LAVORATORI MATURI E NUOVA OCCUPABILITÀ - Inapp
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LAVORATORI MATURI E NUOVA OCCUPABILITÀ L ’ INNOVAZIONE TECNOLOGICA 4.0 IN DUE STUDI TERRITORIALI a cura di Pietro Checcucci 8
L’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (INAPP) è un ente pubblico di ricerca che si occupa di analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro, delle politiche dell’istruzione e della formazione, delle politiche sociali e, in generale, di tutte le politiche econo- miche che hanno effetti sul mercato del lavoro. Nato il 1° dicembre 2016 a seguito della trasfor- mazione dell’Isfol e vigilato dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, l’Ente ha un ruolo strategico - stabilito dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 - nel nuovo sistema di go- vernance delle politiche sociali e del lavoro del Paese. L’Inapp fa parte del Sistema statistico nazionale (SISTAN) e collabora con le istituzioni europee. Da gennaio 2018 è Organismo Intermedio del PON Sistemi di Politiche Attive per l’Occupazione (SPAO) del Fondo sociale europeo delegato dall’Autorità di Gestione all’attuazione di specifiche azioni ed è Agenzia nazionale del programma comunitario Erasmus+ per l’ambito istruzione e formazione professionale. È l’ente nazionale all’interno del consorzio europeo ERIC-ESS che con- duce l’indagine European Social Survey. Presidente: Stefano Sacchi Direttore generale: Paola Nicastro Riferimenti Corso d’Italia, 33 00198 Roma Tel. + 39 06854471 Web: www.inapp.org La collana Inapp Report è curata da Claudio Bensi.
INAPP LAVORATORI MATURI E NUOVA OCCUPABILITÀ L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA 4.0 IN DUE STUDI TERRITORIALI a cura di PIETRO CHECCUCCI
Il Rapporto presenta uno studio finalizzato a sviluppare una prima analisi di contesto, fun- zionale alla realizzazione di successivi approfondimenti tematici previsti per le annualità 2019 e 2020, nel quadro dell’Attività 4 - Innovazione tecnologica e invecchiamento della forza la- voro, dell’Azione 8.5.6 - Individuazione e diffusione di modelli previsionali di anticipazione dei cambiamenti strutturali dell’economia e del mercato del lavoro, del Piano triennale Inapp 2018/2020, in attuazione del PON SPAO 2014-2020. L’attività è stata realizzata da Inapp in qualità di Organismo intermedio del PON SPAO con il con- tributo del FSE 2014-2020 Azione 8.5.6 Ambito di attività 4. Questo testo è stato sottoposto con esito favorevole al processo di peer review interna cura- to dal Comitato tecnico scientifico dell’Istituto. Testo a cura di Pietro Checcucci Autori: Maria Luisa Aversa (parr. 4.2.2.; 4.2.4.), Pietro Checcucci (Introduzione, cap. 1, cap. 2), Luisa D’Agostino (parr. 3.2.2.; 3.2.3.), Roberta Fefè (par. 4.2.3.), Valeria Iadevaia (parr. 4.1, 4.2.1.; 4.2.4.), Giuliana Scarpetti (parr. 3.1; 3.2.1; 3.2.4). Coordinamento editoriale: Costanza Romano Editing grafico ed impaginazione: Valentina Orienti Le opinioni espresse in questo lavoro impegnano la responsabilità degli autori e non necessariamente riflettono la posizione dell’Ente. Testo chiuso a maggio 2019 Pubblicato ad agosto 2019 Alcuni diritti riservati [2019] [INAPP]. Quest’opera è rilasciata sotto i termini della licenza Creative Commons Attribuzione – Non Commerciale – Condividi allo stesso modo 4.0 Italia License. (http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/4.0/) ISSN 2533-1795 ISBN 978-88-543-0269-3
Indice Introduzione ............................................................................................................................................... 6 1. Il contesto di riferimento................................................................................................................ 11 1.1 La struttura demografica della forza lavoro in Italia ....................................................................... 11 1.2 Digitalizzazione dell’economia e occupabilità dei lavoratori maturi............................................... 12 2. Approccio metodologico ................................................................................................................ 18 2.1 Le aree problematiche dello studio ................................................................................................ 18 2.2 Modalità di identificazione dei territori scelti per lo studio............................................................ 21 2.3 Le aree tematiche delle interviste .................................................................................................. 22 3. Il distretto tecnologico delle bioscienze del Lazio .......................................................................... 25 3.1 Descrizione del contesto regionale ................................................................................................ 25 3.2 I risultati dell’indagine .................................................................................................................... 28 3.2.1 Il contesto produttivo, gli scenari evolutivi e le strategie di risposta ............................................. 28 3.2.2 L’invecchiamento della forza lavoro e l’adozione delle nuove tecnologie ...................................... 30 3.2.3 L’evoluzione delle competenze e le attese rivolte ai lavoratori maturi .......................................... 37 3.2.4 Le politiche nazionali e regionali, e il ruolo della contrattazione nel Lazio ..................................... 44 4. Il distretto dell’Occhialeria di Belluno ............................................................................................ 50 4.1 Descrizione del contesto territoriale .............................................................................................. 50 4.2 I risultati dell’indagine .................................................................................................................... 51 4.2.1 Il contesto produttivo, gli scenari evolutivi e le strategie di risposta ............................................. 51 4.2.2 L’invecchiamento della forza lavoro e l’adozione delle nuove tecnologie ...................................... 56 4.2.3 L’evoluzione delle competenze e le attese rivolte ai lavoratori maturi .......................................... 63 4.2.4 Le politiche nazionali e regionali e il ruolo della contrattazione nel Veneto .................................. 68 Conclusioni ............................................................................................................................................... 74 Allegati ...................................................................................................................................................... 81 Allegato 1 Griglie utilizzate per la raccolta delle informazioni .................................................................. 82 Allegato 2 Interviste realizzate.................................................................................................................. 88 Bibliografia ................................................................................................................................................ 89
Introduzione Il 31 maggio 2019, presentando in Campidoglio a Roma il rapporto della Commissione mon- diale sul futuro del lavoro, in occasione del centenario dell’OIL (Commissione mondiale sul futuro del lavoro 2019), il professor Enrico Giovannini sottolineava i rischi di spiazzamento che il progresso tecnologico portato dalla Quarta rivoluzione industriale potrebbe verosi- milmente generare sul mercato del lavoro. Pur essendo probabilmente vero che l’automazione, la robotica e l’intelligenza artificiale contribuiranno a creare in gran numero nuovi posti di lavoro, spesso di buona qualità, è infatti ugualmente probabile che, nel corso di questo processo di trasformazione, molte posizioni professionali tradizionali vengano can- cellate e che coloro i quali perderanno il vecchio lavoro non sempre saranno nelle condizioni di cogliere le nuove opportunità che saranno disponibili. Come efficacemente riassunto dal Rapporto dell’OIL, la rivoluzione digitale si affiancherà alle sfide ambientali e ai cambiamenti demografici, trasformando completamente nell’arco dei prossimi vent’anni il panorama del mondo produttivo, così come oggi lo conosciamo. In tal modo, perseguire a livello globale il lavoro dignitoso per tutti è destinato a diventare un obiettivo sempre più difficile da raggiungere e, dato che il lavoro contribuisce a creare coe- sione sociale, le trasformazioni in atto sono destinate rapidamente ad avere conseguenze importanti sulla tenuta delle società del Pianeta (ibidem). Ma in cosa effettivamente la rivoluzione 4.0 differisce da quella informatica che l’ha prece- duta a partire dall’inizio degli anni settanta? Come efficacemente riassunto dal Rapporto 2019 di Confindustria sull’industria italiana (Confindustria 2019), l’origine ‘industriale’ del paradigma 4.0 è racchiusa nei due concetti che ne sono alla base: i Cyber Physical Systems (CPS) e la Smart factory. I CPS rappresentano le modalità di integrazione tra le componenti meccaniche e quelle elettronico-informatiche dei prodotti ed eventualmente dei mezzi di produzione. La ‘fabbrica intelligente’ è invece il luogo nel quale si realizza concretamente questa integrazione informativa, che coinvolge l’intera catena di fornitura e di creazione del valore (ibidem). Oltre a garantire alle imprese industriali maggior efficienza, sicurezza e flessibilità nella pro- duzione, il paradigma 4.0 comporta di fatto una trasformazione profonda dei modelli di bu- siness (ibidem). Nello specifico, più che nel passato assume rilevanza la trasformazione dei beni fabbricati in prodotti-servizi, caratterizzati da un più alto valore aggiunto connesso al 6 Introduzione
contenuto informativo ad essi conferito dalle tecnologie digitali, nonché da un più elevato grado di personalizzazione. Su un altro versante, l’avvento di sistemi produttivi e distributivi ‘intelligenti’, rende più agevole perseguire un modello di economia circolare, orientato al re- manufacturing e al riciclo, soprattutto grazie alla disponibilità di informazioni relative alla fa- se di utilizzo da parte del cliente/consumatore (ibidem). La trasformazione digitale che sta avvenendo è dunque definibile come “[…] l’adozione per- vasiva delle tecnologie digitali nelle attività produttive e di consumo, basata su una dimen- sione significativa di sviluppo e analisi di dati.” (European commission 2019, 15). Questa de- finizione, contenuta nel rapporto dell’High Level Expert Group sull’impatto della trasforma- zione digitale sul mercato del lavoro europeo, prefigura mutamenti indotti in almeno cinque ambiti specifici: la domanda di lavoro, l’offerta di lavoro, le istituzioni del mercato del lavoro, le modalità di prevenzione e protezione dai rischi sociali e la distribuzione degli utili (ibidem). Nell’ambito dell’offerta e della domanda, si sta già assistendo alla trasformazione e alla scomparsa di mansioni o interi profili professionali, insieme con l’emergere prepotente delle inedite configurazioni lavorative ricomprese nella cosiddetta Gig economy. A loro volta que- ste trasformazioni modificano le istituzioni deputate a favorire e regolare l’incontro doman- da-offerta, rendendolo certamente più facile e veloce, ma aprendo la strada a un repentino abbassamento degli standard di job protection ed employment protection. In tale situazione, i sistemi di protezione sociale basati sulle tradizionali modalità di impiego full time standard sono destinati ad entrare ancora più in crisi, mentre l’aumento dei livelli di rischio sociale po- trebbe contribuire ad accrescere lo stress e a minare la salute mentale della forza lavoro. In- fine, lo sfruttamento da parte delle organizzazioni produttive dei dati generati dalle attività dei lavoratori e dei consumatori/utilizzatori non prevede, al momento, chiare forme di rico- noscimento e di partecipazione agli utili da esso generati, né tantomeno, una chiara defini- zione e quantificazione del valore generato, in relazione al suo utilizzo e alle caratteristiche dei suoi diritti di proprietà (ibidem). Oltre ai mutamenti nei modelli produttivi, le principali sfide cui appare necessario opporre specifici interventi di policy vengono riassunti dall’High Level Expert Group nei seguenti pun- ti: l’emergere di crescenti diseguaglianze salariali e di reddito; la distruzione di posti di lavoro e lo spiazzamento di quote crescenti di forza lavoro; la svalutazione delle competenze dispo- nibili e l’emergere di ampi skill gaps in specifici settori (ibidem). La transizione digitale riposizionerà, nell’industria in primis, ma a seguire anche nel terziario e in agricoltura, quella che il World Economic Forum ha definito la “frontiera uomo- macchina, nel contesto dei compiti lavorativi esistenti (existing tasks)” (Centre for the new economy and society 2018, viii). Partendo da questa constatazione, il rapporto del WEF con- verge con l’analisi sviluppata dall’High Level Expert Group, prevedendo l’emergere progres- sivo, già entro il 2022, di una crescente instabilità dei sistemi di competenze (skills instabili- ty). Sull’onda della trasformazione della produzione e dei modelli di business, la porzione di core skills dei vari lavori che potrebbe essere sottoposta a mutamento potrebbe arrivare fino al 42%, mentre le scelte strategiche di re-skilling e up-skilling formulate dai datori di lavoro potrebbero, a seconda dei contesti, non includere proprio quei segmenti di forza lavoro più bisognosi di intervento perché più a rischio di obsolescenza e spiazzamento (ibidem). Introduzione 7
Come avremo modo di discutere più approfonditamente nelle pagine seguenti di questo rapporto, la transizione digitale si sovrapporrà a quella demografica, perché raggiungerà ve- rosimilmente la sua massima espansione in concomitanza con il ritiro dal mercato del lavoro degli ultimi baby boomers. A giudizio di alcuni (Harris et al. 2018), nelle economia avanzate, non appena essi si ritireranno in pensione, l’effetto combinato dell'invecchiamento della po- polazione, dei fenomeni di labour shortage e della pressione sul sistema finanziario deprime- ranno la crescita. A fronte di questi rischi, il ricorso massiccio all’automazione e ai sistemi di intelligenza artificiale potrebbe da un lato rappresentare una via di uscita praticabile, dall’altro una determinante per l’ulteriore ampliamento della disoccupazione e delle dise- guaglianze sociali (ibidem). Del resto, come recentemente ribadito dall’Istat (Istat 2018b), lo studio della relazione fra investimento in ICT e performance delle imprese conferma gli effetti dei primi sulla produtti- vità. Gli stessi studi però rivelano la necessità che essi siano affiancati da ulteriori input di ri- sorse, sia sul versante della riorganizzazione interna che, una volta di più, sul capitale umano coinvolto. Le elaborazioni dell’Istituto da un lato mostrano che ad un maggior grado di digi- talizzazione corrisponde un livello medio più elevato di produttività; dall’altro, questo au- mento corrisponde anche al crescere della dotazione di capitale fisico e umano (ibidem). Il problema è rappresentato dal fatto che più della metà delle imprese considerate1 presenta- va una dotazione di capitale fisico bassa o medio bassa, una dotazione di capitale umano modesta e una scarsa propensione alla digitalizzazione. Si trattava di imprese attive in parti- colare nelle costruzioni e nel manifatturiero, ma molto di meno nei servizi di mercato, men- tre la propensione alla digitalizzazione appariva a sua volta influenzata anche dalla variabile territoriale, con il Mezzogiorno caratterizzato dalla maggior percentuale di bassa digitalizza- zione, seguito dal Centro e dal Nord-Ovest, con il Nord-Est a guidare la classifica. Sullo sfondo dei rischi e delle opportunità connesse alla Quarta rivoluzione industriale, e alla influenza che eserciterà su un sistema produttivo settorialmente e territorialmente differen- ziato come quello italiano, lo scopo della ricerca illustrata in questo rapporto è stato quello di esplorare le esigenze di innovazione e digitalizzazione delle imprese italiane che potrebbe- ro ostacolare la permanenza prolungata al lavoro dei lavoratori maturi o determinarne l’uscita prematura. Il progetto ‘Innovazione tecnologica e invecchiamento della forza lavoro’ ha previsto in parti- colare, per l’annualità 2018, la realizzazione di uno Studio pilota sull'invecchiamento della forza la- voro, finalizzato a sviluppare una prima analisi del contesto e una analisi di fattibilità per la realiz- zazione di indagini di approfondimento, previste per le successive annualità 2019 e 2020. L’attività si inserisce nel filone di indagini sull’invecchiamento della forza lavoro nelle orga- nizzazioni produttive, avviato dall’Isfol con una ricerca sulle buone prassi di age management nelle grandi imprese italiane, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2015 (Aversa et al. 2015), e proseguito con la rilevazione dedicata ad età e invecchiamento della forza lavoro nelle pic- 1 185mila imprese con almeno 10 addetti, appartenenti ai settori di industria e servizi di mercato (Istat 2018b). 8 Introduzione
cole e medie imprese italiane (Checcucci et al. 2017), entrambe realizzate con il contributo del Fondo sociale europeo 2007-2013. Le osservazioni e le analisi sul prolungamento della vita lavorativa e dell’invecchiamento della for- za lavoro sono proseguite anche nell’ambito del Piano di attività FSE 2017, con particolare riguar- do alle dinamiche che incidono sul ritiro dal lavoro. Tale attività è proceduta anche attraver- so l’analisi delle caratteristiche dell’offerta e della domanda, riconsiderate alla luce dell’attuale fase di innovazione e sviluppo tecnologico (Aversa et al. 2017). Per la realizzazione dello studio è stata adottata una metodologia di tipo qualitativo, finaliz- zata alla realizzazione di un’analisi esplorativa dei temi identificati, mediante l’intervista in profondità a referenti istituzionali, parti sociali e rappresentanti delle realtà produttive, per l’identificazione delle principali criticità ed esigenze emergenti. Sulla base della rilevanza as- sunta dalla dimensione della localizzazione produttiva nei confronti delle direttrici della digi- talizzazione dell’economia italiana, gli attori da intervistare sono stati identificati nell’ambito di due distretti a prevalente vocazione manifatturiera: il ‘Distretto dell’Occhialeria di Bellu- no’, in Veneto, e il ‘Distretto Tecnologico delle Bioscienze del Lazio’. Il fine ultimo dello studio è stato quello di definire il quadro teorico e l’articolazione tematica utili a scandagliare, attraverso successive indagini, i comportamenti e le strategie adottati dalle imprese italiane per fronteggiare l’invecchiamento delle risorse umane, alla luce delle prospettive di innovazione di prodotto e di processo che si aprono con l’avvento della rivolu- zione digitale, tenendo conto delle specificità legate al settore produttivo, all’ambito geogra- fico e al contesto socio-economico di riferimento. Il capitolo 1 descrive il contesto in cui si muove l’indagine. Tale contesto è rappresentato dai mutamenti demografici e dalle trasformazioni che la struttura delle forze di lavoro in Italia sta attraversando, anche in relazione all’influenza esercitata dagli interventi volti a mantene- re la sostenibilità del pilastro pensionistico pubblico. Al quadro demografico fa da riscontro l’analisi del rapporto che intercorre fra il processo di digitalizzazione dell’economia e la sua ricaduta sulla occupabilità dei lavoratori in generale e di quelli maturi in particolare. Il capitolo 2 descrive nel dettaglio la metodologia con la quale è stato realizzato lo studio. Vengono in particolare presentate le aree problematiche che hanno inquadrato l’attività di raccolta delle informazioni relative alle imprese, nonché quelle riguardanti il panorama delle politiche di sviluppo. Vengono poi descritte la motivazione e le modalità per la identificazio- ne dei territori scelti per lo studio e, successivamente, viene presentata la metodologia di ti- po qualitativo, finalizzata alla realizzazione dell’analisi esplorativa dei temi identificati, artico- lata in maniera specifica per ognuna delle diverse tipologie di interlocutore (rappresentanti dell’Amministrazione regionale, referenti di distretto, rappresentanti delle parti sociali, dato- ri di lavoro). I capitoli 3 e 4 presentano i risultati del lavoro, descrivendo i due diversi contesti produttivi, gli scenari evolutivi e le strategie di risposta all’innovazione tecnologica adottate nei territori oggetto di indagine; le questioni oggetto di attenzione in relazione all’invecchiamento della forza lavoro e all’adozione delle tecnologie 4.0; l’opinione degli attori riguardo l’evoluzione Introduzione 9
prevedibile delle competenze e le attese rivolte ai lavoratori maturi; la loro opinione sulle politiche nazionali e regionali e sul ruolo della contrattazione fra le parti sociali. L’ultimo capitolo traccia le conclusioni, riassumendo i principali risultati dello studio e mettendo in evidenza gli elementi di convergenza e le differenze mostrate dai due contesti territoriali. 10 Introduzione
1. Il contesto di riferimento 1.1 La struttura demografica della forza lavoro in Italia La transizione demografica in corso in Italia, in analogia con gli altri Paesi maggiormente avanzati, sta accentuando l’invecchiamento della popolazione, anche in concomitanza con l’avvio di una fase di declino (Istat 2018a). Come ripetutamente segnalato dall’Istituto nazionale di statistica, l’Italia è attualmente il secondo Paese più vecchio al mondo, con un rapporto di 168,7 anziani ogni cento giovani, che tra 20 anni potrebbe arrivare a 265 su 100. Al 1° gennaio 2018 la popolazione è risultata in calo per il terzo anno consecutivo, facendo registrare 100.000 unità in meno rispetto all’anno precedente, attestandosi a quota 60,5 milioni, di cui l’8,4% stranieri (ibidem). Tutto l’arco temporale di questa transizione demografica è stato e continuerà ad essere ca- ratterizzato dal progressivo assottigliarsi della popolazione in età da lavoro e, all’interno di questa, dalla costante espansione del peso delle coorti più mature (Ministero del Lavoro e delle politiche sociali et al. 2017). Anche considerando una fascia d’età allargata fra i 15 e i 69 anni, le proiezioni stimano nei prossimi 20 anni una perdita di 3,5 milioni di persone, con una diminuzione pari al 24,7% nella classe d’età centrale 35-54 e più contenuto in quella più giovane 15-34 (-7,4%). Specularmente le stesse proiezioni stimano una crescita della classe 55-69 pari al 17,6% (ibidem). Riportando l’analisi sulla convenzionale identificazione della popolazione in età da lavoro fra i 15 e i 64 anni, già a partire dal 2025 i dati mostrano un rilevante aggravamento della situa- zione (Montedoro 2018). In particolare l’indice di dipendenza degli anziani e quello totale, relativo cioè al rapporto fra popolazione potenzialmente attiva e quella inattiva (0-14 più over 65) potrebbero giungere a toccare rispettivamente quota 61,5 e 83,5, a fronte di valori che al 2017 erano rispettivamente pari a 34,7 e 55,7 (ibidem). Man mano che il processo di invecchiamento si manifesta in tutta la sua portata, tutti gli os- servatori nei Paesi avanzati guardano con crescente preoccupazione alle possibili conse- guenze dell’imminente ritiro in pensione delle ultime coorti dei baby boomers (i nati cioè fra il 1946 e il 1964). Come più volte rappresentato in letteratura, la fase storica attuale pone ai policy maker la necessità di far fronte ad almeno quattro ordini di problemi (Sperotti 2011): la sostenibilità dei sistemi pensionistici pubblici; la permanenza al lavoro dei lavoratori over 1 Il contesto di riferimento 11
65, con particolare riguardo alle donne; la revisione delle politiche migratorie in funzione del riequilibrio dei mercati del lavoro; il livello di produttività dei sistemi economici, sia in termi- ni numerici assoluti, sia in relazione alla sostenibilità dei carichi di lavoro da parte di una for- za lavoro non più in perfette condizioni fisiche. Il mutamento nella struttura demografica delle organizzazioni produttive e della forza lavoro nel suo insieme rischia di esporre tutto il sistema delle imprese europee ad un esteso feno- meno di skills shortage, con la perdita di un vasto patrimonio di conoscenza e di esperienza, in concomitanza con il ritiro di numerosi lavoratori maturi. Peraltro, anche se apparente- mente questi ultimi non percepiscono un grave disallineamento fra le loro competenze e le richieste delle organizzazioni produttive, i dati denunciano il loro inferiore livello di qualifica- zione rispetto ai giovani e prefigurano un rischio concreto di obsolescenza, a fronte delle ra- pide trasformazioni tecnologiche in atto (EU-OSHA et al. 2017). In Italia, l’ulteriore innalza- mento dell’età media delle forze di lavoro contribuirà a determinare un’offerta meno dina- mica, in termini di adattabilità così come di mobilità geografica. Un allungamento delle car- riere lavorative potrà a sua volta comportare un ulteriore aumento del rischio di obsolescen- za delle competenze, sia nel settore privato che in quello pubblico. Queste problematiche assumeranno sempre maggiore rilevanza a misura che anche l’Italia affronterà le trasforma- zioni produttive connesse alla cosiddetta ‘Quarta rivoluzione industriale’, caratterizzata dall’introduzione pervasiva delle tecnologie digitali negli apparati produttivi di tutti i settori economici. 1.2 Digitalizzazione dell’economia e occupabilità dei lavoratori maturi Come è stato già detto, una forte spinta all’introduzione dell’automazione potrebbe dare un massiccio contributo all’innalzamento della produttività, in concomitanza con l’avvicendamento sul mercato del lavoro delle coorti che seguiranno i baby boomers, ma aprirà la strada a grandi trasformazioni organizzative, rischiando di determinare lo spiazza- mento di milioni di lavoratori (Harris et al. 2018). Ciò appare chiaramente in quanto suggerito tra gli altri da Acemoglu e Restrepo (Acemoglu e Restrepo 2018). Rilevando che le nazioni e le aziende con tassi di invecchiamento maggiori mostrano un livello di robotizzazione e/o di importazione di tecnologie di automazione più elevato, essi ipotizzano che tale sforzo di automazione sia diretto a sopperire ad una relativa mancanza di lavoratori middle aged, appartenenti cioè alle coorti che seguono i cosiddetti lavoratori maturi. Secondo il modello da essi proposto, il livello di invecchiamento attuale e previsto, prendendo in considerazione il periodo 1990-2025, appare in grado di spiegare il li- vello di robotizzazione osservabile nei processi produttivi, sia pur in concomitanza con altri fattori. Già nel 2015, secondo il Boston Consulting Group, l'Italia era però nel gruppo di esportatori globali che stavano istallando robot al ritmo più lento, nonostante un costo del lavoro molto alto, in relazione alla produttività e ad un livello di invecchiamento della forza 12 1 Il contesto di riferimento
lavoro che in prospettiva potrebbe determinare presto seri problemi di skills shortages (Sir- kin et. al 2015). Proseguendo il trend rilevato nel 2015, l'Italia nel 2025 vedrebbe coperto dai robot solo il 25% dei task lavorativi e impiegherebbe alcuni decenni per saturare il mercato dell'automazione. Numerose previsioni concordano nel suggerire che la combinazione delle dinamiche demo- grafiche e dell’impatto della digitalizzazione sull’economia potrebbe determinare un aumen- to delle diseguaglianze di reddito e sociali (Harris et al. 2018). La rapidità e pervasività del processo di digitalizzazione potrebbero infatti favorire una estesa eliminazione di posti di la- voro in specifici profili e settori, con la probabilità che ad essere interessati siano in preva- lenza lavori con salari più bassi, in un contesto economico in cui si potrebbe contempora- neamente assistere ad una ulteriore contrazione retributiva, anche a causa dell’aumento della quota del capitale a scapito di quella dei salari. Ciò favorirebbe l’espulsione di molti la- voratori in poco tempo, con il conseguente aumento del rischio di disoccupazione di lunga durata. Parallelamente si dovrebbe verificare la crescita dei lavori che richiedono skill sociali e analitiche ‘alte’, già oggi meglio retribuiti e che, a causa della crescita della domanda, po- trebbero presentare per molto tempo un’offerta al di sotto delle aspettative, contribuendo tra le altre cose a mantenere ancora elevata la richiesta di baby boomers in possesso di que- sti profili (ibidem). Mentre secondo alcuni solo circa il 5% di tutti i lavori potrebbe essere completamente au- tomatizzato, almeno il 60% delle occupazioni potrebbe contenere un buon 30% di attività da conferire alle macchine, considerando che quelle maggiormente suscettibili di subire questa tra- sformazione sono quelle fisiche e/o svolte in ambienti strutturati e prevedibili, insieme alla raccol- ta e al trattamento di dati e informazioni (McKinsey Global Institute 2017). Si tratterebbe ad esempio di lavori situati prevalentemente nell’industria manifatturiera, nell’alloggio o nella risto- razione, unitamente ad una serie di compiti lavorativi che richiedono skill di medio livello. In Europa, elaborazioni sui dati della European skills and jobs survey (ESJS), basati sulla me- todologia di Frey e Osborne (Frey, Osborne 2017), ipotizzano che almeno il 51% dei lavorato- ri europei svolga lavori che in qualche modo potrebbero essere automatizzati (Pouliakas 2018), mentre il 14% degli stessi lavoratori sarebbero esposti a tale rischio in maniera molto elevata. Disaggregando i dati in relazione alle principali variabili strutturali, emerge come siano gli uomini a svolgere lavori a più elevato rischio di automazione, mentre la probabilità di svolgere un lavoro automatizzabile sembra crescere al diminuire del livello di istruzione ed in relazione alla presenza di contratti di lavoro temporanei. Coloro i quali sono esposti mag- giormente risultano anche essere più frequentemente privi di prospettive di carriera, meno frequentemente coinvolti in attività di formazione e risultano carenti sia nelle skills digitali che in quelle competenze trasversali ritenute come si vedrà di grande importanza nell’adattamento ai mutamenti tecnologici in atto (ibidem). Nel contesto produttivo italiano, in relazione a come si è storicamente evoluto e alle modali- tà con le quali ha superato la crisi finanziaria ed economica esplosa nel 2008, assumono im- portanza centrale due questioni specifiche: a) in che modo la quarta rivoluzione industriale attraverserà e influenzerà le modalità della localizzazione produttiva italiana, che ha dato origine nel tempo alla grande rilevanza dei distretti nel panorama produttivo nazionale (Mo- 1 Il contesto di riferimento 13
sconi 2016); b) quali saranno le modalità concrete con le quali le trasformazioni tecnologiche indotte dall’automazione e dal machine learning ‘assorbiranno’ le capacità umane connesse allo svolgimento di specifici compiti, nei diversi contesti produttivi, e cosa restituiranno in termini di aumento delle competenze o viceversa di semplificazione e impoverimento dell’esperienza dei lavoratori (Magone e Mazali 2016). Dalla risposta a queste due domande dipende infatti criticamente il modo in cui i mercati locali del lavoro si ristruttureranno e, nello specifico del presente studio, quali saranno le sfide e le opportunità con cui l’ampio segmento più maturo della forza lavoro si troverà a doversi confrontare. Nella risposta alla prima domanda, due delle tre fonti della localizzazione introdotte da Mar- shall e Krugman e che Mosconi richiama, e cioè input intermedi e spillover tecnologici, esu- lano dall’oggetto del presente rapporto, mentre la terza, relativa alla disponibilità di bacini di lavoratori con qualifiche adatte, porta immediatamente alla ribalta la questione della qualità del capitale umano maturo e del turn-over generazionale (Mosconi 2016). Per le imprese ita- liane in generale e per le Pmi dei distretti, in particolare, si tratta di passare da quelle che Rullani (Rullani 2015) definisce ‘conoscenze replicative’ (cioè standardizzate, impersonali, non vincolate ad un particolare contesto e quindi oggi più che mai facilmente trasferibili glo- balmente attraverso gli strumenti digitali) a ‘conoscenze generative’ (in grado cioè di genera- re nuove conoscenze), che possono andare a compensare una parte della perdita di primazia sulle conoscenze replicabili, alla base del successo competitivo del sistema della piccola e media impresa italiana, nella fase storica immediatamente succeduta a quella fordista, do- minata dalla grande impresa. Un passaggio che investe sia la forza lavoro occupata (a maggior ragione la sua quota più matura), sia naturalmente le nuove generazioni in formazione e che si nutre dell’interazione reciproca fra la convergenza e l’integrazione delle varie tecnologie 4.0 e il consolidarsi di sa- peri interdisciplinari e competenze trasversali (Mosconi 2016). Secondo l’OECD, i processi di digitalizzazione possono avere effetto su quello che i lavoratori fanno, in due modi diversi (Bechichi et al. 2017): • può esserci un effetto di complementarietà (complementarity effect); attraverso l’uso della tecnologia, compresi gli strumenti delle ICT, i lavoratori possono svolgere in modo differente i propri compiti, fra i quali ad esempio reperire informazioni o comunicare con colleghi o clienti; • può verificarsi un effetto di sostituzione (substitution effect); in alcuni compiti che pos- sono venire automatizzati i lavoratori vengono sostituiti dalle macchine; dato che questa circostanza può avvenire nel caso dei compiti di routine più facili da automatizzare, in questo caso può verificarsi anche una diminuzione del tasso di routinizzazione dello spe- cifico lavoro (routine intensity). I processi di digitalizzazione favorirebbero dunque una evoluzione delle skills caratterizzata, da un lato dall’espansione dei compiti non routinari, svolti grazie all’uso esteso delle ICT; dall’altro dal progressivo ridimensionamento dei task routinari, siano essi caratterizzati da un bas- so o elevato utilizzo di ICT, come anche dei compiti non routinari, caratterizzati però da un basso utilizzo delle information technologies (ibidem). 14 1 Il contesto di riferimento
Sulla base di questo modello, la digitalizzazione potrebbe far evolvere le occupazioni high- skilled (come manager o professionisti) verso un utilizzo ancora maggiore delle ICT, con una parallela riduzione dei compiti routinari; sull’altro versante le occupazioni con un basso uti- lizzo di ICT e un elevato livello di routinizzazione potrebbero subire una massiccia automatiz- zazione, a misura che robot e strumenti di intelligenza artificiale diventeranno capaci di su- bentrare nei task più routinari (ibidem). In analogia a quanto richiamato da Rullani, le elaborazioni basate su dati PIAAC presentate dall’OECD suggeriscono che, quando un’occupazione diviene più digitalizzata, ai lavoratori viene richiesto un maggior utilizzo di skill cognitive, unitamente a competenze comunicative, di management e marketing, nonché le cosiddette STEM skills (Science, Technology, Enginee- ring, Mathematics). Questi lavoratori mostrano peraltro una più elevata disposizione all’apprendimento rispetto a coloro i quali si trovano a lavorare in ambienti meno digitalizza- ti. È anche per questo che lavoratori meno specializzati, in possesso delle competenze cogni- tive di base, sembrerebbero potenzialmente più adattabili ai cambiamenti in atto all’interno delle organizzazioni e sul mercato del lavoro. Viceversa, Paesi come l’Italia, che mostrano di avere una forza lavoro mediamente piuttosto specializzata, potrebbero risultare meno pron- ti alla digitalizzazione, dato che i loro lavoratori possiederebbero in minor misura quelle skill cognitive, comunicative, di management, marketing e STEM più utili per adattarsi flessibil- mente ai cambiamenti, eventualmente rafforzate da skill trasversali, quali pensiero critico e creativo, problem solving, capacità decisionale e comportamento collaborativo (Ibidem). Queste riflessioni sembrerebbero confermare quanto rintracciabile in letteratura, riguardo all’interazione fra l’ambito delle competenze digitali (digital skills) e quello più ampio richia- mato dalle riflessioni intorno alla società della conoscenza, talvolta sussunte sotto il termine ombrello skill per il 21° secolo (21st-century skills) (van Laar et al. 2017). A riguardo, nono- stante una ancor insufficiente definizione operativa delle componenti relative alle skills per il 21° secolo, e alla focalizzazione della riflessione sul cittadino, piuttosto che sulle competenze della forza lavoro, sembra di poter rintracciare una certa convergenza su alcune componenti chiave da un lato e una serie di contextual skills, dall’altro. Le core 21st-century digital skills comprenderebbero le skills tecniche di base per l’utilizzo dei vari strumenti digitali; il mana- gement efficace dell’informazione; la comunicazione; la collaborazione; la creatività; il pen- siero critico; il problem solving. Il corretto ed efficace utilizzo delle ICT richiederebbe poi un set di skill contestuali, quali la consapevolezza etica e culturale; la flessibilità; la capacità di autodetermi- nazione; la predisposizione all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita (ibidem). Anche in Italia le osservazioni sul campo, almeno nell’industria e nella logistica (Magone e Mazali 2016), sembrano confermare la tendenza a valorizzare le capacità multitasking della manodopera, unitamente alla velocità di apprendimento supportata dai dispositivi mediali. Ciò avviene in un contesto produttivo sempre più integrato, dove si amplia la visione del ci- clo produttivo da parte del singolo lavoratore e i supporti mediali favoriscono un lavoro me- no parcellizzato. In un processo produttivo in cui divengono di importanza primaria le skill utili a decodificare le informazioni digitalizzate, appare più funzionale un set più ristretto di competenze specialistiche, a vantaggio di quelle più generiche, anche se ciò può comportare una parziale dequalificazione e semplificazione delle competenze richieste, a tutto vantaggio 1 Il contesto di riferimento 15
della rapidità di inserimento in produzione (ibidem). Viene tuttavia considerato sbagliato in- terpretare il nuovo operaio come un quasi-lavoratore della conoscenza. Alla base della con- vergenza tecnologica del paradigma 4.0 rimane la trasformazione delle conoscenze esperite ed agite in informazioni replicabili, grazie all’ampliamento di una articolata e costante attivi- tà di traduzione della conoscenza in informazioni che possano essere stoccate, trasferite e circolate all’interno del processo produttivo e, ove necessario, a livello globale. Questo pro- cesso di assorbimento delle capacità degli esseri umani da parte di macchine divenute intel- ligenti si traduce di fatto in una sorta di ribaltamento della relazione tradizionale fra macchi- na e uomo e determina certamente una maggior facilità di utilizzare manodopera a tempo per gestire i picchi produttivi, grazie alla rapidità di trasferimento e utilizzo delle informazioni stesse (ibidem). La progressiva penetrazione delle tecnologie digitali non limiterà la sua sfera di influenza alla semplice automazione dei processi produttivi, ma spingerà le organizzazioni a ricollocarsi lungo le filiere produttive e le catene del valore, rimettendo in discussione il loro posiziona- mento competitivo. Come osservato da alcuni (Magone e Mazali 2016; Fantoni et al. 2017; Hecklau et al. 2016) i mutamenti indotti nei processi produttivi richiederanno nuove compe- tenze e l’adattamento di quelle già presenti, via via che avverrà la riformulazione delle man- sioni, dei ruoli e delle funzioni. Data la peculiare rilevanza dei sistemi di localizzazione pro- duttiva (distretti e/o cluster) che caratterizzano il sistema produttivo italiano, con particolare riguardo alla piccola e media impresa, questa fase di trasformazione assumerà tratti peculia- ri connessi a tale conformazione produttiva (Mosconi 2016) e influenzerà di conseguenza i fattori componenti l’occupabilità dei lavoratori in generale e di quelli maturi nel nostro caso. Il dibattito intorno al concetto di occupabilità e al suo utilizzo per l’analisi del mercato del la- voro e la valutazione delle politiche ad esso collegate è venuto delineandosi nel tempo at- torno alla sua natura di costrutto complesso, nonché in maniera ancor più interessante, in rela- zione alla sua caratteristica eminentemente processuale (Forrier e Sels 2003; Fugate et al. 2004; Grimaldi e Porcelli 2014). Sul primo versante (McQuaid e Lindsay 2005), la possibile classificazione dei fattori costi- tuenti l’occupabilità del lavoratore in a) individuali (connessi agli attributi personali, alle competenze e skills di base e di più alto livello, nonché al livello di qualificazione e alla traiet- toria personale nel mercato del lavoro); b) personali (connessi alla situazione sociale e fami- liare, alla cultura del lavoro e all’accesso a risorse in termini anche di capitale finanziario e socia- le); c) esterni (legati al versante della domanda) richiama in maniera evidente le direttrici essenzia- li della riflessione intorno alle dimensioni dell’age management (Walker 2005; Aversa et al. 2015). Sul secondo versante, appare chiaramente come risulti rilevante tematizzare l’occupabilità come ‘processo di adattamento attivo’ del lavoratore nel suo affrontare le transizioni nei mercati interni ed esterni del lavoro (Fugate et al. 2004; Forrier e Sels 2003), alla luce dell’influenza che verrà esercitata dai processi di innovazione tecnologica sul posizionamen- to della forza lavoro più matura. I mutamenti tecnologici prefigurati dalla penetrazione del paradigma 4.0 si rifletteranno ine- vitabilmente sui fattori componenti l’occupabilità, interessando sia il mercato del lavoro in- terno alle organizzazioni, che quello esterno. In Italia, questa spinta dinamica si eserciterà in 16 1 Il contesto di riferimento
un mercato del lavoro che dall’inizio del secolo ha progressivamente abbandonato il modello young in–old out (Contini e Rapiti 1999; Checcucci 2013), in favore del prolungamento della vita lavorativa delle coorti più mature. Una scelta dettata come sappiamo da esigenze di so- stenibilità del pilastro pensionistico pubblico, che però, in assenza di una strategia più orien- tata allo sviluppo e al rafforzamento dell’occupabilità dei lavoratori maturi, si è secondo al- cuni di fatto tradotta in una sorta di ‘blocco’ (Thijssen e Rocco 2010; Checcucci 2013; Boeri et al. 2016) nell’avvicendamento giovani-anziani. Appare quindi difficile pensare che la Quarta rivoluzione industriale possa attecchire senza interessare la quota di lavoratori over 50 che formano ormai una porzione consistente della nostra forza lavoro. Semmai appare invece chiaro come la qualità del capitale umano e l’adozione di misure strategiche di age management a livello organizzativo rappresentino due elementi chiave per rinforzare l’occupabilità di questo gruppo in un’epoca di rapide e profonde trasformazioni tecnologiche. 1 Il contesto di riferimento 17
2. Approccio metodologico 2.1 Le aree problematiche dello studio L’esame dell’interazione delle modalità di penetrazione delle tecnologie digitali all’interno dei sistemi produttivi con le dimensioni dell’age management ha consentito di operare una prima identificazione della aree problematiche che lo studio oggetto del presente rapporto ha voluto esplorare. Lo schema 1 propone una ricostruzione dei legami logici che possono essere stabiliti fra questi elementi, sulla cui base è stato successivamente elaborata la meto- dologia di raccolta delle informazioni. Schema 1 Digitalizzazione, occupabilità e age management Posizionamento nella filiera produttiva Riformulazione del posizionamento (catena del valore naz./internaz.) competitivo Strategia produttiva e processi di digitalizzazione Nuove competenze richieste Riformulazione di mansioni/funzioni/ruoli Fattori componenti dell’occupabilità Aspettative verso il lavoratore maturo Mercato interno Mercato esterno Reclutamento del lavoro del lavoro Premi/incentivi/carriera Age management Strategie formative 18 2 Approccio metodologico
Una prima area problematica attiene alle modalità di risposta delle aziende private all’evoluzione attuale dei mercati, nonché le eventuali strategie di sviluppo prefigurate per il prossimo futuro. Nello specifico, risultano rilevanti le modalità con cui le imprese pianificano il proprio sviluppo, le specificità e i fattori su cui sono propense a investire, con una atten- zione specifica rivolta all’eventuale investimento nella innovazione resa disponibile dalle tecnologie digitali. Una seconda area riguarda le direttrici operative lungo le quali le organizzazioni dei vari set- tori economici stanno procedendo sulla strada della progressiva digitalizzazio- ne/automazione del processo produttivo. A questo proposito si è cercato di scandagliare le caratteristiche dei sistemi di relazioni con i fornitori di tecnologie, la riformulazione del posi- zionamento competitivo (internazionalizzazione ecc.) e il posizionamento nella filiera pro- duttiva (catena del valore nazionale/internazionale), focalizzando l’attenzione sulla loro in- fluenza nei confronti dell’adozione delle nuove tecnologie. Le modalità di adozione e l’articolazione dei sistemi tecnologici è stata esplorata alla luce delle strategie produttive (al- ternativa make or buy) e di mercato (qualità prodotto, contenimento costi ecc.), nonché mettendo in luce le scelte disponibili ed effettuate per quanto riguarda la gestione delle in- formazioni e della conoscenza per gestire il flusso produttivo. Tali questioni sono state poste in rapporto all’invecchiamento della forza lavoro e alle sue eventuali ricadute organizzative, tenendo conto delle scelte ritenute percorribili nella ge- stione delle risorse umane. Un terzo cluster di problematiche ha riguardato quindi la perce- zione riguardo all’invecchiamento della forza lavoro e l’atteggiamento del management e/o degli imprenditori nei confronti di alcune caratteristiche riferibili ai lavoratori maturi (in con- siderazione del fatto che la visione del lavoratore più anziano può risultare condizionata da preconcetti legati al ‘deficit’, per cui vengono spesso enfatizzati gli aspetti negativi associati alla perdita di abilità e alla diminuzione della performance psico-fisica, mentre possono non venirne valorizzate le caratteristiche positive). In tale ambito rientra anche il tema della ge- stione dei rapporti di lavoro, con eventuale riguardo all’attuazione di iniziative di age mana- gement (in un’ottica di continuità dall’ingresso nel mercato del lavoro alla cessazione dell’attività professionale), nonché l’eventuale trattazione del tema dell’età nell’ambito della negoziazione tra le parti sociali. Una quarta area problematica riguarda il contesto delle strategie formative. La rapida evolu- zione dell’innovazione tecnologica modificherà profondamente i sistemi di produzione, por- tando allo sviluppo di nuovi servizi e all’introduzione di strumenti, tecniche e sistemi opera- tivi non familiari ai lavoratori maturi, formatisi in contesti differenti. Oltre al tema del livello di partecipazione dei lavoratori anziani alle iniziative di lifelong learning, si è cercato di met- tere in luce se e come le strategie per l’aggiornamento e lo sviluppo delle competenze pro- fessionali di questi lavoratori siano in via di ripensamento all’interno del nuovo contesto del- la digitalizzazione dell’economia. Infine, guardando al più ampio panorama delle politiche di sviluppo, si è scandagliato come le varie strategie nazionali e regionali (es. Piano Impresa 4.0, SMART Specialization Strategy ecc.) rappresentino per gli attori produttivi altrettanti elementi di un ambiente istituzionale 2 Approccio metodologico 19
favorevole e facilitante l’adozione dell’innovazione tecnologica, tenendo conto delle scelte di mercato giudicate percorribili e della perdurante necessità di operare per il prolungamento della vita lavorativa degli individui ed il restringimento del differenziale di genere nella par- tecipazione al mercato del lavoro. Sulla base di questi elementi, gli obiettivi specifici dello studio pilota sono stati identificati nel modo seguente. 1. Identificazione delle potenziali criticità riconducibili alle caratteristiche degli addetti over 50, in relazione alle esigenze di innovazione e/o digitalizzazione di specifici settori pro- duttivi collocati in determinati ambiti geografici (distretti). 2. Identificazione delle principali problematiche legate alla dimensione d’impresa (numero di addetti), al settore produttivo e all’area geografica. 3. Identificazione delle principali strategie messe in atto dalle imprese, con particolare at- tenzione alle politiche formative, di welfare aziendale ed age management. 4. Analisi del ruolo assunto dalla negoziazione fra le parti sociali e dell’influenza esercitata dalle politiche nazionali e regionali di riferimento. Per la realizzazione dello studio è stata adottata una metodologia di tipo qualitativo, finaliz- zata alla realizzazione di un’analisi esplorativa dei temi identificati, mediante l’intervista in profondità a referenti istituzionali, parti sociali e rappresentanti delle realtà produttive, per l’identificazione delle principali criticità ed esigenze emergenti in relazione alle aree proble- matiche identificate. Sulla base della rilevanza assunta dalla dimensione della localizzazione produttiva nei confronti delle direttrici della digitalizzazione dell’economia italiana, gli attori da intervistare sono stati identificati nell’ambito di due distretti a prevalente vocazione ma- nifatturiera. La definizione del contesto territoriale di riferimento è avvenuta tramite l’analisi dei dati e della documentazione disponibile sui settori produttivi e gli ambiti territoriali giu- dicati più interessanti, in relazione all’evoluzione tecnologica (si veda il par. 2.2). L’impianto metodologico ha previsto l’articolazione dello studio nelle fasi seguenti. 1. Identificazione dei contesti territoriali e analisi desk In questa fase sono stati identificati i distretti idonei alla realizzazione dell’indagine, sulla ba- se dei seguenti criteri: significatività del settore produttivo e dell’area geografica in relazione al tema dell’invecchiamento della forza-lavoro e dell’innovazione tecnologica; disponibilità di dati, documentazione e materiali di studio per la definizione del contesto di riferimento; contatti preesistenti o mediati con uno o più referenti territoriali che abbiano potuto facilita- re l’avvio della ricerca sul campo. 20 2 Approccio metodologico
2. Identificazione dei referenti territoriali da coinvolgere e definizione degli strumenti di ri- levazione In questa fase sono stati identificati gli attori territoriali da coinvolgere: rappresentanti isti- tuzionali, referenti del distretto, parti sociali, imprenditori. È stata completata anche l’analisi del contesto di riferimento, necessaria per la migliore realizzazione delle interviste. Inoltre, a partire dagli strumenti utilizzati per le precedenti ricerche Inapp in tema di invecchiamento della forza lavoro, e tenendo conto della definizione del contesto, è stato elaborato uno schema di intervista. Lo schema di intervista è stato articolato in modo diverso a seconda della funzione dell’interlocutore, ma prevedendo analoghi riferimenti alle aree problemati- che identificate (si veda il par. 2.3). 3. Realizzazione delle interviste In questa fase sono state realizzate le interviste, telefoniche o in presenza, con i referenti territoriali identificati. L’elenco completo delle interviste realizzate è riportato in allegato (al- legato 2). 2.2 Modalità di identificazione dei territori scelti per lo studio I distretti sono apparsi da subito come gli ambiti territoriali nei quali i fenomeni e le dinami- che in esame potevano essere messe più agevolmente sotto osservazione. Ciò anche perché le loro caratteristiche sembrano fornire, sia alle grandi imprese, ma soprattutto alle Pmi una serie di risorse potenzialmente utili a reagire adattivamente e proattivamente alle trasfor- mazioni connesse con la ‘Quarta rivoluzione industriale’. Gli ambiti territoriali sui quali condurre lo studio sono stati quindi identificati all’interno dei sistemi locali del lavoro costituenti ambiti distrettuali riconosciuti, selezionando quelli rite- nuti più idonei in base alla tipologia di insediamento produttivo e al potenziale innovativo connesso alle filiere considerate. Per l’identificazione dei distretti da eleggere quale oggetto di indagine, sono state realizzate preliminarmente una serie di analisi di tipo documentale per approfondire il quadro conosci- tivo sul tema dell’innovazione, dello sviluppo dei sistemi produttivi, dell’occupazione, delle competenze e del mercato del lavoro e acquisire informazioni utili alla scelta da effettuare. Successivamente ci si è basati su un criterio di tipo territoriale, indirizzando la scelta dei di- stretti nelle Regioni del Nord e del Centro-Sud Italia, per cogliere meglio le specificità che ca- ratterizzano e differenziano le imprese a livello territoriale. Un secondo criterio di scelta è stato di tipo settoriale. Trattandosi di uno studio che serviva a far emergere e definire meglio gli elementi utili a successive indagini di approfondimento, si è ritenu- to di concentrare l’attenzione su alcuni settori vitali dell’economia italiana, interessati da processi di innovazione e in cui fosse già evidente l’avvio di percorsi di trasformazione in ottica 4.0 e al tempo stesso fossero presenti le questioni e le sfide poste alle imprese dall’invecchiamento della propria forza lavoro. 2 Approccio metodologico 21
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