La stabilità dei ponti e la velocità dei contrabbandieri

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La stabilità dei ponti e la velocità dei contrabbandieri
                    Intervista ad Angela Balzano traduttrice de
                         “Il Postumano” di Rosi Braidotti.
                              A cura di Daniela Allocca

Venerdì 28 novembre incontriamo per un'intervista skype Angela Balzano
dottoranda presso il CIRSFID - Dipartimento di Scienze Giuridiche
dell'Università di Bologna, traduttrice, tra l'altro, dell'ultimo libro di Rosi
Braidotti: “Il postumano. La vita oltre l'individuo, oltre la specie, oltre la
morte”, edito da DeriveApprodi nel 2014 (The Posthuman, Polity Press 2013) ma
traduttrice anche di La vita come plusvalore di Melinda Cooper edito da Ombre
Corte nel 2013.
Come sei arrivata alla traduzione de Il postumano ? É stata una tua proposta? Ti
è stata proposta?

É stata una convergenza di più fattori positivi. Ho conosciuto Rosi Braidotti nel 2009,
era venuta in Italia presso il “Centro delle Donne” per tenere una lezione al seminario
“Etica e politica negli studi di genere”, in collaborazione con l’Ass. Orlando e la
cattedra della Prof.ssa Faralli dell’Università di Bologna. Nel 2009 lei stava già
pensando al suo ultimo libro, Il postumano appunto, e in quella lezione c’erano già
molti spunti, anche se aveva appena pubblicato Traspositions in italiano
(Trasposizioni. Sull'etica Nomade, Sossella editore, 2008, a cura di Crispino): da
pensatrice veloce quale Braidotti è, già stava iniziando a lavorare sulle direzioni
aperte e sulle domande nate dalla scrittura appena conclusa.
Quella lezione di Braidotti diede risposte a molti miei interrogativi: rappresentava
l'incontro tra poststrutturalismo e femminismo materialista, e fu meraviglioso
ascoltarla! Ricordo di aver registrato e sbobbinato quelle lezioni, solo per poter
entrare dentro il suo pensiero.
Ho scelto da quel momento di continuare a lavorare con lei, le ho fatto una proposta
di tesi di laurea che lei ha accettato, così sono riuscita ad andare a Utrecht e ho
trascorso lì sei mesi in cui lei ha seguito la mia tesi con grande attenzione.
Al Postumano ci sono arrivata dopo un percorso molto lungo fatto con lei a partire
dalla mia tesi di magistrale. Mi ha aiutata tantissimo il fatto di aver studiato
direttamente molti testi in lingua inglese, di aver frequentato le Masterclass di
Braidotti, grazie alla quale ho divorato Lloyd, Grosz, Parisi, Martin, Barad, Franklin,
ancora non tradotte in italiano. In un certo senso, il mio incontro con il Postumano è
stato possibile grazie agli studi fatti per la tesi di laurea. Dopo la laurea ho vinto una
borsa di studio per un dottorato in Diritto e Nuove Tecnologie e Braidotti ha
accettato, con mia estrema felicità, di essere nuovamente mia tutor. Ho quindi
trascorso altri periodi di ricerca a Utrecht, durante i quali lei mi seguiva sempre con
diligenza. Facevamo periodici meeting di revisione dei miei lavori, e durante uno di
questi meeting lei mi ha parlato del suo desiderio di tradurre The Posthuman in
italiano, dicendo: “Secondo me devi essere tu a tradurre Il postumano in Italia”. Io
sono rimasta senza parole, tanto ero felice, mi ricordo solo di aver detto “davvero?
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ma io sono troppo giovane, non so se sono all’altezza”. Lei ha insistito proprio sul
fatto di volere un nuovo incontro transgenerazionale, per iniziare a stringere nuove
alleanze, aprendosi a nuove femministe con una formazione diversa dalla sua.
Ammetto che tradurre Il postumano non è stato un lavoro sempre facile e lineare,
perché non è scontato che autrice e traduttrice siano d’accordo su tutto. Ma è stata
una bellissima collaborazione, soprattutto perché lei è capace di dare molto senza
farti sentire il peso della sua autorevolezza, ha la capacità di correggere senza
criticare, portandoti al punto di comprendere da sola. Credo di poter dire che è stato
un incontro spinoziano, proprio un incontro virtuoso, per questo abbiamo altri
progetti di traduzione in corso e sono sicura che in futuro coopereremo ancora
meglio.
La casa editrice l'abbiamo scelta insieme: Rosi mi ha chiesto quale casa editrice
ritenessi al momento virale e comunicativa. Dal momento che ho un rapporto felice
con Ilaria Bussoni di DeriveApprodi ci siamo rivolti a lei. Direi che anche in questo
caso si è trattato di un incontro positivissimo, visto che poi con Ilaria Bussoni si è
creata una bella sintonia. Basti pensare che lei è la curatrice, insieme a R. Perna de Il
gesto femminista, e che è stata sempre lei a voler pubblicare la mia traduzione di
Clinical Labor di M. Cooper e C. Waldby (Bio-lavoro Globale. Corpi e nuove forme
di manodopera, forthcoming DeriveApprodi 2015).

La traduzione quindi concepita come un luogo di confronto, di incontro
transgenerazionale è un elemento che fa parte del pensiero di Braidotti, della sua
volontà di aprire spazi, creare luoghi di incontro. C'è stato quindi un confronto
costante con la scrittrice durante la traduzione?

Il confronto è stato costante e conta molto anche il fatto che Braidotti sia madrelingua
italiana e quindi è stata lei la reviewer ufficiale. Lavorare con lei è stato anche molto
divertente. Capitava ad esempio che io le sottoponessi dei punti del testo dove
pensavo ci fossero problemi e che lei mi rispondesse che la traduzione era perfetta. I
miei dubbi si spiegavano con il fatto che stavo maneggiando concetti che facevo
fatica a pensare, ma nella traduzione non c'era nulla che non andasse bene.
       Un esempio concreto si trova nell'ultima parte de Il postumano, nella sua
bellissima chiusura, laddove si parla del “migliore dei mondi postumani possibili”. Si
tratta di una frase semplicissima anche in inglese, eppure quando ho chiuso il libro
avevo l'impressione di aver sbagliato, di non aver capito bene, invece era la mia
forma mentis che m’impediva di pensare quella frase. Sono cresciuta con
un'interpretazione di Foucault, Deleuze e di altri pensatori molto italiana. Dai 17 ai 22
anni ho letto molto i marxisti post-operaisti italiani, che hanno un’impostazione di
pensiero per cui ci si trova più spesso a scrivere e pensare la frase “un altro mondo è
possibile”. Non rinnego in toto le piste che hanno seguito, ma devo ammettere che ho
avuto bisogno di andare oltre gli slogan. Ci vuole tutta un’apertura affettiva, non solo
mentale, per smetterla di pensare secondo schemi prestabiliti, per abbandonare ciò
che ci era caro, ma che oggi non funziona più. Il Postumano, in questo senso, è stata
una traduzione che mi ha cambiata.

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Questo del “migliore dei mondi possibili” è forse il punto filosofico-politico
che è venuto più spesso fuori nei dibattiti in Italia. Sicuramente è un punto molto
difficile da spiegare, e non intendo liquidare la questione in poche righe o in modo
assertivo. Qui ci sono in ballo questioni che hanno molto da spartire con
l'interpretazione del monismo in senso materialista: non a caso è anche il punto di
rottura epistemologica, oserei dire, che Braidotti opera come pensatrice. Per lei è
centrale la questione della sostenibilità dei progetti politici, in termini di immanenza
soggettiva e collettiva. Adesso, anch'io mi sento di affermare, con Braidotti, che il
capitalismo si piega e non si spezza. Io stessa ho dovuto affrontare un percorso sia
pratico sia teorico, tornando sui testi originali dei poststrutturalisti francesi e
modificando le mie prassi politiche. Il mio punto di vista ho cercato, poi, di
svilupparlo altrove e posso per questo rimandare a un libro in cui parlo più
diffusamente di questi argomenti, Soggettività autonome: corpi e potenza da Spinoza
al neofemminismo (EAI 2014).

Quindi in questo caso tradurre significa aprire nuovi spazi di pensiero, la
traduzione di concetti come lavoro di mediazione, dove spesso l'interpretazione
può essere 'fuorviata' da precedenti interpretazioni: il traduttore si fa invece
carico di superare i propri limiti che sono dei limiti culturali, dati dalla
tradizione da cui si proviene per rispettare e riuscire a tradurre un concetto che
risulta estraneo, diverso rispetto al luogo in cui esso deve approdare.

Si tratta anche di un lavoro di onestà intellettuale, una sorta di patto che faccio con
l'autrice ma anche con i lettori: non posso trasporre solo ciò che è conforme al mio
pensiero, devo trasporre anche le verità del testo. Trattandosi di un testo di filosofia
per me è molto importante che la chiusa de Il postumano sia rimasta il più possibile
vicino al concetto che esso contiene, che non ci sia una parola che non corrisponde
all'originale e che sia Rosi Braidotti a parlare in quel punto del libro. Anche se è un
concetto che per lettrici/ori italiane/i può avere un effetto destabilizzante, mi sentivo
di doverlo trasporre così com’era. Oggi ne capisco il senso. Alla fine de Il postumano
c’è condensato il potenziale di liberazione e di gioia che caratterizza tutti i contributi
filosofici di Braidotti, che mi pare un punto spesso sollevato anche da molte lotte
femministe, ossia il desiderio di farla finita con il fardello della rivoluzione che non
arriva mai, con le forme politiche tristi che di volta in volta hanno accompagnato la
retorica dei discorsi politici votati al sacrificio e spesso al nichilismo. Rosi è molto
attenta a questo livello, perché cambiare il mondo per lei non vuol dire negarlo, ma
affermarlo. Per lei l'alternativa è qualcosa di immanente alle nostre vite, che non va
cercata nella posposizione, bensì in relazioni sostenibili da cui la soggettività può
trarre passioni positive, perché no anche piacere. La componete spinozista della gioia
è essenziale perché l'amor fati non sia accettazione passiva. E per chi volesse capirne
di più, consiglio di procedere a zig-zag, di rileggere Trasposizioni e poi di tornare al
capitolo conclusivo de Il postumano. A me è stato utile.

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Da quello che ci hai raccontato già riusciamo a capire quale sia il modo in cui ti
relazioni con il testo da tradurre e nel caso di Braidotti è chiaro che la
traduzione diventa uno spazio di dialogo, addirittura di un dialogo
transgenerazionale...

Si, ma ammetto di essere stata fortunata appunto, perché Braidotti è davvero capace
di sostenere questo dialogo e di tenerlo vivo. Non tutte le traduzioni sono uguali,
perché le relazioni che intercorrono tra traduttrice e autrice non lo sono. Tra me e
Braidotti c’è in corso uno scambio costante. Credo sia da ascrivere a una nota
comune del nostro carattere: la curiosità verso ciò che non abbiamo vissuto in prima
persona e che altre e altri, di generazioni diverse, possono restituirci. Dal mio canto,
sono molto legata ad altre più grandi di me, come Raffaella Lamberti, o altri, come
Carlo Flamigni. Trovo banale il discorso oppositivo “generazionale”. Se davvero
vogliamo ibridare saperi e pratiche, il prefisso “trans” mi pare più adatto: l’attitudine
transgenerazionale, ma anche transfemminista è un’altra cosa che con Braidotti
stiamo indagando e sperimentando. Per entrambe è fondamentale confrontare punti di
vista differenti, soprattutto perché siamo consapevoli di avere età e biografie diverse.
Eppure il concetto stesso di “generazione” nel nostro rapporto viene messo in
discussione. Chi è la giovane e chi è la grande? Chi insegna cosa a chi?Chi
studia?Studia solo la traduttrice o anche l’autrice?
Un aneddoto chiarirà meglio cosa intendo. Quand'è venuta in Italia per le prime
presentazioni de Il postumano, Braidotti e io abbiamo viaggiato insieme verso le
varie città che ci ospitavano (siamo state anche a Napoli e per questo ringraziamo
ancora Simona Marino). Durante uno di questi viaggi, lei mi ha chiesto di raccontarle
l’attuale panorama femminista italiano, affermando di avere molte amiche della sua
età, ma di conoscere poco le donne della mia. Era curiosa: voleva sapere quali nuove
collettive c’erano, che pratiche usavano, quali erano i problemi che mettevamo al
centro della nostra agenda politica, ma anche che rapporti c’erano tra le attiviste e le
artiste-scrittrici-pensatrici, quali reti stavamo intessendo ecc. Mentre io le raccontavo,
Braidotti ha fatto una cosa che mi rimarrà impressa per sempre. Ha aperto un
notebook e ha cominciato a prendere appunti. Cioè, lei, la Prof.ssa che dirige il
Centre for the Humanities di Utrecht, che prende appunti da una dottoranda precaria!
Non è da tutte essere curiose e umili al contempo.
Curiose e umili: è il minimo per rendere la traduzione un luogo di confronto. Anche
se c’è da dire che lo studio conta moltissimo. Quando ho cominciato la mia prima
traduzione, La vita come plusvalore di Melinda Cooper, ho capito che la dedizione al
testo era essenziale, per ricostruire il senso delle parole, le citazioni che vengono
utilizzate. Ho capito che avrei dovuto studiare almeno quanto l’autrice.

Infatti lo studio, la conoscenza del traduttore non è solo una conoscenza
linguistica ma implica una serie di competenze trasversali, saperi
transdisciplinari di cui spesso non si tiene conto, nella formazione o nella
percezione anche del ruolo del traduttore, ricordo ancora quando durante una
conferenza di un autore francese che parlava di Derrida, la traduttrice si

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ostinava a tradurre “differance” con differenza, fino a quando non ci siamo
fermati e le abbiamo spiegato che non andava tradotto perché si trattava di una
parola-concetto, ovviamente si trattava di una traduttrice che era stata scelta
pensando solo all'aspetto linguistico, ed è paradossalmente così insito al discorso
stesso che Derrida fa utilizzando questa parola. Questo aneddoto ci aiuta a
capire le peculiarità di un traduttore che si occupa di filosofia o teoria in
generale, un linguaggio composto di costellazioni di parole-concetto da conoscere
per poter interpretare e tradurre correttamente il pensiero di un autore.
Nel caso della traduzione di Braidotti quali sono secondo te le parole-concetto
fondanti nella costellazione del suo pensiero a parte la scelta relativa a“il
migliore dei mondi postumani possibili” che va in proprio in questa direzione?

Le parole chiave del pensiero di Braidotti per me sono state: metamorfosi,
cartografia, etica nomade, politica dell’affermazione, ma anche materialismo
incarnato, potenza, differenze. Devo dire che sono generalmente d’accordo con le
precedenti traduzioni delle sue opere in Italia. Insomma, tradurre libri come In
Metamorfosi è un’impresa non da poco. Lì poi, Braidotti lavora tantissimo anche
sulla lingua inglese. L'unica scelta di traduzione che ho fatto non molto comune è
stata sulla traduzione dell’espressione politics of location di Adrien Rich, che è stata
tradotto in modi diversi a seconda delle traduttrici e dei testi di partenza. Io ho scelto
di lasciare l'inglese in bibliografia e siccome non mi ha convinto del tutto l’uso della
parola “posizionamento” ho fatto la scelta di tradurre “collocazione” (si noti che
Maria Nadotti in In Metamorfosi li usava entrambi). Si, “location” è una parola-
concetto. Io ho tradotto politica della collocazione, in primis per un ragionamento
sull'inglese, in quanto “posizione” ha un suo equivalente cioè position. Poi in italiano
“posizionarsi” mi sembrava troppo legato al soggetto, quasi un atto volontaristico,
perché suggerisce una sorta di “io mi posiziono”. Secondo me le pratiche e le teorie
femministe non si sono mai limitate a posizionarsi, ma hanno sempre operato tutta
una serie di spostamenti. Inoltre, le soggettività non si auto-determinano mai
pienamente, perché ci sono una serie di costrutti socio-economico-politico-normativi
(ecc. ecc) che la influenzano, in qualche modo “la collocano”. Perciò credo che la
parola “collocazione” sia più vicina a quello che Braidotti voleva intendere a partire
da Rich, ovvero l'idea di una pluralità di luoghi in cui cogliere la soggettività, un
insieme di luoghi, non un posizionamento inerente a un soggetto preciso e quasi
statico e auto-centrato. La parola “collocazione” mi sembra indicare meglio l’attività
che sottende ogni soggettività, ossia l’attività dell’unire i puntini della mappa, la
cosiddetta cartografia, perché nel pensiero di Braidotti politica della collocazione e
cartografia vanno a braccetto, solo insieme queste due “prassi teoriche” ci permettono
di “affermare e sostenere” la soggettività nomade, da qui la scelta di questa
traduzione. Questa è stata una delle cose su cui più ho ragionato perché rispettavo
comunque la scelta delle altre traduttrici, ma avevo bisogno di fare un passettino
oltre.
E poi certo, interi ambiti di competenza vanno acquisiti, fatti propri, se non lo erano
già prima di affrontare la traduzione. Deleuze, Foucault, Guattari, de Beauvoir,

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Spinoza, erano e sono l’aria che respiro. I primi capitoli mi sembrava di averli già
dentro. Braidotti non si limita, però, a ricostruire la sua genealogia ne Il postumano.
Nel terzo capitolo, ad esempio, s’inoltra in un’analisi della necropolitica
contemporanea per cui ho proprio dovuto studiare i droni militari a metà tra il
macchinico e l’organico, simbolo della nuova industria bellica sempre più postumana.
Ho dovuto rileggere i numeri dell’Economist che lei cita, visitare i siti delle spin off
che producono le UGVs (armi-veicoli di terra senza pilota). E sono tutto sommato
contenta del risultato: non credo avrei potuto tradurre con efficacia se non avessi
ampliato le mie conoscenze!

In qualche modo sei riuscita a contrabbandare qualcosa? In vari lavori che mi è
capitato di fare, sia in campo scientifico che performativo, mi sono trovata a
lavorare sull'idea del traduttore associato alla figura del contrabbandiere, ci
sono vari aspetti in questa figura che forse si adattano a questo caso sia il fatto di
far passare 'sottobanco' le cose sia perché in verità quello che si trasporta è
qualcosa che ha un mercato, risponde a una domanda.

Si, in effetti bisogna saper scegliere su cosa “osare”, anche perché il contrabbandiere
vende, quindi bisogna essere molto attente nella scelta del cosa contrabbandare. Ad
esempio per un altro testo che sto traducendo Clinical Labour (che appunto uscirà per
la DeriveApprodi nel 2015) avrei voluto cambiare la traduzione di surrogacy, che
viene tradotto con madri surrogate, ma confrontandomi mi è stato detto che
traducendolo in un altro modo non verrebbe compreso: il nostro campo culturale non
è pronto per accettare una traduzione differente di quell’espressione.
Capisco l'associazione con questa figura del contrabbandiere, ma c'è stata anche
un'altra immagine che mi ha accompagnato in questo lavoro. Mi sono sentita spesso
simile a un ponte. In particolare pensavo a me stessa come al ponte di Lubiana, che
da un lato ha una sola base e dall'altro ha due uscite, cioè si sdoppia: perché come
traduttrice hai le tue radici, sicuramente delle radici nomadi, flessibili, ma con un
portato che non si può chiudere in un cassetto buttandone via la chiave. Al contempo
sul ponte avviene qualcosa di simile a un doppio movimento: la traduttrice parte dal
lato con una base sola (le sue radici) per andare verso l'autrice, ma al contempo deve
riuscire a portare l’autrice con sé verso la terza uscita, cioè deve restituirla alle lettrici
e ai lettori. Io sento all’opera questa molteplicità quando traduco, il che ha un effetto
spersonalizzante: a un certo punto sembra che perdi le tue radici. Nel rapportarti al
testo può avvenire che esso che t’invada, che prenda il sopravvento. C'è una frase ne
Il postumano che trovo emblematica: “Un testo […], è un punto di contatto tra
momenti differenti nello spazio e nel tempo, tra livelli diversi, tra gradi, forme e
configurazioni dei processi del pensiero. Un testo è un'entità mobile, velocità assoluta
(p.175)”.
Anche l’attività della traduttrice è velocità assoluta, e in questo l'immagine dei
contrabbandieri calza, chi meglio di loro deve imparare a muoversi velocemente.

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Grazie per queste immagini finali che mi sembrano molto significative. Chiudo
citando un passo da Berman La traduzione e la lettera o l'albergo nella
lontananza (Quodlibet, 2003) : “un opera non trasmette alcuna specie
d'informazione, anche se ne contiene; essa apre all'esperienza di un mondo.”
Quest'intervista ha contribuito a darci delle chiavi di lettura importanti per
aprirci all'esperienza del mondo di Braidotti, per questo ringraziamo Angela
Balzano per l'intervista che ha concesso a Il Porto di Toledo e ci auguriamo di
leggere presto i suoi prossimi lavori di traduttrice e teorica.

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