La buona scuola per chi ? - Un'analisi approfondita del Piano Renzi Gruppi studio dei Coordinamenti della scuola di Roma
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Gruppi studio dei Coordinamenti della scuola di Roma La buona scuola per chi ? Un'analisi approfondita del Piano Renzi www.autoconvocatiscuola.altervista.org movimentoinsegnantiprecari@gmail.com
Premessa Presentiamo qui, come anticipato nella sintesi già pubblicata, un esame approfondito del documento del Governo Renzi chiamato “La buona scuola”, curato da alcuni gruppi di studio formati da docenti. L'esigenza è nata – dicevamo in occasione dell'uscita della sintesi – all'interno dei movimenti che a Roma da anni si impegnano in un'operazione di difesa, ma anche rilancio, della scuola pubblica. Persone che, animate da un'idea alta del lavoro e del loro lavoro, consapevoli della sua rilevanza sociale, non accettano la situazione data come fosse la migliore, non sono affetti da una tendenza al rifiuto di qualsiasi innovazione, ma vogliono essere protagonisti attivi di processi che realmente migliorino il sistema formativo del paese. Il metodo, di nuovo, è stato quello della lettura comune e del confronto, cioè la prassi di una intelligenza collettiva che è stata caratteristica dei movimenti dei precari e dei lavoratori della scuola negli ultimi anni. Il confronto arricchisce e chiarifica, svela aspetti non notati e crea proposte. Tale metodo è divenuto spontaneamente anche una scelta politica. Il Governo ha lasciato come spazio di espressione di idee solo quello virtuale del web, o di visite di suoi rappresentanti in singole scuole. La dimensione della condivisione così si perde. È perciò importante che ad esprimersi siano i collegi docenti, le assemblee dei lavoratori e degli studenti, gli incontri tra le famiglie. Non solo. Un tema complesso come quello della formazione non si può esaurire in slides, o in risposte a questionari predefiniti. Le riflessioni che qui proponiamo sono articolate, richiedono un tempo di elaborazione indispensabile a chi voglia seriamente intraprendere un ri-pensamento della scuola. Si tratta infatti di avere la capacità di analizzare l'esistente e quello che viene proposto per potere, dal di dentro delle scuole, porre in essere un'idea alternativa. Ci auguriamo come sempre che nelle prossime assemblee o tramite gli altri contatti si possano avere i contributi ulteriori di chi leggerà queste pagine.
1. Assunzioni e formazione (cap. 1) Nel I capitolo le linee guida affrontano il tema dell’organico della scuola. E’ in questa prima parte che viene annunciata l’assunzione di 148.100 nuovi docenti a partire dall’anno scolastico 2015-16 che si aggiungeranno ai circa 600 mila docenti che compongono l’organico di diritto. Si tratta sostanzialmente di tutti gli insegnanti delle Graduatorie A Esaurimento (GAE), degli idonei e dei vincitori dell’ultimo concorso non ancora assunti in questo anno scolastico. In realtà 63.900 di queste nuove assunzioni avranno un costo relativamente irrisorio, in quanto riguardano assunzioni già previste o precari stabili dell’organico di fatto. Nello specifico - 15.000 sono i posti dovuti al turnover, ovvero resi disponibili da relativi pensionamenti - 8.900 sono assunzioni sul sostegno già previste da provvedimenti precedenti - 50.000 sono insegnanti che pur in assenza di un contratto a tempo indeterminato, sono permanentemente occupati su cattedre annuali, o spezzoni di cattedre (chiamata dal provveditorato). Per capirci, non sono supplenti di nessuno, ma suppliscono a chi per anni non li ha assunti su posti necessari e liberi. Ne restano 84.900. Cosa faranno questi nuovi insegnanti? Quanto costeranno? Saranno utili a una scuola di qualità? Siamo di fronte a una svolta strutturale delle politiche scolastiche che in questi decenni non hanno fatto altro che de-finanziare il sistema d’istruzione? Proviamo a rispondere punto per punto. Ps: I 18.800 mila docenti di musica, arte ed educazione fisica presenti nelle Gae e citati ripetutamente nel testo, e in televisione, non vanno considerati come un raggruppamento a parte, bensì le loro assunzioni saranno trasversali: una parte andrà in cattedra e una parte parteciperà all’organico funzionale, probabilmente con un ruolo centrale soprattutto nelle attività di potenziamento. Cosa faranno 84.900 insegnati dell’organico funzionale? L’organico funzionale avrà, nelle intenzioni delle linee guida, due compiti principali: - Coprire le supplenze brevi - Potenziare l’offerta formativa Ma quante sono le supplenze brevi? Il testo ci propone una stima di 20.000 cattedre piene con stipendio annuale se fosse possibile sommare complessivamente tutte le ore d’insegnamento, e i loro costi, determinate dalle sostituzioni di insegnati di ruolo o con cattedra “di fatto”. E’ chiaro che questo conto è un conto astratto, perché le supplenze brevi sono disomogenee territorialmente, temporalmente, stagionalmente e per area disciplinare. Infatti gli insegnanti coinvolti ogni anno su questo meccanismo sono circa 112 mila (di cui circa 51.000 tra scuola dell’infanzia e primaria, 31.500 nella secondaria di primo grado e 35.700 nella scuola secondaria di secondo grado). E’ da sottolineare la situazione relativa alla secondaria: i 20 mila insegnanti previsti nell’organico funzionale difficilmente riusciranno a sostituire gli oltre 67 mila docenti impegnati lo scorso anno sulle supplenze brevi. Dunque, le supplenze extra organico di diritto, pur ridotte numericamente, esisteranno ancora, perché lo stato già ora si serve di più insegnanti di quanti ne verranno assunti. La stima delle 20 mila cattedre complete è dunque solo un calcolo di ragioneria, che permette di capire quanto costano le supplenze brevi e, con molta approssimazione, di immaginare come verranno ripartite le ore annuali dell’organico funzionale: - Circa ¼ serviranno per le supplenze - Circa ¾ per “il potenziamento dell’offerta formativa” Ma cosa vuol dire potenziamento dell’offerta formativa? Qui il testo diventa, almeno in parte, più generico. Viene prima esplicitato che l’organico funzionale sarà di circa 60 mila docenti nella primaria e di circa 20 mila nella secondaria. Nella scuola primaria si fa riferimento all’ampliamento del tempo pieno e del tempo prolungato, mentre per la secondaria 3
si ipotizzano attività quali la “predisposizione di contenuti innovativi”, “progettualità”, “affiancamento ai tirocinanti” ecc. Queste indicazioni offrono diversi spunti e sollecitano diversi interrogativi. Perché non iniziare dalla semplice eliminazione dei provvedimenti peggiori della Gelmini? E’ chiaro infatti che se l’obiettivo è un insegnamento di qualità, la prima necessità sarà, in ogni ordine e grado del sistema d’istruzione, la riduzione del rapporto studenti/insegnati per classe a partire dall’eliminazione del maestro unico e al ripristino del sistema orario pre-riforma nei professionali e nei tecnici, ma anche riducendo i tetti minimi per formare le classi nelle singole sezioni. D’altronde, a chi dice che 84 mila insegnanti assunti nell’organico funzionale sono troppi, ricordiamo che la Gelmini ne tagliò ben 87 mila. Se si eliminassero i peggiori provvedimenti della Gelmini, gli 84mila insegnanti dell’organico funzionale andrebbero semplicemente a ricoprire posti “in cattedra”. Rispetto alla Gelmini manca all’appello un qualsivoglia provvedimento sul personale Ata, tagliato di oltre 40 mila unità dal ministro berlusconiano. Come fare allora ad aumentare il tempo pieno? Come aprire le scuole di pomeriggio? E i finanziamenti su queste voci? Non troviamo nulla nel testo, né altri provvedimenti espliciti, ma l’ipotesi più credibile è che, l’annunciato coinvolgimento dei privati, significhi che l’apertura pomeridiana delle scuole sarà sostanzialmente esternalizzata. E quale sarà il ruolo dei docenti dell’organico funzionale? La supervisione a questo tipo di attività? Saranno a disposizione dei privati che gestiranno tali progetti? Dove lavoreranno i docenti dell’organico funzionale? Il testo annuncia un censimento obbligatorio entro il 31 dicembre 2014. Chi non dà la disponibilità ad una piena mobilità provinciale e regionale è fuori dalle assunzioni. (Le rinunce permetteranno di ripescare i congelati Ssis e i laureati in scienze della formazione primaria). Non solo, ma la disponibilità deve essere anche alla mobilità tra classi di concorso affini, di cui però non si esplicitano i criteri. Questo passaggio del documento è particolarmente preoccupante e allo stesso tempo approssimativo. E’ preoccupante perché la mobilità per precari non più giovanissimi può diventare un problema enorme, soprattutto se oramai si hanno dei figli e in particolare se si è una donna. In molti concorsi nazionali è prevista la mobilità nell’assunzione, lo sappiamo, ma qui si tratta di precari storici che hanno già superato prove concorsuali su base provinciale o regionale, che sono inseriti in graduatorie provinciali e che hanno costruito la propria vita anche in base a questo. Non solo. A questo passaggio del testo è collegata anche l’idea di un cambiamento dello status giuridico dei docenti e della chiamata diretta “per curriculum” dei dirigenti scolastici sulla base di una banca dati nazionale. L’idea è che questa mobilità non sia limitata al solo momento dell’entrata, ma che venga estesa a condizione permanente dell’organico funzionale prima, e del corpo docente tutto poi. La chiamata diretta dei dirigenti, inoltre, rischia di far rientrare dalla finestra il peggio della legge Aprea che, delegando ai dirigenti le scelte di assunzione, rischia contemporaneamente di creare meccanismi clientelari e nepotisitici, che vediamo già in opera in molte delle nostre università, e di minare alle fondamenta la libertà d’insegnamento e la pluralità culturale delle scuole italiane. Il testo è anche approssimativo perché non precisa se e come verrà gestita la mobilità interna tra organico funzionale e insegnati con cattedra, non esplicita quale rapporto e priorità si produrrà tra organico funzionale e nuovi ingressi concorsuali negli anni successivi. E chi è fuori dalle Gae? Gli insegnanti abilitati con Tfa (oltre 30 mila) e Pas (circa 69mila) insieme ai laureati precedentemente all’anno 2001 che ne faranno richiesta e ai diplomati degli istituti magistrali (55.000 di cui solo una parte ancora interessata all’insegnamento) e ai laureati in scienze della formazione primaria (8.900), potranno partecipare al concorso per 40mila assunzioni previsto nel 2015 e che servirà a sostituire i pensionamenti nel triennio successivo, mentre il testo esplicitamente considera non-precari della scuola gli insegnati di terza fascia non abilitati. Siamo dunque in 4
presenza ad oltre 100mila insegnati abilitati, di cui una parte ha vinto una prova selettiva, mentre tutti hanno pagato un anno di formazione a costi elevatissimi per ottenere un titolo abilitante, a cui lo stato chiede di procedere con un altro concorso. Contemporaneamente, chi ha più di un anno di anzianità lavorativa, pur non essendo abilitato (circa 50mila insegnati che anche quest’anno lavoreranno nelle scuole italiane e nelle scuole paritarie), viene semplicemente liquidato senza nessuna ipotesi e possibilità di percorso per superare la loro condizione di precarietà. Dovranno semplicemente ripartire dal via, ovvero dal nuovo sistema di reclutamento che prevederà una laurea magistrale + 6 mesi di tirocinio abilitante e concorso a seguire. Anche il rapporto tra le vecchie lauree e quelle magistrali semi-abilitanti sarà tutto da indagare. Calcolando che dal 2017 al 2022 andranno in pensione 4 insegnati su 10, perché non prevedere norme che riconoscano il lavoro svolto (precario e necessario) di questi insegnanti? Perché non immaginare un piano di assorbimento per gli abilitati senza nell’immediato nuovi e costosi concorsi? Quanto costa questa operazione complessiva sul reclutamento? L’operazione costa circa 1mld nel 2015, quando gli insegnanti essendo assunti a settembre lavoreranno 4 mesi, e 3 mld dal 2016. Prevedendo negli anni una crescita degli scatti stipendiali, dopo la prima decade il costo sale fino a 4mld. A questi vanno sottratti i 350mln risparmiati (stima prudenziale) dalla riduzione delle supplenze. Dunque le cifre finali dovrebbero essere: 900mln il primo anno, 2,65 il secondo anno, 3,65 tra dieci anni. Cifre lorde, al netto delle tasse e dei contributi, che sono un pagamento che lo Stato fa a se stesso, le cifre si dimezzano. Nella legge finanziaria sono infatti previsti esborsi pari a 0,5mld. Tanti? Assolutamente no. Questa forse è la più grande ipocrisia che sta circolando sui giornali in queste settimane. 2,65 mld lordi, 1,3mld netti, corrispondono a molto meno della metà di quanto la Gelmini ha tolto alla scuola pubblica solo qualche anno fa
2. Valutazione e merito (capp. 2 e 3) Il secondo capitolo del documento governativo, intitolato Le nuove opportunità per tutti i docenti: formazione e carriera nella buona scuola, prevede l’introduzione di un nuovo criterio di progressione della carriera degli insegnati, non più basato sull’anzianità di servizio, come fin’ora è stato, ma sulla valutazione delle attività svolte da ogni docente. Prima di analizzare il nuovo sistema, ci sembra doverosa una premessa che faccia brevemente il punto sul panorama in cui tale proposta si inserisce. Il contratto della scuola, insieme a quello di tutti gli impiegati pubblici, è scaduto ormai dal 2009 e, come comunicato dalla ministra Madia un mese fa, il Governo non ha nessuna intensione di rinnovarlo. Questa vergognosa vacanza contrattuale ha determinato non soltanto l’impossibilità da parte dei lavoratori della scuola di avere miglioramenti retributivi, ma persino di recuperare l’inflazione; situazione alleggerita in modo del tutto parziale dal «bonus degli 80 euro». Più in generale bisogna ricordare come gli insegnanti italiani siano fra i meno retribuiti fra i Paesi che presentano dati economici fondamentali assimilabili a quelli dell’Italia. I vari ministri dell’istruzione all’inizio del proprio mandato non hanno mancato di lamentare questa situazione e lo stesso Renzi, sia prima che dopo aver ricevuto l’incarico di primo ministro, ha ripetutamente manifestato la volontà di dare centralità alla scuola anche attraverso un miglioramento delle retribuzioni dei docenti. Vediamo quindi cosa propone il governo. - A partire da settembre 2015 verranno aboliti gli scatti di anzianità. La posizione stipendiale maturata da ogni docente diverrà la base su cui verranno messe in atto le nuove regole. - Ogni tre anni i due terzi dei docenti di ogni scuola (o rete di scuole), il 66%, riceveranno uno scatto di progressione di 60 euro netti mensili, chiamato scatto di competenza, mentre il restante 33% non avrà nulla. - Gli insegnanti ai quali attribuire l’aumento saranno selezionati da un Nucleo di Valutazione interno alla scuola, sulla composizione del quale si sa soltanto che prevederà la presenza di un esterno, forse un ispettore ministeriale o un esperto Invalsi. - La valutazione sarà basata sui crediti che ogni docente avrà accumulato nel triennio. Tali crediti saranno di tre tipologie: crediti didattici, ottenibili in base alla qualità dell’insegnamento in classe, crediti formativi, ottenibili tramite i corsi di aggiornamento, crediti professionali, ottenibili ricoprendo ruoli quali quello di coordinatore di classe o le funzioni strumentali, o attraverso le attività progettuali. - Infine si deve rammentare che la cifra di 60 euro è stimata per un insegnante delle superiori, il che significa che gli insegnanti delle scuole di grado inferiore prenderanno meno. Inoltre il documento ipotizza di istituire tre «fasce differenziate all’interno del 66%» (p. 54); quindi soltanto una parte degli insegnanti (sembra di capire che si tratterà del 33% del 66%!) prenderà questa cifra e gli altri avranno miglioramenti retributivi minori. Ora l’analisi. Partiamo da una domanda che in molti si sono fatti dopo aver letto la proposta del Governo: perché per forza il 66%? Assumiamo per un momento l’ottica meritocratica di chi ha scritto il documento, non sarebbe stato meglio stabilire una meta? Per esempio dare lo scatto stipendiale a tutti coloro che raggiungeranno un certo numero di crediti? Se tutti gli insegnanti di una scuola raggiungeranno l’obiettivo, avremmo un miglioramento complessivo dell’offerta formativa. Nel modo proposto si può giungere a due paradossi: una scuola in cui tutti gli insegnanti sono bravi e solo il 66% viene premiato; una scuola invece in cui tutti sono mediocri eppure un 66% riceve lo scatto di merito. Ma il quadro è solo apparentemente paradossale. Ad una più attenta analisi appare evidente che affinché qualcuno possa avere qualcosa, una parte dei docenti non deve avere nulla. Infatti in più punti il documento si vanta del fatto che l’operazione verrà fatta senza determinare oneri aggiuntivi 6
da parte della Stato (per es. a p. 57). La realtà appare quindi evidente: il Governo non vuole investire nuove risorse sulla categoria degli insegnanti, la retribuzione media rimarrà sempre tra le più basse dei Paesi economicamente più avanzati. Individuiamo quindi la prima funzione del sistema meritocratico, una funzione meramente economica: nascondere questa realtà e dare ad essa una patina ideologica che non la faccia percepire a chi la subisce. Investire poco e probabilmente in prospettiva sempre meno, ma creare un sistema secondo il quale le briciole messe sul piatto siano a disposizione apparentemente di tutti. In questo modo si ottengono due risultati: le briciole non vengono più avvertite come tali e i membri della categoria sviluppano una conflittualità interna piuttosto che contro il datore di lavoro (chi mi fa vivere male sarà il collega che si è preso gli scatti di competenza al posto mio e non il Governo che non investe nella scuola). Ma vediamo ora il modo in cui i crediti possono essere acquisiti. In primo luogo partiamo da ciò che più è chiaro: i formativi e i professionali. Per acquisire i crediti formativi si dovranno frequentare corsi di aggiornamento, che, stando a quello che dice il documento, diverranno obbligatori. Nelle pagine dedicate alla formazione il testo del Governo, se pur in modo spesso soltanto evocativo e confuso, presenta alcuni spunti interessanti, asserendo di voler evitare un approccio formale e nozionistico, e di voler incentivare la condivisione di quelle pratiche didattiche che nascono dall’esperienza viva dei docenti. Tuttavia anche in questo caso non possiamo esimerci dal sospettare che dietro l’obbligo di aggiornamento si annidino gli interessi delle università pubbliche e private. Tale sospetto è fondato sull’esperienza di quanto avvenuto nelle Graduatorie ad Esaurimento dei docenti precari nel momento in cui la ministra Moratti ha riconosciuto la possibilità di ottenere punti acquisendo titoli. Questa iniziativa ha dato vita ad un mercimonio di corsi di aggiornamento offerti da enti formativi accreditati presso il Miur, corsi, nella maggior parte dei casi, di bassissima qualità. Lo stesso indegno mercato dei titoli si estenderà anche ai docenti di ruolo in cerca di crediti formativi per avere lo scatto di competenza? In questo caso per le università private, ma anche per quelle pubbliche in agonia per i continui tagli al budget, si aprirebbero vaste praterie in cui razzolare. La possibilità a nostro avviso è concreta. Anche per il sistema di acquisizione dei crediti professionali è ipotizzabile una funzione economica di obliterazione e camuffamento dei tagli di spesa. Come si è accennato sopra, questi crediti saranno ottenuti ricoprendo cariche quali le funzioni strumentali o il coordinamento delle classi, oppure attivando progetti. Ora, è noto a chiunque lavora nella scuola il fatto che i fondi destinati a tali attività siano andati diminuendo in modo vergognoso negli ultimi anni, al punto da rendere letteralmente ridicola la somma percepita a fronte dell’onere di lavoro che queste funzioni prevedono. Anche in questo caso il sistema meritocratico profila una soluzione che permette di consolidare questo stato di cose: coloro che ricoprono tali incarichi continueranno a ricevere poco o niente in termini di retribuzione aggiuntiva, ma avranno in cambio i crediti professionali: ti diamo i crediti! vuoi pure i soldi? Stringi i denti e vedrai che rientri nel 66% di meritevoli e avrai il tuo scatto di competenza. Molta meno chiarezza si incontra a proposito dei crediti didattici, le modalità per ottenere i quali restano assolutamente oscure. Su di essi il testo afferma in modo del tutto generico che serviranno a misurare la capacità di migliorare la prassi di insegnamento da parte di un singolo docente e la capacità di innovare (p. 52). Come quantificare in termini di crediti tali capacità? Il documento tace. Chiunque abbia un minimo di esperienza in campo di politiche scolastiche degli ultimi anni non può a questo punto non notare una pesante assenza nel testo governativo: l’Invalsi. In un testo che non fa altro che parlare di merito e di valutazione non si nomina mai (se non una volta, di sfuggita e su altro argomento, a p. 100) l’Invalsi. A nostro avviso, non si tratta certamente di una svista: chi ha scritto il documento conosce benissimo le polemiche suscitate dai test Invalsi e sa che gli insegnanti da tempo si oppongono all’idea che ai risultati di queste prove sia legata la valutazione dell’efficacia della propria didattica. Cosciente di ciò il Governo ha preferito mantenersi sul vago, onde evitare polemiche nella fase di propaganda che si è aperta con la presentazione del documento 7
La buona scuola. Possiamo immaginare che i test Invalsi non avranno alcun ruolo nella valutazione dei docenti e nell’attribuzione dei crediti didattici? L’esperienza ci porta ad escludere questa ipotesi. Lasciando ora da parte questi aspetti tecnici, riteniamo che la principale motivazione che ci deve indurre a respingere con forza la proposta del Governo, prenda le mosse da una domanda che ogni singolo docente deve farsi nel momento in cui si trova ad esprimere un giudizio sul documento La buona scuola: quale impatto avrà questo nuovo sistema sulla vita quotidiana degli istituti? Possiamo prevedere che tale impatto minerà profondamente la stabilità già precaria di queste comunità e soprattutto riteniamo che la concorrenza tra insegnanti che si produrrà con l’introduzione dei criteri meritocratici colpirà alle fondamenta la collegialità e la democraticità della gestione degli istituti scolastici. Il nuovo sistema conferisce infatti grandi poteri al Nucleo di Valutazione interno, che deve «vagliare» il pacchetto di crediti di ogni docente (p. 52) allo scopo di individuare il 66% di meritevoli; il Nucleo, come accennato sopra, sarà composto da alcuni insegnanti della scuola, da un esperto esterno e, ci si può scommettere, dal dirigente scolastico. Ora si immagini quali fenomeni di servilismo un tale sistema possa stimolare; quale accentramento complessivo dei poteri di gestione nelle mani di un nucleo ristretto di insegnanti vicini al dirigente possa prodursi. Creando una rigida gerarchia e concentrando il potere nelle mani di pochi individui si ottiene un sistema meno democratico e di fatto autoritario. Sotto questo punto di vista la proposta del Governo presenta inquietanti somiglianze con il sistema che regolava la carriera degli insegnanti nella scuola superiore nel periodo precedente all’approvazione dei Decreti Delegati del 1974. Tale ordinamento prevedeva che alla fine di ogni anno scolastico i singoli docenti venissero valutati dal preside della scuola presso cui prestavano servizio con una «nota di qualifica», che contemplava cinque livelli di giudizio: ottimo, valente, buono, sufficiente ed insufficiente. Un «insufficiente» poteva impedire l’avanzamento di carriera dell’insegnante, mentre un «ottimo» ripetuto per tre anni ne determinava un’accelerazione. L’affinità appare evidente. Come per altri casi (primo fra tutti quello relativo all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori), da questo punto di vista, quindi, il Governo Renzi, al di sotto del linguaggio propagandistico tutto volto a tacciare di conservatorismo coloro che si oppongono all’avanzata del nuovo, mostra nei fatti un intento di restaurazione del passato e si rivela come un governo progressista nel linguaggio, ma reazionario nella sostanza. Nel terzo capitolo, La vera autonomia: valutazione, trasparenza, apertura, burocrazia zero, viene affrontata la questione della valutazione degli istituti scolastici. Si deve in primo luogo notare che, nonostante il progetto del Governo sia formalmente sottoposto a consultazione pubblica e quindi non dovrebbe essere ancora operativo, il Miur ha già emanato una direttiva, datata 19 settembre 2014, in cui si danno dettagliate indicazioni operative per la realizzazione della valutazione delle scuole. Ecco nella sostanza il sistema previsto a partire dall’anno scolastico 2015-16. Verrà reso operativo il Sistema Nazionale di Valutazione delle scuole, per cui il Ministero fornirà ad ogni istituto un «quadro di riferimento» attraverso il quale compiere la propria valutazione; tale quadro di riferimento è più volte indicato nel documento come «strumento di autovalutazione». Sembra di capire che si tratterà di una sorta di griglia suddivisa per voci, che avrà la funzione di mettere in rilievo l’efficacia dell’attività dell’istituto scolastico in vari campi, così indicati nel documento: «ambienti di apprendimento, apertura verso il territorio, pratiche educative e didattiche, livello e qualità di quello che gli studenti avranno imparato, elementi socio-economici di contesto, ma anche informazioni utili per capire, ad esempio, se gli apprendimenti degli studenti incidono sulla loro scelta di proseguire gli studi o sulle loro chance di trovare lavoro» (p. 66); inoltre si metterà in luce la eventuale presenza di sezioni all’interno dell’istituto che hanno risultati discrepanti rispetto alle altre. Le modalità attraverso le quali tale valutazione verrà effettuata ovviamente non vengono esplicitate né, anche in questo caso, nel documento La buona scuola viene fatta menzione della funzione che svolgerà l’Invalsi. Nella direttiva ministeriale citata sopra invece 8
le cose vengono enunciate in modo ben più chiaro: l’Invalsi avrà la funzione direttiva in tutto il processo, sia nell’elaborazione dei criteri sia nella formazione degli ispettori ministeriali che andranno a dirigere le operazioni di valutazione nelle singole scuole; un peso importante inoltre avranno i risultati conseguiti nei test Invalsi annualmente somministrati agli alunni. Sulla base della griglia di valutazione la scuola dovrà elaborare un rapporto, in cui saranno documentate le debolezze rilevate, e un piano triennale di miglioramento, in cui verranno progettate le attività atte a superare tali debolezze. Sia il rapporto sia il piano saranno pubblicati, insieme ai curricoli dei docenti della scuola, su un sito internet chiamato Scuola in Chiaro 2.0 (nell’era Renzi tutto è 2.0, ovviamente!), a cui chiunque potrà accedere. Da quello che si può intuire, ogni tre anni il processo di valutazione verrà ripetuto e si verificherà l’efficacia degli interventi programmati. Il documento dichiara esplicitamente che i risultati della valutazione avranno una ricaduta sui fondi pubblici che l’istituto riceve (p. 66) e questo meccanismo viene meglio specificato a p. 121 (all’interno del capitolo 6 sul finanziamento) quando si dice che il MOF (Fondo per il Miglioramento dell’Offerta Formativa) non verrà più erogato soltanto sulla base del criterio dimensionale, ma anche su base premiale, andando ad erogare maggiori fondi «a quegli istituti che svilupperanno pratiche di potenziamento dell’offerta formativa di particolare impatto». Quindi nella sostanza, a nostro avviso, è facilmente prevedibile che agli istituti verrà applicato lo stesso criterio utilizzato per retribuire gli insegnanti: dare qualcosa in più a chi ottiene risultati alti nella valutazione e lasciare con una manciata di euro, a cui è attualmente ridotto il MOF, gli latri. 9
3. La didattica (cap. 4) Nel capitolo 4 delle linee guida si affronta finalmente il tema didattico. E' da evidenziare preliminarmente che nelle precedenti riforme si era sempre presentato il quadro sinottico dei diversi percorsi formativi che certo garantiva una maggiore leggibilità delle proposte, uno sguardo al progetto complessivo e, non da ultimo, un riferimento alle attribuzioni rispetto alle classi di concorso per i vari insegnamenti. Tale quadro nello scritto governativo attuale manca completamente, riducendosi ad un mera aggiunta di ore e materie. Siamo sicuri che non venga tagliato nulla, per far posto al “nuovo”? Su questo non c'è alcuna garanzia. Vediamo in dettaglio: Livello strutturale/ordinamentale Materia Quante ore? In quali anni? Chi la insegna? Quanto costa? Educazione motoria 1 h a settimana Dal II° al V° anno della Insegnanti neo immessi in Non viene dichiarato. scuola primaria ruolo di educazione fisica (?) (5.300) Educazione musicale 2 h a settimana Dal IV° al V° anno Insegnanti neo immessi di 90 mln di euro della scuola primaria educazione musicale e (cattedre a 24 h con “affini” stipendio primaria) Storia dell'Arte e 2 h a settimana Primo Biennio dei Insegnanti neo immessi di 25 mln di euro Disegno Licei (ove non storia dell'arte e “affini” presente) e degli Istituti Tecnici per il Turismo. Materie economiche e ? Scuola Secondaria Insegnanti neo immessi di ? giuridiche (anche nei licei economia e “affini” scientifico e classico) Lingue straniere ? “fin dalla scuola ? ? dell'infanzia” Criticità: 1. mancando completamente un quadro sinottico degli ordinamenti proposti, non è chiaro se le ore introdotte andranno a sostituire ore di altre discipline, specie nei casi in cui non vengono menzionate le coperture finanziarie; 2. non viene affrontato il problema della continuità didattica attualmente subordinato all'esigenza di svolgere 18 h frontali e necessariamente collegato alla revisione dei quadri orari; 3. non viene contemplato un ripensamento delle Indicazioni Nazionali (Linee Guida Indire), che sono il reale contenitore delle scelte su ciò che deve, o meglio, dovrebbe essere fatto a scuola. Attualmente le Indicazioni Nazionali stesse minano l'obiettivo della formazione di competenze essendo anacronisticamente ipertrofiche nella mera “giustapposizione” di contenuti; 4. per far “tornare i conti” e “rendere il più grande investimento nelle scuola degli ultimi vent'anni” a costo zero anche sulle nuove materie introdotte è richiesta la mobilità verticale (rispetto ai gradi di istruzione) e orizzontale (insegnamento delle materie affini); 5. l'attuazione dell'autonomia scolastica deve avvenire “dando alle scuole la possibilità di modulare la propria offerta attraverso la scelta di diverse discipline opzionali già previste dalla normativa ma poco utilizzate a causa della rigidità del contratto e di un sistema troppo legato alle cattedre” (pag.93). Si sottolinea infatti che la “vera autonomia” si potrà attuare grazie “ad un organico funzionale rafforzato, una maggiore mobilità dei docenti, ad una nuova organizzazione e gestione collegiale della scuola e a risorse certe per l'offerta 10
formativa”. In sintesi flessibilità contrattuale, gerarchizzazione, ingresso di finanziamenti privati. Livello Metodologico: 1. CLIL (Content and Language Integrated Learning): si vuole estendere l'insegnamento in lingua straniera di materie non linguistiche (già da quest'anno obbligatorio nel V anno delle Scuole Superiori) alla scuola primaria e secondaria di primo grado; 2. CODING: si vuole prcedere ad una massiccia alfabetizzazione digitale fin dalla scuola primaria attraverso i progetti di “coding”, ovvero l'utilizzo di piattaforme informatiche non solamente come utenti ma come veri e propri sviluppatori di programmi (progetti “italia.code.org”, “one hour of code”). Si sottolinea però che i supporti informatici saranno a carico degli studenti (metodo BYOD pag.79). Il testo afferma che “il punto di arrivo sarà promuovere l'informatica per ogni indirizzo scolastico”.; 3. Didattica laboratoriale: si riafferma la necessità di promuovere lo sviluppo di competenze pratiche in laboratori avveniristici in cui non può mancare la stampante 3D, la robotica “ripensati come palestre di innovazione legata allo stimolo delle capacità creative e di “problem solving” degli studenti” (vedi capitolo 5); 4. Massiccia introduzione dell'alternanza scuola-lavoro (vedi capitolo 5). Criticità: 1. Coperture finanziarie: solo per i laboratori si prevedono 300 mln da fondi ordinari del MIUR (?) e integrati da fondi PON e POR (ovvero fondi europei), ma soprattutto finanziamenti di privati alle scuole trasformate in Fondazioni (vedi pag. 124 capitolo 6). Chiunque sia entrato in una scuola sa bene che molto prima delle stampanti 3D mancano spazi e strumenti didattici essenziali; 2. Aggiornamento degli insegnanti: viene citato un nuovo Piano di Formazione. Obbligatorio? A carico degli insegnanti stessi? Ad opera di quali istituzioni? Oggetto di contrattazione? A titolo di esempio ricordiamo che il progetto pilota del CLIL nell'ultimo anno delle superiori si è scontrato con l'effettiva difficoltà di organizzare e fare partecipare i docenti ai corsi di formazione. Un corso completo prevede, in assenza di precedenti certificazioni del docente, 130 ore per 4 anni per acquisire le competenze linguistiche necessarie più il corso specifico in metodologia CLIL! (fonte www.indire.it/clil/). 3. Non vengono affrontati temi centrali per la garanzia della qualità reale del'offerta formativa quali la continuità didattica, il tetto massimo di alunni per classe, l'attivazione di nuovi spazi collegiali di programmazione e progettazione didattica. Da questi pensiamo sia necessario partire per un progetto formativo valido, attuale e, soprattutto, attuabile! 11
4. Alternanza scuola-lavoro (cap. 5) Verrebbe da dire, (af)fondata sul lavoro L'ideologia che sottende ogni pagina della Buona Scuola è in sintesi questa: la “buona” scuola è quella che aderisce ai meccanismi di mercato (concorrenza, competitività, produttività, legge della domanda/offerta). Coerentemente con tale impianto ideologico la scuola non deve formare cittadini consapevoli, equilibrati, capaci di affrontare in modo trasversale la complessità del mondo contemporaneo, bensì tecnici specializzati, nuovi portabandiera del Made in Italy. E come si formano gli studenti super-tecnici, ricercatissimi dal mondo del lavoro? Grazie all'alternanza scuola-lavoro, tema centrale del capitolo 5 del testo, che verrebbe intensificata ed estesa in varie forme a tutte le scuole secondarie superiori (anche nei licei!). Gli effetti secondo chi ha redatto il testo sarebbero miracolosi: 1. si combatterebbe l'abbandono scolastico; 2. si ridurrebbe la disoccupazione, partendo dall'assunto che i livelli attuali di disoccupazione, specie giovanile, non sono da attribuire alla crisi economica, quanto al fatto che la scuola non prepara adeguatamente gli studenti per il mondo del lavoro. Perché la scuola ha perso tale capacità? Nel testo si ammette che “la scuola ha perso costantemente risorse negli ultimi anni, in particolare per l'offerta formativa”. Ricordiamo a tal proposito i tagli della Riforma Gelmini alle ore di indirizzo e di laboratorio negli Istituti Tecnici, emblematici della volontà di depotenziare la formazione delle competenze più specifiche e direttamente spendibili nel mondo del lavoro. Il piano di Renzi su questo tema non reintegra l'iter formativo di quanto attualmente decurtato, bensì prospetta una massiccia delega formativa a realtà lavorative esterne che sfrutteranno il lavoro gratuito degli studenti secondo quattro modalità: 1. Alternanza obbligatoria scuola-lavoro: 200 ore l'anno negli ultimi tre anni dei Tecnici e Professionali (oggi vengono fatte circa 60 ore in stage della durata di 1/2 settimane e in genere solo negli ultimi due anni); 2. Impresa didattica: trasformare le attività formative scolastiche in attività che producano reddito, incoraggiando l'uso della doppia contabilità nelle nuove scuole-azienda; 3. Bottega Scuola: inserimento degli studenti in contesti imprenditoriali legati all'artigianato; 4. Apprendistato sperimentale: inserimento durante gli ultimi due anni di scuola in imprese secondo un sistema di convenzioni che stabilisce le modalità di impiego. Ed è già legge, altro che consultazione! (articolo d.l.104/13). Secondo quanto stabilito nelle riunioni di intesa su tale progetto (02/04/2014, fonte Gilda) è stato stabilito un monte orario del 35% dell'orario complessivo scolastico da destinarsi all'esperienza di apprendistato. Dunque nel migliore dei casi gli studenti vedranno decurtato 1/5 del proprio diritto allo studio, in cambio di 1/5 di dovere al lavoro! Per sanare al disallineamento tra domanda/offerta nel mondo del lavoro viene illustrato il progetto dell'atlante del lavoro che cambia, “strumento di mappatura della domanda di competenze del nostro paese”, ad opera del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero del Lavoro. Dovrebbe servire alle scuole per l'orientamento e “per la revisione dei curricoli scolastici stessi”. 12
Criticità: Coperture finanziarie: L'intensificazione dei progetti di alternanza scuola-lavoro costerà 100 mln di euro (rispetto agli 11 mln attuali). Rispetto a questo sottoineamo che: 1. la stima ci sembra al ribasso se è vero che attualmente sono stati coinvolti solo il 9% degli studenti su progetti molto meno impegnativi in termini di orario e solo in ambito tecnico e professionale. 2. si prevede che la maggior parte dei finanziamenti provenga dai privati stessi che, come finanziatori parziali dei progetti, avranno buone possibilità di indirizzarne gli obiettivi a proprio vantaggio. In ogni caso il tronaconto delle imprese chiude in attivo dal momento che sia nel capitolo 5 che nel 6 sono prospettati incentivi economici di varia natura per le imprese che aderiscano ai progetti di alternanza. Impatto sulla didattica: E' evidente che: 1. un'alternanza scuola-lavoro intensiva parcellizza il tempo in della didattica generale rendendo il lavoro negli ambiti della didattica tradizionale frammentario e improduttivo. 2. in modo connecessita di figure che garantiscano il rispetto e l'omogeneità in contesti diversi degli obiettivi formativi. Attualmente sono previsti docenti tutor che seguono ed indirizzano il percorso nelle diverse realtà Modalità attuative: Il testo non specifica molto rispetto all'iter di attuazione di tali progetti. Sorgono così naturali alcune domande. 1. Chi sceglierà le realtà con cui collaborare? Attualmente il Collegio Docenti o il Consiglio d'Istituto delibera a riguardo, ma in più passi del testo viene ribadita la volontà di “snellire” la burocrazia della scuola imputando spesso l'inefficienza decisionale alla presenza degli organi collegiali. Nel capitolo 3 espressamente si afferma: “la governance interna della scuola va ripensata: collegialità non può essere sinonimo di immobilismo , di veto, di impossibilità di decidere alcunché. Vanno ridisegnati al meglio gli organi collegiali della scuola, distinguendo tra potere d'indirizzo e potere di gestione. Il Consiglio dell'Istituzione scolastica diventerà titolare dell'indirizzo generale e strategico dell'Istituzione; il Collegio docenti avrà l'esclusività dellla programmazione didattica; e il Dirigente scolastico sarà pienamente responsabile della gestione generale (coadiuvato dal Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi) e alla realizzazione del progetto di miglioramento definito sulla base della valutazione”. 2. Chi valuterà gli effetti formativi di tali pratiche? Chi stabilirà le modalità, i doveri, i diritti, le finalità? Chi garantirà la qualità dell'offerta formativa? Di tutti questi aspetti fondamentali attualmente è responsabile il docente tutor su cui viene a gravare un compito sovradimensionato, visto che si deve e sempre di più dovrà “aggregare intorno ai progetti di formazione congiunta tutti gli attori rilevanti del territorio.” A questo proprosito vengono menzionati i Poli Tecnico-Professionali e le 65 Fondazioni nate in Italia che comprendono scuole, imprese, università, centri di ricerca, enti locali. Di che cosa si tratti realmente, non è chiaro... 13
5. Le risorse e i privati (cap. 6) Nel capitolo sei della “Buona Scuola” viene trattato il tema della risorse che dovrebbero servire per il sistema scolastico italiano. Tuttavia dai dati emerge chiaramente che l'intenzione di Renzi non è certo quella di investire risorse che contribuiscano al miglioramento della didattica, alla qualità dell'insegnamento o ad un'allargamento del diritto allo studio. L'intenzione del Governo è quella di reperire i fondi per la copertura delle nuove assunzioni dalla legge finanziaria, mentre per la tanto decantata “innovazione didattica” nessun investimento certo, ma solo la probabilità di reperire qualche fondi da fonti non meglio specificate. Altri punti salienti è quello della ripartizione dei fondi in mase alla valutazione degli istituti stessi, con il rischio di svantaggiare ancora di più quelle scuole che si trovano ad opere in contesti socio- culturali difficili, come nelle periferie delle nostre città o in molte aree del meridione. Una percentuale del fondo, una volta arrivato agli istituti, il 10% sarà utilizzato esclusivamente secondo le indicazione del Dirigente scolastico, anche questo elemento andrà ad aumentare la gerarchizzazione dei ruoli all'interno delle scuole. L'altra novità suquesto versante è la gestione attraverso la modalità del bilancio partecipato, coinvolgendo studenti e rappresentanti dei genitori del 5% del fondo. Le risorse pubbliche saranno costituite dal ricollocamento meritocratico dei soldi risparmiati dagli scatti di anzianità dei docenti, mentre per il resto i contributi saranno assegnati agli istituti in base alla valutazione delle migliori soluzioni sviluppate dalla scuola. Dunque non ci saranno nuove risorse pubbliche, bensì gli scatti meritocratici dei docenti (finanziati con i vecchi scatti dell’anzianità) copriranno anche i finanziamenti sui progetti. In pratica la scuola che nella narrazione renziana assume un ruolo centrale nella politica riformatrice del Governo non avrà nessun investimento. La situazione attuale vede le risorse per il MOF e per l’attuazione della legge 440 erose pesantemente: - Nel 2010 per il MOF erano stanziati quasi un miliardo e mezzo, mentre le risorse rimaste utilizzabili per le attività in favore degli alunni sono diventate quest'anno meno di mezzo miliardo. - Legge 440: siamo passati dai 93 milioni del 2012, ai 78 del 2013, ai circa 20 milioni attuali (quest'anno 39 milioni sono stati usati per recuperare le posizioni economiche del personale ATA, 20 milioni sono serviti negli ultimi mesi per affrontare il problema di circa 11 mila esuberi di addetti alle pulizie delle scuole ex LSU). Alle scuole quindi non resta che attrarre investimenti privati, a questo è dedicata la parte finale del capitolo sei. L'investimento dei privati, definito come investimento collettivo che deve essere apertamente incentivato per due vie: a) Per le scuole deve essere facile ricevere risorse. La costituzione in Fondazione, o in ente con autonomia patrimoniale, per la gestione di risorse provenienti dall'esterno, deve essere priva di appesantimenti burocratici. b) Va offerto al settore privato e no-profit un pacchetto di vantaggi graduali (soprattutto fiscali) per investimenti in risorse umane o finanziarie destinato a singole scuola o reti di scuole. Quale scuola possiamo immaginare se passasse questo progetto di riforma? Una scuola in cui aumenterà il potere del Dirigente, che potrà decidere sul personale docente e non, attraverso la chiamata diretta e la gestione esclusiva del 10% delle risorse dell'istituto. Una scuola nella quale si accentueranno le differenze tra istituti, che rischiano di peggiorare la situazione di quelli che si trovano in contesti socio-economici svantaggiati. Una scuola nella quale i privati possono influenzare la libertà didattica e la democrazia dell'istituto. 14
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