NATURA GIURIDICA E RITRATTABILITA' DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI

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CONVEGNO 26 SETTEMBRE 2012

 NATURA GIURIDICA E RITRATTABILITA’
     DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI
                         PROF. MAURIZIO LOGOZZO

La dichiarazione dei redditi non costituisce la fonte dell’obbligazione
tributaria, non ha quindi natura costitutiva, non è manifestazione di volontà
e pertanto non produce effetti assimilabili a quelli di una confessione
giudiziale o stragiudiziale.
L’obbligazione tributaria, ai sensi dell’art. 23 Cost., trova la sua fonte
direttamente nella legge: né la dichiarazione, né l’avviso d’accertamento
dell’Ufficio ha natura costitutiva del debito tributario.
La dichiarazione tributaria rappresenta unicamente un momento essenziale
del procedimento di accertamento del tributo, anzi l’obbligo di
presentazione della dichiarazione rappresenta il momento di partecipazione
del contribuente alla fase di accertamento. Si tratta di quello che la dottrina
definisce l’autoaccertamento della base imponibile.
Sin dalla fine degli anni cinquanta, con l’introduzione nel nostro
ordinamento della c.d. dichiarazione Vanoni, si è discusso della natura
giuridica della dichiarazione tributaria, ed in particolare della dichiarazione
dei redditi. Come vedremo, si scontravano due tesi radicalmente opposte:
l’una che attribuiva natura negoziale alla dichiarazione, l’altra che
attribuiva ad essa natura di dichiarazione di scienza.
Oggi, se vi è un punto fermo nell’ambito della procedura di accertamento,
esso va individuato proprio nella natura giuridica della dichiarazione
tributaria.
Ormai è unanime il parere della dottrina e l’orientamento della
giurisprudenza, nell’assegnare alla dichiarazione dei redditi (e alle altre
dichiarazioni tributarie) la natura di dichiarazione di scienza, o, come anche
si suol dire, di manifestazione di scienza e, direi anche, di manifestazione
di giudizio, riconducibile questo al fatto che il contribuente, prima ancora
che l’Amministrazione, è chiamato al difficile compito di interpretare le
norme tributarie al fine di applicare correttamente la disciplina delle
imposte in sede di dichiarazione.
Tutti gli obblighi previsti dalla legge tributaria, compresi quelli relativi alla
incompleta o infedele dichiarazione, sono sanzionati, talvolta anche
penalmente. Proprio il profilo sanzionatorio, collegato all’inosservanza
della legge tributaria, dimostra come destinatari delle norme tributarie
sono, accanto all’Amministrazione e al giudice, anche i contribuenti e i
terzi (ad esempio i sostituti d’imposta), coinvolti nel rapporto tributario.
Questi, per osservarla, sono tenuti a conoscere sia la legge tributaria, sia il
presupposto di fatto (nell’an e nel quantum) da cui scaturisce
l’obbligazione tributaria.
La conoscenza della legge e dell’esattezza del presupposto d’imposta
implica, di converso, la possibile ignoranza o errore, di fatto o di diritto.
Dal punto di vista della legalità tributaria, conoscenza della legge e
ignoranza o errore nell’applicazione della legge, sono due atteggiamenti
intellettivi opposti, caratterizzanti il rapporto tra soggetto e norma
giuridica.
Sotto tale aspetto, il nostro ordinamento tributario sembra reggersi su una
presunzione di conoscenza o, addirittura, sulla fictio iuris che ogni
contribuente, a prescindere dalle sue condizioni culturali od economiche e
dal suo grado di socializzazione, conosca perfettamente tutte le leggi
tributarie in vigore e il loro contenuto normativo.
La realtà, si sa, è ben diversa e lo dimostra, in maniera inequivocabile,
proprio il tema della ritrattabilità della dichiarazione dei redditi.
Difatti, dire che la dichiarazione dei redditi ha natura di dichiarazione di
scienza, significa attribuire ad essa un’efficacia non vincolante per il
contribuente. La dichiarazione consiste soltanto nella prospettazione
all’Amministrazione, nelle forme e nei termini stabiliti dalla legge, del
presupposto di imposta, ossia dei redditi, secondo la visione di fatto e
giuridica che ne ha il contribuente.
Il contenuto proprio della dichiarazione è l’individuazione e la
determinazione dei singoli redditi e delle relative imposte. Essendo i redditi
delle entità giuridiche convenzionalmente definite dalla legge, l’errore, a
danno del contribuente, è sempre possibile.
Il che conduce a dire, in prima battuta, che per l’imposta erroneamente
dichiarata e versata, il contribuente può richiedere all’Amministrazione
finanziaria la restituzione di quanto indebitamente pagato.
Ogni dichiarazione è emendabile e ritrattabile, non potendosi precludere al
contribuente di dimostrare l’inesistenza, anche parziale, dei presupposti
d’imposta erroneamente dichiarati.
A tal proposito, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la
fondamentale sentenza del 25 ottobre 2002, n. 15063 ritengono “corretta
ed accettabile la tesi che afferma, in linea di principio, emendabile e
ritrattabile ogni dichiarazione dei redditi che risulti, comunque, frutto di
un errore del dichiarante nella relativa redazione, sia tale errore testuale
o extratestuale, di fatto o di diritto, quando da essa possa derivare
l'assoggettamento del contribuente ad oneri contributivi diversi, e più
gravosi, di quelli che per legge devono restare a suo carico.”
La    sentenza    in    questione      chiude   un'evoluzione      dottrinale   e
giurisprudenziale piuttosto complessa su uno dei temi più dibattuti in
diritto tributario: la ritrattabilità della dichiarazione tributaria viziata da
errori in danno del contribuente.
E' questo il nucleo centrale dell’orientamento giurisprudenziale della
Suprema Corte, ribadito più volte con altre sentenze, che si distingue nel
panorama della giurisprudenza tributaria degli ultimi anni, sia perché
enuncia un principio generale, sia per i profili pratici che ne
conseguono.
L’orientamento giurisprudenziale in questione afferma il principio della
piena ritrattabilità della dichiarazione dei redditi (ed implicitamente di
tutte le dichiarazioni tributarie) oltre il termine di scadenza della sua
presentazione e allorquando siano prospettati da parte del contribuente
errori di fatto o di diritto dai quali, sulla base della corretta applicazione
della legge, consegua un minore tributo rispetto a quello dichiarato.
La questione della ritrattabilità della dichiarazione era stata rimessa alle
Sezioni Unite per la diversità di orientamenti espressi precedentemente
dalle Sezioni semplici.
L'orientamento, per così dire, "restrittivo" (maggioritario), facendo leva
sulla necessaria osservanza dei termini prescritti dalla legge per la
presentazione delle dichiarazioni tributarie, escludeva la correzione delle
dichiarazioni oltre la scadenza di detti termini, a meno che non si
trattasse di errori materiali o di calcolo risultanti ictu oculi dal testo della
medesima dichiarazione.
Il fondamento di tale filone giurisprudenziale rispondeva all'esigenza di
dare "stabilità" ad un atto giuridico assoggettato a precisi vincoli di
forma e di tempo, che importano una "sostanziale irretrattabilità".
L'orientamento, per così dire, "liberale" (minoritario), viceversa,
affermava la rettificabilità da parte del contribuente degli errori, anche
non materiali e di calcolo, contenuti nella dichiarazione, sul rilievo che
la dichiarazione stessa ha natura di manifestazione di scienza (non
costitutiva, quindi, del debito d'imposta) e, in quanto tale, si inserisce
nell'ambito del procedimento di accertamento dei tributi.
Le Sezioni Unite hanno risolto il citato contrasto giurisprudenziale
accogliendo la tesi della piena ritrattabilità della dichiarazione tributaria
sulla base di una serie di argomentazioni tra loro correlate:
a) la disposizione che trovava applicazione nella vicenda processuale
(art. 9 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600) non poneva alcun limite
temporale alla rettifica di errori commessi dal contribuente a suo sfavore
in sede di redazione della dichiarazione fiscale (se non quello
dell’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria);
b) la dichiarazione dei redditi non è "atto negoziale e dispositivo", ma
una "mera esternazione di scienza e di giudizio". Essa "non costituisce il
titolo dell'obbligazione tributaria" (che, a contrariis , trova fondamento
nella legge), ma atto di accertamento di tale obbligazione. Ne consegue
che la dichiarazione può essere ritrattata o modificata, in tutto o in parte,
mediante l'acquisizione "di nuovi elementi di conoscenza e di
valutazione" prospettati dal contribuente a suo favore;
c) la rettificabilità della dichiarazione a favore del contribuente è
conforme ai principi costituzionali di capacità contributiva (art. 53 Cost.)
e di oggettiva correttezza dell'attività amministrativa (art. 97 Cost.).
Si tratta di due profili, questi ultimi, fondamentali.
Da una parte, non può tollerarsi che l'Erario incameri un’imposta
indebita per mancanza, totale o parziale, del presupposto: l'obbligazione
tributaria è un'obbligazione legale, sicché il suo adempimento è correlato
all'esistenza del fatto tassabile previsto dalla legge.
Dall'altra, la correttezza dell'azione amministrativa è oggi prevista
espressamente dallo Statuto dei diritti del contribuente (legge n.
212/2000), che, all'art. 10, primo comma, stabilisce che il rapporto
tributario è improntato al principio della collaborazione e buona fede. La
funzione impositiva viene, quindi, configurata come un rapporto di
collaborazione tra Amministrazione e contribuente, il cui principio
informatore, come in tutti i rapporti di collaborazione, è proprio quello
della buona fede: entrambi i soggetti sono tenuti ad un comportamento
che risponda ai canoni della correttezza e lealtà.
Peraltro, i due profili in questione sono stati evidenziati anche dalla più
recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha riconosciuto il
diritto alla ritrattabilità della dichiarazione tributaria perché i principi di
capacità contributiva e del buon andamento dell'azione amministrativa
danno fondamento ad un sistema legale che consente al contribuente di
dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo, l'inesistenza di fatti
giustificativi del prelievo.
Così, da ultimo, la sentenza della Sezione Tributaria della Corte
di Cassazione del 4 aprile 2012, n. 5399, ribadisce i seguenti
principi:
- la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo,
   ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, “modificabile in
   ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di
   valutazione sui dati in essa esposti”. In altri termini, la funzione della
   dichiarazione consiste nell’attestare una serie di dati di fatto qualificati
   giuridicamente, per cui essa non rappresenta l’esercizio di una
   discrezionalità rimessa al contribuente (il che esclude la funzione
   costitutiva), ma il fine della medesima dichiarazione è quello di esporre
   con fedeltà la verità dei fatti impositivi, sia pure a seguito
   dell’interpretazione giuridica della legge. Di qui la natura meramente
   dichiarativa assegnata alla dichiarazione tributaria.
- la stessa Corte di Cassazione sottolinea come un sistema legislativo che
   non consentisse la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo ad
   un prelievo fiscale indebito e, come si è detto, non compatibile con i
   principi costituzionali di capacità contributiva e di oggettiva correttezza
   dell’azione amministrativa.
Peraltro, dalla motivazione della sentenza delle Sezioni Unite del 2002
si desume anche il principio secondo il quale, quando una norma prevede
un termine (quale quello dell’esperimento dell’azione accertatrice) per la
ritrattabilità della dichiarazione viziata da errore mediante presentazione
della dichiarazione interpretativa, senza specificare nei confronti di quale
soggetto si verifichi il pregiudizio, detto termine potrà farsi valere anche
per la rettifica della dichiarazione erronea a danno del contribuente.
Il problema più rilevante da affrontare è quello relativo ai termini
decadenziali e agli istituti a cui fare ricorso per ritrattare la dichiarazione
erronea a favore del contribuente.
Qui viene in considerazione l'istituto della dichiarazione integrativa in
diminuzione, previsto dal comma 8 bis dell’art. 2 del D.P.R. n. 322/1998.
È noto che sulla base di tale disposizione la dichiarazione dei redditi (e
la dichiarazione IRAP e quella dei sostituti d'imposta) può essere
integrata dal contribuente per correggere errori od omissioni a proprio
danno. La disposizione distingue tre ipotesi: a) indicazione di un maggior
reddito; b) indicazione di una maggiore imposta; c) indicazione di un minor
credito d’imposta. In base a tale disposizione, devono ritenersi derogate le
norme che pongono comminatorie di decadenza: ad esempio, la norma
secondo cui i crediti d’imposta devono essere indicati, a pena di decadenza,
nella dichiarazione. Ciò significa che, ferma restando la modalità con cui il
credito può essere fatto valere, il termine finale non è quello entro il quale
deve essere presentata la dichiarazione del periodo di competenza, ma
quello della dichiarazione correttiva.
Dal tenore letterale di tale disposizione, appare evidente come il profilo
più delicato sia quello della ristrettezza dei tempi per la presentazione
della dichiarazione in diminuzione: a i s e n s i d e l c i t . c o m m a 8
b i s , questa può essere presentata "non oltre il termine prescritto per la
presentazione    della dichiarazione      relativa al periodo d'imposta
successivo".
In realtà, sul punto, occorre fare chiarezza; difatti, se si opera un raffronto
tra i commi 8 ed 8 bis dell’art. 2, D.P.R. 322/1998, appare evidente la
potenziale disparità di trattamento che le cit. disposizioni tratteggiano,
considerato che il comma 8 consente la presentazione della dichiarazione
integrativa entro i termini previsti per l’accertamento da parte
dell’Amministrazione finanziaria.
La ristrettezza dei termini per la presentazione della dichiarazione in
diminuzione, può essere spiegata solo con finalità pratiche: quella di
consentire al contribuente di utilizzare in compensazione il credito
d'imposta scaturente da detta dichiarazione con il debito d'imposta della
dichiarazione    del    periodo    successivo    e   quella    di   consentire
all'Amministrazione un congruo lasso di tempo per effettuare il
controllo della nuova dichiarazione.
Questa nostra tesi, già esposta a commento della sentenza delle S.U. n.
15063/2002, è stata da ultimo accolta dalla Sezione Tributaria della
Cassazione con la cit. sentenza 5399/2012, la quale ha precisato che il
principio generale della ritrattabilità della dichiarazione “non è sovvertito
dalla previsione del comma 8 bis dell’art.2, D.P.R. 322/1998, posto che
nell’ambito     della   relativa   formulazione,     il   limite    temporale
dell’emendabilità della dichiarazione integrativa “non oltre il termine
prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo
d’imposta successivo” appare doversi ritenere (anche per il dovuto
ossequio ai principi di cui agli articoli 53 e 97 Cost.) necessariam ente
c ircos critto ai fin i d ell’ utilizzab ilità “i n com pensazio ne ai
s ensi d ell’art . 17 del D.Lgs . 241/1997 ”.
La compensazione del credito di imposta emergente dalla dichiarazione
integrativa, dà corpo alla finalità e alla ratio della dichiarazione
comunemente detta integrativa in diminuzione. Nessun altro effetto può
ricondursi a tale tipo di dichiarazione.
Sul punto, si evidenzia come possa formare oggetto di integrazione
soltanto una dichiarazione valida e tempestiva. “Valida” è la
dichiarazione fiscale redatta su modelli conformi a quelli approvati
annualmente con apposito provvedimento amministrativo, mentre
“tempestiva” è la dichiarazione presentata entro i termini previsti dalla
legge, avuto riguardo alle diverse modalità di presentazione.
Riteniamo che possa essere integrata in diminuzione anche la
dichiarazione c.d. tardiva, cioè presentata entro 90 giorni dalla scadenza
del termine ordinario.
Deve sottolinearsi la particolare relazione tra la dichiarazione originaria
e quella integrativa, una sorta di “fusione” della seconda con la prima,
che conduce ad affermare l’unità giuridica della dichiarazione; più
precisamente, la dichiarazione integrativa sostituisce la dichiarazione
originaria   e    l’eventuale    azione    di   accertamento    da   parte
dell’Amministrazione finanziaria dovrà assumere come base della
rettifica gli elementi cumulativamente contenuti nelle seconda
dichiarazione.
Dato il principio per cui la dichiarazione ha natura di dichiarazione di
scienza, ossia un atto con il quale il contribuente porta a conoscenza
l’Amministrazione l’esistenza di fatti a cui la legge ricollega la nascita
dell’obbligazione tributaria, allora la stessa Amministrazione finanziaria
deve essere legittimata a verificare quella dichiarazione, cioè l’ultima,
che rispecchia la reale capacità contributiva del contribuente;
l’Amministrazione deve verificare che la dichiarazione risponda ai
principi di legalità e capacità contributiva.
I termini per l’accertamento sembrano decorrere dalla data di
presentazione della dichiarazione integrativa, atteso che l’eliminazione
gli errori e delle omissioni mediante la successiva dichiarazione,
ristabilisce e regolarizza la posizione del contribuente nei confronti
dell’Erario.
Particolare attenzione occorre rivolgere al tema della dichiarazione dei
redditi che espone una perdita.
Qualora il contribuente, successivamente alla presentazione della
suddetta dichiarazione in perdita, seguendo un momento cognitivo
approfondito, dovesse verificare che la predetta perdita è di ammontare
superiore rispetto a quella esposta in dichiarazione, non vi è dubbio
alcuno, sulla scorta di quanto sopra esposto, che sia possibile la
presentazione della dichiarazione integrativa in diminuzione nel pieno
rispetto della ratio di cui all’art. 2, comma 8 bis, principio quest’ultimo
introdotto proprio per correggere errori od omissioni a favore del
contribuente.
Fermo restando il tenore letterale dell’art. 2, comma 8 bis, del D.P.R. n.
322/1998,      ossia   “l’indicazione   di   un   maggior   reddito   nella
dichiarazione originaria”, la logica viene in ausilio dovendosi ritenere
che la dichiarazione dei redditi deve essere costituzionalmente orientata
al principio di capacità contributiva; essa deve rappresentare la reale
forza economica riconducibile al contribuente, sicché la dichiarazione
integrativa può essere presentata per rettificare una perdita dichiarata in
misura inferiore a quella effettiva. In linea generale ciò comporta la
possibilità di riprendere l’ammontare di detta maggiore perdita nei
periodi d’imposta successivi e nei limiti consentiti dalla legge.
Ai sensi del comma 8 del cit. art. 2, il contribuente ha, comunque, la
facoltà di integrare la dichiarazione originariamente presentata. Dispone
detta norma che “salva l’applicazione di sanzioni” (di cui all’art. 8 del
D.Lgs. 471/1997) le dichiarazioni dei redditi possono essere integrate
per correggere errori od omissioni mediante successiva dichiarazione da
presentare non oltre i termini stabiliti per la notifica dell’avviso di
accertamento.
Occorre sottolineare che la presentazione di una dichiarazione
integrativa per rettificare la perdita può essere presentata solo nel caso
in cui l’Amministrazione       non abbia proceduto alla rettifica della
dichiarazione originaria, in caso contrario, è proprio in sede contenziosa
che il contribuente potrebbe far valere la maggior perdita in base a
quella tesi che ritiene che la giurisdizione delle Commissioni Tributarie
si estenda all’intero rapporto tributario.
In ultima analisi, risulta chiaro che il contribuente può presentare una
dichiarazione integrativa volta ad aumentare una perdita già dichiarata
entro i termini previsti per l’accertamento di cui all’art. 43 del D.P.R. n.
600/1973, qualora siano già spirati i termini per la presentazione della
dichiarazione integrativa in diminuzione di cui all’art. 2, comma 8 bis
citato.
In altri termini, si vuol dire che la dichiarazione integrativa prevista dal
comma 8 del cit. art. 2, può essere presentata sia al fine di aumentare il
reddito originariamente dichiarato (nell’ottica, ad esempio, di sfuggire
alle gravi sanzioni penali), sia al fine di correggere errori od omissioni a
favore del contribuente non altrimenti emendabile con l’istanza di
rimborso.
Pertanto    alla     luce    dei   principi    espressi    dalla     consolidata
giurisprudenza della Corte di Cassazione e dall’unanime dottrina
non può affermarsi che il termine di un anno previsto per la presentazione
della dichiarazione integrativa in diminuzione sia il termine ultimo per la
ritrattazione      della    dichiarazione:    sarebbe,    infatti,    paradossale
un’interpretazione del comma 8 bis dell'art. 2 del D.P.R. n. 322/1998,
che "segnasse un arretramento rispetto alla tutela già ammessa dalla
Cassazione circa la generale emendabilità della dichiarazione tributaria
non conforme a verità”. Superato l'anno dal momento della sua
presentazione, riteniamo che la dichiarazione erronea possa essere
ritrattata con gli strumenti «classici», ossia la proposizione dell'istanza
di rimborso entro i termini stabiliti dalla legge (per le imposte sui redditi,
art.38 del D.P.R. n.600/1973) ovvero il ricorso contro un atto
d'imposizione (avviso di accertamento, iscrizione a ruolo, avviso di
liquidazione, etc.) per sottoporre al giudice la cognizione dell'intero
rapporto tributario, compresa la parte oggetto di dichiarazione erronea.
L’amministrazione, di tanto in tanto con qualche nota, afferma che, scaduto
il termine dell’anno successivo per la presentazione della dichiarazione
integrativa in diminuzione, non sarebbe più ammissibile l’istanza di
rimborso: il rapporto tributario diventerebbe intangibile.
Come dimostra la recente sentenza n. 5399/2012 della Cassazione, una tale
conclusione non trova alcun fondamento nella legge in quanto sarebbe
contraria ai principi di capacità contributiva e di correttezza dell’azione
amministrativa.
Gli strumenti a disposizione del contribuente per correggere la
dichiarazione erronea sono rappresentati quindi: dalla dichiarazione
integrativa in diminuzione, dall’istanza di rimborso, dall’eventuale
presentazione di una dichiarazione integrativa semplice (in casi particolari,
quale quello del recupero di maggiori perdite pregresse), nonché in sede di
impugnazione di un atto di imposizione.
Proprio quest’ultimo profilo è evidenziato dalla sentenza n. 5399/2012
della Cassazione ove si afferma testualmente che la dichiarazione “è
emendabile e ritrattabile anche in sede contenziosa, quando dalla
medesima possa derivare l’assoggettamento del contribuente ad oneri
contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge,
devono restare a suo carico”.
C’è da augurarsi che a tali conclusioni si conformi definitivamente
l’Amministrazione finanziaria, altrimenti nascerà un nuovo filone
contenzioso il cui esito, a mio avviso, sarà sicuramente favorevole al
contribuente.
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