La riservatezza su Whatsapp - Filodiritto

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752
                                              Direttore responsabile: Antonio Zama

                           La riservatezza su Whatsapp
                    Riservatezza come “ProdomOsmosi” dei diritti soggettivi
                                                 21 Dicembre 2021
                                                   Chiara Crisci

Abstract
Con la diffusione delle applicazioni di rete, la comunicazione tra persone diviene sempre più non
verbale ma meccanica, in questa forma è cresciuta la volontà di inserirsi nella vita delle persone e
delle relazioni sociali, carpendo dati e sostituendo la vera identità.
With the spread of network application communication between people becomes more and more not
verbal, but mechanical in this form the will to enter into people’s lives and social relationships has grown
morbidly, stealing data and replacing true identity.

Reatus: finestra di approfondimento
Non c’è ancora piena consapevolezza, ma nel macrocosmo dell’istant messaging, l’illecito soggettivo
individuale è sempre dietro l’angolo, a portata di mano; comportamenti prasseologici e modi di ingerire
sociali dalle sembianze normali e lecite, possono trasformarsi in concrete e pericolose violazioni della
privacy, tra le più, rientrano WhatsApp chat o gruppi di scambio dati con utenti che non hanno manifestato
liberamente e pienamente il proprio consenso.
Attualmente, nella contemporaneità dei dialoghi, l’applicazione informatica e di rete più in voga, anche per
la gratuità dell’utilizzo che fornisce ai propri utenti sembra indiscutibilmente essere WhatsApp.
L’utilizzo principe o meglio, quello che dovrebbe esserne e per il quale è stata “concepita” e/o pensata, è la
comunicazione in messaggistica testuale; ma presi dall’evoluzione di pensiero e di aggiornamento-
adeguamento ai bisogni di conoscenza e di scambio informazioni, si è potenziato il dinamismo nell’uso o
nell’abuso di possibilità altre che hanno portato ad uno sconfinamento del servizio, rendendo tale
applicazione una vera “arma bianca” per la consumazione di diversi reati penali.
Non solo incorrendo contra ius nell’ipotesi del non corretto uso, l’alea oramai evidente è di violare norme
penali previste dal codice penale e normative extrapenali dell’ordinamento italiano, ma banche in
violazioni dirette di norme europee di ordinamenti altri.
Ad una prima rubricazione fatta e resa pubblica da attenti cultori di “informatica giuridica” troviamo:
a) Divieto di utilizzo di WhatsApp per chi ha meno degli anni sedici;
b) Divieto di inserire una persona in un Gruppo WhatsApp senza il consenso;
c) Divieto di inoltrare screenshot di WhatsApp con le conversazioni private ricevute da un
utente a soggetti estranei alla conversazione;
d) Divieto di inoltrare foto o video di bambini o minori non aventi la capacità d’agire ai sensi
di legge nell’applicazione WhatsApp;
e) Divieto di inoltrare un messaggio pubblicato su un gruppo chiuso di WhatsApp a terzi non
appartenenti al gruppo medesimo;
f) Divieto di impersonare un’altra persona su WhatsApp;
g) Divieto di inviare messaggi pubblicitari su WhatsApp;
h) Divieto di inoltrare messaggi di natura pornografica, razzista, offensiva, minacciosa, illegale
e diffamatoria su WhatsApp;
i) Divieto di violare diritti d’autore su WhatsApp;
j) Divieto di inviare materiale pericoloso che possa veicolare virus su WhatsApp;
k) Divieto di spiare le chat del partner su WhatsApp;
l) Divieto di perseguitare una persona con messaggi continui su WhatsApp configurando il reato di
stalking;
m) Divieto di utilizzare stickers a contenuto offensivo, violento, discriminatorio, antisemita,
nonché pedopornografico;
n) Divieto di offendere o diffamare insegnanti, professori, istruttori, ed ausiliari dei ruoli
suddetti su WhatsApp;
o) Divieto di utilizzo di WhatsApp per invio di immagini o video di sexting o per minacciare la
diffusione di foto o video, fenomeno conosciuto come sextortion.
Il primo titolo di reato previsto nell’elencazione sembra essere quello più naturale; concerne l’uso della
applicazione menzionata da parte di soggetti minori degli anni sedici. È predisposto e previsto, in piena
conformità con il nuovo regolamento europeo sulla privacy: le condizioni di utilizzo WhatsApp
stabiliscono che la App., è riservata solo agli utenti con almeno 16 anni di età, compiuti. A tal riguardo si
legge: “Se risiede in un Paese nella Regione europea, l’utente deve avere almeno sedici anni per utilizzare i
nostri Servizi”.
Nel caso in cui il minore degli anni sedici utilizzi comunque il servizio, soccorre una clausola integrativa su
WhatsApp, sempre nei termini di modalità di utilizzo che prevede la possibilità da parte del genitore di
assumersi la responsabilità e fornire il consenso al trattamento dei dati personali dei propri figli.
È sufficiente che il minore di sedici anni indichi il cellulare o la email del genitore per ottenere il consenso.
E qui, il primo gap, poiché nessuno esegue controlli e verifiche se una identità minore b degli anni indicati
ha dichiarato false informazioni, anche perché per l’Applicazione de qua l’utente menzognero si assumerà
l’alea della personale condotta, e cioè l’incameramento dei dati personali da parte dell’intero Servizio tele
comunicativo; si legge in proposito: ove l’utente non abbia l’età richiesta per poter accettare i Termini nel
suo Paese, il suo genitore o il suo tutore devono accettarli a suo nome”.
Le conseguenze per codeste violazioni sono che qualora l’utente abbia fornito false dichiarazioni
concernenti l’età prestabilita come condizione necessaria ai fini dell’accesso e utilizzo a WhatsApp
senza alcuna autorizzazione dei genitori o di chi ne assume la tutela, dichiarando di aver compiuto i
sedici anni richiesti, e sia poi responsabile di condotte poco onorevoli ovvero al limite della liceità per non
arrivare all’illecito puro nei confronti di altri utenti, come ad esempio più prasseologico di cyber bullismo
per il tramite WhatsApp, le autorità competenti, nel momento in cui eseguiranno le indagini in merito, e
riscontreranno la falsa attestazione che costituirà un’aggravante delle eventuali sanzioni e pene irrogate –
che sono ab origine previste per il primo breato – non vi saranno riscontri o scusanti da poter sollevare.
Reg., n. 2016/679, dell’Unione Europea in materia di trattamento
dei dati personali e di privacy
(Adottato il 27 aprile 2016, pubblicato in G.U., dell’Unione Europea il 4 maggio 2016 ed entrato in
vigore il 26 maggio dello stesso anno, ed operativo a partire dal 25 maggio 2018)
In merito al secondo divieto; il numero di utenza telefonica di un soggetto, è un dato personale e non può
essere comunicato a terzi, o divulgato in pubblico come accade per una chat di gruppo su WhatsApp,
senza aver ricevuto precedentemente il consenso pieno del titolare del numero in questione.
È necessario dunque richiedere il preventivo consenso all’interessato in un messaggio privato –in stretto
rapporto di reciproca corrispondenza – prima di procedere con il suo inserimento all’interno del gruppo al
fine di evitare pesanti “ritorsioni” o “contestazioni” sotto il profilo penale.
Da ciò, si dà risposta negativa alla modalità di sistema automatizzato di “inclusione” diretta di una persona
in un gruppo WhatsApp. Non è sufficiente depennare e segnare una casella o scrivere la dicitura
“Autorizzo il trattamento dei miei dati” ma si necessita fornire – in aggiunta – un complesso di
informazioni come ad esempio l’identità del soggetto titolare del trattamento e di colui che è direttamente
responsabile della conservazione dati; le modalità per l’accesso ai dati personali e chiederne –
all’evenienza – la cancellazione; le finalità per le quali i suddetti dati vengono utilizzati e la garanzia che
gli stessi non vengano ceduti o “concessi” a terzi.
Il Gdpr sancisce, ancora, la necessità di palesare in termini chiari e puntuali ovvero comprensibili il modo
in cui vengono raccolti i dati personali dell’utente con minore età. Deve farsi in modo che la persona sia
correttamente informata, che comprenda cosa tratta e cosa compie. È necessario in maniera assoluta
specificare come verranno utilizzati i dati ad essa riferibili.
Il Regolamento europeo citato, quale testo generale sulla protezione dei dati personali, stabilisce
perentoriamente che l’età minima per prestare valido consenso al trattamento dei dati personali è il
sedicesimo anno di età ed occorre oltre la richiesta formale anche la ricezione della conferma
da parte dell’interessato dopo aver punto dopo punto specificato l’accettazione di quanto predisposto.
Fondamentale codesto passaggio, poiché va a precostituire prova, l’eventuale copia autentica o
certificazione del messaggio WhatsApp “ricettivo”, a dimostrazione del valore legale sostanziale quanto
formale faccia la richiesta espressa. Si tratta di un vero e proprio modulo prestampato da compilare, al
quale il Garante della privacy fa risalire l’efficacia e la condizione sine qua non per l’esercizio dei diritti
di protezione dei dati personali del soggetto utente – diritto fondamentale – non sacrificabile per il fatto di
esser parte di una community di rete.
Da quanto sopra discende infatti la conseguenza che se un utente conosciuto o addirittura sconosciuto
senza il consenso personale, aggiunge domino proprio un soggetto in un gruppo WhatsApp, incorre
palesemente violazione di una delle protezioni stabilite dalla normativa sulla privacy, integrando il reato di
illecito trattamento dei dati personali ai sensi e per gli effetti dell’articolo 167 Decreto Legislativo 196/03,
Codice in materia di protezione dei dati personali. Ricordando che se dal fatto deriva come accade,
grave nocumento, è prevista la reclusione con forbice edittale che va da sei mesi a diciotto e, in aggiunta, se
dal fatto ne è accertata la diffusione, bla pena si espande da sei a ventiquattro mesi di reclusione.
Altro divieto non meno importante, è quello di inviare screenshot di conversazioni private a terzi, qualora i
dati o informazioni consentano di identificare la persona (ad esempio con nome, cognome, n. di telefono,
elementi sulla salute o orientamenti politici, religiosi, sessuali con indicazioni di rapporti intrattenuti
con altri soggetti identificabili); in tal caso potrebbe ricorrere la fattispecie penale della diffamazione
prevista all’articolo 595 Codice Penale
L’aspetto più inquietante ed esecrabile, è quando si inoltrano foto o video ritraenti bambini – in qualità di
figli – che siano legati da rapporti familiari ai sensi del codice civile o altri bambini, minori degli anni
diciotto comunque, senza il consenso di chi ne detiene la potestà genitoriale o facente le veci
, incorre nella violazione suesposta; inoltre non è consentito secundum legem ergo è contra legem,
pubblicare una foto del proprio figlio uti singuli, ovvero insieme ad altri bambini se è pienamente visibile il
volto a tal punto di risalire alla piena identificazione.
Il preventivo consenso invece è necessario quando si tratta di figli altrui; qui è necessaria la forma b scritta
ad probationem, per chi esercita la tutela anche nel caso che, l’immagine o il video siano eseguiti in
lontananza senza alcuna posa.
Rimane sempre lecito invece pubblicare quanto detto in immagine se viene utilizzato o meglio se le stesse
sono sfocate o prive di centralità di visione, a tale risultato si può giungere con un apposito programma di
editing per evitare ogni riconoscimento soggettivo; anche i parenti più stretti sono chiamati alle medesime
misure cautelative e di rispetto normativo.
Preme sottolineare ancora che l’immagine della persona segue una tutela particolare dettata da norme
specifiche.
a) Il diritto d’autore, legge 1941/633;
b) Convenzione sui diritti del fanciullo, New York, 20/11/1989 (comunemente abbreviato CRC).
Nel preambolo della CRC, si legge : “Gli Stati parti alla presente Convenzione […], in conformità con i
principi proclamati nella Carte delle Nazioni Unite il riconoscimento della dignità inerente a
tutti i membri della famiglia umana nonché l’uguaglianza e il carattere inalienabile dei loro diritti
sono le fondamenta della libertà, della giustizia e della pace nel mondo; Tenendo presente che i popoli
delle Nazioni Unite hanno ribadito nella Carta la loro fede nei diritti fondamentali dell’uomo e nella
dignità e nel valore della persona umana e hanno risolto di favorire il progresso sociale e di instaurare
migliori condizioni di vita in una maggiore libertà, Riconoscendo che le N.U.,, nella DUDU e nei
Patti internazionali relativi ai Diritti dell’Uomo hanno proclamato, e hanno convenuto che ciascuno può
avvalersi di tutti i diritti e di tutte le libertà che vi sono enunciate, senza distinzione di sorta in particolare
di razza, colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione, di politica o di ogni altra opinione, di
origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di ogni altra circostanza […]
Convinti che la famiglia, unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il
benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione l’assistenza di cui
necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività; Riconoscendo che il fanciullo, ai
fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare in
un clima di felicità, di amore e di comprensione, in considerazione del fatto che occorre preparare
pienamente il fanciullo ad avere una sua vita individuale nella Società, ed educarlo nello spirito degli
ideali proclamati nella Carta delle N.U., in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di
libertà, di uguaglianza e di solidarietà […] Gli Stati si impegnano a rispettare i diritti enunciati e a
garantirli a ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione […]; Adottano tutti i provvedimenti
appropriati affinchè il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o
disanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate, o convinzioni dei suoi
genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari.
Da qui si evince che il diritto alla sicurezza sociale, oltre che nel senso stretto del termine, è
omnicomprensivo, poichè assorbe come una spugna altri diritti fondamentali, assoluti ed irrinunciabili
per potersi parlare di godimento dei diritti umani.
Da qui, la riservatezza diventa priorità per la dignità umana specifica e personale per ogni individuo che
rimane un singolo che vive e si esprime in una comunità civile.

Ontologia, rilevanza ed imprescindibilità
Un concetto da cui non si può prescindere, di cui si deve tener conto in modo assoluto come necessità di
tutela ed effettività del diritto positivo, è la civiltà.
In una condizione omocentrica – e per rimanere in tema –“Uomocentrica” del genere umano, ovverosia,
considerare e “ripensare” l’uomo come centro di interessi legittimi e diritti soggettivi, come fonte di
produzione di diritti umani, sociali, culturali etc e centro di interessi personali nel “soggettivismo
” puro, possiamo notare che uno dei principi fondamentali per nulla affatto “principalizzato” – in un gioco
di parole chiave – e proprio del suo esistere “in rerum natura” è il diritto di civiltà e civilizzazione.
Cosa è la civiltà?
La forma particolare con cui si manifesta la vita materiale, sociale e spirituale di un popolo
(eventualmente di più popoli uniti in stretta relazione) sia, in tutta la durata della sua esistenza
sia, in un peculiare periodo della sua evoluzione storica – o anche la vita di un’età, di un’epoca- un
frangente di passaggio evolutivo per poi espandersi[1].
Sotto l’aspetto storico ed ontologico, il termine è riferito non soltanto ai popoli socialmente più evoluti
della storia lontana o recente, ma anche ai popoli primitivi o meno evoluti, estendendosi a designare anche
le varie forme di vita di popoli preistorici, ricostruite per merito della paleontologia (per capire la nascita
e lo sviluppo umano).
In questo senso ampio e più “neutrale” il termine si approssima a quello di cultura, anche per indicare
l’insieme delle conquiste dell’uomo sulla natura, ed un certo grado di perfezione nell’ordinamento
sociale, nelle istituzioni, in tutto ciò che, nella vita di un popolo o di una società, è suscettibile di
miglioramento.
Al fine ultimo di portare al massimo livello di organizzazione della vita associata qualificata e del
benessere comune.
La novella sull’informative ed il consenso
L’informativa è un documento – in senso civilistico del termine – che deriva da quanto enunciato dagli
artt., 13 e 14 del GDPR 2016/679 e va ampliando opportunamente quanto già stabilito con l’antecedente
articolo 13 Decreto Legislativo, 196/2003 abrogato dal Decreto Legislativo 101/2018.
Nulla quaestio, e nessun dubbio ora si palesa nel recepire che, al momento della raccolta di dati di
persone fisiche bisogna dar seguito in modo tempestivo e non procrastinabile con la produzione e
ricezione (da assicurare) di documenti informativi, per dare piena cognizione ed informazione al soggetto
interessato, in merito al trattamento dei dati che lo riguardano.
La novella fondamentale consiste su quanto si richiede in base all’articolo 12 GDPR 2016/679,
cioè, nella produzione di dettagliate informazioni – come stabilito – in forma concisa, trasparente,
intelligibile e facilmente accessibile, con un linguaggio semplice e chiaro dando modo di assicurarsi su
quanto e come vengono impiegati concernenti la persona interessata.
Il GDPR (General Data Protection), in attuazione dell’articolo6, pgr 1, lett., a), del Reg., UE 2016/679
entrato in vigore il 25 maggio 2018, rappresenta una condizione di liceità per il trattamento dei dati
personali.
Il consenso richiesto espressamente deve essere: libero, specifico, informato e inequivocabile.
La libertà nell’esprime “giuridifichizza” la manifestazione ab esterno. Non è da considerarsi ammissibile
il tacito ovvero presunto consenso e deve essere specificato anche nel caso in cui sia presentato in moduli
dove vi sono caselle spuntate o moduli affermativi ergo, lo strumento automatizzato non è prova della
condizione di “esplicitazione”; il formalismo richiesto dunque deve contenere una volontà espressa
attraverso una dichiarazione o azione positiva inequivocabile.
E ritornando alla problematica concernente l’età di “capacità legale” per l’esplicitazione, in minore età
accertata, il consenso è valido a partire dai sedici anni. È onere del Titolare adottare misure ragionevoli
per la verifica della volontà positiva se sia prestata o autorizzata da colui che fa le veci del minore o chi
detiene la potestà genitoriale.
La figura del titolare del trattamento (data controller), va individuata nella persona fisica o giuridica, o
ancora l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che, singolarmente o di concerto ad altri, determina
le finalità ed i mezzi del trattamento di dati personali come da norma stabilito nell’articolo 4, par., 1, n.
7GDPR summenzionato.
Come chiarito dal Garante della privacy, il termine controller, va tradotto in colui il quale è responsabile
per il trattamento medesimo. Il ruolo va deciso tenendo presente guardando alla situazione oggettiva[2].
Tante accortezze presenti quanto le angolature senza uscita di un labirinto con una sola via di salvezza, il
problema che la rete disperde dati in un macrocosmo incontrollabile a livello di dati e diffusione
informazioni a tal punto che codificarne le possibili garanzie o conseguenze per la mancanza delle tali
porterebbe alla scelta netta di accettare l’alea dei rischi privacy o l’esclusione dal circuito comunicativo
digitalizzato ed ancora l’esclusione sociale.

WhatsApp e rogatorie internazionali
Il Clarufyng Legalful Overseas Use of Data Act (Cloud Act) rivela a chi ancora ha riserve sulla
pericolosità del distorto uso di WhatsApp, che esistono ancora modalità che non permettono affatto una
concreta conversazione in incognito o comunque lontano da chiunque abbia interesse istituzionale o
anti-istituzionale e criminoso a conoscere alcuni o tutti i contenuti di in flusso di dati e comunicazioni[3] .
La legge quadro fa oltre un anno pienamente vigente, prevede accordi esecutivi sull’accesso ai dati da
parte dei governi stranieri (autorità competenti), siamo difronte al primo agreement; il Patto stipulato tra
USA e GRAN BRETAGNA, che, costituisce la prima orma su cui si potranno muovere passi concreti per
altre nazioni: la disciplina che dovrebbe essere sottoscritta entro brevi termini, per permettere all’Autorità
Giudiziaria e – in questo caso alle forze dell’ordine di Sua Maestà la Regina – agenti giudiziari di
ottenere dai gestori di sistemi di messaggistica istantanea, una consistente materia di informazioni
utili a fini investigativi.
Procurando rumors per la tutela della riservatezza personale e soprattutto per gli abituali a violarla.
Senza frantumare o far cadere nel vuoto la crittografia end-to-end poiché non vi sarà alcuna segreta o
zelante mancanza di trasparenza nello scambio di quanto effettivamente fa parte del flusso dinamico
delle comunicazioni ed informazioni, come non vi sarà rafforzamento o bacKdoor per complicare le
applicazioni o trovare scorciatoie per consentire agli agenti di polizia giudiziaria di accedere
indiscriminatamente a colloqui inopportuni e “pizzini” digitali informatizzati, nessuna rete o gabbia in
grado di indurre a tranelli o in grado di violare ad nutum la privacy.
Certamente il primo rilievo per gli utenti è sapere definitivamente che, WhatsApp come altre applicazioni o
social network, non sono impenetrabili in assoluto. Non ci troviamo difronte ad una generalizzata messa a
disposizione della vita privata e delle relazioni intrattenute, ma piuttosto difronte alla fluidificazione dei
rapporti tra il definito “law enforcement” cioè la macchina della giustizia – e dei suoi operatori – ed i
gestori dei moderni servizi di comunicazione digitale.
Cloud Act,[4] tradotto: “niente scuse” per i gestori che, a fronte di sollecitazioni legittimate da regole
precise, saranno sempre obbligati a fornire dati, informazioni, testi ed ogni altro contenuto senza facoltà di
opposizione o rifiuto –spesso mascherate da impedimenti tecnici o mancanza di conservazione o tempi
lunghi per accedere banche dati. Ciò inevitabilmente porta a conoscere una vera e propria “antologia” o “
enciclopedia” digitale di reati o fatti di abuso o di soprusi da trame inquietanti.
In Italia la Suprema Corte di legittimità 5 occupandosi già di problematiche relative a captazioni
di conversazioni su territorio estero e dati registrati in territorio nazionale e viceversa – vedi nota – ha dato
fermo segnale di necessario procedimento di rogatoria internazionale i collaborazione – ove possibile – del
produttore/gestore del sistema operativo dei dati o comunicazioni. La Corte chiarisce[5] che con le
rogatorie non accade sic et simpliciter che chat e messaggistica varia siano sempre a rischio di privacy o
sicurezza o esposte a forme di intercettazione bulimica ma utilizzando nella legalità i mezzi di ricerca
della prova con autorizzazione fondante, aumentano la soglia di sicurezza ed accertamento della verità
fattuale a fronte di reati dove si perde la materialità reale per una consumazione eterea immateriale.

Conclusioni
Gli “ermellini di Cavour” da sempre hanno condannato l’utilizzo di un numero telefonico e quanto in esso
si veicola in dati ritenendo illecito l’utilizzo sine consensu, già solo considerando il presupposto che esso
costituisce dato sensibile ai sensi dell’articolo 167 del Decreto Legislativon. 167/2003.
In escalation e senza resa ad oggi, sembra essere la belligeranza tra WhatsApp e l’Europa.
Dopo le sanzioni amministrative di settembre 2021, un ulteriore banner va segnalando cosa “muta
” per la privacy degli utenti dell’applicazione de qua.
Cresce la preoccupazione per la privacy policy di WhatsApp e, la tensione tra l’Unione Europea e Meta
–colosso creato da Mark Zuckerberg – le istituzioni europee, non trovano punti di incontro né avalli di
sorta su di una giustificazione che fa perno sull’evoluzione della socializzazione e burocratizzazione
tecnologica.
Non ha sortito gli effetti sperati la multa inflitta a Meta di 225 milioni di euro, per la scarsa chiarezza su
come l’azienda gestisce i dati personali degli utenti.
L’Unione Europea ha espresso il fatto che le semplici icone di accettazione non sono garanzia né
accettazione volontaristica ad ogni tipo di utilizzo dei dati o informazioni concernenti la persona in rete. La
perentorietà della “accusa decisoria”, ha fatto sì che fosse introdotto un nuovo banner in cima alla lista
delle chat, sul quale-previo click- l’utente potrà leggere le nuove informazioni sulla privacy, più indicative
e di dettaglio come richiesto dall’Europa e, eseguito tale percorso esecutivo si potrà chiudere o archiviare
definitivamente il banner in questione.
Non si deve dunque accettare alcunché, poiché nulla v’è da concordare, trattandosi solo di informazioni,
di cioè notiziare l’utente che a sua scelta vuole volgere la sua attenzione oppure ignorarle in toto.
Sorge una domanda semplice: quale soggetto desidera leggere con attenzione una “pergamena”
ripetitiva di “attenzioni”; a malapena si leggono le istruzioni di funzionamento degli apparecchi in
dotazione. La garanzia di tutela sembra sempre più un miraggio.
Con risvegli ad intermittenza, preoccupati di incorrere in reati penali sempre più diretti e volontari, con
richiesta “a sorpresa” allo scopo di seguir indicazioni “garantiste” dettate ormai da “giurisdizioni”
superiori, arriva l’interpello dei gestori agli utenti sulla misura “antistalker”.
Dalla stessa Applicazione, giunge agli utenti – la formalizzazione di una risposta esecuzione dal 25
novembre 2021 - alla domanda: “si vuol bloccare il contatto?” per poi eseguire cambio radicale di
coloro che usufruiscono del pieno consenso sulle comunicazioni scambiate al fine di evitare e
bloccare lo Stalking.
Efficace sarebbe l’opzione diretta: utente indesiderato per…ovvero si segnala tale contatto per
comportamenti insidiosi. Fissare un limite alla tollerabilità oltre la decenza è fondamentale ed auspicabile.
La scelta ad oggi in veste semiperentoria riguarda un Upgrade che metta accordo e tranquillizzi gli utenti;
si è proposto un cambio radicale dello status, che sino ad oggi era complicato da gestire, poiché, se è
attiva la funzione “ultimo accesso”, risulta impossibile arginare il problema senza porre in essere
discussioni sul perché si desidera ignorare un utente o un gruppo di utenti.
Con lo scopo di adeguare le potenziali opzioni a garanzia della privacy, si è delegata WABetaInfo – la
news che riguarda il potenziamento della gestione status – di attivare la lettura dell’ultimo accesso
solamente “a tutti i contatti” e a “nessuno”; da qui, si potrà selezionare anche un proprio numero di
utenti che non avranno più il privilegio di controllare l’accesso in questione; una sorta di rafforzamento
dello ius excludendi alios per opporsi ad ogni ingerenza di terzi relativamente al bene oggetto del proprio
diritto, quale che ne sia la giustificazione, seguendo le linee guida dettate dall’articolo 832 del c.c. – sul
diritto di proprietà- come garanzia reale- A puntualizzazione decisa; ritrovarsi improvvisamente
all’interno di conversazioni collettive o strumentalizzati negli aspetti personali, non potrebbe mai
rappresentare un fatto non gradito –questo può essere solo un aspetto soggettivo-personale, in dipendenza
dell’“animus social” dell’interessato – ma per colui che si investe del ruolo di amministratore un reato
punibile.
Le conseguenze per la violazione della riservatezza escludendo lo stalking o altro sono dunque: a)
il risarcimento del danno, b) la riparazione della condotta illecita, come ad esempio la definitiva
rimozione della pubblicazione dello screenshot della conversazione.
Non dimenticando altra questione delicata, e cioè, che chi accede al profilo altrui rubando la password
commette il delitto di accesso abusivo a sistema informatico con le conseguenze previste dal codice
penale[6] . Una metamorfosi continua per tutelare la volontà di essere lasciati in pace ed esercitare i propri
diritti in maniera diretta senza intrusioni o alterazioni della responsabilità che rimane esclusivamente
personale.

[1] In tal senso vedi: civiltà in Treccani della lingua italiana, ed. 2014.
[2] Secondo la UE, infatti non basta quanto mostra WhatsApp ai propri utenti nell’aspettativa che gli stessi
clicchino sulla scritta “Accetta” imposta su una finestrella di dialogo che non consente di usufruire
altrimenti del pieno servizio; è ritenuta insufficiente a palesare a colui che usa l’applicazione cosa sta per
cambiare in merito i propri dati personali.
[3] Corte di Giustizia europea sul caso Fashion ID, case 40-17, 9 agosto 2019, in curia.europea.eu.it-
[4] Cloud Act, approvato dal governo Usa nell’ottobre 2020, per l’elaborazione sia corti interne USA, sia
partner stranieri ed europei, il modo in cui verranno risolti i problemi di raccolta dati e comunicazioni in
rogatoria e determinare l’efficacia della legge ed il suo effetto sulla privacy e sulla sicurezza globali.
[5] Cass., Sez IV, sentenza n 32146/17 su privacy documenti, in dir. Pen. E processo 2017.
[6] Reclusione fino a tre anni, articolo 615 ter codice penale

TAG: Whatsapp, privacy, Stalking, identità, Comunicazione, Unione Europea, social network

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