Le 10 cause del caro-bolletta energetica italiano: anatomia di un disastro - Fondazione ...

Pagina creata da Alberto Venturini
 
CONTINUA A LEGGERE
Le 10 cause del caro-bolletta energetica italiano: anatomia di un disastro - Fondazione ...
Le 10 cause del caro-bolletta
energetica italiano: anatomia
di un disastro
written by Mario Menichella | 10 Gennaio 2022
                    “Il bordello è l’unica istituzione italiana

                                 dove la competenza è premiata

                                    e il merito riconosciuto”.

                                              Indro Montanelli

Soltanto nelle prossime settimane, quando riceveranno le
bollette della luce e del gas relative al picco di consumi e
di prezzi invernale, famiglie e imprese italiane avranno piena
contezza della tempesta che si sta per abbattere sui loro
conti economici, già fortemente colpiti dagli effetti della
mala gestio dell’epidemia di Covid. Ma, come cercherò di
illustrare dettagliatamente in questo articolo, in Italia il
problema energetico è stato gestito addirittura peggio
dell’emergenza coronavirus, se si confrontano i risultati
ottenuti. Se infatti si vuole fare un discorso serio e non
limitarsi a discorsi qualitativi “da bar” come quelli che si
sentono in televisione, i dati “cantano”, o meglio contano,
perché permettono di confrontarsi con gli altri paesi
d’Europa. Vedremo che ci sono almeno 10 cause diverse per il
caro-bolletta italiano, che vanno ricercate soprattutto in una
serie di leggi, normative, riforme, interventi del Ministero
competente e del regolatore. Ma, soprattutto, sarà
sorprendente notare – nell’analisi impietosa ma istruttiva che
vi sottopongo – le analogie fra alcuni errori marchiani fatti
dal nostro Paese nella lotta al Covid e quelli fatti in questi
decenni di politica energetica scellerata (e che si perpetuano
ancor oggi). Uno di questi è il guardare solo “ai singoli
alberi e non alla foresta”, cioè il non avere una visione
Le 10 cause del caro-bolletta energetica italiano: anatomia di un disastro - Fondazione ...
d’insieme né, tanto meno, a lungo termine. Per non parlare del
peso delle lobby, che da sempre affligge le scelte della
politica. Capire quali sono tutte le cause del caro-bolletta
che hanno più pesato in passato, quali quelle che più pesano
oggi e che più peseranno in futuro è il primo passo per poter
effettuare i necessari interventi correttivi, poiché non
servirà a molto intervenire soltanto su una o due di esse. Ciò
è tanto più importante considerato che – al di là di alcuni
aspetti contingenti che hanno anticipato ed esacerbato il
problema – le ragioni della situazione attuale sono, come
vedremo, strutturali e si sommano alla tendenza di fondo
dell’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche, che
in realtà è dovuto solo in parte alla famosa “transizione
energetica”.

Quando politici, media e “virostar” tolgono spazio ai veri
problemi

Sono passati ormai due anni dall’inizio della pandemia – o
meglio, da quando l’OMS “se ne è accorta” – e poco meno da
quando l’Italia ha realizzato che non era solo un problema di
altri Paesi. Questa emergenza non sarebbe però più tale se si
fossero adottate le strategie opportune, mentre le scelte
sbagliate fatte (unite all’“appecoronamento” dei media al
Governo) pongono il virus ancora sulle prime pagine dei
giornali e nelle aperture dei telegiornali, distogliendo
insieme ai politici e alle “virostar” da salotto l’attenzione
degli italiani e delle Autorità da altri problemi diventati
nel frattempo più importanti.

Già, perché non è che in questi due anni gli altri problemi
siano spariti; anzi, si sono aggravati e ne sono emersi di
nuovi. Alcuni di essi riguardano tanti Paesi, ma alcuni sono
una peculiarità italiana. Il problema di cui vorrei parlare in
questo articolo è quello dell’energia: all’apparenza il nostro
Paese è colpito dall’aumento dei prezzi energetici come tanti
altri Paesi europei, e quindi si potrebbe pensare il classico
“mal comune mezzo gaudio”. Un retropensiero nascosto in tale
Le 10 cause del caro-bolletta energetica italiano: anatomia di un disastro - Fondazione ...
atteggiamento è che, in fondo, siamo “nella stessa barca”
degli altri Paesi europei, e che quindi ce la caveremo o
affonderemo, ma tutti insieme.

L’andamento, alla Borsa di New York, dei prezzi dei futures
dei tre principali combustibili fossili (petrolio, gas
naturale e carbone) negli ultimi 5 anni, fino alla data del 27
dicembre. Si noti come, a salire enormemente rispetto alla
media degli anni precedenti, siano stati solo il gas naturale
e il carbone se si guardano i picchi massimi toccati, ma tutti
e tre se si guardano i trend (retta aggiunta). L’impatto è
Le 10 cause del caro-bolletta energetica italiano: anatomia di un disastro - Fondazione ...
quindi enorme sia sugli utenti di gas domestici e industriali
sia sulla bolletta elettrica di quei Paesi – come purtroppo
l’Italia – che d’inverno hanno ancora un contributo modesto da
parte delle fonti rinnovabili (fonte: Trading Economics)

Questa analisi iper-semplicistica, che sembra trasparire dal
modo superficiale in cui questo argomento viene affrontato sui
quotidiani e dai media in generale, è però del tutto errata
per le ragioni che cercherò di spiegare quantitativamente in
questo articolo. Infatti, come dico sempre: (1) è solo
passando da un’analisi qualitativa a un’analisi quantitativa
che si può capire la reale portata di un problema; e (2) il
diavolo è nei dettagli. Già, perché per capire la situazione
reale non solo è necessario, come al solito, cercare di
ricostruire il puzzle mettendo insieme le varie tessere, ma
bisogna notare i dettagli importanti.

Sono ormai quasi 15 anni che seguo, fra le altre cose, il
settore energetico per quanto riguarda le tecnologie green
altamente innovative (quelle, per intendersi, che avrebbero
una portata più o meno rivoluzionaria ma che non sono ancora
sul mercato, e che probabilmente vi arriveranno troppo tardi
per poter disinnescare i rischi di cui parlerò) e per la
previsione dei prezzi delle materie prime energetiche
(petrolio, gas naturale, etc.) ed il loro impatto sui prezzi
dell’elettricità e del gas sia per i grandi consumatori
(industrie e aziende energivore) sia per piccole e medie
imprese (PMI) e famiglie.

Purtroppo, devo dire subito che esiste uno stretto
parallelismo fra la mala gestio della pandemia da SARS-CoV-2
in Italia e la pessima gestione della problematica energetica
negli ultimi quarant’anni da parte dei Governi che si sono via
via succeduti. Il risultato, come vedremo, è che ora il nostro
Paese – a differenza di altri – si trova stretto nella morsa
di una doppia emergenza, ed entrambe hanno ricadute economiche
enormi, potenzialmente molto più grandi di quanto si pensi.
Ma, per rendersene conto, sarà necessario affrontare la
Le 10 cause del caro-bolletta energetica italiano: anatomia di un disastro - Fondazione ...
questione passando ai fatti, ai numeri e immaginando scenari
realistici.

La politica energetica italiana: miope come quella sanitaria
anti-Covid

Negli ultimi anni, la politica energetica italiana è stata
sostanzialmente – inutile girarci intorno – “senza né capo né
coda”. Si sono infatti susseguite tante novità, incentivi,
riforme, ma come vedremo il risultato finale è stato, proprio
all’opposto dei “desiderata” ufficiali, un aumento: (1) dei
costi dell’energia per la famiglia media italiana e per le
piccole attività; (2) dell’inquinamento dell’aria, con
conseguente crescita dei morti per cancro e per varie
patologie respiratorie o cardiache legate alle sostanze
tossiche immesse nell’atmosfera dalla combustione del biogas e
delle biomasse, i cui impianti sono cresciuti in modo
esponenziale negli ultimi 15 anni, arricchendo pochissimi ma
danneggiando molti.

Eppure, non erano queste le promesse che erano state fatte dai
politici e dai regolatori alle persone. Dal 1° luglio 2007,
infatti, il mercato italiano dell’energia è completamente
liberalizzato, perché ciò avrebbe dovuto in teoria garantire
concorrenza e prezzi migliori. Ciò vuol dire che le famiglie
(come prima già poteva avvenire per le imprese) possono
scegliere liberamente da quale fornitore – ed a quali
condizioni – acquistare l’elettricità o il gas (sebbene
debbano guardarsi da offerte che si rivelano spesso assai
ingannevoli): possono farlo, in pratica, optando per un
fornitore del cosiddetto “Mercato Libero”.

Il vecchio mercato vincolato, o “di maggior tutela”, si
applica ancora – ma solo fino al 31 dicembre 2022, salvo
eventuali proroghe – alle famiglie che non hanno voluto
cambiare fornitore tenendosi quindi stretto il vecchio (ad es.
l’Enel, che ora si chiama “Enel Servizio Elettrico Nazionale”
sul mercato a maggior tutela, mentre sul mercato libero si
Le 10 cause del caro-bolletta energetica italiano: anatomia di un disastro - Fondazione ...
chiama “Enel Energia”); e ad essi è garantita la fornitura di
energia ai prezzi molto bassi stabiliti dall’Autorità per
l’Energia Elettrica e il Gas (che ora si chiama Arera),
l’organismo che in Italia ha le funzioni di controllo e
regolamentazione del mercato elettrico.

Quando si parla di politica energetica, è inoltre fondamentale
tenere a mente i seguenti eventi, con le rispettive date: (1)
il referendum sul nucleare a fissione (1987), che ha sancito
la rinuncia del nostro Paese a questa fonte di energia; (2) la
liberalizzazione del mercato dell’energia (1999) con il
decreto Bersani, che ha avviato lo smantellamento del
monopolio esistente nel campo dell’energia elettrica, facendo
entrare in tale mercato altri operatori; (3) il Conto Energia
per l’incentivazione del fotovoltaico (durato dal 2005 al
2013); (4) nel 2007 nascono la Borsa elettrica e quella del
gas e, tramite il decreto Bersani bis, viene previsto un
passaggio graduale dal Servizio a Maggior Tutela al mercato
libero (obbligatorio, dopo vari rinvii: dal 1° gennaio 2021,
per imprese e PMI e, dal 1° gennaio 2024, anche per tutte le
famiglie italiane e le microimprese); (5) il referendum sulle
trivelle (2016), che ha fermato le trivellazioni e
l’estrazione di petrolio e gas in mare entro il limite di 12
miglia nautiche che definisce le acque territoriali.
Le 10 cause del caro-bolletta energetica italiano: anatomia di un disastro - Fondazione ...
Il referendum sul nucleare e quello sulle trivelle hanno
dunque impedito al nostro Paese di diversificare
l’approvvigionamento energetico, una strategia miope non meno
di quanto non lo sia l’usare contro il Covid i soli vaccini.
La diversificazione è importante perché diminuisce il rischio.
Lo sanno bene gli investitori ed i trader. In quest’ottica,
sarebbe stato anche opportuno dotarsi di più rigassificatori,
in modo da avere uno stoccaggio adeguato di gas naturale
facendo rifornimento via nave quando i prezzi sono più bassi.
Invece, l’Italia ne ha solo tre, mentre la Spagna ne ha ben
sei e la Croazia, qualche anno fa, ha ottenuto due co-
finanziamenti europei per realizzarne uno ed affrancarsi dal
monopolio russo del metano [1].

Il nostro Paese, peraltro, all’epoca del referendum aveva un
know-how tecnologico in campo nucleare di altissimo livello,
che è andato inevitabilmente perso in virtù del timore dei
cittadini di un incidente tipo quello di Chernobyl ai nostri
reattori;  ma l’Italia è circondata da Paesi che hanno
reattori nucleari e potrebbe quindi essere ugualmente
investita da un fallout radioattivo. Non amo particolarmente
il nucleare a fissione, tuttavia è indubbio che sarebbe stato
prezioso in una transizione energetica dai combustibili
fossili alle rinnovabili, che inevitabilmente necessita di
molti anni per realizzarsi effettivamente (sempre che non vi
siano imprevisti che impediscano di rispettare la road map
ipotizzata dal Governo).

L’Italia brucia circa 70-75 miliardi di metri cubi di gas
l’anno. Nel sottosuolo sotto i piedi degli italiani riposano
indisturbati almeno 90 miliardi di metri cubi di metano, il
meno inquinante tra i combustibili fossili. Tuttavia, le stime
delle riserve italiane di gas pubblicate conteggiano i
giacimenti accertati e non possono immaginare quelli ancora da
cercare. Ma i nuovi giacimenti ora non li si cercano più: dopo
il referendum, gli investimenti delle compagnie sono fermi.
Quello italiano è metano il cui costo di estrazione si aggira
Le 10 cause del caro-bolletta energetica italiano: anatomia di un disastro - Fondazione ...
sui 5 centesimi al metro cubo. Invece, il prezzo di mercato
del gas che l’Italia importa da Paesi remotissimi si aggira
fra i 50 e i 70 centesimi al metro cubo, ovvero più di 10
volte tanto [2].

Meno del 5% del gas metano che utilizziamo arriva dai
giacimenti in Pianura Padana e dai grandi giacimenti
dell’Adriatico, in Basilicata e, in misura contenuta,
in Sicilia. Le importazioni vengono soprattutto da Russia,
Algeria, via nave al rigassificatore di Rovigo e dal nuovo
metanodotto TAP (Trans-Adriatic Pipeline), che ci porta il gas
di un giacimento off-shore azero sito nel Mar Caspio. Insomma,
per il gas dipendiamo soprattutto dall’estero, il che comporta
prezzi molto più elevati di questa materia prima. Inoltre,
dipendere fortemente dal gas proveniente dall’estero – si è
visto anche negli ultimi mesi – significa che, quando crescono
le quotazioni del gas, cresce il prezzo dell’energia elettrica
e del riscaldamento delle case. Quindi sarebbe importante
avere un più ampio mix energetico e una maggiore produzione
nazionale.

Il mix energetico italiano e la nostra dipendenza dall’estero

La produzione di energia elettrica, in Italia, avviene a
partire dall’utilizzo di fonti energetiche non rinnovabili (i
combustibili fossili quali gas naturale, carbone e petrolio,
in gran parte importati dall’estero) e, in misura sempre più
rilevante, con fonti rinnovabili (come lo sfruttamento
dell’energia    geotermica,    dell’energia    idroelettrica,
dell’energia eolica, delle biomasse e dell’energia solare); il
restante fabbisogno elettrico (il 12,8% dei consumi totali nel
2017, e superiore al 10% anche negli anni successivi) viene
soddisfatto con l’acquisto di energia elettrica dall’estero,
trasportata attraverso elettrodotti dai Paesi confinanti.

A seguito di valutazioni economiche dettate dal costo delle
materie petrolifere, dai costi sociali nell’uso del carbone e
dall’abbandono del nucleare, le politiche perseguite in Italia
Le 10 cause del caro-bolletta energetica italiano: anatomia di un disastro - Fondazione ...
sono state essenzialmente due:

     la sostituzione del petrolio con il gas naturale come
     combustibile delle centrali termoelettriche, considerato
     un combustibile con oscillazioni di prezzo inferiori,
     maggiore disponibilità e provenienza da aree
     politicamente meno instabili;
     è stata ulteriormente perseguita la politica di
     importazione di energia dall’estero, in particolare
     dalla Francia e dalla Svizzera, nazioni che durante la
     notte (periodi off-peak) hanno forti eccedenze di
     produzione che svendono a basso prezzo.

Il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) annualmente aggiorna i
dati sulla composizione del mix energetico nazionale, come
richiesto dal Decreto ministeriale del 31 luglio 2009. La
nuova pubblicazione, uscita a settembre, mostra il mix
energetico iniziale per l’elettricità immessa in rete nel 2019
(dati a consuntivo) e per il 2020 (dati provvisori), a livello
nazionale (lo possiamo vedere in dettaglio nella tabella
seguente). Ai dati della produzione nazionale da fonti
rinnovabili e da combustibili fossili, si aggiungono,
ovviamente, i dati Eurostat per l’energia elettrica netta
importata.

Nel 2019, il mix energetico nazionale mostrava un 41,74% di
rinnovabili tra le fonti primarie, seconde solo alla quota del
gas naturale (43,20%); nel 2020, complice la pandemia e il
calo dei consumi, le rinnovabili hanno alzato il tiro
raggiungendo “sulla carta” (pre-consuntivo) un buon 45,04%
[3]. In effetti, nel 2020 in Italia si è avuto un calo record
in tempo di pace per fabbisogno di energia ed emissioni di
CO2, in conseguenza del crollo del PIL, della produzione
industriale e della mobilità. Si è trattato del calo maggiore
registrato in tempi di pace, superato solo dai cali del
1943-44, mentre nell’anno della crisi del 2009 la domanda di
energia si ridusse del 5,7%, in perfetto allineamento con la
caduta del PIL [4].
Le 10 cause del caro-bolletta energetica italiano: anatomia di un disastro - Fondazione ...
Il mix energetico nazionale. Si noti come oltre il 42%
dell’elettricità sia prodotta usando il gas naturale, come ben
circa altrettanta derivi dalle rinnovabili (non programmabili)
e solo il 3,5% circa dal nucleare (di importazione). Si
osservi anche la quota tuttora rilevante        prodotta   con
l’economico ma inquinante carbone.

Il mix energetico dell’elettricità venduta da Enel Energia sul
mercato libero. Si noti come l’Enel privilegi più il gas e il
carbone rispetto al “mix nazionale”, il che è già un buon
motivo per evitarla. Ogni fornitore è tenuto a indicare il mix
delle fonti utilizzate. Pertanto, se gli italiani scegliessero
fornitori magari piccoli e poco noti ma che privilegiano molto
di più le rinnovabili, da una parte spenderebbero meno in
bolletta e, dall’altra, favorirebbero la transizione
energetica. Ma quanti consumatori ne sono consapevoli?

Nonostante la domanda primaria di energia si sia contratta in
Italia del 9,2% nel corso del 2020, a causa delle restrizioni
imposte dalla pandemia, il 73,4% del nostro fabbisogno
energetico è stato soddisfatto solo grazie alle importazioni
nette. Complessivamente, per coprire una domanda energetica
primaria totale (comprensiva dell’uso per i trasporti, per il
riscaldamento, etc.) pari a 143,5 milioni di tonnellate
equivalenti di petrolio, ci siamo affidati ad un
approvvigionamento energetico per il 40% dal gas naturale, per
il 33% dal petrolio e solo per il 20% dalle fonti energetiche
rinnovabili [5].

La   domanda   del   gas   in   Italia,   nel   2020,   è   stata
complessivamente pari a 71,3 miliardi di metri cubi, in
riduzione di 3,2 miliardi di metri cubi (-4.3%) rispetto
all’anno precedente; la copertura della domanda è stata
garantita in gran parte dalle importazioni (per il 93%) e solo
in piccola parte dalla produzione nazionale (per il 7%), che
come abbiamo visto garantirebbe prezzi della materia prima
molto più bassi. Dunque, per quanto riguarda il gas naturale,
la nostra dipendenza dall’estero è oggi elevatissima.
Il fabbisogno energetico primario italiano (considerando anche
trasporti, riscaldamento, etc.) è soddisfatto per il 40% dal
gas naturale, per il 30% dal petrolio e appena per il 20%
dalle rinnovabili. Il motivo è che i veicoli usano ancora
derivati del petrolio e le rinnovabili italiane sono in gran
parte fotovoltaico, che d’inverno dà un contributo
relativamente modesto (i Paesi nordici privilegiano perciò
l’eolico).

L’Italia è fra i Paesi dell’Unione Europea che pagano di più
l’energia

Dalle iniziative legislative prese in questi anni e dalla
propaganda del Governo, potrebbe quindi sembrare che tutto
vada bene e che gli italiani possano dormire sonni tranquilli.
Se ci pensate, è quel che accade anche con il Covid: abbiamo
il vaccino e il Green Pass, per cui l’Italia, ci dicono, “è un
modello da seguire”. Peccato, però, che nel caso del Covid non
siamo affatto un’isola felice ma, come mostrato dal prof. Luca
Ricolfi [6], siamo a metà classifica fra i Paesi europei in
quanto a morti per abitante; mentre, in campo energetico, già
da molti anni siamo ai primissimi posti fra i Paesi UE che
pagano l’energia (luce e gas) più cara, con ovvie conseguenze
sia per le famiglie sia per l’industria e le piccole e medie
imprese (PMI).

Infatti, come si vede dai grafici seguenti forniti da Eurostat
[7], il nostro Paese è al primo posto fra i paesi dell’Unione
Europea con il prezzo a kWh dell’elettricità più alto per i
clienti non domestici (i prezzi – comprensivi di imposte e
oneri vari – sono relativi alla prima metà del 2019, dunque al
periodo pre-pandemia); mentre risulta essere al 6° posto per
quanto riguarda il prezzo pagato dai clienti domestici, grazie
alla presenza del Mercato a Maggior Tutela con le tariffe
ultra-calmierate stabilite dall’Authority (ma anche questi
clienti dovranno passare al mercato libero dal 1° gennaio del
2024, e allora verosimilmente, come vedremo più avanti,
verranno raggiunte le primissime posizioni anche in questa
classifica).

I Paesi UE che pagano di più l’elettricità – Clienti non
domestici, come ad es. le industrie. (fonte: Eurostat)

I Paesi UE che pagano di più l’elettricità – Clienti
domestici, cioè le famiglie. (fonte: Eurostat)

Per quanto riguarda, invece, il prezzo del gas naturale
(sempre relativo al primo semestre 2019 e comprensivo di
imposte e oneri vari), l’Italia è all’11° posto per il prezzo
pagato dai clienti non domestici (in pratica, le industrie, le
piccole e medie imprese, le attività commerciali, le partite
Iva) ed al 4° posto per quanto riguarda il prezzo pagato dai
clienti domestici (le famiglie) [8]. Insomma, siamo riusciti a
far molto peggio rispetto a quanto fatto contro il Covid, se
si considera che l’obiettivo principale della politica
energetica di un Paese dovrebbe essere quello di far pagar
meno l’energia alle famiglie e alle imprese, per ridurre la
“mortalità” di queste ultime o comunque garantire una miglior
“salute” sia alle attività che alle famiglie. Ma quali sono le
ragioni di questi prezzi così esorbitanti?

I Paesi UE che pagano di più il gas naturale – Clienti
domestici, cioè le famiglie. (fonte: Eurostat)

Va premesso che, come ben illustra l’istogramma mostrato di
seguito, la distanza del prezzo dell’energia elettrica in
Italia dal prezzo europeo (media EU28) per le piccole, medie e
grande imprese è andata progressivamente riducendosi a partire
dal secondo semestre del 2012. Il gap di prezzo fra l’Italia e
altri Paesi dell’UE è in parte diminuito, negli ultimi anni,
perché nel 2016 problemi di sicurezza hanno costretto a
chiudere, per controlli, diversi reattori nucleari francesi,
per cui la Francia ha smesso di esportare in mezz’Europa la
corrente a basso costo e ha dovuto importare da mezz’Europa
corrente ad alto costo. Gli effetti sui prezzi europei del kWh
si sono subito fatti sentire con forti rincari.

Differenze di prezzo dell’elettricità fra l’Italia e l’UE. Il
2012 corrisponde al differenziale più alto dei prezzi
dell’energia elettrica pagati dalle imprese italiane nel
periodo considerato (2010-2017). (fonte: ENEA)

Le ragioni strutturali per cui l’Italia paga una bolletta
energetica salatissima sono numerose, ma le più note sono due:
la scarsa diversificazione degli approvvigionamenti (per fonti
e Paesi) e il peso delle imposte e, soprattutto, degli “oneri”
in bolletta. Infatti, nel caso della generazione elettrica non
possiamo contare sul nucleare e, se non in minima parte, sul
gas nostrano, mentre per le importazioni siamo costretti –
evidentemente – a fornirci dai paesi confinanti. Nel caso del
gas, grazie alla presenza di più gasdotti e dei
rigassificatori (che accolgono gas proveniente anche da Paesi
non confinanti) possiamo avere una maggiore scelta e spuntare
quindi prezzi all’ingrosso più bassi, donde il miglior
posizionamento in graduatoria.

Come si può vedere dai grafici sottostanti, l’Italia è: al 2°
posto nell’UE per la quota delle imposte e degli oneri non
recuperabili sul prezzo totale dell’energia elettrica per i
consumatori non domestici; al 6° posto per quanto riguarda,
invece, quelli domestici. Mentre, per quanto riguarda la quota
delle imposte e degli oneri non recuperabili dai consumatori
non domestici sul prezzo totale del gas naturale, il nostro
Paese si pone a metà classifica; ma è al 4° posto, invece, per
i consumatori domestici. Le posizioni italiane nella
classifica UE per quanto riguarda il peso di imposte e oneri
risultano, quindi, simili a quelle del prezzo totale, il che
indica come la ragione principale della cattiva posizione sia
proprio il peso di imposte ed oneri.

Percentuale di imposte e oneri nelle bollette elettriche dei
Paesi UE – Clienti non domestici. (fonte: Eurostat)
Percentuale di imposte e oneri nelle bollette elettriche dei
Paesi UE – Clienti domestici. (fonte: Eurostat)

Percentuale di imposte e oneri nelle bollette del gas dei
Paesi UE – Clienti domestici. (fonte: Eurostat)

Riassumendo,   industrie   e   PMI   italiane   pagano   carissima
l’elettricità, mentre le famiglie italiane pagano già ora
molto cara sia luce che gas: infatti, industrie e PMI pagano
per l’elettricità dei prezzi che sono da anni ben al di sopra
la media dell’Unione Europea (UE), nonostante le nostre oltre
500 aziende di vendita dell’energia sul mercato libero.
Viceversa, le famiglie con consumi medio-bassi pagano (per
ora) un po’ meno della media dell’UE. Inoltre, in Italia si è
generato un gap rilevante tra i prezzi pagati dai consumatori
finali nei mercati al dettaglio ed i corsi delle relative
materie prime sui mercati all’ingrosso.

Da cosa dipende    il   prezzo   dell’elettricità   alla   Borsa
elettrica?

Per capire le altre cause dell’alto prezzo della bolletta
energetica italiana, occorre entrare nel “sancta sanctorum”
del mercato energetico italiano. Ma niente paura, tutto può
essere spiegato in poche parole. Il cosiddetto “Prezzo Unico
Nazionale” (PUN) è il prezzo di riferimento dell’energia
elettrica rilevato sulla Borsa elettrica italiana. La
formazione di tale prezzo è complessa, ma si può presumere
che, al crescere della penetrazione delle fonti rinnovabili,
il prezzo di vendita in Borsa dell’energia elettrica si
ridurrà, con un vantaggio anche per il consumatore. Tuttavia,
non si ridurrà quanto si può pensare a prima vista.

Infatti, alla Borsa elettrica – dove si forma il prezzo di
circa i due terzi dell’energia elettrica venduta in Italia e
grosso modo i tre quarti di quella destinata ai clienti a
maggior tutela (i piccoli consumatori) – le offerte di energia
elettrica vengono accettate in ordine di merito economico,
cioè in ordine di prezzo crescente, fino a quando la loro
somma in termini di kWh arriva a soddisfare la domanda. Il
prezzo del kWh dell’ultimo offerente accettato (quindi quello
più alto) viene attribuito a tutte le offerte (criterio del
marginal price).

Il PUN è importante perché fa da riferimento alle tariffe
elettriche proposte mensilmente dai fornitori ai clienti o
potenziali tali. In pratica, il fornitore di energia guadagna
perché al prezzo del PUN aggiunge un differenziale, o spread.
In particolare, alcuni contratti con tariffa variabile offrono
come, possibile tariffa, il “PUN + spread”. Ad esempio, uno
“spread su PUN” di 0,0135 €/kWh vuol dire che devo aggiungere
tale valore al PUN (espresso però in €/kWh!) per sapere la
tariffa proposta per la componente energia.

In altre parole, il Prezzo Unico Nazionale (PUN) rilevato
sulla Borsa elettrica è il risultato di aste che coprono la
richiesta di energia prevista, ora per ora, con l’elettricità
offerta da vari operatori (Enel Energia, A2A, Acea, Sorgenia,
etc.). Nelle aste si accetta, cioè si “dispaccia”, prima
l’offerta più economica e poi, via via, i “pacchetti” più
cari, fino a coprire tutto il fabbisogno. A determinare il
prezzo orario che si applica a tutti gli impianti è però la
fonte più cara selezionata. Le rinnovabili non programmabili,
come solare ed eolico, sono offerte a prezzo zero, così da non
rischiare di non essere selezionate: ciò avviene in
accoglimento di una direttiva europea, ma in realtà non lo
rischierebbero comunque, in quanto vento, sole, acqua, e
fluido geotermico sono fonti energetiche a costo di
funzionamento quasi nullo.

Pertanto, il meccanismo usato nella Borsa elettrica (e nelle
borse europee) per fissare ogni giorno il costo
dell’elettricità è uno dei veri colpevoli del caro-bolletta,
sebbene sia uno dei più sconosciuti al grande pubblico. Poiché
il meccanismo delle Borse elettriche prevede che il prezzo di
vendita dell’energia sia determinato dall’impianto meno
efficiente con cui si satura la domanda, se nell’esempio in
figura una quota dell’offerta non venisse dall’eolico, per
soddisfare tutta la domanda bisognerebbe ricorrere a impianti
a combustibili fossili ancora più costosi, facendo salire il
prezzo di vendita dei kWh [33]. Per sterilizzare questi
effetti che accrescono il prezzo a MWh, bisognerebbe puntare
ad es. su aste e su contratti a lungo termine con fonti
rinnovabili (i cosiddetti Power Purchase Agreement, o PPA).

Il perverso criterio del prezzo marginale nella formazione del
prezzo giornaliero alla Borsa elettrica, che fa piacere ai
produttori ma molto meno al consumatore finale (fonte: G.B.
Zorzoli / Quale Energia)

Nel frattempo, il prezzo del gas naturale determina (e
determinerà ancora in futuro) il “fattore di carico” con cui
la generazione a gas può essere (e verrà) utilizzata. Anche il
numero dei rigassificatori presenti giocherà un ruolo. D’altra
parte, il gas naturale è usato come fonte per la generazione
di picco di energia elettrica al fine di soddisfare i carichi
di raffreddamento in estate e quelli di riscaldamento in
inverno. Dunque è importante cercare di stabilire dei solidi
modelli di analisi dei possibili prezzi futuri a MWh
dell’elettricità basati sulla cosiddetta “co-integrazione” dei
due prezzi (vedremo più avanti cosa esattamente significa)
come strumenti decisionali anche per lo scambio di materie
prime energetiche.

Quali sono le cause del prezzo così alto dell’elettricità in
Italia?

Le cause che influiscono sul prezzo elevato dell’energia
elettrica nel nostro Paese sono, come dicevamo, numerose. Ora
le analizzerò brevemente, sebbene non necessariamente in
ordine di importanza. La prima causa è il mix squilibrato e
limitato delle fonti energetiche disponibili, poiché in Italia
esso è giocoforza limitato per l’assenza del nucleare e,
d’altro canto, le fonti fossili (sostanzialmente il gas
naturale) sono ancora molto rilevanti nel mix energetico
nazionale e contribuiscono oggi alla formazione del prezzo
sulla Borsa elettrica nonostante la crescente quota delle
rinnovabili.

Inoltre, a causa del riscaldamento globale che ha portato a
temperature più alte, vi è stata negli ultimi anni una minore
disponibilità della generazione idroelettrica nazionale,
sostituita dalla più costosa produzione delle centrali a gas,
i cui costi sono molto legati all’andamento del mercato del
metano ed a fattori geopolitici. Così l’aumento autunnale dei
prezzi all’ingrosso del gas in tutta Europa dovuto alla
domanda per il riscaldamento spinge ogni anno a far innalzare
stagionalmente i prezzi elettrici. Una tendenza al rialzo su
cui si innesta quella a più lungo termine dovuta all’uso
crescente del gas per la transizione energetica.

La seconda causa, come abbiamo visto in precedenza, è la
dipendenza dall’estero per quanto riguarda le materie prime
energetiche: gas naturale, carbone, petrolio, etc. (ricordo
che il petrolio viene usato per produrre i carburanti e,
soprattutto in passato, veniva usato nella produzione
termoelettrica tramite un suo noto distillato, l’olio
combustibile). Inoltre, circa il 90% dell’elettricità
consumata nel nostro Paese è di produzione nazionale, ma la
restante parte arriva dalla Svizzera, dalla Francia e, in
misura minore, da Slovenia e Austria. Si noti che, eccetto
l’Austria, tutti questi Paesi posseggono centrali nucleari.

La terza causa – ma, come abbiamo visto dai dati di Eurostat,
in realtà fino a qualche anno fa la prima per importanza fra
tutte – è rappresentata dal peso elevato delle imposte e degli
oneri non recuperabili. Questi ultimi, in particolare, sono
una zavorra notevolissima nella nostra bolletta energetica. Si
tratta di alcune componenti addizionali previste per legge, il
cui gettito è destinato a finalità particolari. Sono i
cosiddetti “oneri di sistema”, che incidono per una parte
assai rilevante del costo totale lordo di un utente.

Andamento semestrale del peso delle 4 componenti della
bolletta elettrica delle piccole imprese italiane nel periodo
2013-2017. Si noti come la componente energia (in colore
azzurro) sia inclusa, nelle nuove bollette, nei cosiddetti
“servizi di vendita” (in colore viola). La componente A3 è a
copertura degli incentivi alle fonti rinnovabili ed a quelle
“assimilate”, che sono non rinnovabili e inquinanti. Come si
vede, gli “oneri” nel loro complesso (oggi indicati con una
marea di nuove sigle per confondere ulteriormente il povero
consumatore) pesano sempre più sulla bolletta elettrica delle
piccole imprese. (fonte: ENEA)

Essi compaiono sotto varie forme in una bolletta elettrica,
essendo composti da: una quota energia (euro/kWh), una quota
potenza (euro/kW/anno), ed una quota fissa (euro/anno). La
percentuale della spesa per gli oneri di sistema in una
bolletta della luce è molto aumentata negli ultimi 15 anni,
fino ad arrivare in certi periodi al 25% della spesa totale e
ad attestarsi, ad oggi, intorno al 20%.

Gli oneri di sistema sono la somma di numerosi componenti:
oneri per il decommissioning delle centrali nucleari;
incentivi alle fonti rinnovabili (Conto Energia, “tariffa
onnicomprensiva”, etc.); agevolazioni tariffarie per il
settore ferroviario; ricerca di sistema; agevolazioni alle
industrie energivore; oneri per il bonus elettrico; imprese
elettriche minori; promozione dell’efficienza energetica (ad
es. attraverso il meccanismo dei Certificati Verdi); enti
locali che ospitano impianti nucleari. Insomma, una varietà di
voci da retribuire lautamente che ricalca vagamente lo schema
delle accise sulla benzina.

La più consistente di queste componenti è quella destinata a
promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili e
“assimilate”. Oltre agli oneri generati direttamente dagli
incentivi statali, questa componente serve a coprire anche i
costi di funzionamento del Gestore dei Servizi Energetici
(GSE, anche se poi contattarlo per avere delle informazioni è
una vera impresa), per la copertura dei costi per i
Certificati Verdi, di quelli per le agevolazioni per le
connessioni alla reti di distribuzione, etc.
In realtà, però, gran parte di questa componente non è stata
usata per compensare i produttori di rinnovabili, bensì per
pagare i produttori di energia da fonti “assimilate” non
rinnovabili e inquinanti (facendo dunque un grosso favore
all’ex monopolista, l’Enel, che come visto in precedenza ha
nel suo mix energetico tali fonti): oggi centrali elettriche a
ciclo combinato alimentate con il metano o il gas ottenuto
dalla   gassificazione      dei   residui    di  raffineria,
termovalorizzatori connessi agli inceneritori di rifiuti, etc.
Perciò, l’Italia è stata sottoposta a procedura di infrazione
da parte dell’Unione Europea e condannata, per cui ognuno può
oggi chiedere la restituzione di tale somma illecitamente
pagata. Naturalmente, va da sé che in un Paese “normale” la
restituzione sarebbe automatica, ma non è il caso nostro.

Per dare un’idea migliore di questa situazione scandalosa che
perpetua un andazzo, in voga in Italia da tempo, di elargire
benefici sostanzialmente “ad aziendam”, posso citare una
rivista di settore, Quale Energia, che nell’articolo “Tutto
per Enel il ‘regalo’ alle centrali a olio combustibile” [32]
sintetizza così la sostanza dell’ennesimo “favore” all’epoca
concretizzatosi: “Circa 250 milioni di euro prelevati (in modo
spalmato) dalle bollette degli italiani per rendere solo
disponibili dal 1° gennaio al 31 marzo 2013, e con un
preavviso di 48 ore, la produzione di vecchie e inquinanti
centrali a olio combustibile, ormai obsolete. Obiettivo
ufficiale è ‘fronteggiare un’eventuale emergenza gas’ (come
quella verificatasi nell’inverno 2011). Dall’elenco
dell’Authority, però, risulta che il ‘monopolista’ di questi
impianti è Enel”.
Una vecchia centrale a olio combustibile dell’Enel, usata in
emergenza per alleggerire il peso sulle scorte di gas nel
periodo invernale. Dal 1° settembre 2017, gli impianti termici
civili a olio combustibile sono fuorilegge, perché dannosi per
la salute (sebbene lo siano pure quelli a carbone, di cui
l’Enel ne possiede ancora diversi), oltre ad avere – in tempi
“normali” – un costo di esercizio più alto rispetto al gas
naturale.

Ogni eventuale parallelo fra questo regalo fatto alle lobby
del petrolio e dell’energia con i più recenti “favori” fatti
dal Governo alle lobby farmaceutiche – miliardi e miliardi
spesi per i vaccini anti-Covid, indicazione persistente della
tachipirina (che guarda caso era già prima il farmaco più
venduto in Italia) nelle linee guida nonostante sia ormai noto
dalla letteratura che è controindicata per il Covid, pressione
per l’acquisto di costosissimi anticorpi monoclonali che poi
non sono stati utilizzati, autorizzazione di antivirali dal
costo esorbitante quando sarebbero disponibili principi attivi
economici che in studi controllati randomizzati hanno
funzionato meglio, etc. – è il classico “a pensar male si fa
peccato ma…”.

Altre   cause   che   influiscono     sull’elevato    prezzo
dell’elettricità in Italia sono le seguenti: (1) il fatto che
alcune aziende elettriche lavorino in modo speculativo su un
mercato derivato dell’elettricità; (2) gli sconti in bolletta
per l’industria “interrompibile” per la sicurezza del sistema
elettrico; (3) la crescita dei costi di produzione delle
centrali elettriche che devono marciare anche se inefficienti
o vecchie perché ritenute indispensabili per garantire la
sicurezza del sistema in determinate aree del Paese.

Inoltre, in Italia abbiamo elettrodotti inefficienti che
contribuiscono a rendere l’energia elettrica più cara. I “no”
dei comitati Nimby contro la posa di nuove infrastrutture e
ricorsi ai TAR paralizzano molti investimenti di Terna sulle
linee di alta tensione. Ciò costringe buona parte del sistema
elettrico a funzionare con vecchie reti inadeguate,
soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia. Al tempo stesso, lo
sviluppo di reti elettriche più “smart” delle attuali
comporterà investimenti e conseguenti oneri tariffari
aggiuntivi.

Infine, il mercato libero in questi anni non ha fatto calare
le bollette delle famiglie italiane, anzi per queste ha
causato esattamente l’effetto opposto; e pure per le industrie
italiane la situazione è pessima, visto che nonostante il
mercato libero pagano ancora l’elettricità più cara che il
resto d’Europa. Anche le piccole imprese italiane hanno, da
anni, l’elettricità più cara d’Europa. In particolare,
l’Analisi trimestrale del sistema energetico italiano curata
periodicamente dall’ENEA illustra bene il differenziale
storico del prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica in
Italia rispetto ai principali Paesi europei nel periodo
2010-17.
Le piccole imprese italiane (curva tratteggiata) hanno da anni
l’elettricità più cara d’Europa. (fonte: ENEA)

La   liberalizzazione   del   mercato   non   ha   migliorato   la
situazione per famiglie, partite Iva e PMI

Dal 1° luglio 2007, in Italia il mercato dell’energia è
completamente liberalizzato, e ciò – secondo le dichiarazioni
dell’epoca che accompagnarono il decreto Bersani, che
introdusse tale liberalizzazione – avrebbe dovuto favorire la
concorrenza e, di conseguenza, il calo dei prezzi. Ciò, però,
in generale non è avvenuto, come vedremo, nonostante non vi
fosse ancora l’obbligo del passaggio al mercato libero, e
quindi vi fosse un forte stimolo, per i fornitori, a offrire
ai clienti tariffe convenienti.

Come evidenziato già nel prezioso documento del 2015
“Monitoraggio Retail: Rapporto annuale 2012-13” redatto
dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (all’epoca
chiamata AEEGSI, oggi ARERA) – ovvero dal massimo organismo
pubblico in materia esistente in Italia – nel settore delle
utenze elettriche domestiche il Mercato Libero è risultato
essere molto più caro di quello a Maggior Tutela, cioè con
tariffe fissate dall’Autorità: infatti, già nel periodo
2012-13, per i clienti domestici il Mercato Libero costava, in
media, il 15-20% in più del Mercato tutelato, e una situazione
simile si è riscontrata per le piccole attività.
Il citato Rapporto dell’Autorità per l’energia sintetizza, per
gli anni 2012 e 2013, gli esiti dell’attività di monitoraggio
della clientela di massa (“retail”) svolta da tale organismo
nell’ambito dell’attività di regolare e sistematica
osservazione delle condizioni di funzionamento del mercato
della vendita al dettaglio di energia elettrica e di gas
naturale. Le evidenze riscontrate in materia di struttura
dell’offerta e dinamiche concorrenziali nel settore della
vendita alla clientela di massa hanno indicato che “la
maturità e la concorrenzialità del mercato ha raggiunto
livelli disomogenei nei due settori – elettricità e gas – e,
nell’ambito di ciascun settore, difformi per tipologia di
cliente”.

In particolare, nel settore elettrico, l’analisi ha
evidenziato “condizioni concorrenziali uniformi sul territorio
nazionale ma assai disomogenee per le varie tipologie di
clienti”. Infatti, l’attività di vendita ai clienti in “Media
Tensione altri usi” – cioè ai clienti più energivori, come
l’industria e le grandi e medie imprese – è risultata
caratterizzata da condizioni di effettiva concorrenza, come
desumibile dagli indici di concentrazione e dalla frequenza
con cui i clienti cambiano fornitore (cioè fanno il cosiddetto
“switch”). Inoltre, come evidenzia il rapporto dell’Autorità
per l’energia, la dinamicità dei clienti in “Media Tensione
altri usi” è risultata essere più intensa rispetto agli altri
clienti analizzati: nel solo 2013, i passaggi tra modalità di
fornitura operati da tali clienti sono stati pari a circa il
27,3% del totale.

Dal citato rapporto dell’Authority sono emerse invece
indicazioni di segno opposto circa il grado di
concorrenzialità nell’attività di vendita ai clienti connessi
in Bassa Tensione (BT), che comprendono i clienti domestici ma
anche le piccole imprese e partite Iva (ovvero i clienti
cosiddetti, in gergo, “Bassa Tensione altri usi”). In
particolare, secondo il rapporto, i risultati dell’analisi
svolta dall’Autorità circa le condizioni di fornitura di
energia elettrica ai clienti domestici possono essere
sintetizzate come segue:

     In primo luogo, il servizio di Maggior tutela costituiva
     la modalità di fornitura prevalente per tale tipologia
     di clienti finali: il 75% dei clienti domestici, nel
     2013, preferiva tale modalità di approvvigionamento
     rispetto alle alternative disponibili sul mercato
     libero;
     In secondo luogo, il fenomeno dei rientri nel servizio
     di Maggior Tutela, da parte di clienti finali che in
     precedenza si approvvigionavano sul mercato libero,
     presenta dimensioni non trascurabili: per ogni 7 clienti
     domestici che hanno lasciato il servizio di Maggior
     Tutela nel 2013, uno vi è rientrato;
     In terzo luogo, gli esercenti del servizio di Maggior
     Tutela apparivano ancora godere, rispetto ai loro
     concorrenti, di un certo vantaggio nel “convincere” i
     clienti domestici a rifornirsi alle loro condizioni nel
     mercato libero. Infatti, il rapporto evidenzia che quasi
     il 60% dei clienti che rinunciano al servizio di Maggior
     Tutela in favore della fornitura sul mercato libero
     sceglie di approvvigionarsi dal venditore che in
     precedenza forniva il servizio di Maggior Tutela (o da
     un venditore appartenente al gruppo societario del
     medesimo esercente).
     In quarto luogo, si è osservato che il primo operatore
     del settore elettrico deteneva, relativamente al biennio
     analizzato, una quota di mercato prossima al 50% delle
     vendite a clienti finali domestici del mercato libero ed
     i principali tre operatori detenevano una quota
     superiore al 70%. “Tali livelli di concentrazione (v. la
     tabella seguente)”, spiegava il rapporto dell’Authority,
     “qualora trovassero conferma anche a seguito della
     progressiva riduzione del numero di clienti forniti nel
     servizio di Maggior Tutela, potrebbero risultare critici
con il dispiegarsi di una effettiva concorrenza”.

Infine, secondo il rapporto dell’Authority vi sono
evidenze che, in media, i clienti elettrici domestici
che si approvvigionano sul mercato libero pagano un
prezzo di fornitura maggiore di quello che pagherebbero
     nel regime di Maggior Tutela. Nel 2013, i prezzi medi
     rilevati nel mercato libero, con riferimento alla sola
     quota relativa ai costi di approvvigionamento, vendita e
     margine di commercializzazione, risultavano superiori a
     quelli del servizio di Maggior Tutela di un intervallo
     compreso tra il 15% e il 20%. Evidentemente, una pessima
     notizia!

Differenza di costi dell’elettricità fra mercato libero e in
Maggior Tutela per i clienti domestici a 5-6 anni di distanza
dalla liberalizzazione: il mercato libero è risultato essere
del 15-20% più caro. (fonte: Arera)

Una situazione simile a quella riscontrata per il mercato
elettrico al dettaglio si è osservata anche per il gas
naturale, dove: (1) i clienti domestici ed i condomini sono
risultati pagare il gas in media di più sul mercato libero che
non su quello a maggior tutela (v. figura seguente); si nota
una elevata concentrazione della clientela presso pochissimi
fornitori (peraltro in parte diversi da quelli dominanti nel
caso dell’energia elettrica, come si può notare confrontando
le due tabelle).
Perché l’obbligo del passaggio al mercato libero peggiorerà la
situazione

Riassumendo, la stessa Authority per l’energia ha trovato (e
dunque ammesso) che i clienti domestici, le partita Iva e le
PMI che passano al mercato libero finiscono per pagare luce e
gas di più rispetto al mercato a maggior tutela. E non è che
per le industrie e le grandi imprese energivore la situazione
sia in realtà molto più rosea. Me ne accorsi qualche anno fa,
quando grazie a un amico potei disporre delle bollette
elettriche di numerose SpA e grosse Srl del settore
manifatturiero grandi consumatrici di elettricità.

Le sottoposi quindi a un’analisi comparata (vedi tabella),
misurando lo spread da loro pagato rispetto al prezzo
dell’elettricità sulla Borsa elettrica (nel mese al quale la
singola bolletta si riferisce). Ciò che scoprii, come mostrato
chiaramente dalla figura, è che vi è una differenza enorme
nello spread pagato dalle varie aziende. In un caso, l’azienda
pagava il 42% in più rispetto al prezzo della Borsa elettrica,
in un altro il 36% di più, e così via. Solo 4 aziende su 10
pagavano uno spread inferiore all’11%! Il che la dice lunga
sulla (in)capacità anche delle grosse aziende di scegliere il
fornitore e il tipo di contratto giusti.

I prezzi pagati per l’elettricità da 10 aziende italiane
energivore a confronto (i nomi di aziende e fornitori luce
sono stati omessi per ovvie ragioni di riservatezza). Il PUN
(Prezzo Unico Nazionale) è il prezzo di riferimento
dell’energia elettrica rilevato sulla borsa elettrica italiana
(IPEX, Italian Power Exchange). (fonte: elaborazione
dell’Autore su dati forniti dalle aziende stesse attraverso le
bollette)

In realtà, per un non esperto è assai difficile effettuare
confronti tra i fornitori, o anche solo “leggere fra le righe”
di un’offerta luce o gas, per non parlare del relativo
contratto da firmare con le clausole scritte in piccolo. Così,
scoprire le informazioni nascoste, quelle ingannevoli e le
cose che non vanno può, perfino per un ingegnere (figure di
cui molte delle aziende da me analizzate erano “imbottiti”),
risultare assai arduo, se egli non è addentro a tali tematiche
e non ha la necessaria esperienza.

Poche persone – al di là degli “addetti ai lavori”, ovviamente
– sanno che il confronto fra due o più fornitori di luce (o,
analogamente, di gas) si può fare solo se: (1) le loro offerte
hanno lo stesso tipo di indicizzazione (ad es. sono tutte
indicizzate al PUN); (2) si conoscono i costi fissi mensili
applicati da ciascuno di essi, che comprendono, nel caso
dell’energia elettrica, il Prezzo di Commercializzazione e
Vendita (PCV) stabilito dall’Authority (una componente
tariffaria che copre le spese di gestione commerciale dei
clienti), a cui si possono sommare altri costi fissi, questa
volta stabiliti dal fornitore, magari con una certa “fantasia”
(ad es. “energia con garanzia d’origine          green”,   con
riferimento alle fonti rinnovabili).

Dunque, in pratica un primo fornitore luce (A) potrebbe
offrire, ad esempio, l’elettricità a 230 €/MWh (ovvero
equivalente a 0,23 €/kWh) più un costo fisso mensile pari a 12
€/mese, mentre un secondo fornitore (B) potrebbe offrirla a
0,30 €/kWh più un costo fisso mensile pari a 6 €/mese. Quale
dei due fornitori è più conveniente per la famiglia media
(2.700 kWh annui), A o B? Beh, se si fanno tutti i conti (v.
figura), si scopre che il fornitore B risulta “a sorpresa” di
circa il 15% più economico rispetto al fornitore A, nonostante
il prezzo della materia prima fosse ben più alto rispetto a
quello applicato dal fornitore A! Quindi, vi ho svelato uno
dei tanti ed efficaci trucchi usati dai fornitori per
ingannare il consumatore.

In realtà – e qui arriviamo a un altro punto chiave della
questione – il mercato libero non è sempre meno conveniente
rispetto al mercato tutelato. Infatti, sul mercato libero il
consumatore è libero di scegliere un prezzo fisso (sia pure
per la sola componente energia) piuttosto che un prezzo
variabile (ad es. indicizzato al PUN più uno spread diverso da
fornitore a fornitore) e viceversa, a seconda delle proprie
esigenze di consumo (un po’ come succede con i mutui, dove si
può scegliere fra tasso fisso o tasso variabile, ovvero
indicizzato all’Euribor più uno spread); mentre nel mercato a
Maggior tutela c’è solo il prezzo variabile.

Di conseguenza, quando i prezzi dell’energia scendono, la
Maggior tutela risulta più conveniente del mercato libero:
viceversa, in caso di salita dei prezzi, si avvera esattamente
il contrario. Le offerte luce e gas a prezzo fisso sono dunque
di solito dedicate alle utenze alimentate in bassa e media
tensione dei clienti che vogliono pagare sempre lo stesso
prezzo coprendosi dal rischio di rialzi, ad es. come
conseguenza dell’aumento del prezzo del gas sui mercati
internazionali.

La prima schermata di un comparatore di offerte luce
realizzato dall’Autore con un foglio Excel. Nel caso di
offerte biorarie o multiorarie il confronto è un po’ più
laborioso, ma occorre sempre tener conto sia del costo della
componente energia nelle varie fasce sia dei costi fissi
mensili (che invece molti ignorano!).

Tuttavia, questa possibilità di scelta – e di conseguente
risparmio – è vera solo sulla carta, perché il cliente medio
(in particolare quasi tutte le famiglie e le piccole attività,
ma anche molte PMI) non ne è, in generale, a conoscenza (gli
agenti dei fornitori guadagnano pochi euro a contratto, sono
formati con corsi di 2 ore e tendono a perdere meno tempo
possibile con i clienti), né è minimamente in grado di fare
delle previsioni sui prezzi futuri dell’energia, che
oltretutto presentano una forte componente stagionale, la
quale falsa la percezione e si riflette nel prezzo fisso
offerto nel mese della stipula, che rimane “blindato” per
tutta la durata della fornitura (tipicamente annuale, ma può
essere anche per 24 mesi, cioè 2 anni).

Con un prezzo fisso, il cliente si mette al riparo dalle
oscillazioni dei prezzi all’ingrosso dell’energia. D’altra
parte, le offerte indicizzate al PUN (+ spread) sono “di base”
più economiche di quelle a prezzo fisso non solo perché il
venditore non deve aggiungere al prezzo dell’energia un extra-
margine per accollarsi il rischio di oscillazione dei prezzi,
ma anche perché acquistare energia quotata al PUN non richiede
che intermediari finanziari si collochino nel mezzo, cosa non
possibile nel caso di quotazioni a prezzo fisso (o di altri
tipi di indici), dove gli intermediari finanziari elaborano
appositi strumenti per bloccare il prezzo.

Per esempio, in un’offerta indicizzata uno “spread su PUN” di
0,0135 €/kWh vuol dire che devo aggiungere tale valore al PUN
(in €/kWh!) per sapere la tariffa proposta dal fornitore per
la (sola) componente energia della bolletta. Supponiamo ad es.
che il PUN in un determinato mese sia di 55,32 €/MWh. Per
conoscere il suo valore espresso in €/kWh, lo dividiamo per
1000, ottenendo 0,05532 €/kWh (che è pari a 5,53 centesimi a
kWh). Pertanto, nell’esempio suddetto, la tariffa in bolletta
per la componente energia sarà uguale a Pe = 0,05532 + 0,0135 =
0,06882 €/kWh (pari, evidentemente, a 6,88 centesimi a kWh).

Sebbene ormai, dopo la riforma tariffaria, la componente
energia pesi per meno del 50% sul totale fatturato in
bolletta, la scelta tra prezzo fisso e prezzo variabile è una
scelta difficile ma importante per ogni consumatore, tanto più
se energivoro. Per non parlare della scelta fra tariffe
monorarie, biorarie e multiorarie rese possibili dai contatori
elettronici di ultima generazione, che rendono le decisioni
del consumatore in tema di contratto luce e gas difficili
quasi quanto il superare un esame scolastico, specie se si è
in presenza di venditori scorretti, disinformati o poco
professionali.

Pertanto, l’abolizione del mercato a maggior tutela non potrà
fare altro che peggiorare le cose sia per le famiglie (che
saranno costrette a passare al mercato libero entro il 1°
gennaio 2024) sia per le “piccole attività” (PMI con un numero
di dipendenti inferiore a 50 e un fatturato annuo di massimo
10 milioni di euro), che invece avevano come scadenza per il
passaggio il 1° gennaio 2021. Infatti, senza più il mercato a
maggior tutela con le tariffe fissate dall’Authority, i
fornitori del mercato libero possono avere “campo libero”
sulle tariffe, sapendo che pure i clienti più recalcitranti
non avranno purtroppo alternative.

L’obbligo del passaggio al mercato libero vs. l’obbligo
vaccinale tramite Green Pass

Forse i lettori più attenti si staranno chiedendo perché mai
Puoi anche leggere