LA PRINCIPESSA DI GELO - PortaleRagazzi.it
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LA PRINCIPESSA DI GELO dalla Turandot di Giacomo Puccini Libretto Giuseppe Adami e Renato Simoni PROGETTO ALL’OPERA LE SCUOLE AL MAGGIO 2019/20 TEATRO DEL MAGGIO MUSICALE FIORENTINO ASSESSORATO ALL’EDUCAZIONE DEL COMUNE DI FIRENZE FONDAZIONE CR FIRENZE VENTI LUCENTI Il Progetto all’Opera le scuole al Maggio porterà gli studenti dell’anno scolastico 2019/20 verso la rappresentazione il 6 - 7- 8 Aprile (ore 10.30 per le scuole, e ore 20.00 per il pubblico) dello spettacolo LA PRINCIPESSA DI GELO. Lo spettacolo vedrà anche quest’anno sul palcoscenico del teatro del Maggio Musicale Fiorentino 900 ragazzi (provenienti dalle scuole primarie e secondarie di primo grado del Comune di Firenze) e per la prima volta anche ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado. Giunto alla sua quattordicesima edizione il progetto si distingue sempre più nel panorama europeo come originale metodo di divulgazione dell’Opera Lirica, ma anche e soprattutto come momento di rinnovato dialogo fra le istituzioni che lo promuovono e la città in una sorta di attività di formazione permanente su i cittadini che avviene proprio a partire dal luogo deputato alla formazione: LA SCUOLA. I bambini diventano infatti all’interno della propria comunità i “nuovi formatori” delle loro famiglie in ambito operistico, contribuendo all’allargamento delle conoscenze musicali di una delle più importanti attività artistiche del nostro paese: l’opera lirica Spunti, approfondimenti, per i docenti Suggerire spunti che servano agli insegnanti ad approfondire temi legati alla TURANDOT di Giacomo Puccini che possano integrare il progetto all’Opera di quest’anno in un più ampio percorso didattico non è semplice. Niente è semplice quando si tratta di educazione! In primo luogo il rischio
è quello di farsi trascinare in percorsi intellettualmente stimolanti, ma poco utili poi per il lavoro sul campo con i ragazzi. In secondo luogo i testi consultabili sono a nostro parere complessi, soprattutto se intendono affrontare temi musicali. Un terzo ordine di problemi è legato alla scarsa disponibilità sul mercato (ma spesso anche in biblioteca) dei testi stessi. In linea generale ci sentiamo di suggerire che gli spunti proposti siano indicazioni sommarie per i docenti che potrebbero essere eventualmente e poi riproposti ai bambini. Lavorare con i bambini alla riduzione di un opera è sempre un’impresa titanica. Costringe infatti chi ci lavora non solo ad una messa in scena “classica” ma anche ad un analisi di valori, concetti, significati che alle volte con il pubblico si danno per scontati. Il “metodo” Venti Lucenti aspira infatti alla possibilità di utilizzare le Opere come strumenti formativi che, al pari delle fiabe, portano al loro interno (alle volte nascosti, altre evidenti) significati che possono essere approfonditi e analizzati da molteplici punti di vista diventando veri e propri “contenitori di percorsi formativi” interessantissimi, veicolati dalla musica. Parallelamente il metodo, che prevede che i ragazzi vivano direttamente un progetto di così grande impatto emotivo come quello della messa in scena di un’opera lirica, mira all’acquisizione di competenze relazionali, di espressione e di consapevolezza da parte di una comunità di giovani e giovanissimi che si avvicinano in maniera non convenzionale ed originale ai luoghi teatrali della loro città, appassionandosi al grande patrimonio musicale, teatrale e culturale italiano e internazionale. Un po' di storia Turandot occupa un posto a parte fra le opere di Puccini per il suo soggetto, un insieme non comune di tragedia, commedia grottesca e fantasticherie fiabesche, ma anche di simbolismi più o meno palesati. I suoi autori, in primo luogo Puccini, assieme ad Adami e Simoni si ispirarono infatti alla Turandotte di Carlo Gozzi (CARLO GOZZI TURANDOT; Ed. Salerno Editore 1990) scritta dal drammaturgo
veneziano tra il 1761 e il 1765 e alla cui origine è la violenta disputa letteraria tra lui e il suo rivale Carlo Goldoni. Il Conte Gozzi (1720- 1806) nobile veneziano vedeva in queste “fiabe drammatiche” della commedia veneziana l’espressione più viva dello spirito comico del teatro italiano. Goldoni invece (1707–1793) fu il massimo esponente in Italia del movimento “drammaturgico moderno”. Nella commedia delle maschere veneziane Goldoni scorgeva infatti una forma d’arte artificiosa e moribonda e l’attaccava per la monotonia e la povertà dei suoi soggetti, la trama dagli intrecci banali e la farsa. Inoltre contestava la disumanità dei personaggi e la vuotezza del dialogo quasi completamente improvvisato e nel quale gli attori da un canovaccio sommario traevano versi inventati lì per lì senza nessuna ricercatezza letteraria. Lo scopo di Goldoni era creare una commedia genuina con personaggi tratti dalla vita reale, esseri umani con caratteristiche, sentimenti, parole, naturali senza la caricatura e le buffonate nelle quali indulgevano i “tipi” della commedia. La disputa durò per un po' con vicendevoli accuse. Ma Goldoni trionfava. Gozzi allora cominciò ad offenderlo dicendo che le sue commedie parlavano del basso ceto, gondolieri, lavandaie, pescatori. Ma Goldoni replicò che il pubblico affollava il teatro! Gozzi infuriato decise che se Goldoni voleva rappresentare la natura umana “naturale” egli si impegnava a dare al pubblico qualcosa di non naturale, ma di fiabesco, di magico. Scrisse allora altre nove fiabe (fra le quali la famosa L’amore delle tre melarance musicata da Prokof'ev) con un successo di pubblico stupefacente. Nei suoi spettacoli, spesso ambientati in luoghi lontani ed esotici, pieni di effetti scenici, magie, temporali con lampi e tuoni (effetti innovativi per l’epoca) i personaggi erano tutti di sangue reale, compivano imprese eroiche e favolose e uscivano da intrighi amorosi complicatissimi, trionfalmente alla fine del dramma. Ma la cosa veramente originale di Gozzi è che nei suoi lavori erano sempre presenti e in modo del tutto arbitrario, in questi ambienti “orientali”, dei “Tipi” di maschere veneziane che parlavano in dialetto (spesso improvvisando battute su un canovaccio sommario proprio dei commedianti dell’arte anche detti “all’impronta”). Il successo di Gozzi fu però di breve durata, ma non mancò di impressionare molti artisti dell’epoca principalmente tedeschi, Schiller, Schlegel, Hoffmann dai quali fu definito il “padre del Romanticismo”. Schiller e Goethe inserirono infatti la Turandotte di Gozzi nel programma del teatro Nazionale tedesco ed è proprio su quella traduzione eseguita da Schiller che Puccini basò il suo libretto della Turandot. Gozzi a sua volta si era ispirato per la sua Turandotte ad una serie di fiabe persiane tradotte in francese (Le cabinet des Fèes) e più probabilmente alle Mille e una Notte ( MILLE E UNA NOTTE ; Ed. Einaudi 2007 ) introdotte in occidente dal Antoine Galland all’inizio del Settecento. L’origine sembra persiana, il nome dell’eroina infatti sembra provenire da Turan il nome persiano del Turkestan. Il tema è quello della perenne lotta tra i sessi: il maschio che insegue la femmina senza posa e la donna che lo desidera ma gli resiste. Nella leggenda, la principessa cinese simboleggia temi molto cari a Puccini: l’amore, l’odio la crudeltà e il sadismo che diventano poi sottomissione e amore. Lo stesso vale per Calaf e gli altri pretendenti alla mano di Turandot, mossi anche loro da uno spirito legato ai temi di Eros e Thanatos. Molte, tutte, le opere di Puccini infatti hanno come protagonisti personaggi con la “psiche dolorante” che spesso a causa del loro “amore” vengono torturati uccisi o distrutti dalla sorte, quasi in una sorta di “punizione” o sacrificio dovuto appunto all’amore. Il soggetto della Turandot è quindi perfetto per Puccini. E tutti i “topoi” letterari che egli cercava sempre dentro ai suoi libretti sono perfettamente rispettati. Questi quindi i riferimenti usati da Puccini per scrivere il suo ultimo capolavoro che, a causa della prematura morte, non terminò mai. L’opera fu portata a termine infatti Franco Alfano, scelto, assieme all’Editore Ricordi, da Arturo Toscanini e dal figlio di Puccini, Antonio.
Puccini aveva scritto l’opera fino al momento dell’ultimo coro funebre dopo la morte di Liù. Il resto era solo in abbozzo. Ma in realtà il lavoro sulla Turandot da parte del suo autore non rimase completamente incompiuto. Rimasero ai suoi prosecutori appunti, più o meno compiuti, sparsi su 23 fogli che il Maestro aveva portato con se nella clinica dove fu ricoverato nel tentativo di curare il male che lo affliggeva. Puccini non aveva indicato in modo esplicito nessun altro compositore per il completamento dell’Opera e all’Editore non restò altro che individuare in Alfano il successore che, avrebbe potuto, dagli appunti, trarre un vero finale. L’opera debuttò alla Scala di Milano il 25 Aprile 1926 diretta da Arturo Toscanini musicista internazionale e caro amico di Puccini. “Quando le sublimi note dell’aria che accompagna la scena della tragica morte di Liù, si spengono, in un silenzio tombale Arturo Toscanini posa la bacchetta e nel buio in cui è avvolta la sala, si rivolge al pubblico: “Qui finisce l’opera perché a questo punto il Maestro è morto. La morte è stata più forte dell’arte”. La Turandot da quel momento non conobbe che successi ed è ancora oggi una delle opere più rappresentate al mondo. Piccole note : Il testo che ci sembra più interessante sulla vita del grande compositore lucchese è una delle biografie meglio riuscite scritte su Puccini: GIACOMO PUCCINI di Mosco Carner; Ed. Il Saggiatore1961. Questa biografia non solo descrive un punto di vista straordinario sulla vita del compositore, come uomo e come artista, ma individua in maniera estremamente pertinente tanti aspetti della vita musicale del periodo. Altro testo di facile consultazione è INVITO ALL’ASCOLTO DI PUCCINI di Silvestro Severgnini Ed. Mursia1984 Le attività da sviluppare in classe sulla base del soggetto dell’Opera sono moltissime; proviamo a suggerirne alcune profondamente convinti che moltissime altre possano essere individuate dai docenti in corso d’opera: • La capacità di inventare indovinelli che rivelino qualcosa del proprio carattere; • Il rapporto fra maschi e femmine nelle varie epoche storiche; • La scoperta di quante “storie” letterarie e personali esistano nelle quali l’eroe è disposto alla morte pur di raggiungere i suoi desideri; • Le maschere della commedia dell’arte e la loro capacità “all’impronta” di rivelare fatti paurosi o intimi in maniera ironica e dissacrante. Il gioco delle maschere che velano il volto è sempre un’esperienza “particolare” per chiunque (soprattutto per i ragazzi) che attribuendo alla maschera le proprie paure o sentimenti riesca a svelare se stesso proprio perché protetto. Sinossi dell’Opera TURANDOT Atto I La fiaba si svolge a Pechino, ed ha una durata di scenica di poche ore. E’ sera, un mandarino davanti al palazzo imperiale annuncia che la principessa Turandot, la figlia dell'imperatore Altoum, sposerà un uomo di sangue reale che riuscirà a risolvere tre enigmi da lei proposti. Chi sbaglia sarà decapitato. Tutti quelli che ci hanno provato sono stati uccisi e le loro teste infilzate su pali davanti al palazzo. Il principe di Persia, ultimo dei tanti sfortunati pretendenti, ha perduto la prova e sarà decapitato al sorger della luna. All'annuncio, tra la folla impaziente di assistere all'esecuzione, sono presenti un vecchio; Timur che, nella confusione, cade a terra e Liù, la sua fedele schiava, che chiede aiuto per sollevarlo. Un giovane sconosciuto (Calaf) corre ad aiutare il vecchio e riconosce nell'anziano uomo suo padre, re tartaro spodestato che non vedeva da molto tempo. Padre e figlio si abbracciano felici di questo inaspettato ritrovarsi. Calaf prega il padre e la devota schiava Liù di non pronunciare il suo nome per paura dei regnanti cinesi, che hanno usurpato il trono del padre. Chiede a Liù chi sia e lei gli rivela di essere una schiava del loro antico palazzo che ha aiutato il re a fuggire. Calaf assiste con il padre e Liù in mezzo alla folla inferocita, all’orrore della decapitazione del principe di Persia. E’
sconvolto, pensa che la Principessa sia un mostro, ma quando Turandot si mostra per ordinare la morte del giovane, per il quale il popolo chiedeva la grazia, egli la vede. Rimane incantato dalla bellezza di lei. E’ stregato. E’ vinto. Il suo amore è fulmineo e assoluto. Decide di tentare la prova degli enigmi. O Turandot o la morte. Mentre Liù e i ministri dell'imperatore, Ping, Pong e Pang, cercano invano di convincerlo della follia del suo proposito, Calaf corre a suonare il gong che indica che un nuovo sfidante tenterà di risolvere gli enigmi. Atto II Nella notte, Ping Pong e Pang ministri del Regno, si lamentano delle molte esecuzioni ordinate dalla crudele Principessa. E sognano le loro case lontane. Mentre la folla attende la nuova sfida, fuori dal palazzo l'imperatore Altoum cerca invano di convincere Calaf a desistere dal suo proposito. Poi appare Turandot, bellissima, che racconta alla corte la storia della sua antenata Lou-Ling che molti anni prima era stata uccisa da un principe tartaro. In ricordo della sua morte, Turandot aveva giurato che non si sarebbe mai lasciata avvicinare da un uomo: questa la ragione degli enigmi. Il mandarino fa iniziare il cimento. Calaf risolve uno ad uno tutti gli indovinelli proposti dalla meravigliosa e gelida giovane. Le risposte arrivano rapide nella sua mente ed esce vittorioso dal confronto intellettuale con la coltissima ragazza. La Speranza, il Sangue, Turandot. Ecco le risposte! Ma nel momento di massima gioia del popolo, esultante per la fine di questi orrendi omicidi, la principessa si infuria. Non vuole diventare la sposa di Calaf. Non vuole diventare la sposa di nessuno. Chiede all’Imperatore di impedire il matrimonio. Disperata, incredula, spaventata da quell’uomo che l’ha vinta con l’intelligenza e il coraggio si getta ai piedi del padre, supplicandolo di non consegnarla allo straniero. Ma l'imperatore desiste. Il giuramento fatto è sacro. Il principe sconosciuto ha vinto. E Turandot dovrà sottomettersi alla legge. Allora Calaf, che non vuole vivere con una donna che non lo ama, riluttante e carica d'odio, propone a sua volta un enigma: se la principessa riuscirà a scoprire il suo nome prima dell'alba, ella sarà liberata dall’impegno e lui morirà. Turandot gli ha proposto degli indovinelli, tre enigmi che si possono risolvere con il ragionamento o con l’interpretazione di una metafora. Perché Turandot si nasconde dietro le parole, è prigioniera delle sue parole. Ma la domanda vera dell’ opera è in realtà quella che pone Calaf a Turandot: Scopri il mio nome. Che in definitiva non è una domanda ma uno svelamento della sua personalità: Calaf non vuole essere enigmatico, vuole essere un uomo, vuole essere visto come un individuo, scoperto, conosciuto. “Dimmi il mio nome” le dice il Principe sconosciuto e cioè: incontrami, conoscimi, parlami. Questo non è un enigma bensì lo uno svelamento di una cosa concreta, l’incontro con l’altro. La nascita di una relazione. Atto III È di nuovo sera. Si sentono da lontano gli araldi che annunciano l'ordine della principessa: quella notte nessuno deve dormire a Pechino, il nome del principe sconosciuto dovrà essere svelato a ogni costo, pena la morte. Turandot ordina che nessuno vada a dormire ("nessun dorma”), tutti devono cercare di scoprire il nome dello straniero. Nel frattempo, Liù e Timur vengono portati davanti ai tre ministri. Appare anche Turandot, ordina loro di parlare altrimenti li farà torturare. Liù, prende le difese del suo re. Confessa di essere la sola persona a Pechino a conoscere il nome del principe. Coraggiosamente affronta Turandot. “Io non rivelerò mai il nome” afferma con coraggio. Viene torturata ma non parla. Turandot stupita dalla capacità della schiava, le chiede cosa le dia tanta forza per sopportare il dolore. La schiava senza paura le risponde che è l’amore per il Principe. Poi in un estremo atto di coraggio e d’amore si uccide con il pugnale di una guardia. Il vecchio Timur piange disperato sul corpo della povera giovane. La folla pregando porta via il corpo della ragazza che si è immolata pur di difendere un uomo che non sapeva neppure il suo nome, e che solo una volta tanti anni prima le aveva sorriso senza neppure sapere chi fosse. Turandot e Calaf rimangono soli. La principessa in un primo momento lo respinge, ma Calaf, incalzandola, la bacia. Il gelo di lei si scioglie, la giovane divenuta per la prima volta “umana” è ormai travolta dalla passione. Nonostante ciò è ancora orgogliosa e prega il principe di non umiliarla. Calaf allora le dice il suo nome. “Sono Calaf, figlio del re tartaro Timur. Adesso che sai il mio nome potrai mandarmi a morte.” Il sole sorge,
la corte si riunisce in attesa del verdetto finale. Turandot sa il nome ed ha la vita di Calaf fra le mani. Davanti alla folla giunta per l’esecuzione rivela il nome dello straniero: Il suo nome è amore. Breve Biografia di Puccini Giacomo Puccini nasce a Lucca il 22 dicembre 1858 da un’ antica famiglia di musicisti. Fin da bambino dimostra grande talento musicale, anche se un carattere indolente e poco incline allo studio, lo rendeva piuttosto svogliato. I suoi insegnanti lamentavano la sua pigrizia. Riesce comunque ad ottenere una borsa di studio per il Conservatorio di Milano (conferitagli su insistenza della madre dalla Regina Margherita) nel 1880 dove fu allievo di Ponchielli e Bazzini.; Compone il Capriccio Sinfonico scritto come saggio di diploma nel 1883. Durante questo periodo milanese fu assiduo frequentatore di teatri e tramite la mediazione di Catalani entrò in contatto con gli ambienti della scapigliatura. Visse in povertà e al freddo per tutti gli anni del conservatorio, una vita da Bohèmeienne che rappresenterà poi, da musicista maturo nella sua Bohème. Nel 1883 Partecipò al concorso per opere in un atto indetto dall'editore Sonzogno con "Le Villi", su libretto di Ferdinando Fontana. L'opera non vinse il concorso, ma nel 1884 fu rappresentata al Teatro dal Verme di Milano patrocinata dell'editore Ricordi. Felice del successo del primo lavoro, Ricordi commissionò una nuova opera destinata questa volta al Teatro alla Scala, Edgar. Ma il lavoro non fu gradito. Ma la strada era ormai aperta. Nel 1891 Puccini si trasferì a Torre del Lago: amava il mondo rustico e semplice in riva al lago di Massaciuccoli, lo considerava il posto ideale il suo carattere malinconico, per praticare la sua la sua passione per la caccia e per le baldorie tra amici e artisti. A Torre del Lago Puccini costruì il suo rifugio, facendosi edificare una casa dove si trasferì con Elvira, e i figli. Elvira che era stata sposata in precedenza con un lucchese, Gemignani, era scappata con la figlia piccola per seguire il giovane musicista. Il rapporto con Elvira fu burrascoso e pieno di intemperie. Puccini era un uomo estremamente passionale e le sue numerose infedeltà, mescolate al carattere iracondo e geloso della compagna (si sposarono solo alla morte del primo marito di lei) resero la relazione, che pure durò tutta la vita, decisamente complicata. L’editore Ricordi convinto sostenitore del giovane musicista lucchese si convinse che Giacomo avrebbe incrementato le entrate della casa editrice con la sua musica straordinaria. I fatti superarono le aspettative. Manon Lescaut del 1903 fu infatti un successo internazionale. Da quel momento Puccini divenne celebre e fu da molti definito il degno successore di Giuseppe Verdi. Scrisse nella sua vita 12 opere alcune di esse mai più uscite, dall’anno della composizione, dai repertori dei teatri lirici di tutto il mondo. Puccini accanito fumatore morì a Bruxelles nel 1924 per un tumore alla gola.
Puccini fu un compositore estremamente drammatico. Sensibile e con una spiccata vena teatrale interprete di un sentire moderno e per certi versi cinematografico. Le sue straordinarie eroine accompagnano infatti ancora oggi il pubblico poiché parlano una lingua che risuona in noi come fosse la reale voce di ogni singolo spettatore. Sono persone che ci somigliano, nelle quali possiamo rispecchiare le nostre stesse sensazioni e turbamenti. Chiudiamo questo breve spunto con la frase di Gustav Mahler che non vale solo per Puccini ma per la musica operistica per intero. Ma forse per tutte le opere d’arte della tradizione: “La tradizione non è il culto delle ceneri, ma la custodia del fuoco.” Opere Puccini : Le Villi 1884 Teatro dal Verme, Milano Edgar 1889 Teatro alla Scala, Milano Manon Lescaut 1893 Teatro Regio, Torino La bohème 1896 Teatro Regio, Torino Tosca 1900 Teatro Costanzi, Roma Madama Butterfly 1904 Teatro alla Scala, Milano La fanciulla del West 1910 Metropolitan Opera, New York La rondine 1917 Opéra, Monte Carlo Il Trittico: Il tabarro 1918 Metropolitan Opera, New York Il Trittico: Suor Angelica 1918 Metropolitan Opera, New York Il Trittico: Gianni Schicchi 1918 Metropolitan Opera, New York Turandot 1926 Teatro alla Scala, Milano
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