DONOVAN LACE, Conte di Critwall, paladino di Murlynd1

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              DONOVAN LACE,
    Conte di Critwall, paladino di Murlynd1
                                                di Sabrina Bravetti,
                   La Dama del Lago – Signora dei Custodi degli Antichi Singulti
                                                          ***

Eccolo lì, sospeso fra due differenti piani di esistenza, in una bolla di realtà che, da tre
decenni, ospita i nostri incontri; eccolo lì, la stella a sei punte che brilla sulla sua armatura,
luce che cattura il verde dei suoi occhi e lo restituisce al mondo screziato di riflessi
metallici; eccolo lì, la pistola sacra, Benedetta, nella fondina e la spada lunga nel fodero
magico che gli donò Kérendon, il suo maestro, uno dei miei più valorosi paladini; eccolo lì,
prostrato dinnanzi a Murlynd, il suo Dio, inginocchiato di fronte a me. Resterà in quella
posizione fino a quando non sentirà la mia voce, lui è fatto così.
“Alzati, Conte di Critwall!” esclamo, mentre sotto i nostri piedi si materializza una distesa di
sabbia lambita da un mare trasparente.
Il mio paladino obbedisce, come sempre. Un forte odore di salsedine si amalgama allo
sciacquio delle onde.
Eccolo lì, il Conte Donovan Lace, l’uomo a cui ho donato il più dolce frutto della
tecnologia, un cuore meccanico, un perfetto connubio di ingranaggi e vita. La vita è
dura e breve nelle Shield Lands, gli stati cuscinetto che, da secoli, giocano una
sanguinosa partita a scacchi contro l’esercito di Iuz, impedendo all’oscurità di prendere il
sopravvento, ma lui non meritava di morire così, trafitto dalla lancia del più insignificante
servo del Male, infida creatura al servizio della demoniaca mostruosità che minaccia
l’intero mondo di Grayhawk. A questo pensai cinque anni fa, quando vidi il suo corpo
esanime sulla terra nera, l’armatura squarciata sul torace ed arrossata dal suo stesso
sangue, e decisi di offrirgli una seconda possibilità di servirmi.
“Per quale motivo mi hai chiamato?” gli domando. Il suo volto è stanco, la missione che
gli ho affidato non è certo semplice, ma i suoi occhi verde tempesta sono ancora animati
dalla fede che scorsi in lui molti anni fa. Darebbe la vita per la mia causa, la nostra causa,
la ricerca continua della tecnologia, la vera arma per sconfiggere definitivamente il
Male. Darebbe la vita per me, nonostante l’abbia spedito a compiere una missione su un
altro mondo, lontano dai propri cari, lontano da qualsiasi cosa possa esser definita pura e
buona, poiché la corruzione domina sovrana nel luogo in cui ora si trova il mio
paladino…. Ravenloft, la terra degli incubi… Donovan Lace si prepara a rispondermi,
ignorando che il suo Dio, conosciuto anche col nome di Paladino bianco, abbia già
iniziato a legger pagine del suo cuore.
                                                          ***

1
  MURLYND: il Paladino Bianco. Murlynd fu uno dei più grandi paladini di Heironeus e, una volta
asceso al cielo, divenne una sorta di semi-divinità. Il culto di Murlynd, legato ai precetti di
Heironeus, crede fermamente che la tecnologia sia l’unico mezzo per sconfiggere il Male. Tutti i
paladini di Murlynd dedicano la propria vita alla ricerca della tecnologia, tecnologia che viene
nascosta in magazzini segreti, custodita da paladini di Murlynd ed utilizzata esclusivamente dagli
stessi paladini per combattere il male.

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“Un cielo di piombo e giaietto grava su noi stasera, rendendo ogni cosa più triste o,
semplicemente, più dura da accettare. Mentre il vento lambisce il mio mantello ed i miei
personali fantasmi, quasi non odo le voci dei miei compagni di viaggio. Stringo il calcio di
Benedetta, l’arma da fuoco sacra al mio Dio. Vorrei essere altrove. Sospiro. Non sono
abituato a lottare al fianco di persone che continuino a mettersi i bastoni fra le ruote. Il
nemico trae sempre giovamento dalla mancanza di collaborazione fra coloro che,
invece, dovrebbero combatterlo sotto un unico stendardo, ma sembra che Karrwut e
Christopher non si rendano affatto conto dell’importanza del reciproco rispetto e della
necessità di unire le proprie forze. Stanotte la mia mente è distante. Si aspettano tutti
grandi cose da me. Di solito accetto il mio destino, ma stasera vorrei che non fosse così.
Vorrei essere un uomo qualunque che, resosi improvvisamente conto di esser veramente
innamorato per la prima volta in tutta la sua vita, osservi la propria immagine riflessa
sperando di poter scoprire quali occhi abbia l’Amore. Vorrei essere un uomo qualunque
che si soffermi ad ascoltare il proprio cuore e si commuova sentendolo battere più forte.
Vorrei essere altrove, ma non da solo. Vorrei che Miranda fosse con me e che non fossimo
nulla di più di un uomo e di una donna.... due cuori senza nome. Sospiro.
D’improvviso odo la voce di mia madre: “Donovan, stai navigando sul mare del destino,
sotto un cielo gravido di frangenti. La perderai, figlio mio, la perderai...”
Ho paura: sto affrontando un fantasma del passato o del futuro? Sto lottando contro le
mie paure o sto seguendo le tracce che conducono ad un indesiderato domani? Chiudo
gli occhi e mi concentro sul volto del mio Dio. D’improvviso, come ogni volta, ritrovo la
calma interiore. Apro gli occhi... e Miranda è di fronte a me, bella come l’alba sulle mie
terre. Il cielo è una chiara minaccia di devastazione ed oscurità, eppure è come se tutte
le stelle del firmamento si fossero accese all’unisono. La guardo e le sorrido.
“Buona sera, Capitano La Forge!” esclamo spegnendo la pipa.
 penso.
“Buona sera, Conte Lace!”
Le domando di poter parlare a Miranda e non al Capitano La Forge, sperando che, per
un istante almeno, mi conceda di dirle apertamente quello che penso. Sono
consapevole del fatto che non possa mostrarsi debole, perderebbe credibilità ed i
marinai non la rispetterebbero più, ma ora siamo solo noi due e c’è qualcosa che
desidero dirle. Al suo assenso, esclamo quasi sottovoce: “Siete ancora più bella sulla
vostra nave, mentre date ordini ai vostri marinai.”
Ho l’impressione di scorgere un lampo nei suoi occhi, poi indossa nuovamente i panni e la
maschera del Capitano La Forge. “Finché saremo a bordo della mia nave, potrò essere
solo il Capitano La Forge.” esclama. Il mare ora si è mutato in una lastra di ematite, ma in
questo momento la mia attenzione è rivolta alla donna che mi ha stregato. Si incammina
verso la sua cabina ed io mi appresto ad accompagnarla per rubare al destino ancora
qualche attimo in sua compagnia.
Mentre decine di pensieri affollano la mia mente, quando sto per perdere ogni speranza
di poterla amare come merita, si gira verso di me e mi bacia con passione e trasporto.”
                                              ***
“Il mio paladino è innamorato...” penso, mentre l’uomo si schiarisce la voce. Sorrido
impercettibilmente. Un tempo anch’io fui un uomo; un tempo, anch’io mi innamorai. Non
ho scordato il potere devastante che questo sentimento può avere sugli uomini, nessuno
escluso. Non mi aspettavo, però, che il mio paladino potesse trovare l’amore nelle cupe
terre in cui l’ho inviato, nei domini dell’incubo, malvagie lande racchiuse nella parola
Ravenloft.
“Padre mio...” esordisce il Conte di Critwall, ignaro del fatto che il suo Dio già sappia.
                                              ***
“Sono un calice le mie mani a coppa ed il sacrificio un vino rosso sangue, succo
fermentato di onore, princìpi, privazioni e solitudine, il frutto ancestrale delle vigne dei

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Lace. Ogni giorno bevo quel liquido familiare, amaro come il rifiuto, dolce come un
sorriso, il mio personale elisir di lunga vita, ma stanotte, dopo anni, il suo antico sapore
pare rinnovato. Il retrogusto non è quello che conosco da sempre, ma un carnevale di
aromi. Socchiudo gli occhi.
Miele. Dolce come il modo in cui lo sguardo di Ank, la sacerdotessa di Bastet, la Dea
Gatto, accarezza il mio spirito, dolce come la sua incapacità di cogliere l’inganno di chi
vede, ma è costretto dalle circostanze a finger d’esser cieco.
Sale. Le lacrime che imperlano le ragnatele di musica e follia intessute da Christopher, il
triste bardo, giochi di prestigio di un mago che non ha la forza di affrontare la perdita del
proprio potere e, per ingannar se stesso ed il fato, continua ad estrarre conigli dal cilindro.
Noce. Un cuore puro racchiuso in un guscio di coraggio e dedizione (il Cavaliere del
Leone!), un uomo degno di esser chiamato tale, custode e prigioniero di una promessa
che lo vincola e lo nobilita al tempo stesso.
Spezie. Misteriose, esotiche, provenienti da luoghi i cui nebulosi nomi (evanescenti come
la realtà fra le mani di Keele) han la tendenza a scomparire dalle menti di chi li abbia
sentiti pronunciare, terre così lontane che ci si chiede se esistan realmente o se, invece,
non sian che il parto di fantasiosi mercanti.
Luppolo. Anima della birra, il vero sangue del fiero popolo di Karrwut, indiscreta pianta
che, ostentando decine di cuoriformi foglie, svela alle altre razze la sostanza dei nani.
Radice di liquerizia. La donna che amo. Dura ed amara, quasi a voler scoraggiare
chiunque desideri suggerla, ma non arrendersi di fronte alle prime impressioni, continuare
a credere nell’esistenza di un cuore che trascenda il ligneo involucro, significa potersi
addormentare col dolciastro sapore della sua essenza fra le labbra.
Deglutisco.
E’ strano come d’improvviso le emozioni, forse per contrastare la crudele aridità di questa
terra maledetta, si faccian strada attraverso granitiche difese e zampillino incontrollate,
con la forza di un fiume in piena, travolgendo il loro spietato carceriere e lasciandolo
esanime in una pozza di umanità. Un brivido corre lungo la mia schiena. Porto
istintivamente la mano al sacro simbolo del mio Dio.
Le voci dei miei compagni, seppure preoccupate e stanche, colorano l’aria, ma è il
silenzio di Miranda ad attirare la mia attenzione.
La guardo.
E’ una nube nottilucente la donna che amo, una bellissima creatura oltre la quale, in una
chiazza di sangue che si allarga sul turchese del cielo, sta morendo il sole. La osservo
mentre siede in disparte, poco distante dal carro di Christopher, dal cammello e dal
cavallo Absynthia, intenta a sciogliere, quasi con rabbia, i lunghi capelli arruffati dalla
polvere, chioma che, ai miei occhi innamorati, pare ricadere come seta elfica sulle sue
spalle abbronzate. Se potessi, la prenderei fra le braccia e bacerei con passione ogni
centimetro della sua calda pelle. L’abito di lino confezionatole da Ank mette in risalto le
sue forme morbide ed io, incapace di distogliere lo sguardo, non posso fare a meno di
provare un brivido di desiderio. Come mi sento impotente di fronte alla profondità di
questo sentimento! Non credevo che l’amore potesse essere tanto intenso; non credevo
che anche Donovan Lace ne sarebbe un giorno stato contagiato. Miranda alza un
istante lo sguardo ed ho l’impressione che, sul suo viso stanco, si accenda la promessa di
un sorriso. Se potessi, la cullerei fra le braccia fino a farla addormentare, vegliando sul suo
sonno, tenendo lontani gli incubi dalla sua mente colla sola forza del mio amore.
Guardo quella donna, la mia donna, e ringrazio il mio Dio per avermela fatta incontrare. I
suoi occhi sono il faro che mi guida attraverso le tenebre di queste terre maledette, la sua
voce è quella di una sirena che, sfidando le leggi della natura, mi conduce alla salvezza.
Mentre la prima stella della sera giunge al capezzale del giorno morente, mi avvicino a
Miranda e siedo al suo fianco.
“Come stai?” le domando accarezzando col pensiero le sue morbide labbra.

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“Mi sento confusa. In due settimane una vita intera mi è stata rubata!” La sua voce è
lievemente incrinata dall’emozione.
Gli altri sembrano non accorgersi mai di lei. Sanno che viaggia con noi, ma nessuno, a
parte il Cavaliere, le rivolge mai una parola amichevole. Mi chiedo come possano non
sentirsi in colpa di fronte al dolore che le abbiamo causato. Ha perso la sua nave e tutto il
suo equipaggio a causa nostra. Io mi sento dannatamente in colpa per quello che le è
successo! Se non l’avessi mai incontrata, ora il suo mondo non sarebbe in frantumi!
La guardo.
Se non l’avessi mai incontrata, ora il MIO mondo sarebbe in frantumi!”
                                                 ***
“Il mio paladino è frustrato...” penso. Lo guardo con amore paterno. Quell’uomo darebbe
la vita per ciascuno dei suoi compagni di viaggio, ma fatica a comprenderli. Non si rende
conto che non tutte le persone ragionano come lui e questo lo rende incapace di
osservare il mondo con occhio critico. La giovane Ank, la sacerdotessa di Bastet, soffre di
gelosia nei confronti dell’altra donna: per una volta vorrebbe sapere cosa si prova ad
esser amata da un uomo che mantenga inalterato questo sentimento per una vita intera;
Christopher, il bardo, langue per la moglie morta, donna il cui spirito non riesce a trovar
pace, ed il suo continuo comportarsi da buffone non è che una disperata fuga dalla
realtà; Keele, lo stregone, ammantandosi d’oscurità, intrattiene rapporti segreti con
sinistre creature di altri piani; Karrwut, il nano, è accecato dalla vendetta nei confronti
degli elfi scuri che han sterminato la sua gente e, spesso, diviene un’arma a doppio
taglio, pericoloso per se stesso e per i suoi compagni di viaggio; il Cavaliere, l’uomo di cui
il mio paladino si fida ciecamente, custodisce perennemente la verità dietro una
maschera di ferro. La visione della realtà del Conte Lace è distorta, ora ne ho la prova,
ma mi sta servendo bene, per cui non vedo per quale motivo dovrei aprirgli gli occhi. Non
gli servirebbe a nulla conoscere la verità sui suoi compagni di viaggio, non
comporterebbe altro che l’ulteriore intorbidirsi di acque già sufficientemente torbide. In
questo caso, l’ignoranza può esser la sua salvezza. Per quanto concerne Miranda La
Forge, spero si tratti della donna pura di cuore che il mio paladino merita.
“Padre mio, vi ho contattato perché vorrei...” continua il Conte di Critwall, mentre la mia
mente scandaglia la sua alla ricerca di altre risposte.
                                                 ***
“Lei se ne è andata.
Il Mecalocomovitore, una strana vettura composta da più carri, procede la sua corsa
verso le ombre, ombre sicuramente meno opprimenti dell’oscurità che ha appena spento
il verde dei miei occhi, sulle rotaie che si addentran impavide nel periglioso sottosuolo.
Ank siede accanto a Christopher, gli parla sottovoce, quasi sussurrando, tentando forse di
evitare che io senta le sue parole. In questo momento non ha importanza: che parlino
pure di me, che ridano pure di me, se avessi senso dell’umorismo lo farei anch’io. Il bardo
ha una strana espressione sul volto. Sembra ascoltare con disattenzione le parole della
sacerdotessa, preso com’è dalla serie di oggetti, probabilmente sottratti alla villa degli
Huntiker, che tiene sulle ginocchia, eppure continua a lanciare sinistre occhiate nella mia
direzione. Accanto a loro Absynthia, il cavallo di Christopher, si muove nervosamente. La
carrozza del Mecalocomovitore, il treno costruito dalla famiglia Huntiker, non è certo stata
progettata per ospitare un cavallo, non è qui che quella povera bestia dovrebbe stare e
vorrei proprio sapere come il bardo abbia fatto a farla entrare, a farle salire i gradini e,
soprattutto, a costringerla ad un’innaturale, se non addirittura impossibile, manovra per
riuscire ad infilarsi nella carrozza stessa. Talvolta Christopher sa essere veramente egoista.
Seduto in disparte, Karrwut sembra un grottesco doccione dimenticato sulla poltrona da
un viaggiatore distratto, un gargoyle sottratto a chissà quale imponente e granitica
costruzione. La possibilità di salvare il suo popolo si avvicina ogni minuto di più e, ne son
certo, non appena il Mecalocomovitore si fermerà, Karrwut inizierà a cercare l’elfo scuro

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e non ripartiremo fino a quando non l’avremo fatto prigioniero. Determinazione e rabbia
brillano perennemente nel suo sguardo fiero. Ho promesso il mio aiuto a Karrwut, il suo
cuore ed i suoi intenti sono nobili, ma ora son vincolato a seguirlo, mentre vorrei essere già
sulle tracce del galeone sul quale la mia Miranda si è imbarcata.
Miranda.
Non mi ha neppure detto addio, ha delegato il saluto ad una pergamena fra le mani di
un marinaio. Poche righe con le quali mi ha spezzato il cuore. Non ha avuto il coraggio di
guardarmi negli occhi e dirmi che fra noi era finita. Se ne è andata, incapace di
accettare un futuro incerto al fianco di un Paladino, un uomo perennemente in viaggio o
in guerra, un uomo che avrebbe anteposto la fede all’amore.
Non volevo perdere l’unica persona per la quale sarebbe valsa la pena di morire ogni
giorno e, all’ombra di quella paura, ho intrecciato la stessa corda dalla quale ora, vittima
e carnefice di me stesso, penzolo morente.
Inspiro ed espiro profondamente. Mi sento come se non respirassi da ore, dal momento in
cui lei se ne è andata.
Il leone sonnecchia accanto al Cavaliere. Avrei dovuto imparare osservandoli. Non c’è
nessuna tentazione che possa spingere il grosso felino a separarsi dal Cavaliere. Sono uno
stupido. Avrei dovuto capire che non ho l’esclusiva dei nobili sentimenti e che, proprio
come me, anche Miranda poteva amarmi a tal punto da far di me la sua priorità,
resistendo ad ogni altra tentazione, allontanando il desiderio di tornare in mare. Non glielo
ho mai chiesto, ma ora è tardi. Forse non glielo ho mai chiesto poiché sapevo già la
risposta, ma ho agito come se ne fossi all’oscuro.
Miranda.
Vorrei piangere, sono mille arieti i sentimenti che violano i miei occhi affranti, ma non lo
farò, non sotto gli sguardi dei miei compagni.
Se Miranda fosse qui, le direi che non avevo dubbi sul suo amore. Le incertezze
riguardavano il sottoscritto e la sua goffaggine di fronte ad un sentimento tanto profondo.
Avevo paura di perderla, avevo paura che un giorno potesse andarsene per tornare a
quella vita che le apparteneva di diritto e che noi, nell’egoismo di chi crede di aver il
diritto di plasmare le vite altrui in nome di un ideale, le avevamo ingiustamente sottratto.
I due orologi che porto con me, impietosamente procedono la loro lenta camminata
verso il futuro. Già il presente sta svanendo, lasciandomi in bocca il sapore amaro di un
passato ormai perduto.
Sprofondo nella poltrona.
Vorrei dormire, sono distrutto, ma continuo a rivivere ogni istante trascorso al suo fianco.
Non ci sarà più nessuno a temere per la mia vita e, ogni volta che riuscirò a sfuggire alla
morte che il Male tanto brama, non vedrò quel sole che brillava per me, solo nebbia, il
freddo cuore di queste lande maledette.
Miranda, non voglio perderti! Miranda, non voglio arrendermi!
Non posso lasciare che tu svanisca per sempre, come se non fossi mai esistita.
Tu sei la donna con la quale voglio dividere la mia vita ed io... io sono ancora il Conte
Donovan Lace, l’uomo di cui ti innamorasti... sono sempre lui... e te lo proverò! Ti
cercherò, ti troverò... e farò di tutto per riaverti!
I dubbi ti hanno allontanata, ma son sicuro che l’amore alberghi ancora nel tuo cuore,
altrimenti avresti avuto il coraggio di dirmi un crudele addio sfidando apertamente il mio

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sguardo. Oppure no? Chiudo gli occhi. Rivedo il suo volto.
La immagino seduta nella sua cabina, i lunghi capelli sciolti, le mani sul viso, lacrime salate
più dello stesso mare sulle sue guance abbronzate. Vedo il suo corpo scosso dai singhiozzi.
Serro i pugni.
Dovrei essere accanto a lei e, stringendola a me, calmarla. Mi sento morire. Nonostante il
mio unico desiderio fosse quello di renderla felice, sono io la causa del suo immenso
dolore. Fra poco si alzerà ed andrà a stendersi. Chiuderà gli occhi e lascerà che il rollio
della nave la culli, la tranquillizzi, le porti sollievo, compiti che appartenevano a me fino a
poche ore fa. Dormi, dolce amore mio. So dove era diretto il galeone e, appena
torneremo in superficie, quella sarà la mia meta, costi quel che costi. Non posso lasciarti
andare, non così, non così...
Apro gli occhi.
Absynthia ha defecato sul pavimento della carrozza ed Ank si sta occupando di ripulire
ogni cosa. Christopher sorride divertito, quasi appagato, mentre Karrwut scuote la testa. Il
leone continua a sonnecchiare, mentre il Cavaliere osserva le ombre correr veloci oltre il
finestrino.
Non mi importa nulla di quello che succede ora intorno a me.
Chiudo gli occhi ed inizio a pregare.
                                                         ***
“Il mio paladino soffre...” penso, mentre le immagini strappate ai ricordi del Conte
svaniscono lentamente. Vorrei lenire la sua sofferenza, ma la strada che conduce alla
grandezza è lastricata anche di delusioni.
“Continua, Conte di Critwall, ti ascolto.”
Mi aspetto che ora si sfoghi. Mi parlerà dei suoi compagni di viaggio, di come sia
complesso il rapporto con persone dagli ideali così dissimili dai suoi; mi parlerà di lei, del
Capitano Miranda La Forge, e di come se ne sia follemente innamorato; mi racconterà,
mentre nuvole gonfie di lacrime si ammasseranno dietro i suoi occhi impavidi, di come lei
se ne sia andata, spezzando il suo cuore, dono di un Dio misericordioso. L’ascolterò
pazientemente, come ho sempre fatto da quando il Conte aveva sei anni e pregava che
riportassi in vita suo padre caduto in battaglia.
Il suo sguardo, a dispetto delle mie previsioni, non tradisce alcuna emozione.
“Padre mio, vi ho contattato perché vorrei aggiornarvi sulla mia ultima scoperta. Si tratta
di un cannone, un’arma micidiale scoperta a Mordent, un dominio tecnologicamente più
avanzato del nostro mondo, un’arma che potrebbe aiutarci nella guerra contro Iuz, il
maledetto seme di demone e figlio di strega che minaccia Grayhawk. Ho con me uno
schizzo dell’arma ed alcuni appunti...”
Se una divinità avesse il dono dello stupore, ora me ne starei a bocca aperta. Il cuore
meccanico del Conte Donovan Lace sanguina copiosamente, lo vedo, lo sento;
ciononostante, il mio paladino ha la forza di ergersi sulle proprie debolezze e continuare a
non perder di vista il nostro obiettivo. Sono fiero di lui.
“Stai facendo un ottimo lavoro, Conte di Critwall!” esclamo, prendendo dalle sue mani lo
schizzo e gli appunti.
Per un istante, lieto di compiacermi, sorride, ma non può ingannarmi: il lucore del suo
sorriso, specchio di un cuore macchiato di lacrime, in questo momento, è più debole
della tremolante fiammella di una candela.

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“Imparerai, mio paladino, imparerai...” penso, poi la bolla di realtà svanisce e, dopo aver
instillato nella sua mente tutti i dettagli della prossima missione, torniamo entrambi ai nostri
doveri.

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