Due fiori del deserto - (tra Leopardi e Manzoni) Gino Tellini - Formazione ...

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Due fiori del deserto - (tra Leopardi e Manzoni) Gino Tellini - Formazione ...
Due fiori del deserto
    (tra Leopardi e Manzoni)

         Gino Tellini
Due fiori del deserto - (tra Leopardi e Manzoni) Gino Tellini - Formazione ...
Leopardi (Recanati, Mc, 1798-Napoli, 1837)
                               S. Ferrazzi, Ritratto di Leopardi, 1897,
                               Recanati, Casa Leopardi

Manzoni (Milano, 1785-1873)
 G. Molteni-M. D’Azeglio,
 Ritratto di Manzoni, 1831,
Milano, Bibl. Naz. Braidense
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Sommario

● due autori antitetici, eppure non
 in conflitto (4-19)
● La ginestra (20-34)
● Il «tacito fior» di «inospite piagge»
 (35-48)
● riflessioni finali (49-53)
Due fiori del deserto - (tra Leopardi e Manzoni) Gino Tellini - Formazione ...
Due
   autori antitetici,
eppure non in conflitto
Due fiori del deserto - (tra Leopardi e Manzoni) Gino Tellini - Formazione ...
● Quando nasce Leopardi
(29.6.1798), Manzoni
(7.3.1785) ha 13 anni.
                                       Recanati
● Autori pressoché coevi.

● Autori, per tantissimi
motivi, antitetici
● eppure non in conflitto
sugli aspetti fondamentali
della professione di poeta.

                              Milano
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Sui rapporti tra Manzoni e
Leopardi, desidero iniziare
con un passo (per me
formidabile) di Gadda:

«[Manzoni] Volle che il suo
dire fosse quello che
veramente ognun dice, e non
la roca trombazza d’un
idioma impossibile, che
nessuno parla (sarebbe il
male minore), che nessuno
pensa, né rivolgendosi a sé,
                                    Carlo Emilio Gadda
né alla sua ragazza, né a Dio».   (che sul letto di morte,
                                     nel maggio 1973, si
                                    faceva leggere dagli
                    [continua]       amici capitoli dei
                                      Promessi sposi)
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continua cit. da Gadda:

«[…] Non la vanità d’una disputa
accademica e non il gusto
ribelle del letterato giovincello
reduce da Parigi con le primizie
dell’ultima scapigliatura, può
aver imposto a costui di
romperla una buona volta con
certi toni della vacua
magniloquenza. Un conto è
disseppellire Cicerone e scrivere
la canzone alla Vergine, gli
esametri dell’Affrica o trattati
di geografia»
                                       La cognizione del dolore, 1963,
                                          [«Letteratura», 1938-1941]
                          [continua]
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continua cit. da Gadda:
                                         Poggio
                                         Bracciolini
«un conto è contraffare il               (1380-1459)
latino del De Officiis perché
ci si chiama Poggio
Bracciolini, o il latino dei
Tristia perché ci si chiama
Giovanni Pontano; e un
altro, un ben altro e
miserabile conto, è il
rovesciare durante dei secoli
sopra un popolo incapace di
originalità delle valanghe di
endecasillabi beoti»
                                Giovanni Pontano
                                (1429-1503)
                  [continua]
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continua cit. da Gadda:

«Egli volle parlare da
uomo agli uomini, come, a
lor modo, parlarono tutti
quelli che ebbero qualche
cosa di non cretino da
raccontare».

                                     Gadda
                            di Tullio Pericoli (1988)
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continua cit. da Gadda:

«Ebbe compagno
nell’impresa della
spazzatura un altro conte suo
contemporaneo,
disgraziatissimo e macilento
della persona. La parola di
quest’ultimo ha una nitidezza
lunare: ‘Dolce e chiara è la
notte’». (C.E. Gadda,
Apologia manzoniana, in
«Solaria», II, 1, gennaio 1927,
pp. 39-48).
● C’è riconoscimento del
valore del nostro
classicismo (Petrarca,
Poggio Bracciolini,
Giovanni Pontano), MA
anche coscienza netta dei
limiti fortissimi della
nostra tradizione
classicistica, che è
soprattutto tradizione di
letteratura in versi:
(«valanghe di
                            Francesco Petrarca
endecasillabi beoti!).          (1304-1374)
● La «roca trombazza» e la
«vacua magniloquenza», di cui
parla Gadda, rinviano al «cancro
della retorica» di cui parla
Graziadio Isaia Ascoli, nel 1873,
nel Proemio all’«Archivio
glottologico»:

«[Manzoni]       è    riuscito,   con
l’infinita potenza di una mano
che non pare aver nervi, a estirpar
dalle lettere italiane, o dal cervello
dell’Italia, l’antichissimo cancro
della retorica» (G.I. Ascoli,            Il glottologo goriziano
Proemio, in «Archivio glottologico        Graziadio Isaia Ascoli
italiano», 1873).                                (1829-1907)
● Magari fosse vero, quello
che scrive il grande Ascoli!
Non è vero… il cervello
dell’Italia è un affare serio…
estirpare dalle lettere…
dopo Manzoni ci sono gli
«Amici pedanti»
e il classicismo
carducciano e poi il
classicismo dannunziano.
E via via…
si arriva a oggi…
                                 Giosue Carducci
                                    (1835-1907)
● Per Gadda, Leopardi risplende
nella «parola» che ha una «nitidezza
lunare»
Gadda s’inchina a una sorta di
miracolo…
Leopardi resta dentro la linea del
classicismo, non la spezza, ma
segna una radicale innovazione…

● Manzoni → raggiunge la
grandezza sull’onda della
modernità (si fa paladino del
rinnovamento e guida della nuova
corrente, si schiera con
l’avanguardia: il Romanticismo,
sulla linea Parigi-Milano…
● Leopardi → raggiunge
la grandezza andando
controcorrente, in
senso contrario a
Manzoni, contro il
nuovo, contro
l’avanguardia, e
difendendo il
passato, l’antico, a
Recanati, all’interno         Canzoni,
di una biblioteca…       Bologna, Nobili, 1824
● Leopardi rinnova la
tradizione dall’interno
in modo stupefacente,
tanto da sembrare di
avere sposato le ragioni
del nuovo, del realismo
romantico, ma non è
così, resta classicista,
antiromantico…
(conquista magistralmente
la modernità attraverso la
tradizione, come farà            Versi, Bologna,
                             Stamperia delle Muse, 1826
Saba…)
I nostri due autori sono cronologicamente coevi
(Manzoni è più grande di 13 anni):
due biografie differenti (il piccolo paese e la grande
città), come differenti sono i temperamenti e le
scelte culturali,
differenti, antitetici: una biografia socializzata con
un ambiente culturale all’avanguardia,
una biografia chiusa dentro una biblioteca di
famiglia, una straordinaria biblioteca.

Eppure …
... Eppure

● Profonda diversità, nondimeno medesima
tensione di autenticità dinanzi alle questioni
capitali della vita (virtù, valore, giustizia, affetti…) e
dinanzi alla serietà della poesia (non evasiva, non
servile nei confronti dei «potenti vivi») e dinanzi alla
responsabilità morale che spetta alla parola del
poeta
● responsabilità morale che spetta alla parola del
poeta:

«Tutto ciò che ha relazione con l’arti della parola, e
coi diversi modi d’influire sulle idee e sugli affetti
degli uomini, è legato di sua natura con oggetti
gravissimi» (Prefazione, Il Conte di Carmagnola);

«Non basta che lo scrittore sia padrone del proprio
stile. Bisogna che il suo stile sia padrone delle cose»
(Zib., 2611-2613, 27 agosto 1822).
La ginestra
La ginestra

La ginestra o il fiore del deserto [1836, a stampa 1845, vv. 32-41; 52-53]

…………. Or tutto intorno
una ruina involve,
dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
i danni altrui commiserando, al cielo
di dolcissimo odor mandi un profumo
che il deserto consola. A queste piagge
venga colui che d’esaltar con lode
il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
è il gener nostro in cura
all’amante natura. […]
Qui mira e qui ti specchia,
secol superbo e sciocco […].
La ginestra, forse il
capolavoro leopardiano, è
composta nella primavera
1836 a villa Ferrigni
(proprietà di Giuseppe
Ferrigni, avvocato            Villa delle Ginestre,
napoletano, marito di               ieri e oggi

Paolina Ranieri, sorella di
Antonio) alle pendici del
Vesuvio, fra Torre del
Greco e Torre Annunziata.
La ginestra esce a
stampa per la prima
volta nella postuma
edizione fiorentina
delle Opere (Firenze,
Le Monnier), apparsa
il 10 marzo 1845, a
cura di Antonio
Ranieri.

                        Opere, a cura di A. Ranieri,
                                  Firenze,
                            Le Monnier, 1845
Sintesi su La ginestra

Ospite nella villa Ferrigni, sulle pendici del
Vesuvio, il poeta ha dinanzi a sé il vulcano e, tutto
intorno, piagge deserte, campi desolati e silenziosi,
punteggiati soltanto dal colore giallo della ginestra,
il fiore del deserto.
Il paesaggio intorno, nella sua solitaria desolazione
interrotta dai cespugli del fiore, ben rappresenta la
sorte del genere umano, destinato di necessità alla
sofferenza e alla morte: con la stessa feroce e
impassibile terribilità del Vesuvio, la natura può
cancellare l'esistenza umana, in un attimo.
Sintesi su La ginestra

Gli esseri umani, invece di accettare la verità, per
quanto dolorosa, della loro debolezza e fragilità,
continuano a illudersi con i falsi miti dell’orgoglio
progressista, della perfezione e della sicura felicità,
e non rinunciano a odiarsi e a danneggiarsi
reciprocamente,
anziché unire le loro forze per difendersi dagli
attacchi della natura e per essere solidali l'uno con
l'altro.
Sintesi su La ginestra

La ginestra, umile fiore destinato a morire sotto la
violenza della colata lavica, consola con il suo
profumo il deserto: e non si ribella, ma accetta con
dignità la propria sorte, senza la viltà di chi
s’inginocchia inutilmente dinanzi all’oppressore, e
senza l’orgoglio folle di chi si crede il dominatore
del mondo, senza la consapevolezza dei propri
limiti.
● La ginestra chiude il
libro inesauribile dei Canti
con la polifonia di una
sintesi magistrale.
→ la condizione dell'umana
esistenza, che Il tramonto
della luna ripropone da una
prospettiva terrena, in
rapporto alla fugacità della
giovinezza e delle speranze
                                   Vincent Van Gogh,
→ è nella Ginestra              Notte stellata sul Rodano
considerata da un punto di                (1888),
vista cosmico, in rapporto al    Parigi, Musée d’Orsay
processo meccanicistico
dell'universo.
● La ginestra attesta la
coraggiosa accettazione
del dolore e la coscienza
di una «guerra comune»
(v. 135) a difesa dalle
«angosce» (v. 134) che la
natura ci riserva:

→ questo il presupposto
di una morale laica
fondata su «l'onesto e
retto / conversar
cittadino, / e giustizia e
                             Leopardi nei «Diamanti»
pietade» (vv. 151-52);        della Salerno Editrice,
                                    Roma, 1994
→ questo anche il
presupposto dell'invito
solidaristico a una
collettiva
confederazione contro
l‘«empia natura» (v. 148)
…
… di qui l'appello al «vero
amor» (v. 132) di una
fratellanza sovranazionale,
estrema e generosa
illusione di cui i coevi 111
Pensieri mostrano il fondo
amaramente disincantato.
Germogliata da questa
coscienza della negatività,
in un paesaggio brullo e
infuocato dove si tocca
con mano il male che
affatica il mondo,
fiorisce lo splendido
«fiore del deserto»,
l‘«odorata»" (v. 6),
«gentile» (v. 34), «lenta»
(v. 297), «innocente» (v.
306), «saggia» (v. 314) e
fragile (cfr. v. 315) ginestra.
→ espressione d’una nobilissima e fiera dignità dell'esistere,
e del comunicare grazia, bellezza, profumo,
nella nuda coscienza del nulla.
Quale il significato della ginestra?

Anche se il fiore del deserto ingentilisce con il suo
profumo l’incenerita campagna vesuviana, non
bisogna attribuirgli una esclusiva funzione
consolatoria.

La flessibile pianta non è simbolo di salvezza né di
pacificazione, ma esprime la dignità, la nobiltà
d'animo, il coraggio di chi sa accettare la propria
inevitabile condizione dinanzi alla natura.
Quale il significato della ginestra?

Il profumo della ginestra è segno di solidarietà e
comprensione per i propri simili, e non allude a
una possibile evasione, ma a un ideale etico.

Il fiore del deserto si apparenta alla poesia di
Leopardi, anch’essa nata dal dolore e anch’essa
capace di comunicare bellezza.
Il «tacito fior»
di «inospite piagge»
Ognissanti
Dopo Il Natale del 1833 (marzo
1835), quando Manzoni tenta di
nuovo la poesia con Ognissanti
(1847),
→ dopo la perdita della madre
nel luglio 1841
→ e del caro Fauriel nel luglio
1844,
→ riaffiora la sua abituale
misura oggettiva di canto, che
tiene a freno l’impeto delle            Princeps di
passioni private.                 Dei delitti e delle pene
                                      [Livorno] 1764
Un inno dal titolo Ognissanti
era previsto fino dal tempo
della prima lirica sacra
→ ma soltanto nell’ottobre
1847 il primitivo progetto è
ripreso con la stesura di
quattordici strofe
tetrastiche (56 versi) di
novenari (verso inusuale in
Manzoni), dopo di che il
frammento, già a dicembre, è       Princeps
                                  Inni sacri,
definitivamente abbandonato.    Milano, Agnelli,
                                      1815
Il tema dell’inno è chiarito, nel febbraio 1860, in una
lettera a Louise Colet, la scrittrice amica e
corrispondente di Flaubert:
a lei il poeta dichiara di volere:
→ celebrare le silenziose virtù ascetiche dei santi
solitari, degli anacoreti,
→ in risposta a chi chiede conto della loro funzione
per l’utile pubblico e sociale (quell’«utile» contestato
da Leopardi nel Preambolo a «Lo Spettatore
Fiorentino» e nella Palinodia)
Il Manzoni più che
sessantenne (1847: 62
anni) rinnova il proprio
registro lirico e passa,
dall’orchestrazione
sinfonica verdiana delle
sue prove maggiori,
→ a un dettato più franto e
disarmonico, a una
musica più lenta e più
introversa.                      Monumento in bronzo a
                                  Manzoni (1891), Lecco,
                              opera di Francesco Confalonieri
                                  e Giuseppe Fumagalli
La lirica evoca un paesaggio rupestre e sconvolto, tra
«inospite piagge» (v. 18) e «aure selvagge» (v. 19) dove
striscia la serpe (l’«angue nemico», v. 49).
In questa landa desolata brilla «il tacito fior»

(al singolare, come il «fior» del Nome di Maria, v. 34;
della Pentecoste, v. 104, e dei PS, XXXIV,
nell’episodio della madre di Cecilia: «il fiore già
rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino
ancora in boccia, al passar della falce che pareggia tutte
l’erbe del prato»).
→ un prodigio di luce
che, simile all’ascesi
degli anacoreti,
dispiega soltanto
davanti a Dio «la
pompa del pinto suo
velo» (v. 22), quindi
«spande ai deserti del
cielo | gli olezzi del
calice, e muor» (vv. 23-   Fiori nella Primavera di Botticelli,
24):                          Firenze, Galleria degli Uffizi
Ognissanti [1847, vv. 5-24]
 Il secol vi sdegna, e superbo
 domanda qual merto agli altari
 v’addusse; che giovin gli avari
 tesor di solinghe virtù.

 A Lui che nell’erba del campo
 la spiga vitale nascose,
 il fil di tue vesti compose,
 de’ farmachi il succo temprò,

 che il pino inflessibile agli austri,
 che docile il salcio alla mano,
                                         Alessandro Manzoni
 che il larice ai verni, e l’ontano
                                              (1785-1873)
 durevole all’acque creò;
a Quello domanda, o sdegnoso,
perché sull’inospite piagge,
al tremito d’aure selvagge,
fa sorgere il tacito fior,

che spiega davanti a Lui solo
la pompa del pinto suo velo,
che spande ai deserti del cielo
gli olezzi del calice, e muor.       Busto di Manzoni,
                                     terracotta dipinta
                                            Lecco,
                                  Galleria Comunale d’Arte
Nella struttura dell’inno
s’immettono vibrazioni
aspre, timbri acuti e
dissonanti che il luminoso
profumo del fiore mette in
risalto per antitesi.

Sono palesi le suggestioni
della Ginestra
leopardiana, uscita a
stampa due anni prima,       Opere, a cura di A. Ranieri,
nelle postume Opere, Le                Firenze,
                                 Le Monnier, 1845
Monnier, 1845.
Anche in Manzoni (come nella
Ginestra) ritornano:

→ l’attacco contro l’orgoglio del
«secol [...] superbo» (v. 5)

→ le «inospite piagge» (v. 18) ove
s’annida l’«angue nemico» (v. 49)

→ la polemica antiutilitaristica

→ l’immagine dell’odoroso fiore
del deserto.                         L’anziano Manzoni
Si tratta certo d’orizzonti
        antitetici:

→ ma l’uno e l’altro fiore reclamano
nondimeno una lettura
anticonsolatoria
→ entrambi certificano la sorte
drammatica del destino terreno
→ entrambi attestano il rifiuto di
quella facile e illusoria pacificazione
che sarà emblematizzata da
Montale in un «croco» fluorescente
«perduto in mezzo a un polveroso
                                          Eugenio Montale
prato» (Ossi di seppia, «Non                 (1896-1981)
chiederci la parola», vv. 3-4):
«Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato» (vv. 1-4).

La prospettiva dell’eterno non distoglie il cattolico
Manzoni dalla componente drammatica d’un
pessimismo storico che è senza requie nel
denunciare le «magnifiche sorti e progressive»
dell’«umana gente» (La ginestra, vv. 50-51).
L’inno Ognissanti
resta incompiuto,
dopo questo energico
tentativo di
risorgimento del
poeta ormai
incamminato verso il
silenzio
degli ultimi anni.
Riflessioni finali
desidero concludere con le
parole del mio maestro
Lanfranco Caretti:

«Manzoni e Leopardi, pur
muovendo da ideologie
opposte, giungevano ad un
medesimo atteggiamento di
fermezza critica, edificando
sopra un terreno spirituale e
storico scandagliato con            Lanfranco Caretti
occhio spietatamente critico,          (1915-1995)
le loro robuste convinzioni
interiori, nelle quali il lettore
attento avverte…
… l’energia di una
assoluta intransigenza
morale, assai più che
l’effimero fascino delle
seduzioni emotive,
delle sottigliezze
patetiche, delle
morbide atmosfere
sentimentali» (L.
Caretti, Manzoni.
Ideologia e stile, Torino,
                             Francesco Hayez, Ritratto
Einaudi, 1972, p. 23).           di Manzoni, 1841,
                                Pinacoteca di Brera
● Parole istruttive,
specie oggi, che quando
si parla di letteratura e di
arte si parla
esclusivamente di
emozioni, e non anche di
coscienza e conoscenza
critica, non di valori
conoscitivi che credo
siano da tenere nel
debito conto.                      Ritratto di Leopardi (1837),
                               del napoletano Domenico Morelli,
                                   Recanati, Centro Naz. Studi
                                          Leopardiani
fine
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