La lingua della politica in Italia - La prima Repubblica
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La lingua della politica in Italia La prima Repubblica
La prima Repubblica n L’espressione “prima Repubblica” (altri preferiscono parlare di “era democristiana”) è usata impropriamente per definire il periodo della storia repubblicana italiana che va dal biennio 1946-1948 (nascita della Repubblica italiana) fino ai primi anni Novanta del Novecento (Tangentopoli). n L’uso dell’espressione è improprio perché si dovrebbe parlare di prima e seconda Repubblica solo in riferimento a un nuovo assetto delle istituzioni repubblicane o a una sostanziale modifica della Costituzione. Questo in Italia non è successo ma la distinzione corrente tra le due fasi storiche è ormai entrata nell’uso comune e anche in questa sede ce ne serviremo per identificare i due periodi creati dal riassetto dei partiti italiani dopo il terremoto giudiziario (e politico) di Tangentopoli.
La prima Repubblica n Trattandosi di un periodo molto esteso è impossibile individuare delle linee generali del linguaggio politico, anche perché l’avvento della televisione (1954) ha prodotto delle innovazioni nella comunicazione politica e nello stile dei singoli esponenti dei vari partiti. n È significativa, a questo proposito, la «nota per il compagno Togliatti» inviata dai responsabili della sezione stampa e propaganda di Botteghe oscure all’allora capo del Partito comunista e datata 22 aprile 1963.
Una nota di partito v «Qualche giorno fa abbiamo tenuto una riunione con i compagni che lavorano alla RAI per sentire se avevano consigli tecnici da darci per la trasmissione televisiva di giovedì prossimo. La prima raccomandazione fattaci è che tu parli in prima persona, dando all’esposizione carattere discorsivo. In questo senso ti si chiede di rivolgerti agli ascoltatori direttamente con frequenza, di far riferimento, se possibile, a qualche esperienza precisa della tua tournée elettorale attraverso l’Italia [...]. Se farai riferimento a scritti e discorsi di altri leaders politici non sarà male per il risultato scenografico produrre qualche documento (un giornale, un opuscolo). Quanto all’intelaiatura del discorso si ritiene utile che vengano posti un numero limitato di problemi insistendo, ripetendo, semplificando».
La prima Repubblica n L’assenza di studi complessivi sul linguaggio politico della prima Repubblica e l’impossibilità di rintracciare delle tendenze generali (di là dall’etichetta convenzionale – e a suo modo parziale – di “politichese”) suggeriscono di procedere nell’analisi partendo dall’esame dello stile comunicativo di alcuni dei protagonisti di questa fase politica. n Tra le personalità più rappresentative dell’oratoria politica della prima Repubblica si possono certamente annoverare Pietro Nenni, Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Bettino Craxi e Marco Pannella. Non vanno poi trascurati partiti come i Verdi e le formazioni della sinistra extraparlamentare e infine esperienze come il movimento giovanile e il movimento femminista.
Pietro Nenni n Fu uno degli esponenti di spicco del socialismo fin dal 1921 e fu deputato in molte legislature ricoprendo anche i ruoli di ministro e di vicepresidente del Consiglio (nei tre governi presieduti da Moro). La sua carriera politica ha attraversato quindi un periodo vastissimo, che include il passaggio fondamentale della nascita della Repubblica e che arriva fino alla stagione del terrorismo e degli anni di piombo. n Nell’esaminare il linguaggio politico di Nenni si dovrà tener conto della sua formazione giornalistica che ha certamente contribuito a formare il suo stile polemico e colorito.
Pietro Nenni n La comunicazione politica di Nenni punta soprattutto sul confronto diretto e sulle tecniche di avvicinamento attanziale, tipiche del discorso polemico. n Il settore lessicale è quello in cui si concentra la carica di originalità e incisività che fa del linguaggio politico di Pietro Nenni uno dei più ricettivi alle novità del lessico politico e, al tempo stesso, uno dei più longevi: molte parole ed espressioni da lui coniate sono entrate stabilmente nel lessico e nella fraseologia italiani.
Lessico e fraseologia di Pietro Nenni n L’originalità del lessico e della fraseologia di Nenni è data da molti elementi: • accoglimento e adattamento di parole della politica sovietica e di prestiti dalle maggiori lingue europee (inglese, francese, tedesco) • suffissazione incisiva (stato chiesastico) e in generale coniazione di molti prefissati in anti- e suffissati in -ismo • presenza di neologismi a effetto • creazione di slogan e locuzioni neologiche (come vento del Nord, l’ossimoro convergenze divergenti e la fortunata espressione stanza dei bottoni) • usi metaforici e prelievi dai linguaggi settoriali
Il politichese n Negli anni Cinquanta, il linguaggio oscuro e complicato della politica di quel periodo, con il suo corredo di retorica enfatica e ampollosa, venne bollato come “politichese”. n Scrive Pier Vincenzo Mengaldo che se «il fascismo ha depotenziato la lingua per via di semplificazione e ripetizione, la classe politica del dopoguerra lo ha depotenziato e in modi simili (specie la ripetizione) e per via di ridondanza, equivocità, ambiguità, vuotaggine: il tutto anche attraverso i potenti altoparlanti dei mass media».
Il politichese: sintassi e retorica n Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, l’oscurità del politichese non deriva da una sintassi complessa basata sulla subordinazione. n La preferenza va, di norma, ai costrutti nominali e alle forme imperative, mentre la scansione del periodo è affidata a strategie di ripetizione come l’anafora. n Questo andamento sintattico per brevi frasi nominali favorisce l’inserimento di slogan, frasi a effetto e giochi di parole. n Tipica del politichese è poi la figura retorica detta della reticenza (il dire per non dire e il non dire per dire tutto). n La figura retorica più sfruttata resta comunque la metafora che richiama il settore politico-militare (schieramento nel senso di ‘raggruppamento politico’) ma anche quello geometrico (convergenze, asse) e quello medico (si pensi all’espressione emorragia di voti).
Il politichese: i forestierismi n Gli anni Cinquanta sono ricordati anche come gli anni della fase più aspra della guerra fredda e questo spiega, in parte, l’ingresso nel linguaggio politico italiano di anglicismi (o meglio angloamericanismi) integrali (leadership, summit) e di calchi (superpotenza da superpower, caccia alle streghe da witch hunt). n L’altra molla dell’adozione di lessico straniero risiede nel miracolo economico: il consumismo delle famiglie si estende anche alle mode linguistiche veicolate da cinema e televisione. E del resto la televisione comincia a sostituire le piazze: i politici si fanno conoscere dal pubblico grazie alla partecipazione alle tribune elettorali e i telespettatori premiano gli oratori più brillanti e aggressivi (come il comunista Giancarlo Pajetta e il missino Giorgio Almirante).
Il politichese: il lessico n Il lessico del politichese è caratterizzato non solo dall’alto numero di forestierismi ma anche da alcune scelte particolari: 1. tecnicismi dei linguaggi settoriali economico e finanziario ai quali viene attribuita un’accezione politica (cartello delle sinistre, flessione elettorale) 2. lessico colorito (bustarella, carrozzone) e metafore espressive (miracolo economico, legge truffa, gioco al massacro) 3. suffissati in -ismo, spesso con connotazione negativa (assistenzialismo, astensionismo, disfattismo, populismo, verticismo) 4. neologismi lessicali (dietrologia, fiancheggiatore) e semantici (cartello ‘unione’)
Aldo Moro n Leader storico della Democrazia cristiana, Aldo Moro è stato per cinque volte presidente del Consiglio. Gli è stata più volte rimproverata l’oscurità dei suoi discorsi, scritti e orali. Del resto, Moro era consapevole dei difetti del proprio stile. n Anche se vi compaiono molte delle caratteristiche elencate per il politichese, i discorsi di Moro presentano anche delle specificità.
Aldo Moro n Il discorso politico di Moro ha spesso il carattere della comunicazione “interna” al partito e rivela una propensione all’argomentazione deduttiva e alla mediazione. n La preferenza per le frasi brevi si accompagna a un tono colloquiale e al richiamo insistito ai temi del confronto e della responsabilità. n Da notare anche la ponderazione verbale che sfocia spesso in riflessioni metalinguistiche con andamento didattico (si vedano le formule quanto dico, intendo dire, e simili)
Retorica morotea n La propensione al confronto, alla mediazione e alla cautela spiega la frequenza, nei discorsi di Aldo Moro, di figure retoriche dell’attenuazione: 1. litote (non è un genio), espressa soprattutto mediante sintagmi non + sostantivo (non opposizione) e non + aggettivo (non usuale) 2. formule evanescenti (qualcosa di nuovo) 3. parafrasi ed eufemismi 4. uso dell’impersonale (credo si potrebbe accettare) v Un’altra figura retorica che compare spesso nei discorsi morotei è l’ossimoro (convergenze parallele, costruttiva neutralità). Tipica di Moro è anche una certa vocazione al paradosso, costruito anche per mezzo di metafore.
Aldo Moro: lessico e fraseologia n Le principali caratteristiche del linguaggio moroteo in campo lessicale e fraseologico sono: • l’uso insistito di alcune parole chiave (confronto, responsabilità, dovere, cammino) e • la creazione di sintagmi e locuzioni neologiche (equilibri bilanciati, accordo programmatico).
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