Tutto sul demalling, una risposta alla dismissione dei centri commerciali - Amazon S3

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Tutto sul demalling, una
risposta alla dismissione dei
centri commerciali
Negli U.S.A., i termini che identificano i luoghi commerciali
dismessi vengono identificati con il termine greyfields, dato
dalla sommatoria di deadmalls + ghostboxes. “Zone grigie”, che
negli ultimi 6 anni hanno ravvisato la chiusura definitiva di
25 enclosed mall (centro commerciale     con galleria chiusa
tradizionale) e di un 7% del totale dei centri. Alcuni
analisti stimano che oltre 200 strutture della stessa
categoria si trovino in condizioni economiche e gestionali
difficili, anche se a gradi diversi. La più compromessa,
quella afferente alla classe D, contempla 60 complessi in
profonda crisi, contraddistinti da una redditività inferiore a

circa 2.300 $ al m2.

La spirale fallimentare, nota come “death spiral”, racconta di
un lento declino che colpisce i negozi in galleria e le ancore
commerciali. Il calo degli affitti e l’assenza di nuovi
investimenti da parte della proprietà del centro, a causa di
una mancata liquidità, allontanano le possibilità di
interventi di rinnovamento (“facelift” e “retenanting”) in
grado di riattivare la struttura, condannandola al fallimento.

Randall Park Mall – Cleveland, OH – USA – ©Neal Rantoul

Le cause degli intensi fenomeni di dismissione verificatisi
oltreoceano possono essere ricercate in cause generali di
ordine specifico.

Se è vero che la contrazione dei consumi ha accelerato
dinamiche già presenti nei primi anni 2000, la principale
causa generale è rappresentata dalla proliferazione di
strutture simili sul territorio, con la continua
sovrapposizione dei bacini di utenza e la conseguente
saturazione del mercato. Il breve ciclo di vita delle
strutture commerciali, pensate per avere un rientro economico
nel breve periodo, ha spesso determinato una precoce
obsolescenza delle stesse e successivi fenomeni di
dismissione. Durante tali periodi temporali, si verifica anche
un altro fenomeno proprio del mercato, quello della
modificazione dei gusti dei consumatori, il quale obbliga
l’evoluzione del settore verso nuove tipologie.

Tra le cause specifiche di ciascuna struttura, senza dubbio
trovano un nesso causale importante la localizzazione
geografica, l’età, l’accessibilità, la manutenzione, la
gestione da parte della proprietà così come i cambiamenti
economici o demografici occorsi nel bacino dei consumatori.

Questo cambio di tendenza è evidente nelle recenti operazioni
immobiliari degli investitori: per quanto concerne gli
shopping malls, dal 2006 solo 5 enclosed mall sono stati
realizzati, mentre negli anni ’90 essi crescevano al ritmo di
100 l’anno. In sostanza, si sta verificando la cessazione
nella proposta del formato “enclosed”, dove note catene come
Sears, JCPenney, Nordstorm e Macy’s, Walmart hanno annunciato
la chiusura di centinaia di punti vendita. Sears dovrebbe
cessare l’attività di circa 300 strutture di vendita (pari al
50% del proprio portafoglio), JCPenney 320 (il 31% del
totale), Nordstorm 30 (il 25% delle proprie disponibilità) e
Macy’s 70 (solo il 9% complessivo) per generare i medesimi

introiti economici a m2 del 2006.

Contemporaneamente, sul mercato a stelle e strisce si stanno
affermando nuove tipologie, come il “mixed use development” e
il “lifestyle center”, o strutture più redditizie in termini
di costo-ricavo, come i big box stores (e gli addensamenti in
power centers). Ad esse si affiancano ampi centri di
stoccaggio dei prodotti destinati alle vendite on-line del
crescente settore e-commerce, come, ad esempio, nel noto caso
del colosso Amazon.

Gli effetti della dismissione sono molteplici, e tutti più o
meno gravi nella declinazione dei differenti settori che
investono, da quello economico passando per quello urbano, per
giungere, infine, a quello sociale. Tra gli effetti
collaterali di queste politiche gestionali vi è senza dubbio
il mancato gettito fiscale nel bilancio dell’amministrazione
pubblica, cui si accompagnano più o meno ampie ricadute
occupazionali in termini di addetti. Dal punto di vista
urbano, si ravvisa una dequalificazione dell’area e un
abbassamento del valore dei terreni, oltre al consumo di suolo
direttamente generato dalle strutture e dai parcheggi, il cui
degrado fisico investe anche il contesto. Vengono così a
perdersi spazi di relazione sociale, così come importanti
luoghi di servizio.

I Giardini del Sole – Capodrise – Caserta – ©Gabriele Cavoto

Dunque, quali strategie seguono queste dismissioni? Studiate
dall’arch. Gabriele Cavoto sull’osservatorio web da lui
curato, “demalling.com”, egli ha individuato alcune strategie
specifiche attuabili a seguito della cessazione delle attività
commerciali, quali il riuso, l’integrazione, il redevelopment
e la sostituzione.

Partendo dal riuso, è interessante scoprire come le cosiddette
“ancore” commerciali possano trasformarsi in “ancore” sociali,
in cui big box stores e shopping malls sono riconvertiti in
chiese, biblioteche, scuole, centri sanitari, uffici, musei,
con interventi più o meno invasivi. Dai casi di riuso e
integrazione funzionale analizzati emergono questioni
architettoniche e funzionali comuni, come l’implementazione
della luce solare e della ventilazione naturale, molto spesso
carenti, così come un’inevitabile revisione nella
distribuzione interna. Altre modifiche colpiscono l’involucro
e l’accessibilità stessa al sito, oltre alla ridefinizione
delle aree esterne.

Circa l’integrazione, una prima considerazione è da spendersi
su quella di tipo funzionale, in cui l’addizione di nuove
attività a mall in crisi si rivela una tendenza crescente e di
successo. Il redevolpment, invece, afferma come il futuro
dello shopping, e dei santuari in cui esso si celebra, passi
attraverso l’apertura degli stessi verso l’esterno e verso i
flussi urbani, modificando l’edificio in crisi in formati di
successo (lifestyle center e quartieri mixed use) con
interventi più invasivi.

La sostituzione, invece, molto spesso coincide con quella
urbana, in cui i citati greyfields lasciano il posto ai
goldfields, ossia zone urbane in cui differenti funzioni
(dall’abitativo, al commerciale, ad uffici) si succedono al
monotematismo dettato dalle omologanti dimensioni del punto
vendita della grossa distribuzione, scandite in isolati
urbani. Un’altra potenziale alternativa, invece, è il ritorno
all’elemento naturale, con la riconversione delle aree in
parchi urbani (o periurbani) e in terreni idonei all’attività
agricola.

Quali sono le differenze se paragoniamo tra loro U.S.A. e
Italia? Molte a dire il vero, partendo dal periodo storico in
cui fecero capolino le grandi strutture di vendita. Un lasso
temporale ventennale, che vide il primo centro aperto nel 1956
negli U.S.A., mentre, in Italia, nel 1987 questi erano minori
di un centinaio. Un ritardo nell’evoluzione del settore, che
permette, però, di tratteggiare utili paragoni per la
previsione di trend e di soluzioni possibili per affrontare la
dismissione.

LEGGI ANCHE: Demalling: 10 riqualificazioni modello di centri
commerciali dismessi

Negli U.S.A., la densità commerciale in termini di superficie
di vendita è di 2,20 m2 ad abitante, mentre in Italia è di 0,26

m2/ab, con valori di picco in Lombardia e Piemonte, quasi il
doppio di quella nazionale. Una diversità che risiede anche
nelle dimensioni delle strutture, generose nei centri
statunitensi rispetto alle più contenute italiane. Negli
U.S.A., infatti, il 60% degli enclosed mall varia tra i 37.00

m 2 e i 74.000 m 2 e ben il 40% possiede una GLA superiore a

74.000 m 2 . Nel Bel Paese, invece, il 77% è dato da centri

commerciali con superfici tra i 5.000 e i 20.000 m2, il 22% da

una    GLA    maggiore       ai    20.000   m2   e   solo   l’1%   possiede

un’estensione di 80.000 m 2 . Allarmano però alcuni dati,
relativi all’obsolescenza delle strutture a livello regionale.
Le più compromesse paiono quelle del Nord-Est, capeggiate dal
Veneto (ben il 75% del totale), seguite da Lombardia (61%),
Trentino Alto Adige (60%), Emilia Romagna e Liguria,
quest’ultime appaiate al 58%. Una media italiana che si
attesta, complessivamente, al 51%, tale da indicare come la
metà del patrimonio commerciale non sia stata interessata da
interventi di rinnovamento nel corso degli ultimi 10 anni.

mappatura demalling- ©Gabriele Cavoto

In Italia si ravvisano fattori di consonanza con quelli
oltreoceano, derivanti dalla saturazione commerciale e dalla
delocalizzazione, con le connesse problematiche sociali
connesse. Sono evidenti le difficoltà legate ad alcuni
progetti di rigenerazione urbana di aree ex-industriali,
legate per lo più ad errori di programmazione che sfociano in
esiti dubbi, quali la limitata attrattività, problemi di
accessibilità e di layout architettonico.

Dunque, ciò che emerge sono problemi acuti, legati anche a
difetti architettonici e non solo urbanistici nella
progettazione di strutture commerciali. Questi sono imputabili
a flessibilità, mono-funzionalità, qualità architettonica,
rapporto con il contesto, impatto ambientale e dimensionale,
efficienza energetica, dipendenza dal trasporto veicolare,
ecc.. Conoscerli in dettaglio potrebbe guidare nuove
evoluzioni del sistema commerciale verso una pianificazione
ponderata, sia da parte dei soggetti proponenti che delle
pubbliche amministrazioni, rielaborando scelte progettuali e
insediative sul territorio.
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