EDITH STEIN La ragione salvata e redenta da Cristo - Fondazione Comunità e Scuola

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EDITH STEIN La ragione salvata e redenta da Cristo - Fondazione Comunità e Scuola
SCUOLA DI FILOSOFIA DELLA CONCA D’ORO

       13/02/2018       EDITH STEIN
                        La ragione salvata e redenta da Cristo

                                        “Non mi è mai piaciuto pensare che
                                        la misericordia di Dio si fermi ai
                                        confini della Chiesa visibile. Dio è la
                                        Verità. Chi cerca la verità cerca Dio,
                                        che lo sappia oppure no”

                        V ciclo di incontri, 2017-18
                        UT BEATI SINT
LUCIANO
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Sulla lapide
Nata a Breslavia, 12 ottobre 1891

Morto ad Auschwitz, 9 agosto 1942

Corrente filosofica
Fenomenologia e tomismo

Opere principali
Il problema dell’empatia (1916)

Essere finito, essere eterno (1935)

Scienza della croce (1941)

Idea centrale
Empatia

1. Biografia di Edith Stein
       Edith Stein nasce a Breslavia, capitale della Slesia prussiana, il 12 ottobre 1891, da una famiglia ebrea
        di ceppo tedesco. Allevata nei valori della religione israelitica, a 14 anni abbandona la fede dei padri
        divenendo agnostica.
       Studia filosofia a Gottinga, diventando discepola di Edmund Husserl, il fondatore della scuola
        fenomenologica. Ha fama di brillante filosofa.
       Nel 1921 si converte al cattolicesimo, ricevendo il Battesimo nel 1922. Insegna per otto anni a Speyer
        (dal 1923 al 1931). Nel 1932 viene chiamata a insegnare all’Istituto pedagogico di Münster, in
        Westfalia, ma la sua attività viene sospesa dopo circa un anno a causa delle leggi razziali.
       Nel 1933, assecondando un desiderio lungamente accarezzato, entra come postulante al Carmelo di
        Colonia. Assume il nome di suor Teresa Benedetta della Croce.
       Il 2 agosto 1942 viene prelevata dalla Gestapo e deportata nel campo di sterminio di Auschwitz-
        Birkenau dove il 9 agosto muore nella camera a gas.
       Nel 1987 viene proclamata Beata, è canonizzata da Giovanni Paolo II l’11 ottobre 1998. Nel 1999 viene
        dichiarata, con S. Brigida di Svezia e S. Caterina da Siena, Compatrona dell’Europa.

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2. Chi è stata Edith Stein come filosofa santa
Filosofia e vita: «Edith Stein ha deliberatamente e intenzionalmente portato il suo pensiero filosofico
ad incidere nella propria vita quotidiana e ha tratto spunto dalle esperienze della sua vita per
formulare problemi filosofici, cercando di risolverli».
                                                (A. MccIntyre, Edith Stein. Un prologo filosofico, Edusc, Roma 2010, p. 54)

Filosofia, fede e verità. «Per Agostino, come per Tommaso, e così anche per Edith Stein, la filosofia e
la fede non sono estranee l’una all’altra, perché riguardano entrambe il rapporto dell’uomo con la
verità, la vocazione dell’uomo alla verità (che poi è la Verità, Dio stesso). La medesima natura di
“cercatore della verità”, e di cercatore del bene, del bene totale, induce l’uomo a filosofare, ed è il
motivo per cui egli accoglie la fede. Se filosofia e fede non sono estranee l’una all’altra, sono certo
distinte, e crediamo di aver mostrato a sufficienza che Edith Stein riconosce alla conoscenza naturale
un suo ambito, suoi principi, un suo metodo, e verità che essa è capace di attingere con le sole sue
forze. Distinte, ma non separate, cooperano a condurre l’uomo nel suo cammino verso la verità».
     (M. Paolinelli, La ragione salvata. Sulla “filosofia cristiana” di Edith Stein, Franco Angeli, Milano, 2001, pp. 268-269)

Testamento spirituale: «Fin d’ora accetto con gioia la morte che Dio mi ha riservato, sottoponendomi
pienamente alla sua sacra volontà. Prego il Signore che voglia accettare la mia vita e la mia morte a
suo onore e lode, secondo le intenzioni della Chiesa, e affinché il Signore sia accolto dal suo popolo e
il suo regno venga con gloria, per la salvezza della Germania e la pace nel mondo, infine per i miei
cari, vivi e defunti, e per tutti coloro che Dio mi ha affidato: che nessuno di loro si perda».
                                              (E. Stein, La mistica della croce, Città Nuova, Roma, 2004, pp. 94-95)

3. Il compito della filosofia
Contro ogni forma di relativismo: «È merito storico delle Ricerche logiche di Husserl [...] di aver
elaborato l’idea della verità assoluta e della conoscenza oggettiva, ad essa corrispondente, in tutta la
sua purezza, e di aver regolato fino in fondo i conti con tutti i relativismi della filosofia moderna, con
il naturalismo1, con lo psicologismo2 e con lo storicismo3. Lo spirito trova la verità, non la produce. Ed
essa è eterna. Se la natura umana, se l’organismo psichico, se lo spirito del tempo si trasformano,

1
   Secondo il naturalismo, l’unica, effettiva e sicura realtà con cui l’essere umano può entrare in contatto è la realtà
naturale, fisica. In questa prospettiva, anche la vita psicologica e morale rientra fra i fenomeni puramente fisici.
2
  Secondo Edith Stein, che in questo segue il suo maestro Edmund Husserl, lo psicologismo è la tendenza a ridurre i
problemi filosofici o storici a problemi psicologici o, comunque, a porre la psicologia soggettiva a fondamento della
filosofia, a scapito dell’obiettività e della verità. Allo psicologismo di contrappone il logicismo di Franz Brentano (1838-
1917), maestro di Husserl, secondo il quale la validità dei giudizi sulla realtà non è affatto subordinata alle circostanze
psicologiche che determinerebbero i rispettivi atti giudicativi.
3
  Qui è probabile che Edith Stein intenda per storicismo la tendenza filosofica a subordinare la verità alle circostanze
storiche in cui si mostra. Per cui non esisterebbe alcuna verità oggettiva ed universale, ma sempre e solo verità relative
all’ambiente storico culturale in cui si manifestano.
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allora anche le opinioni degli uomini si trasformano, ma la verità non cambia. Ciò significava un ritorno
alla grande tradizione della filosofia; ma subito si è levata una voce da parte degli avversari: Questo
è platonismo! Questo è aristotelismo! Questa è una nuova scolastica! (Cosa che in quei circoli valeva
come un’accusa). Ma – continua – l’idea della conoscenza oggettiva è tenuta da allora in grande
considerazione tra i filosofi seri. [...] E nessuno vuole più essere un psicologista».
    (E. Stein, La ricerca della verità. Dalla fenomenologia alla filosofia cristiana, Città Nuova, Roma 1999, p. 58).

La fenomenologia non sfocia nell’idealismo. «Già nelle Idee4 si trova una frase sospetta [di Husserl]:
se cancelliamo la coscienza, cancelliamo il mondo. Negli ultimi anni questa convinzione fondamentale
ha avuto un ruolo sempre più importante per Husserl. In effetti c’è un avvicinamento a Kant e una
radicale differenza nei confronti nella filosofia cattolica, la quale è certa dell’autonomia dell’essere
del mondo. Ma questa concezione idealistica ha trovato i primi oppositori tra gli allievi di Gottinga
così come in Scheler e tra i cosiddetti studiosi di Monaco. […]
Egli stesso ha sempre sottolineato, se lo faccia ancora oggi non lo so, perché non parlo più con lui da
alcuni anni, che la fenomenologia non è e non sfocia nell’idealismo. L’idealismo è, secondo la mia
convinzione, una concezione fondamentale personale e metafisica, non il risultato di ricerche
fenomenologiche inconfutabili. Chi voglia convincersi che sia possibile, con i mezzi del metodo
fenomenologico e con tendenze fondamentalmente realistiche, una filosofia caratterizzata dalla più
rigorosa oggettività, legga i lavori degli allievi più significativi di Husserl Adolf Reinach […] e Hedwig
Conrad Martius».
                               (E. Stein, La ricerca della verità. Dalla fenomenologia alla filosofia cristiana, p. 60)

Differenze fra le scienze e la filosofia. «Le scienze positive si fermano agli oggetti così come si trovano
nel mondo, cercando di esaminarne le caratteristiche di fatto. Muovono e si trasformano in
esperienza scientifica a partire dall’atteggiamento naturale, sollecitate dall’interesse teoretico, che è
più desideroso di conoscere gli oggetti che esaminare i bisogni della vita pratica. Tali scienze, inoltre,
sviluppano metodi di ricerca – formulazioni sistematiche di problemi, con le quali ci si avvicina agli
oggetti – e mezzi che sono in grado di carpire la risposta a tali problemi.
Al contrario la filosofia non è affatto una scienza che muove dall’esperienza e ciò che interessa ad
essa degli oggetti non è la loro caratteristica fattuale. In un certo senso è sempre accidentale il modo
in cui gli oggetti siano caratterizzati di fatto. Questo dipende non solo da loro stessi ma anche dalle
circostanze nelle quali si presentano, dai rapporti che instaurano con gli altri oggetti. Se questi
rapporti fossero diversi, gli oggetti mostrerebbero caratteristiche diverse. Secondo il suo stato
essenziale, la scienza positiva è ricerca di queste relazioni. L’oggetto è per la scienza il punto
d’incrocio di innumerevoli rapporti. In verità, però, non si esaurisce in questo. L’oggetto non è

4
  Il riferimento è all’opera di E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica (1913-
1929). Come annota A. MacIntyre: «Marianne Sawicki ha dimostrato in modo decisivo come Edith Stein sia stata
responsabile, tra gli altri, dei passaggi fondamentali del §18 dove Husserl non sembra più sostenere in maniera coerente
l’autosufficienza dell’io, e dei §§ 43-47, in cui Husserl riconosce il ruolo della consapevolezza empatica dei corpi degli
altri e della relazione di questi corpi con il mio corpo nella costituzione della mia consapevolezza del mondo naturale e
degli oggetti che lo compongono», A, MacIntyre, Edith Stein, p. 199.
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solamente quello che si trova in questa o quella circostanza, non ha soltanto caratteristiche
accidentali, ma possiede anche un’essenza, qualità che ad esso competono necessariamente, e senza
le quali non potrebbe essere. Questa essenza delle cose, il loro essere autentico, il loro ontos-on
(come lo ha definito Platone) è ciò a cui ha mirato la filosofia. E nella misura in cui la filosofia è ricerca
dell’essenza, la si può definire ontologia. [...]
Detto in modo più preciso, mentre le scienze empiriche della natura ricercano il tipo di oggetti che si
presentano nella natura e la loro costituzione, l’ontologia della natura si chiede che cos’è una cosa
materiale in generale (cioè la sua essenza), chiede che cos’è un organismo in generale ecc. Mentre la
storia osserva il processo di sviluppo dei popoli e delle personalità individuali che sono state
importanti per i popoli, l’ontologia ricerca che cos’è in generale una personalità individuale, un
popolo, uno Stato, un evento storico».
                                           (E. Stein, Introduzione alla filosofia, Città Nuova, Roma, 2001, pp. 38-ss.)

4. Ragione e fede
Filosofia e teologia. «Essa [la filosofia] ha bisogno di venir integrata con apporti provenienti dalla
teologia, senza per questo divenire teologia. Se è compito della teologia stabilire i fatti della
Rivelazione come tali ed elaborare il loro significato proprio e il loro nesso, compito della filosofia è
di mettere armonia tra ciò che essa ha elaborato con i suoi propri mezzi e ciò che le viene offerto
dalla fede e dalla teologia, nel senso di una intellezione dell’essere basata sui suoi ultimi fondamenti.
Mettere armonia significa anzitutto in senso puramente negativo che per il filosofo credente la verità
rivelata è una misura cui deve subordinare il proprio giudizio; egli abbandona una presunta scoperta
non appena riconosce da sé o è avvertito da una sentenza della Chiesa che essa è inconciliabile con la
Rivelazione. Se da una parte il filosofo deve mirare alla chiara visione intellettiva come garanzia ultima
del proprio procedimento, dall’altra gli deve apparire desiderabile per amore della verità – in
considerazione dell’innegabile possibilità di errore connessa a ogni conoscenza puramente umana –
la verifica da parte di una suprema autorità soprannaturalmente illuminata e quindi immune da
errori. Certamente egli potrà sottoporvisi solo se è credente. Ma anche al non credente deve apparire
chiaro che il credente vi si deve sottoporre non solo come tale, ma anche come filosofo».
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La fede come conoscenza di Dio. «Riteniamo innanzitutto che esso sia un atto in senso proprio, non
solo qualcosa che ha carattere di atto, come il belief. Si differenzia perciò dalla convinzione e dalle
sue modificazioni per il fatto che il suo correlato non è uno stato di cose, ma un oggetto primario e
che esso stesso, di conseguenza, non è un atto fondato, ma un atto semplice.
Si distingue da tutto ciò di cui abbiamo parlato precedentemente5 per il fatto che esso non è un atto
puramente teoretico. Non soltanto si comprende qualcosa e lo si tiene per reale – in una posizione

5
 In precedenza Edith Stein aveva esposto quattro forme del credere. 1. La belief, cioè il “ritenere per vero”, cioè la
convinzione a livello conoscitivo. 2. Il sapere che ciò di cui si è convinti è un determinato stato di cose reale. 3. La opinio:
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distante, che non mi riguardi, come nel caso dell’atteggiamento teoretico – ma ciò che comprendo
penetra in me, mentre lo comprendo, mi afferra nel mio centro personale ed io mi tengo ad esso.
Questo mentre deve essere preso nel senso stretto della parola.
Qui non c’è un prima e un poi, né riguardo al tempo, né riguardo alla cosa. Ciò che abbiamo elencato
separatamente e messo in risalto attraverso l’analisi è unito in un atto indivisibile, nessun momento
precede gli altri, nessuno è possibile senza gli altri. Quanto più profondamente vengo afferrato, tanto
più mi aggrappo e tanto più comprendo. E tutto questo può essere anche capovolto.
Tutto quello che di solito è separato e che eventualmente si presenta reciprocamente, qui è fuso in
un unico atto: conoscenza, amore, azione. La conoscenza, tuttavia non è da intendersi nel senso in
cui ne abbiamo parlato fino ad ora. Nell’atto di fede l’oggetto della fede non è riconosciuto come
possedente queste o altre caratteristiche, oppure non si riconosce che è in un modo o nell’altro. Una
simile conoscenza può esser tratta solo dalla fede. […] L’oggetto della fede è Dio. Fides è la fede in
Dio».
         (E. Stein, Natura, persona, mistica. Per una ricerca cristiana della verità, Città Nuova, Roma, 1997, pp. 104-105)

5. La persona e la suo sentire
La percezione empatica dell’altrui coscienza. «Il mondo in cui vivo non è soltanto un mondo di corpi
fisici: in esso ci sono, esterni a me, soggetti che “vivono” e io so di questo vissuto. Questo “sapere”
non è nulla di indubitabile perché proprio in questo ambito siamo soggetti a così svariate illusioni da
essere inclini a disperare del tutto nella possibilità di una conoscenza – ma il fenomeno della vita
psichica (Seelenleben) altrui c’è ed è indubitabile, ed è questo che vogliamo ora osservare un po’ più
da vicino.
Con questo la direzione della ricerca non è ancora stata definita in modo inequivocabile. Potremmo
partire dal fenomeno concreto nella sua pienezza che abbiamo davanti a noi nel nostro mondo
d’esperienza, dal fenomeno di un individuo psicofisico che è chiaramente diverso da una “cosa” fisica:
non si presenta come un corpo fisico, ma come un corpo vivente sensibile che possiede un Io, un Io
che recepisce, sente, vuole, il cui corpo vivente non è solo inserito nel mio mondo fenomenico, ma è
il centro di orientamento stesso di un qualche mondo fenomenico, gli sta di fronte ed entra con me
in rapporto di scambio.
E potremmo indagare come si costituisce in modo conscio tutto ciò che ci si manifesta al di là del
puro corpo fisico dato nella percezione esterna. Potremmo inoltre osservare le singole esperienze
vissute (Erlebnisse) di questi individui e vedremmo allora che qui emergono diversi tipi di datità che
potremmo più oltre esaminare. Verrebbe alla luce che vi è un’altra datità rispetto a quella individuata
da Lipps6 nella «relazione simbolica»: non so soltanto ciò che è espresso dal volto e dai gesti, ma

credo in qualcosa della cui verità non sono sicuro (manca la belief). 4. La doxa, ovvero il credere ciecamente in qualcosa,
contro ogni ragionevole dubbio.
6
  Theodor Lipps (Wallhalben, 28 luglio 1851 – Monaco di Baviera, 17 ottobre 1914) è stato un filosofo e psicologo
tedesco.
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anche ciò che si nasconde dietro; forse vedo che qualcuno fa una faccia triste ma senza soffrire
realmente.
E ancora: sento che qualcuno fa un’osservazione indiscreta e vedo che arrossisce per questo; allora
non soltanto capisco l’osservazione e vedo nel rossore la vergogna, ma noto che egli si rende conto
che l’osservazione era indiscreta e si vergogna di averla fatta. Né questa motivazione né il giudizio
sulla sua osservazione sono espressi da una qualsiasi “manifestazione sensibile”. […]
Prendiamo un esempio per chiarire l’essenza dell’atto di empatia. Un amico viene da me e mi
racconta che ha perduto suo fratello e io mi rendo conto (geware) del suo dolore. Che cosa è questo
“rendersi conto”? Non mi interessa qui capire su che cosa si fonda il suo dolore o da che cosa io lo
deduco. Forse il suo volto è sconvolto e pallido, la sua voce è rotta e priva di suono, o forse esprime
il suo dolore anche a parole: tutto ciò può naturalmente essere indagato, ma qui non ha importanza
per me. Non per quali vie arrivo a questo “rendermi conto”, ma che cosa è in se stesso, questo è ciò
che vorrei sapere».
                                                 (E. Stein, L’empatia, Franco Angeli, Milano 1986, pp. 55-ss)

La percezione della singolarità personale. «Abbiamo già chiarito che l’essere individuale dell’uomo,
così come quello di ogni persona spirituale, si differenzia dall’essere individuale di tutte le cose
impersonali: ne consegue che la vita sgorga nell’Io e che essa è data in mano all’Io personale in un
duplice senso: per divenire cosciente di sé come vita separata da ogni altra e per formarsi
liberamente.
Abbiamo però anche visto che l’Io non deve essere pensato come un semplice Io puro; questi è solo
la porta di passaggio, attraverso la quale la vita della persona umana sale dalle profondità dell’anima
alla chiarezza della coscienza. Ciò che vi è di più intimo nell’anima, di più particolare e spirituale, non
è senza colore e senza forma, ma ha qualcosa di caratteristico: l’anima lo sente quando è “in sé”,
“raccolta in sé”. Questo qualcosa non si lascia definire con un nome universale, e non è confrontabile
con altri. Non si può scomporlo in proprietà, caratteristiche, ecc., perché è situato più profondamente
di tutto questo: è il come (poiòn) dell’essenza stessa, che da parte sua dà l’impronta ad ogni
caratteristica e ad ogni comportamento dell’uomo e costituisce la chiave della struttura del suo
carattere. […] In questo senso dobbiamo ammettere che la differenza essenziale dell’individuo non è
comprensibile.
[…] Ciascuno nella sua essenza più profonda si sente essere “singolare” e viene considerato tale anche
da coloro che lo hanno realmente “compreso”. È possibile far risalire questa differenza dall’essenza
più profonda al fatto che le anime abitano in corpi composti di materia che si differenzia per
l’estensione? Certamente no. Ma, infine, che cosa ci autorizza a considerare reale una simile
differenza essenziale, quale ragione si può addurre per poterci fidare del nostro “sentimento”?
A questo proposito dobbiamo dire che per sentimento non intendiamo soltanto un semplice stato
d’animo, che non ha un ulteriore significato. Il “sentire” di cui stiamo parlando, ha valore di
conoscenza, ci schiude qualcosa: qualcosa per il quale è via di accesso. È un atto spirituale, una
percezione spirituale. Lo chiamiamo “sentire”, perché è una comprensione “oscura”, non ha la

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chiarezza e l’evidenza dell’intuizione intellettuale concettuale, perché è un “percepire con il cuore”:
ciò che viene sentito in questo modo parla all’intimo dell’anima e vuole esservi accolto.
Noi parliamo di percezione, perché questo percepire ha qualcosa in comune con la percezione
sensibile; in essa infatti si coglie un elemento unico e reale. Ma qui si coglie una realtà spirituale, e
non accessibile ai sensi, anche se si manifesta attraverso segni che cadono sotto i sensi (l’espressione
corporea dello spirituale).
[…] Se perciò noi sentiamo la nostra essenza e quella degli altri come una essenza determinata, e il
suo “modo” (So) come “unico”, questo sentire in quanto esperienza originaria porta in sé la propria
giustificazione. Con questa affermazione sembra che si oltrepassino i limiti di una esperienza del
particolare e che si osi enunciare una proposizione universale. In effetti rientra nel senso di questa
espressione che questo “modo” non assomiglia a nessun altro. Questo fatto è fondato sulla struttura
formale della persona: sulla unicità del suo Io cosciente in quanto tale, che comprende la sua
specificazione essenziale come «sua particolare» e che attribuisce ad ogni altro Io la medesima
unicità e particolarità. Il contenuto del «modo», però, non è concepibile universalmente».
    (E. Stein, Essere finito e Essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere, Città Nuova, Roma 1988, pp. 511-ss.)

6. La scienza della croce
La croce, via all’unione con Dio. «La fede presenta Cristo allo sguardo dell’anima: povero, annientato,
crocifisso, abbandonato dallo stesso Padre celeste nell’istante cruciale del supplizio. Nella sua
povertà e nel suo abbandono, essa ritrova la propria miseria. Aridità, disgusto e afflizione formano
ora la “croce spirituale pura” che le viene offerta. Accettandola, essa constata per esperienza come
si tratti di un giogo soave e d’un peso leggero. La croce le serve da bastone che le facilita la marcia
verso la vetta.
Quando si rende conto che il Cristo ha effettuato la sua opera più eccelsa nell’avvilimento supremo,
nell’annientamento della croce, realizzando così la riconciliazione e l’unione dell’umanità a Dio, allora
si ridesta anche in lei la convinzione che “la morte di croce subita da vivi, sia nel corpo che nello
spirito” sia l’unica via che porta all’unione con Dio. Come Gesù, nell’abbandono prima della morte, si
consegnò nelle mani dell’invisibile e incomprensibile Iddio, così dovrà fare anche l’anima, gettandosi
a capofitto nel buio pesto della fede, che è l’unica via verso l’incomprensibile Iddio».
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