La discriminazione per motivi sindacali nei voli low cost era nell'aria. E la Cas-sazione lo conferma
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La discriminazione per motivi sindacali nei voli low cost era nell’aria. E la Cas- sazione lo conferma di V. A. Poso - 30 Luglio 2021 «Questo accordo rimarrà in vigore per tutto il tempo che il personale di cabina di Ryanair contatti direttamente il datore di lavoro e non effettui interruzioni di lavoro (work stoppa- ges) o qualunque altra azione di natura sindacale. Se Ryanair o le società di mediazione di lavoro saranno obbligate a riconoscere qualunque sindacato del personale di cabina o se vi sarà qualunque azione collettiva di qualsiasi tipo, in questo caso il contratto dovrà intender- si annullato e inefficace e qualunque incremento retributivo o indennitario (allowance) o cambio di turno concessi sotto la vigenza del presente contratto sarà ritirato». Questa è la clausola c.d. di estinzione (detta anche clausola di tregua sindacale o clausola del collarino) del contratto-regolamento imposta al personale di volo della base di Bergamo- Orio al Serio (Cabin Crew Agreement for Crew Operating from BGY) dalla nota Compagnia aerea irlandese low cost fatta oggetto di un ricorso ex art. 28, d. lgs. 1° settembre 2011 ( e 702-bis c.p.c.) e art. 5, c.2, d. lgs 9 luglio 2003, n. 216 (Attuazione della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) proposto dalla Filt-Cgil che aveva chiesto al Giudice del Lavoro di Bergamo la condanna della Società alla cancellazione ed all’annullamento della stessa, la dichiarazione della sua natura discrimina- toria antisindacale, la rimozione delle discriminazioni o delle prassi che ostacolavano l’esercizio dei diritti sindacali e il risarcimento del danno da quantificarsi in via equitativa, nonché la pubblicazione del provvedimento su alcuni quotidiani nazionali. Domande tutte accolte dal Tribunale di Bergamo con l’ordinanza 30 marzo 2018, cron. n. 1586 (per la quale si rinvia al commento di Francesca Coppola, Principio di non discrimina- zione e parità di trattamento: nuova vittoria del sindacato italiano contro Ryanair, in que- sta Rivista, 3 maggio 2018, ad eccezione di quella relativa alla cancellazione e all’annullamento della clausola, inammissibile per non essere il sindacato ricorrente parte del contratto (determinando il risarcimento del danno nella somma di euro 50.000,00), confer- mata dalla Corte di Appello di Brescia con la sentenza n. 328 del 24 luglio 2019 oggetto di ricorso per Cassazione rigettato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 20819 del 21 luglio 2021, che si segnala per l’importanza delle questioni, anche processuali, decise. Questo contenzioso giudiziario ha trovato vasta eco sulla stampa quotidiana. È noto che all’interno di questa Compagnia aerea non esiste un sistema di ordinarie relazioni sindacali, poiché l’azienda ha sempre rifiutato, pubblicamente e sistematicamente, l’instaurazione di relazioni sindacali in tutte le basi italiane ed europee presso le quali opera. c/o STUDIO LEGALE MAZZOTTA - Borgo Stretto, 52 - PISA - Tel. (050) 540152 - 540512 - Fax 541167
Ne è prova la clausola contrattuale sopra riportata, facente parte di un regolamento unilatera- le, imposto dalla Compagnia in sede di instaurazione dei rapporti di lavoro, sostanzialmente finalizzata a penalizzare ogni forma di rivendicazione, sia individuale che collettiva, dei di- ritti e a inibire in maniera pregnante l’affiliazione sindacale, il cui contenuto è richiamato nei contratti individuali. Va detto, per doverosa rappresentazione dei fatti, che negli ultimi anni l’atteggiamento di preconcetta ostilità antisindacale è mutato, considerato che la Compagnia aerea ha sottoscrit- to con talune sigle sindacali (Anpac, Anpav, Fit Cisl) contratti collettivi aziendali e ha rinun- ciato all’applicazione della clausola contrattuale oggetto di controversia nei confronti di tutti i dipendenti operanti nelle basi italiane, indipendentemente dalla sigla sindacale di affilia- zione. Nella discriminazione diretta definita dall’art. 2, c.1, lett. a), d.lgs. n. 216/2003 rientra anch e la discriminazione per motivi sindacali, con la possibilità di invocare la tutela ex art. 28, d.lgs. n. 150/2011, rientrando essa nelle «convinzioni personali». Secondo la Cassazione c’è un’intima connessione tra diritti fondamentali e divieto di discri- minazione, realizzata dalla direttiva 2000/78/CE, che ha rafforzato il nesso tra uguaglianza e dignità umana nella tutela contro le discriminazioni, in applicazione della dimensione uni- versalistica della tutela antidiscriminatoria della tutela affermata dal l’art. 13 TCE, ora 19 TFUE. « … l’espressione “convinzioni personali” deve essere interpretata in tale contesto, come formula di chiusura del sistema, nel senso che le opinioni del lavoratore, che possono riguardare temi diversi tra cui anche l’esercizio dei diritti sociali (associazione sindacale, sciopero), anche con una proiezione dinamica e fattuale (adesione ad una associazione sin- dacale, esercizio del diritto di sciopero), non possono legittimare una condotta discrimina- toria, che cioè non consenta al lavoratore di esercitare in situazione di parità i propri dirit- ti». E in questa chiave interpretativa la Suprema Corte fa riferimento all’evoluzione dell’art. 15, st. lav., che, a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 216/2003 ricomprende an- che le “convinzioni personali”, espressione caratterizzata dall’eterogeneità delle ipotesi di discriminazione ideologica estesa alla sfera dei rapporti sociali, riguardante anche la discri- minazione per motivi sindacali. Qui il riferimento d’obbligo è alla recente pronuncia della Corte di Cassazione, 2 gennaio 2020, n. 1 che, nel contenzioso che ha visto contrapposto lo Slai Cobas alla Fiat S.p.A. per le discriminazioni poste in essere nei confronti di un numero consistente di lavoratori sinda- calmente affiliati con un trasferimento collettivo dallo stabilimento di Pomigliano d’Arco al costituendo Polo Logistico di Nola, ha affermato che «… nell’ambito della categoria gene- rale delle convinzioni personali, caratterizzata dall’eterogeneità delle ipotesi di discrimin a- zione ideologica estesa alla sfera dei rapporti sociali, può essere ricompresa […] anche la discriminazione per motivi sindacali, con il conseguente divieto di atti o comportamenti ido- nei a realizzare una diversità di trattamento o un pregiudizio in ragione dell’affiliazione o della partecipazione del lavoratore ad attività sindacali». Ed ancora: «Il contenuto dell’espressione “convinzioni personali” richiamato dall’art. 4 d. lgs 216/03 non può perciò che essere interpretato nel contesto del sistema normativo specia- le in cui è inserito, restando del tutto irrilevante che in altri testi normativi l’espressione 2
“convinzioni personali” possa essere utilizzata come alternativa al concetto di opinioni po- litiche o sindacali». È indubbio, del resto, che l’affiliazione sindacale sia espressione di un sistema di valori, vi- sto che essa «… rappresenta la professione pragmatica di un’ideologia di natura diversa da quella religiosa, connotata da specifici motivi di appartenenza a un organismo socialmente e politicamente qualificato a rappresentare opinioni, idee, credenze suscettibili di tutela in quanto oggetto di possibili atti discriminatori vietati». Utili argomenti interpretativi dello stesso segno si rinvengono nell’ordinanza della Corte di Appello di Roma del 19 ottobre 2012, relativa al contenzioso Fiom Cgil – Fabbrica Italia Pomigliano S.p.A., che ha dichiarato la natura discriminatoria collettiva e individuale dell’esclusione dalle assunzioni presso lo stabilimento di Pomigliano d’Arco di un numero consistente di lavoratori sindacalmente affiliati proveniente dalla Fiat. Sulla libertà sindacale tutelata dall’art. 39, c.1, Cost., nella sua duplice valenza individuale e collettiva, che ha il suo necessario complemento nell’autonomia negoziale, il riferimento ne- cessario è a Corte Cost. 23 luglio 2015, n. 178 (punto n. 16 della motivazione), anche per i completi riferimenti alle fonti europee e internazionali. È indubbio che la libertà di associa- zione sindacale, connessa all’esercizio delle libertà individuali tutelate dagli artt. 17, 18 e 21, Cost., come scrive la Cassazione nella sentenza annotata «… costituisce oggetto di convin- zioni personali, nel senso che l’organizzazione sindacale è libera per definizione in un ordi- namento democratico, in quanto risultante dalla libera iniziativa dei soggetti interessati». La legittimazione attiva del sindacato in questo procedimento è affermata positivamente in base all’art. 8 della direttiva 2000/78/CE, che consente disposizioni più favorevoli, ed è con- fermata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia: sentenza (Terza Sezione) 25 aprile 2013, Associatia Accept, C-81/12 e sentenza (Seconda Sezione) 10 luglio 2008, Feryn, C – 54/07 (questa relativa alla direttiva 2000/43/CE, del Consiglio, 29 giugno 2000). Scrive, in proposito, la S.C.: «Il sindacato, quindi, in ragione delle ricadute della clausola “Estinzione del contratto”, oltre che delle condotte poste in essere da Ryanair al di fuori dei rapporti contrattuali, ha agito legittimamente iure proprio e a titolo extracontrattuale, per la tutela di interessi omogenei individuali, sia pure non riferibili nella specie a vittime im- mediatamente o direttamente identificabili della discriminazione, che sono rilevanti per la collettività, atteso l’interesse di quest’ultima nel suo insieme a che non siano posti in essere nei rapporti di lavoro, anche con riguardo all’accesso e alla risoluzione, comportamenti di- scriminatori diretti che possono pregiudicare il corretto e buon funzionamento del mercato del lavoro nel complesso, a cui concorre il leale e corretto svolgimento delle relazioni sin- dacali, e il conseguimento di obiettivi di politica sociale». In proposito merita richiamare anche Cass. 15 dicembre 2020, n. 2864, che si può leggere in Questa Rivista, 22 dicembre 2020 (insieme alle decisioni di merito), con nota di commento V.A. Poso, Orgoglio e pregiudizio. Le dichiarazioni pubbliche omofobe, gravemente discri- minatorie, e la libertà di manifestazione del pensiero. Il caso è chiuso, cui sia consentito rin- viare anche per gli ulteriori riferimenti. 3
In punto di danno, la Cassazione ribadisce che il sindacato, quando agisce iure proprio e per un illecito extracontrattuale, può chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale, così rigettando l’interpretazione aziendale secondo la quale il sindacato che agisce per discrimi- nazione collettiva non ha diritto al risarcimento del danno ex art. 28, c.5, d.lgs. n. 150/2011, applicabile solo nell’ipotesi prevista dall’art. 5, c. 1 – e non invece in quella prevista dall’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 216/2003. E tuttavia la S.C., operando la correzione ex art. 384, c.4, c.p.c., della motivazione della sen- tenza impugnata, esclude la qualificazione in termini di danno punitivo contestata dalla so- cietà che aveva ritenuto non pertinente il richiamo fatto dalla Corte territoriale al pronuncia- mento delle S.U., 5 luglio 2017, n. 16601 sull’ammissibilità nel nostro ordinamento, in con- dizioni date, della categoria dei punitive damages di origine statunitense, che hanno affer- mato, al punto 8 della motivazione, questo importante principio di diritto ex art. 363, comma 3, c.p.c. Merita, peraltro, segnalare, in proposito, che nella rassegna delle disposizioni normative che prevedono il risarcimento del danno in funzione sanzionatoria e dissuasiva la sentenza sopra citata indica anche l’art. 28, comma 5, d.lgs. n. 150/2011, così dovendosi riconoscere un mi- nimo di fondamento all’opzione interpretativa della Corte di Appello di Brescia, disattesa dalla sentenza annotata. Esaminiamo, da ultimo (ma non per importanza), i profili più rilevanti delle questioni pro- cessuali, particolarmente complesse, sollevate dalla difesa aziendale relative alla carenza di giurisdizione del giudice italiano e alla inapplicabilità della legge italiana, entrambe disattese dalla Cassazione, con dovizia di riferimenti normativi e giurisprudenziali. Va premesso che il sistema di diritto internazionale privato, essenzialmente regolato da fonti UE, pecca di un’ottica individualista, per usare la felice espressione di Antoine Lyon – Caen e Silvana Sciarra, ripresa da Giovanni Orlandini che parla di strabismo individualista, perché ignora la dimensione collettiva dei rapporti di lavoro, se si escludono alcune timide norme. Per la questione della giurisdizione il riferimento è al Regolamento (UE) 12 dicembre 2012, n. 1215 del Parlamento Europeo e del Consiglio, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Ai sensi dell’art.7.2 una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro, in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti all’autorità giuri- sdizionale del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire. Sussiste quindi la giurisdizione del giudice italiano posto che l’azione promossa dal sindacato è volta ad otte- nere l’accertamento dell’illiceità di una condotta verificatasi in Italia, avente natura extra- contrattuale e suscettibile di ottenere un ristoro, anche nella forma del risarcimento del dan- no non patrimoniale. È il petitum sostanziale, in funzione della causa petendi, che radica la competenza giurisdizionale. Il collegamento relativo all’aeromobile e alla sua nazionalità si sostanzia nel richiamo ai principi afferenti l’individuazione della legge applicabile ai rapporti di lavoro con elementi di internazionalità con riguardo alle obbligazioni contrattuali (art. 8 del Regolamento (CE) n. 593/08 del Parlamento Europeo e del Consiglio, 17 giugno 2008, sulla legge applicabile alle 4
obbligazioni contrattuali (c.d. Roma I), che ha recepito la Convenzione di Roma del 19 giu- gno 1980, per quanto qui interessa, art. 6, par.2, lett. a). Ma questa disposizione normativa non trova applicazione nel caso di specie avendo la domanda giudiziale natura extracontrat- tuale. Tralasciando altri aspetti, è importante richiamare questa affermazione del Supremo Colle- gio: «… il criterio del paese dell’esecuzione abituale del lavoro deve formare oggetto di una interpretazione ampia ed essere inteso nel senso che si riferisce al luogo in cui o a partire dal quale il lavoratore esercita effettivamente le proprie attività professionali e, in mancan- za di un tale centro di affari, al luogo in cui il medesimo svolge la maggior parte delle sue attività», che, però, sembra contraddire il pronunciato della Corte di Giustizia (Seconda Se- zione), 14 settembre 2017, Nogueira, cause riunite C-168/16 e C- 169/16, secondo la qua- le la nozione di «luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività», non è equiparabile a quella di «base di servizio», che costituisce nondimeno un indizio significati- vo per determinare il «luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività». Sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali la Cassazione ritiene corretta l’applicazione dell’art. 4.1. del Regolamento (CE) n. 864/2007, del Parlamento Europeo e del Consiglio, 11 luglio 2007 (c.d. «Roma II») che fa riferimento a «… quella del paese in cui il danno si verifica, indipendentemente dal paese nel quale è avvenuto il fatto che ha da- to origine al danno e a prescindere dal paese o dai paesi in cui si verificano le conseguenze indirette di tale fatto». È vero che il par. 3 dell’art. 4 valorizza il collegamento manifesta- mente più stretto con un paese diverso da quello individuato come sopra, ai fini dell’applicazione della legge di quest’altro paese ( ad esempio in base ad una relazione pree- sistente tra le parti); ma nel nostro caso non si dibatte della normativa che regola i singoli rapporti con il personale, bensì del comportamento tenuto dalla Compagnia aerea che opera in Italia, tenuta al rispetto della normativa italiana che ha anche rilevanza pubblicistica come quella in materia sindacale. Sulla base di queste argomentazioni la Cassazione ha rigettato l’interpretazione propugnata dalla difesa aziendale di applicazione del Regolamento (CE) n. 593/2008, sopra citato, ri- guardante la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. Merita segnalare, per completezza di riferimenti, che in parallelo con il procedimento, ora definito dalla Corte di Cassazione, i sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative avevano proposto, con riferimento alla base di Milano-Malpensa, un ricor- so ex art. 28, st. lav., avanti il Tribunale di Busto Arsizio, che, con decreto 5 febbraio 2018 (sul quale v. il commento di Giovanni Orlandini, Il Tribunale di Busto Arsizio condanna Ryanair per condotta antisindacale, in www.europeanrights.eu, newsletter n. 67 del 15 mar- zo 2018), confermato in sede di opposizione dalla sentenza dello stesso Tribunale n. 197 del 4 giugno 2019, ha dichiarato l’antisindacalità del comportamento della Compagnia aerea che manifestava una totale chiusura al dialogo con qualsiasi sindacato e perseguiva una politica di rapporto diretto tra i vertici aziendali e i singoli dipendenti per discutere delle problemati- che che li riguardavano. Il Tribunale di Busto Arsizio, pur riconoscendo l’inesistenza di un obbligo datoriale a tratta- re con tutte le organizzazioni sindacali, ha ritenuto illegittima la condotta del datore di lavoro 5
che rifiuti di confrontarsi in generale con i sindacati o ad interloquire solo con alcuni di essi (a partire da un certo momento), in palese violazione dei principi di correttezza e buona fede, che imporrebbero quanto meno di convocare i sindacati richiedenti al fine di verificare se vi siano le condizioni per aprire un tavolo di negoziazione. In questo procedimento veniva lamentato anche il rifiuto aziendale di fornire le informazioni dovute dalle imprese operanti in Italia e la mancata collaborazione nelle procedure di nomina dei rappresentanti sindacali per la sicurezza. Per quanto riguarda la clausola c.d. di estinzione del contratto, nel giudizio sommario (in se- de di opposizione sul punto veniva dichiarata la cessazione della materia del contendere non essendo più applicata detta clausola da parte dell’azienda) è stata esclusa la sua natura anti- sindacale, non essendo richiamata o riprodotta nel contratto di lavoro dei dipendenti. Questo punto della decisione è stato giustamente criticato da Giovanni Orlandini, nell’articolo sopra citato, che rimprovera al Giudice di confondere il rilievo discriminatorio della clausola così configurata (inevitabilmente viziata da nullità) dal rilievo antisindacale della stessa, a mag- gior ragione se essa è prevista in un regolamento di generale applicazione. Vincenzo Antonio Poso, avvocato in Pisa Visualizza il documento: Cass., sez. un., 21 luglio 2021, n. 20819 6
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