio del caffè e da una "Cassa di Liquidazione" costituita
dalla Banca Anglo-Austriaca, per passare poi ad operare come borsa valori (il primo valore quotato,
che risale al 1856, fu il "Prestito Città di Trieste") e in questa veste arrivare a conoscere momenti di
grandissimo sviluppo, tanto da far concorrenza a quella di Vienna (nel 1900) e a divenire nel 1925
la base per i titoli assicurativi e cantieristici.
La storia della attuale Borsa Italiana, ossia la borsa di Milano, comincia nel 1808, con il decreto
vicereale del 16 gennaio 1808 di Eugenio Napoleone sancisce la nascita della Borsa di Commercio
di Milano che apre presso il Monte di Pietà. Prima dell’istituzione napoleonica, l'attività di cambio e
la vendita all'incanto degli effetti pubblici erano già praticati sulla piazza milanese. La vera novità
introdotta in Italia dal Codice di commercio napoleonico è il regime pubblicistico delle Borse di
commercio che contraddistinguerà il mercato italiano fino ai tardi anni Novanta del secolo XX. Nel
giugno del 1813 vengono stabiliti per decreto il numero dei mediatori e i loro diritti per ciascuna
operazione.
Al ritorno degli austriaci, l’istituzione della Borsa di commercio viene confermata con un decreto
imperiale del maggio 1816. La Camera di commercio mantiene l’esercizio delle funzioni attribuite
dai decreti istitutivi del 1808, mentre l’elezione diretta dei Sindaci di Borsa da parte dei mediatori
resta inapplicata. Le nomine continuano ad essere effettuate dalla Camera di commercio, spesso

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anche al di fuori della categoria dei mediatori.
Il primo titolo azionario, la Società Ferroviaria del Lombardo Veneto, viene quotato nel 1859; con
l'unità d'Italia il volume dei valori contrattati conosce una sensibile crescita, ma quasi solo grazie
all’enorme offerta di titoli del debito pubblico che il Governo Italiano deve emettere per sostenere
l’unificazione del paese.
Negli anni Settanta compaiono i titoli delle prime compagnie ferroviarie e delle banche. Le società
manifatturiere invece, rimangono fuori dal listino per un lungo periodo, poiché le loro ridotte
dimensioni infatti consentivano di far fronte alle esigenze di sviluppo tramite autofinanziamento.
Solo al volgere del secolo che la rapida crescita industriale del paese porta anche questo settore a
cercare in Borsa i finanziamenti necessari e il numero di azioni quotate a Milano passa così da 23 a
54 tra il 1895 e il 1900, per raggiungere le 160 nel 1913. 11
La storia delle Borse Merci ha però radici ancora più lontane, infatti sin dal basso medioevo le
operazioni di scambio dei prodotti avvenivano in precisi punti di incontro, generalmente le piazze,
con la “stretta di mano”.
Nel corso degli anni l’aumento della domanda, conseguenza delle modificazioni demografiche e
urbane, ha spostato il fulcro degli scambi nei centri fieristici, risultati anch’essi ben presto
inadeguati ad incentivare i commerci, soprattutto in considerazione del fatto che la loro
organizzazione non avveniva con frequenza temporale ravvicinata.
A questo inconveniente si è sopperito creando le “riunioni”, luoghi di scambio con precisi fini
mercantili, programmati con la ciclicità necessaria e nei luoghi che di volta in volta risultavano più
adatti e favorevoli. Gli accordi stipulati al loro interno divenivano consuetudini riconosciute
vincolanti dalle stesse parti contraenti.
È così che si passa dai “mercati delle merci”, che sono tra i più antichi mercati al mondo (i loro inizi
risalgono all'antichità), ai mercati merci borsistici che risalgono all'inizio del secolo XII nei paesi
dell'Europa Occidentale.
Il termine “borsa” fa la sua comparsa nel secolo XIV in Fiandra (Fiandre), a Bruges: questa città era
un importante centro commerciale dalla fine del secolo XII. Una piazza di Bruges intitolata alla
famiglia Van der Buerse era il luogo di scambio per molti mercanti. Rapidamente si diffuse
l’espressione andare à la Buerse ogni volta che si regolava il lato finanziario di un affare. Nel 1309
il fenomeno si istituzionalizza con la creazione della Borsa di Bruges, ben presto seguita da altre in
Fiandra e nei paesi circostanti (Gand e Amsterdam). È sempre in Belgio che viene costruito il primo
edificio concepito espressamente per abritier una borsa, ad Anversa.
In Francia la prima borsa organizzata risale al 1540 e vide la luce a Lione, ma già nel secolo XII i
courratiers de change erano incaricati di controllare e regolare i debiti degli agricoltori per conto
delle banche: si trattava in pratica dei primi mediatori (courtiers). Questi si riunivano sul Grand
Pont a Parigi, che oggi mantiene nel nome il ricordo di quella esperienza (Pont au Change).
Prima ancora che si diffondesse il termine borsa, già nel secolo XIII in Italia a Pisa, Genova o
Firenze venivano scambiati i primi titoli di Stato.
Ma solo nel XVII secolo gli olandesi, per primi, utilizzano la borsa per finanziare le imprese
commerciali: la prima impresa a emettere azioni ed obbligazioni fu la Compagnia olandese delle
Indie orientali, istituita nel 1602; nel 1688 si comincia a quotare le azioni ed obbligazioni alla borsa
di Londra.
Nel 1774 alla Borsa di Parigi (creata nel 1724) i cours dovevano ormai essere obbligatoriamente
gridati, al fine di consentire la trasparenza delle operazioni: è la creazione del Parquet.
Nel secolo XIX la rivoluzione industriale permette il rapido sviluppo dei mercati borsistici, trainata
dai bisogni di capitali ingenti per finanziare lo sviluppo dell’industria e creare il sistema dei
trasporti.
A lungo dunque si sono avute borse, cioè mercati organizzati, in cui si trattavano indifferentemente
merci e valori: solo nel tempo la negoziazione dei titoli ha acquistato interesse specifico per

11
     N. SUNSERI, Piazza Affari, Milano, Longanesi, 1998, pp. 7-15.

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l’economia, nel senso che ha acquistato rilievo autonomo da quando lo scambio dei titoli si è
rivelato essenziale per risolvere le esigenze delle imprese industriali (e queste sono divenute
primarie per il sistema economico) di ottenere finanziamento, mentre prima i titoli erano
sostanzialmente fungibile, a fini speculativi, rispetto alle merci.
Possiamo dire che le borse, in quanto mercati organizzati, nascono normalmente per lo scambio
delle merci e poi evolvono in luoghi che consentono anche lo scambio dei titoli; in rari casi nascono
direttamente per la negoziazione dei titoli.
Il momento di svolta dalla funzione originaria di borse mercati per lo scambio di merci a quella di
ridurre i rischi di controparte e poi di trovare finanziamenti per le imprese, si ha con il
perfezionamento dei profili delle borse in quanto mercati organizzati che offrono una serie di servizi
ed in particolare con la creazione ed il perfezionamento dell’organizzazione di stanze di
compensazione). Questa quasi assenza di rischi di controparte fa dei mercati organizzati un luogo
privilegiato per coprire una posizione e dunque un luogo privilegiato di speculazione. Così la quasi
totalità dei contratti (acquisto e vendita) dei mercati organizzati sono rivenduti prima del termine,
con ciò eliminandosi a coppie (acquisto/vendita), e quindi ne rimangono ben pochi che sono
effettivamente “liberati”.
Il momento di congiunzione tra borse merci e borse valori e dunque il passaggio dalla
contrattazione reale (ciò che oggi chiameremmo mercato cash) al sistema dei contratti a termine,
che pure nacque per lo scopo primario di vendere o procurarsi una merce. E questo fatto spiega
perché alcune borse merci sono divenute anche piazze finanziarie ed altre sono rimaste solo mercati
organizzati per lo scambio delle merci, come è il caso delle borse merci italiane
In Italia le borse merci erano mercati dell’effettivo: nonostante la dottrina abbia studiato il tema con
una certa frequenza 12 , non hanno svolto alcun ruolo rilevante come mercato a termine, attività
peraltro – all'inizio – non espressamente vietata da alcuna norma, e quindi il legislatore non ha
dovuto affrontare i problemi e le esigenze di maggiori controlli che il mercato a termine comporta,
in relazione all’attività speculativa che a quest’ultimo più si accompagna. È peraltro da ricordare
che il sistema degli ammassi e, in generale, il regime di economia pianificata e di Stato
interventista, erano inerentemente opposti alle condizioni per la creazione di un mercato a termine.
È anche da osservare che le borse merci italiane proprio per questo essere mercati dell’effettivo,
sono divenuti preponderanti altri aspetti quali l’offerta di servizi collaterali: logistica e magazzini,
ma anche standardizzazione dei contratti, possibilità di ricorrere ad arbitrati e pubblicazione di
listini prezzi, che funsero a lungo da riferimento per gli scambi, tanto che una traccia del ruolo
sopravvive ancor oggi nell'art. 1474, comma 2, c.c. .
Ferme restando le particolarità evolutive delle borse nei vari Paesi (per le quali rinviamo ai
successivi paragrafi), in chiave storica possiamo comunque rilevare come in generale le borse siano
nate come luoghi dove si favorivano gli scambi e si consolidavano prassi commerciali, e dopo una
prima organizzazione data dall’autonomia normativa dei privati, per l’importanza che acquistavano
proprio in virtù dell’organizzazione che si erano date, sono state oggetto di disciplina anche da parte
del legislatore che attraverso disposizioni normative ha dettato regole che tenessero conto oltre che
delle esigenze commerciali, anche di altri interessi generali: a seconda dei diversi contesti storici e
normativi, alcuni ordinamenti - tipicamente quelli continentali - hanno più o meno accentuato il
carattere pubblicistico di queste strutture mercantili.
È così ad esempio che nel Regno d'Italia nascono le prime Borse di Commercio, che possono
trattare tanto le merci quanto i valori, istituite con legge del 20 marzo 1913 n. 272, dotate di
personalità giuridica di diritto pubblico, sottoposte a vigilanza pubblico/corporativa e addirittura
tutelate, rispetto ad altre strutture similari, dalla riserva di denominazione contenuta nell’art. 1 del
R.D. del 4 agosto 1913 n. 1068 (che dava piena attuazione al regolamento applicativo emanato

12
   L. REGGIANINI, Le operazioni a termine delle merci, Torino, UTET, 1923; G. DELL’AMORE, I mercati a termine di
borsa delle merci, Milano, Giuffrè, 1940; G. MASCI, Il mercato a termine delle merci, con speciale riguardo alle borse
cereali in Italia, in Economia, 1931, 421; G. DE RICCIO, È attuale la ricostituzione del mercato a termine dei grani in
Italia?, in Riv. ital. sc. comm., 1949, 20.

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immediatamente dopo la legge istitutiva), ai sensi del quale - con norma che ricorda quella che
verrà poi posta dalla legge bancaria e si ritrova ancor oggi nelle leggi di settore in tema di banca e
mercato finanziario - la denominazione di “Borsa di commercio”, di “Borsa di valori”, di “Mercato
di valori” o altra consimile è riservata esclusivamente alle Borse istituite a norma della legge
272/1913 (art. 1). Viene quindi vietato espressamente l’uso di tali denominazione, laddove non
venga seguita la procedura istituiva legislativamente determinata di stampo pubblicistico (e le
conseguenti norme di vigilanza), ancorché “risulti espressamente escluso ogni carattere ufficiale”.
Come si è detto, la disciplina era comune alle borse valori e alle borse merci, ma dalla lettura
dell’articolato legislativo e regolamentare originario si capisce agevolmente, anche se non consta
che sia mai stato espressamente rilevato, che la disciplina era dettata avuto riguardo essenzialmente
alle esigenze del mercato dei valori, di fatto estesa a quello delle merci: ad esempio il Capo III -
Ammissione dei valori alla quotazione; orario e contrattazioni alle grida mostra evidentemente il
ruolo marginale rivestito dalle merci. Infatti le norme contenute negli articoli che trattano dei titoli,
e si veda ad esempio l'art. 14, vengono resi applicabili “ad altre borse”, e quindi quelle merci, ad
opera del Ministro dell’agricoltura industria e commercio di concerto con quello del tesoro.
Peraltro piuttosto rapidamente, già alla metà degli anni Venti, furono adottati specifici
provvedimenti legislativi che distinsero nettamente le competenze e le attività delle Borse Merci e
delle Borse Valori fino ad allora univocamente raggruppate nelle Borse di Commercio, e la
differenziazione nella disciplina si accentua sempre più marcatamente nel tempo; la separazione tra
borse valori e borse merci ha iniziato a formalizzarsi nel 1974, con la l. 7 giugno 1974, n. 216, la cd.
miniriforma delle società, ed il “divorzio” è stato consumato nel 1996, con i d. lgs. 23 luglio 1996,
n. 415, cd. decreto Eurosim: da quel momento tutte le borse (valori) italiane sono state soppresse e
la gestione di tutti gli scambi (“valori”) fu concentrata nella sede di quella che era la borsa di
Milano, mentre la concentrazione non ha riguardato le borse merci. Si precisa che, sul piano
operativo, con l'adozione della trattazione telematica in continua, in luogo della trattazione alle
grida presso ciascuna sede, già da alcuni anni tutte le borse operavano in un unico contesto.
A chiusura, notiamo come la prima crisi borsistica documentata è olandese: si ha nel 1636 in
Olanda, con la c.d. bolla dei Tulipani. Negli anni trenta del XVII secolo, sui mercati di Amsterdam,
ma anche di Londra, si verificò un violento rialzo dei prezzi dei bulbi dei tulipani olandesi e degli
strumenti derivati che avevano come sottostante i bulbi di tulipano. La rottura che avvenne negli
anni 1636-1637 costituì probabilmente il primo dei crack borsistici su merci 13 . Altro aspetto
notevole è che la crisi scoppiò non tanto per un problema legato al commercio reale dei tulipani,
quanto per l'introduzione nel sistema di derivati, e la pratica fu soprannominata in modo
immaginifico il "commercio del vento", nonché per il fatto che nessuna corte di giustizia poteva
esigere che i contratti venissero onorati. Infatti i giudici considerarono questi debiti come quelli
contratti per gioco di azzardo. Il tema dell'ecczione di giuoco ricorrerà dai regolamenti sui contratti
differenziali del debito pubblico francese nel Settecento, passando per il dibattito italiano sui
contratti differenziali su titoli e su merci tra l'Ottocento e il Novecento 14 , alla nota sentenza resa nel
1991 dalla House of Lords, nel caso Hazell v. Hammersmith and Fulham London Borough
Council 15 , per giungere alle ordinanze del Tribunale di Milano che in più occasioni, tra il 1993 e il
1995 16 , ritenne applicabile ai contratti derivati, stipulati a soli fini speculativi e non di copertura di

13
   M. DASH, Tulipomania: The Story of the World's Most Coveted Flower & the Extraordinary Passions It Aroused,
New York, Random House, 1999 (tr. it. La febbre dei tulipani, Milano, Rizzoli, 1999).
14
   Sul quale cfr. E. FERRERO, Contratto differenziale, in Contratto e impresa, 1992, 475.
15
   All England Report, 1991, I, 545; in Italia fu pubblicata in Banca, borsa e titoli di credito, 1991, II, p. 433 con nota di
R. AGOSTINELLI, Struttura e funzione dei contratti di swap, ivi, p. 437 e in Foro it., 1992, IV, c. 309, con nota di G.
CATALANO, “Swaps”: pregiudizi inglesi e (prospettive di) disciplina italiana, ivi, c. 310.
16
   Trib. Milano (ord.) 24 novembre 1993, Fioroni c. Credito Italiano S.p.a., in Giur. comm., 1994, II, p. 455 e in Banca,
borsa e titoli di credito, 1995, II, p. 80, con nota di A. PERRONE, Contratti di swap con finalità speculative ed eccezione
di gioco, ivi, p. 82; Trib. Milano (ord.) 26 maggio 1994, Banec S.p.a. c. Fin. Ambrosiana S.p.a., ivi; di segno opposto
Trib. Milano (ord.) 21 febbraio 1995, Giardini di Zelo s.r.l. c. Imi SIM S.p.a. e Monte del Paschi di Siena, in Giur.
comm., 1996, II, p. 79, con nota di N. SQUILLACE, La l. 2 gennaio 1991, n. 1, e i contratti di swap, ivi, p. 85 e in Banca,

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un rischio, l'eccezione di gioco prevista dall’art. 1933, secondo comma, c.c. e, quindi, che non fosse
azionabile l’obbligazione di pagamento nei confronti del debitore in quanto non degna di tutela. Il
problema, come è noto, fu poi risolto sia dal mutare della giurisprudenza” 17 , che dagli interventi
normativi 18 .
Il primo crack su titoli, invece, è probabilmente quello dato nel maggio del 1719 dallo scoppio della
bolla speculativa che si era formata sui titoli della Compagnia del Mississippi, l'equivalente
francese delle due note Compagnie delle Indie 19 .

3. Le “Borse” non borse merci in Italia
Come è noto e come abbiamo rilevato, il termine “borsa” può risultare non univoco. In ordinamenti
diversi dal nostro la corrispondenza di mercati organizzati con ciò che il nostro legislatore individua
come borse merci non sempre è agevole, come avviene ad esempio in Francia.
Ma anche all’interno del nostro ordinamento il termine borsa può far sorgere alcune perplessità.
Il termine borsa evidentemente ha una sua forza evocativa e fa sorgere delle aspettative rispetto a
chi può fregiarsene, al punto che sia nella disciplina originaria che in quella che l’ha recentemente
novellata è stabilita una riserva nell'uso della denominazione 20 .
Nonostante ciò esistono diversi fenomeni che vengono denominate “borse” e che borse non sono,
così come altri diversamente denominati (sale di contrattazione) nella sostanza lo sono sebbene
diversamente denominate perché carenti del crisma dell’ufficialità sotto forma di riconoscimento
ministeriale.
Tra le varie borse che incontriamo nell’ordinamento possiamo citare la borsa del miele, la borsa
filatelica, la borsa elettrica, la borsa immobiliare, la borsa dei diritti edificatori 21 ….

3.1 la borsa filatelica

La “Borsa Filatelica Nazionale” fu istituita a Milano nel 1943, senza limiti di durata. Dal punto di
vista giuridico, si tratta di un’associazione non riconosciuta senza scopo di lucro, alla quale
partecipano la quasi totalità dei commercianti filatelici operanti in Italia.
Ha sede a Milano, dove si svolgono settimanalmente anche le sedute, il giovedì mattina, ma lo
statuto attualmente vigente non esclude l’ipotesi che le riunioni si tengano anche in altre città; è,
altresì, previsto che in altre città possano essere create Sezioni autonome della Borsa, con statuti

borsa e titoli di credito, 1996, II, p. 442 con nota di A. PERRONE, ivi, p. 447, nonché il lodo arbitrale Milano, 26 marzo
1996, (Pres. Tarzia), in Banca borsa e titoli di credito, 1996, II, p. 680, e il lodo arbitrale Milano, 19 luglio 1996 (Pres.
Casella), in Riv. dir. priv., 1997, p. 573, con nota di G. CAPALDO, Contratto di swap e gioco, ivi, p. 587. Quest’ultimo
lodo rende conto di due ordinanze rese dal Tribunale di Milano in data 27 novembre 1993 e 26 maggio 1994, inedite, in
procedimenti tra le stesse parti del lodo, nelle quali è stato ritenuto che i contratti fossero stati conclusi con finalità di
gioco e, quindi, che fossero soggetti all’eccezione formulata dall’art. 1933, comma primo.
17
    Trib. Milano, 2 febbraio 1997, Fioroni c. Credito Italiano, in Banca borsa e titoli di credito, 2000, II, p. 90, ove la
sentenza espressamente ricorda l’ordinanza, di segno opposto, resa nella stessa causa dal G.I. nel 1993.
18 Art. 23 del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, TU delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria.
19
   A.E. MURPHY, John Law, Economic Theorist and Policy-Maker, Oxford, 1997.
20
   Si veda l’art. 11 del decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali 6 aprile 2006, n.174 (Regolamento per il
funzionamento del sistema telematico delle Borse merci italiane, con riferimento ai prodotti agricoli, agroalimentari ed
ittici), che rinvia alle disposizioni di cui al Titolo I, Capo I, articolo 1 del regio decreto 4 agosto 1913, n. 1068.

21
   Una Borsa per lo scambio dei diritti sulle aree edificabili è stata ipotizzata dal comune di Milano per sostituire il
Piano regolatore generale del 1980 entro il 2009, come prevede la legislazione regionale. L’idea è quella di sostituire al
precedente sistema di regolazione territoriale, uno strumento più flessibile, che comprende anche la creazione di un
mercato dei diritti edificatori, che dovrebbe funzionare come una borsa, nella quale i privati che hanno dei diritti
edificatori su terreni sui quali non possono edificare, possono cederli ad altri, sul modello di quanto avviene nel New
Jersey, dove già esiste una Borsa dei diritti edificatori.

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anche parzialmente differenti da quello della Borsa milanese, ove ne sorga la necessità.
Le finalità perseguite dalla Borsa Filatelica sono enunciate al punto 3) dello Statuto e sono quelle di
“promuovere amichevoli relazioni tra commercianti e collezionisti di francobolli, periti e cultori di
filatelia, al fine di effettuare ed incrementare, sotto un comune indirizzo, la diffusione della filatelia
stessa”.
Possono divenire soci della Borsa Filatelica Nazionale non soltanto “i commercianti di francobolli
per collezione muniti di regolare licenza di esercizio” e “i commercianti o produttori di materiale
filatelico”, ma anche i periti filatelici, i giornalisti iscritti all’albo nazionale e gli editori filatelici, e,
addirittura dei “meri collezionisti”, purché nominati soci onorari o benemeriti dal Comitato
Direttivo, anche se senza diritto di voto. I requisiti richiesti per l’ammissione, sono il libero
godimento della cittadinanza italiana – in realtà è prevista anche la possibilità che siano ammessi
cittadini stranieri residenti in Italia o in stati i cui ordinamenti prevedano un pari trattamento per i
cittadini italiani – e la “notoria ed indiscussa correttezza commerciale”, qualità, quest’ultima, il cui
effettivo riscontro nel richiedente è rimesso a una valutazione discrezionale del Comitato Direttivo
della Borsa, unico organo chiamato a decidere insindacabilmente sull’ammissione delle domande,
di regola entro 60 giorni dalla presentazione, dopo che queste sono rimaste affisse all’albo sociale
per un periodo non inferiore a 30 giorni, termine entro il quale ciascun socio può avanzare
“eccezioni o reclami” relativamente alle singole richieste presentate.
La Borsa Filatelica Nazionale opera articolandosi in vari organi: l’Assemblea generale è composta
da tutti i soci con diritto di voto, si riunisce almeno una volta l’anno, entro il mese di febbraio, ma
può essere altresì convocata, “in seduta straordinaria”, sia dal Comitato Direttivo, ogni qual volta lo
ritenga necessario, sia su richiesta motivata di almeno un quinto dei soci.
Per lo svolgimento di funzioni “amministrative”, o, meglio, contabili, è prevista la nomina di un
Segretario, un Cassiere, scelto tra i componenti del Comitato Direttivo, e due revisori dei conti.
Le funzioni direttive sono attribuite al Comitato Direttivo, composto da un presidente, un vice-
presidente e cinque consiglieri, ai quali sono eventualmente affiancati, qualora la questione trattata
lo richieda, dei rappresentanti regionali. I componenti permanenti del Comitato durano in carica tre
anni e possono essere riconfermati. Il Comitato si riunisce su convocazione del Presidente o dietro
richiesta motivata di ameno uno dei componenti e delibera a maggioranza. Tra il compiti più
significativi spettanti al Comitato ritroviamo il potere esclusivo di modificare il Regolamento di
Borsa e la più generale funzione di garantirne il buon andamento, compito che l'organo svolge
anche tramite l’adozione di deliberazioni, norme regolamentari e provvedimenti, anche di natura
disciplinare. Di fronte a questi poteri di amplissima portata, lo statuto prevede la possibilità di
proporre reclami e contestazioni, sui quali, tuttavia, preposto a decidere, e questa volta
insindacabilmente, è sempre lo stesso Comitato.
Accanto a questi organi, che seguono lo schema organizzativo più diffuso tra le associazioni, è
prevista la nomina di una Commissione di Vigilanza, composta da un Direttore e tre membri, con il
compito di effettuare “il controllo del materiale offerto o, comunque, ceduto nei locali della Borsa”.
Per il perseguimento della funzione sono attribuiti alla Commissione, tra l’altro, i poteri di
esaminare direttamente o sottoporre a perizia il materiale offerto, con l'eventuale facoltà
insindacabile di ritirare gli esemplari di prodotti filatelici ritenuti non autentici, alterati o comunque
non commerciabili; infine, la Commissione può autonomamente allontanare dai locali di Borsa il
socio colto ad offrire o cedere il materiale in questione, mentre ha solo un potere di proposta al
Comitato con riguardo all’espulsione dello stesso socio che abbia compiuto tali attività.
è interessante rilevare che in un soggetto privato, forse addirittura configurabile come organismo di
autotutela, i poteri riservati formalmente ai soci dallo statuto e dal regolamento siano veramente
limitati: la compagine sociale è convocata almeno una volta l’anno, ma non si precisa se per
l’approvazione del bilancio/rendiconto relativo all’anno di esercizio precedente (coincidente con
l’anno solare) o con quali altre eventuali funzioni; i poteri attribuiti ai soci sono costituiti dalla
facoltà di opporsi tramite la presentazione di opposizioni o reclami all’ingresso di nuovi soci e dal
potere di nominare – ma non è chiaro se vi sia anche il potere di revocare – i membri del Comitato o

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della Commissione, il Segretario, il Cassiere e i revisori dei conti.
Quanto ai provvedimenti inibitori e sanzionatori adottabili dalla Commissione e dal Comitato, essi
sono eseguiti dai componenti degli stessi organi e sono opponibili o reclamabili solo di fronte agli
stessi organi che li hanno emessi e, infine, manca una polizia di Borsa.
Circa le modalità concrete di svolgimento dell’attività di Borsa, le riunioni si tengono ogni giovedì
mattina in locali appositamente designati e organizzati: ciascun socio è ammesso previo
riconoscimento anche tramite l’apposito tesserino che deve essere costantemente esposto e prende
posto ad un banco assegnatogli in via permanente ed individuabile nella dettagliata mappa delle
postazioni esposta all’ingresso e allegata, assieme all’elenco dei soci indicati con il numero
corrispondente alla relativa postazione, alla brochure recante anche lo statuto ed il regolamento di
Borsa, consegnata all’iscrizione e disponibile in copia all’ingresso.
Si deve tenere presente, per comprendere i numeri e la mole delle negoziazioni, che, a fronte dei
198 soci con diritto di voto, oltre 27 senza diritto di voto e 5 onorari, risultanti iscritti nel 2006, le
postazioni effettive non arrivano a 50; ciò si spiega in ragione del fatto che, dal momento che
l’unico “costo” per essere soci è rappresentato dall’obbligo di pagare una quota di iscrizione annua
piuttosto esigua, la presenza nell’elenco dei soci, pubblicato nella richiamata brochure cartacea, ma
soprattutto nel sito internet della Borsa, con possibilità di inserire links diretti ai siti dei singoli
inserzionisti, garantisce un buon grado di conoscibilità tra gli operatori e i collezionisti.
Quanto alla formazione del prezzo, ricordato che naturalmente le negoziazioni possono svolgersi
anche al di fuori dei locali di Borsa, il prezzo è determinato ad ogni seduta, tenendo come
riferimento il listino formato dal Presidente per la propria impresa. La prassi, alquanto inusuale,
parrebbe riconoscere ad un soggetto non terzo un ruolo preminente se non quasi impositivo nella
determinazione dei prezzi, ma diviene comprensibile tenendo presente che l’attuale Presidente è
anche titolare di una delle maggiori imprese operanti nel settore; se quindi questa impresa operasse
al di fuori della Borsa, la mole della domanda o dell’offerta potenzialmente gestibile dalla stessa
sarebbe sufficiente di per se sola a influenzare l’andamento generale dei prezzi.
Se per taluni aspetti, al di là del nomen, il mercato filatelico può presentare alcuni aspetti comuni
con le borse, mancano importanti elementi necessari per poter ricondurre questo mercato
"organizzato" (e sia detto in senso atecnico) a ciò che costituisce il modello minimio borsa. La
Borsa Filatelica Nazionale è un’associazione non riconosciuta senza scopo di lucro, quindi non è
neppure iscritta alla Camera di Commercio di Milano, se pur si è dotata di un regolamento
operativo, oltre che dello statuto, ove sono previsti organi interni anche con funzioni disciplinari e
sanzionatorie, è sprovvista di poteri coercitivi; soprattutto, mancano, come visto, le condizioni
minime per ritenere che il prezzo effettivamente si formi in Borsa: il presidente redige solo
periodicamente il listino citato, pur rivedendone in tempo reale le voci che presentano incisive
oscillazioni, e lo pubblica con principale finalità meramente commerciali, il fatto che gli altri soci
facciano volontariamente riferimento quasi esclusivamente a tale listino riduce significativamente il
peso delle negoziazioni effettuate in Borsa, che di fatto si riduce al mero luogo “fisico” in cui pochi
commercianti di maggiori dimensioni, che svolgono anche attività di ingrosso verso imprese più
piccole o geograficamente lontane da Milano, si incontrano periodicamente per perfezionare accordi
che potrebbero essere – e spesso effettivamente sono – realizzati anche altrove o con altri mezzi che
lo scambio verbale di proposta e accettazione.
Si deve peraltro osservare che la Borsa filatelica Nazionale, ancorché non riconducibile al modello
di borsa, rappresenta un caso unico nel suo settore a livello mondiale: non risultano al momento
esistenti altre borse filateliche che seguano il modello italiano, le sole ipotesi riconducibili ad esso
configurandosi nei casi, rari, in cui durante convegni internazionali si organizzino mercati
temporanei.

3.2 La borsa del miele

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La produzione del miele sembra apparentemente ‘facile’, dal momento che ‘il grosso del lavoro’ è
svolto dalle api, che procedono alla raccolta e alla rielaborazione del nettare e della melata senza
particolari necessità di intervento umano, che potrebbe essere limitato alla predisposizione delle
arnie e alla raccolta del miele; tuttavia queste sole operazioni non possono essere sufficienti a fare
del miele prodotto un miele di qualità.
Di fronte ad un prodotto-base piuttosto semplice, in altre parole, il mercato si è nel tempo sempre
più orientato verso diversificazioni dirette alla produzione di mieli sempre più ‘raffinati’ e di qualità
differenziate, idonei a rispondere alle diverse esigenze di una clientela nel tempo educatasi ad
apprezzarne le varietà e gli innumerevoli tipi e gusti. Si sono, così, sviluppate le produzioni di mieli
mono o plurivarietali, raccolti in zone con caratteristiche naturali e climatiche molto diversi e capaci
di incidere anche profondamente sul gusto finale dei diversi prodotti; anche nella fase della
commercializzazione, inoltre, se ne sono notevolmente moltiplicate le potenzialità di impiego,
prospettando abbinamenti anche insoliti con altri alimenti o suggerendone innovativi impieghi
nell’elaborazione di altre pietanze. Infine, non si deve dimenticare che il miele ed i suoi derivati o
succedanei hanno tradizionalmente anche molteplici impieghi nei settori erboristico, farmaceutico e,
non ultimo, in profumeria.
Ben si comprende, quindi, come si possano essere susseguiti nel tempo molteplici interventi
perseguenti anche finalità diverse, ora di salvaguardia e incentivo dell’apicoltura, ora di disciplina
del mercato dei prodotti apicoli, anche attraverso l’istituzione dell’albo degli apicoltori, ora di
individuazione della caratteristiche minime che il prodotto deve avere per fregiarsi di particolari
titoli individuanti qualità aggiuntive, da rappresentarsi anche nell’etichetta.
Interventi in tal senso si sono avuti sia a livello italiano che, successivamente, comunitario; in
questo settore, infatti, si deve registrare un autonomo e di molto anteriore intervento del regolatore
italiano rispetto a quello comunitario, ancora lontano dal nascere, con la finalità di regolarne il
mercato.
È negli anni Venti del secolo scorso che, in attuazione delle disposizioni di cui alla L. 562/1926,
recante disposizioni per la difesa dell’apicoltura la nascita, in seno all’Università di Bologna, in
coordinamento con il Consiglio provinciale delle corporazioni di Bologna e la Confederazione
nazionale degli Apicoltori, dell’idea di dar luogo ad un organismo cui demandare funzioni di tutela
e incremento del settore. Con una convenzione tra questi soggetti venne istituito un primo
Consorzio il quale, sussidiato dal Ministero dell’agricoltura e delle foreste e della Cassa di
risparmio di Bologna, negli anni Trenta promosse l’istituzione dell’Istituto Nazionale di Apicoltura
– INA, avvenuta con R.D. 16 giugno 1938, n. 1049.
L’INA, istituito presso l’istituto di Zoocolture della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di
Bologna, ha come finalità la ricerca e servizi per l’apicoltura, che persegue secondo il proprio
statuto e nel rispetto del Piano specifico di intervento per il settore apistico del Ministero
dell’agricoltura e delle foreste, approvato dal CIPE nel 1990. Sostenuto finanziariamente dallo
stesso Ministero, nel tempo ha visto aumentare il proprio organico e ha predisposto due nuove sedi
a Bologna e a Reggio Emilia; dal 2004 è, inoltre, entrato a far parte del Consiglio per la Ricerca e la
sperimentazione in Agricoltura – CRA.
Tra le funzioni ad esso ascrivibili, per quanto qui interessa le più rilevanti attengono allo
svolgimento di studi economici e di indagini e ricerche di mercato, soprattutto aventi ad oggetto le
diverse richieste dei consumatori e la corrispondente presenza nei prodotti offerti delle qualità
attese; nonché aspetti relativi alla formazione del prezzo di mercato, al rapporto qualità/prezzo e a
quello quantità/costo, e alle fasi di commercializzazione. L’Istituto svolge, inoltre, una costante
attività di ricerca per garantire un efficace supporto in tutte le fasi della produzione, predispone
corsi di formazione e di studio, realizza workshop anche a livello ultranazionale e tiene gli albi delle
diverse professioni regolamentate nel settore.
Accanto a questo soggetto pubblico sono stati istituiti nel tempo altri organismi, con strutture
organizzative e funzioni di volta in volta diverse; al riguardo si può ricordare, a titolo di esempio,
l’Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria – ISZA, istituito con D.P.R. 23 novembre 1967, n.

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1318, in quanto una delle sue cinque sezioni ha competenze nel settore apicolo, ma con esclusivo
riferimento alle fasi della produzione e non anche della negoziazione del prodotto finito.
Tutti questi organismi sono stati raggruppati in una nuova struttura, istituita con il d. lgs. 454/1999,
denominata Consiglio per la sperimentazione e la Ricerca in Agricoltura – CRA.
Il CRA è un ente di ricerca di diritto pubblico, con autonomia statutaria, organizzativa,
amministrativa e finanziaria, soggetto alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari
e forestali; opera attraverso la predisposizione di piani triennali, aggiornati annualmente, tenendo
conto dei programmi di ricerca elaborati sia a livello comunitario che regionale. Svolge le proprie
funzioni attraverso un’articolazione territoriale, in collegamento e cooperazione con le
amministrazioni pubbliche sia centrale che locali e con le imprese e le associazioni di categoria.
Collabora, inoltre, con le Università, il CNR, l’ENEA e gli altri enti di ricerca del comparto
agricolo.
Il settore apicolo del CRA svolge importanti funzioni sia nell’ambito della promozione e
dell’affinamento delle tecniche di produzione delle diverse varietà e tipologie di miele
commerciabili, sia delle modalità di commercializzazione delle stesse, a tali fini realizzando anche
continui rapporti collaborativi e di scambio di analisi ed informazioni sia con amministrazioni
pubbliche che con altri soggetti, anche privati, presenti sul mercato.
Un ruolo di almeno pari rilievo è, poi, svolto nel settore da un altro soggetto pubblico, l’Istituto di
Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare – ISMEA, istituito in attuazione del riordinamento del
sistema degli enti pubblici nazionali, a mezzo del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 419, dall’accorpamento
dell’Istituto per Studi, Ricerche e Informazioni sul Mercato Agricolo, già ISMEA, e della Cassa per
la Formazione della Proprietà Contadina. ISMEA è un ente pubblico economico che, tra i propri fini
istituzionali, collabora con le regioni per il potenziamento della proprietà fondiaria e per favorire il
ricambio generazionale in agricoltura, accedendo, per realizzare tali finalità, ad un particolare
meccanismo di aiuti consentito dall’Unione Europea; esso, inoltre, anche a mezzo di società
controllate, fornisce servizi informativi, assicurativi e finanziari e costituisce forme di garanzia
creditizia e finanziaria alle imprese agricole, ‘al fine di favorire l’informazione e la trasparenza dei
mercati, agevolare il rapporto con il sistema bancario e assicurativo, favorire la competitività
aziendale e ridurre i rischi inerenti alle attività produttive e di mercato’.
In particolare, ISMEA rileva ed elabora le quotazioni dei prodotti alimentari in oltre trecento
mercati, elaborando anche un indice mensile dei prezzi di produzione; elabora scenari economici e
previsioni sul possibile futuro andamento dei mercati e le conseguenti evoluzioni dei diversi
comparti produttivi.
Per quanto, più nel dettaglio, interessa il mercato del miele, nel 1989 è stato istituito l’Osservatorio
del miele, un’associazione che riunisce istituzioni e organizzazioni attive nel settore sia a livello
locale che nazionale, con la principale funzione di svolgere per conto dell’ISMEA una rilevazione
mensile dell’andamento produttivo e dei prezzi all’ingrosso del miele e una relazione annuale sulla
produzione e sull’andamento del mercato del miele. Nell’ambito delle proprie competenze in
materia di analisi e di elaborazione dei dati e dei rilevamenti periodici relativi alla produzione e alla
commercializzazione del miele l’Osservatorio effettua previsioni circa il possibile futuro andamento
del settore, a nostro avviso idonee a condizionare l’incontro della domanda e dell’offerta almeno nel
breve periodo, ma soprattutto a condizionare la formazione del prezzo. Al riguardo, comunque, si
evidenzia che l’Osservatorio elabora anche tabelle mensili recanti i prezzi di mercato dei vari tipi di
mieli e organizza annualmente una ‘fiera e borsa del miele’ a Castel San Pietro Terme, città dove
l’organismo ha sede.
Se, quindi, è pur vero che nessuno dei soggetti descritti ha un ruolo in termini di organizzazione,
gestione, regolazione, vigilanza o anche solo indirizzo del mercato del miele, tuttavia questi soggetti
svolgono innegabilmente una funzione di primo piano nel settore, condizionando le scelte strutturali
e operative delle imprese produttrici e distributrici e rilevando e diffondendo i prezzi.

3.3 La Borsa Elettrica

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