L'Umbria del Trasimeno - "Un velo d'acqua gettato su un prato "

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L'Umbria del Trasimeno - "Un velo d'acqua gettato su un prato "
L’Umbria
del Trasimeno
"Un velo d’acqua gettato su un prato …"
L'Umbria del Trasimeno - "Un velo d'acqua gettato su un prato "
COPIA OMAGGIO - ANNO 2020
L'Umbria del Trasimeno - "Un velo d'acqua gettato su un prato "
L’Umbria
del Trasimeno
"Un velo d’acqua gettato su un prato …"
L'Umbria del Trasimeno - "Un velo d'acqua gettato su un prato "
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Indice

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

L'AMBIENTE
LA BELLEZZA DEL TRASIMENO
   Acque e cielo, lo stesso destino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
   Il parco delle meraviglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
   L’ambiente su misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

LA STORIA
PERSONAGGI, SCORCI, RACCONTI
   I paesaggi del Perugino e di Raffaello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
   Arte moderna a cielo aperto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
   Annibale e le altre storie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
   La meraviglia dei castelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
   La cintura delle torri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

LA TRADIZIONE DELLA PESCA
   Le tecniche di pesca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
   I pescatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

IL PESCE DEL LAGO TRASIMENO
    Pesce per papi, principi e popolani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
    Le specie ittiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

LE RICETTE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

Ringraziamenti
L'Umbria del Trasimeno - "Un velo d'acqua gettato su un prato "
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Introduzione

                       “Un velo d’acqua gettato su un prato ...”

... con questa celebre immagine il grande storico dell’arte Cesare Brandi riassumeva
il fascino del lago Trasimeno: un paesaggio vasto e quieto, capace di riconciliare con
il mondo.

Uno scenario animato, languida cornice a tesori d’arte, cultura, tradizioni, natura e
sapori, dove si muovono operosi protagonisti che dal passato hanno attinto attività
che del lago permettono di preservarne l’anima autentica.

Questa pubblicazione fa seguito a un percorso programmato della Camera di
Commercio di Perugia che vuole valorizzare e far conoscere, anche al di là dei confini
regionali, le ricchezze del territorio. Una nuova pubblicazione, questa, che vuole
rendere omaggio al Trasimeno, al suo specchio d’acqua e al suo mondo.

Ogni giorno, infatti, sulle rive del grande lago dell'Umbria si rinnova lo spettacolo di
un paesaggio straordinario: uliveti a perdita d'occhio, boschi verdissimi e morbide
colline, a contorno di acque che appaiono di colori diversi ad ogni ora del giorno. Un
ambiente ancora incontaminato e vero attorno al quale ruota tutta l’economia
dell’area, dall’agricoltura al turismo fino alla pesca professionale.

La massima godibilità del territorio del Trasimeno è stata resa possibile dall’intrec-
ciarsi di vari felici fattori, che voglio ricordare uno per uno. Oltre alla presenza di
splendidi paesaggi, resi eterni dalla pittura di grandi artisti, tra cui spicca Pietro
Vannucci detto il Perugino, vi sono anche meravigliosi borghi tali da ispirare a
Fiorello Primi, allora sindaco di Castiglione del Lago, la promozione della nascita dei
Borghi più belli d’Italia, che compare tra i soci fondatori anche dell’associazione
internazionale Les Plus Beaux Villages de la Terre.
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    In secondo luogo, l’attività esemplare di coloro che vi lavorano. Come gli agricoltori, i
    quali hanno saputo curare così bene la terra al punto tale che le colline sembrano
    “pettinate” e gli olivicoltori produttori di un olio pregiato ed amabile. Senza dimenti-
    care l’impegno di due cooperative di pescatori, con sede a Panicarola e a San
    Feliciano, che hanno reso sostenibile la professione dei pescatori ed hanno fatto sì
    che il pregiato pesce del lago Trasimeno, il quale per moda o pigrizia dei consumato-
    ri era quasi scomparso dagli usi familiari e dai menù dei ristoranti della nostra regio-
    ne, sia tornato ad essere apprezzato e valorizzato.

    In terzo luogo, un’offerta turistica e commerciale di tutto rispetto, promossa da ope-
    ratori professionali, attenti e preparati, tutta da scoprire, perché basata soprattutto
    sulle emozioni e sulle esperienze, per esempio con dimostrazioni didattiche, visite
    guidate e pescaturismo. Se, infatti, nell’immaginario collettivo la vacanza lacustre
    viene consigliata per rilassarsi e riposarsi, il Lago Trasimeno, oltre ad assicurare tran-
    quillità e clima disteso, sa stupire il visitatore con una serie di intrattenimenti sportivi
    ed escursionistici che non lasciano spazio alla noia, dalla pratica della barca a vela
    alla pesca sportiva e notturna, dalla possibilità di escursioni in bicicletta, passeggia-
    te e trekking a tour su quad e su vespa, tanto per citarne alcuni.

    Un modello da seguire. E un invito a scoprire le altre meraviglie di storia, arte e cultu-
    ra che offre il Trasimeno.

                                                                    Giorgio Mencaroni
                                                                          Presidente
                                                                Camera di Commercio di Perugia
L'Umbria del Trasimeno - "Un velo d'acqua gettato su un prato "
L’ambiente
L'Umbria del Trasimeno - "Un velo d'acqua gettato su un prato "
L’ambiente                                                                                   11

La bellezza del Trasimeno

Gli Antichi Umbri, il primo popolo che abitò l'Italia, lo chiamavano Tarsmeno,
“quello che si prosciuga”. Un grande lago, tondo, capace di mutare di continuo forma
e colori, a seconda del ritmo delle piogge.
Nella lingua degli Etruschi, per assonanza, diventò Tarsminass. Un nome entrato
nella storia dell'archeologia: fu impresso nel bronzo, più di 22 secoli fa, in uno dei
sette frammenti della Tabula Cortonensis, il manufatto etrusco riemerso in
Valdichiana nel 1992. Si parla delle acque di Tarsminass a proposito dell'atto di
vendita di fertilissimi terreni agricoli da parte di un altolocato personaggio di
Cortona.
Il Trasimeno è il lago più antico d'Italia: ha circa un milione di anni. Nella depressione
di origine tettonica che lo accoglie si è accumulata, per circa cinque milioni di anni,
una pila enorme di sedimenti spessa più di 600 metri. È anche l'unico lago italiano ad
essere ospitato in una depressione originata da un movimento tettonico, come è
accaduto, nel resto del mondo, per il Mar Morto, il Tanganica, il Titicaca e il Bajkal.
Con oltre 120 km quadrati è anche il lago più esteso dell'Italia centrale. Il quarto della
penisola, dopo il Garda, il Lago Maggiore e il Lago di Como. Lo specchio d’acqua, che
riceve apporti da un ridotto bacino scolante, è largo quasi 15 km con un perimetro di
53 km. Le acque, in media, sono profonde meno di 6 metri. Tre verdissime isole
emergono dal lago: la Maggiore e la Minore a nord, davanti a Tuoro e Passignano e
l'isola Polvese, la più grande, sul lato opposto, solo a qualche centinaio di metri
dall'abitato di San Feliciano.

Acque e cielo, lo stesso destino

Acque e cielo appaiono uniti dallo stesso destino: uno specchio fragile nel quale
sembra riflettersi tutta la grande bellezza dell'Umbria.
“Sembra un uovo di pavoncella; ulivi grigi preziosi, delicati, freddo mare, verde con-
12                                                                          L’ambiente

     chiglia”. Così, nell'inverno del 1935, descrisse il Trasimeno nel suo diario la grande
     scrittrice inglese Virginia Woolf. Colori resi sempre nuovi dalla luce che dal cielo si
     riflette sulle acque: argentee al mattino, verdi, blu o rosa a seconda del sole e delle
     ore del giorno. Fino a rosseggiare d'estate, in tramonti che sembrano infiniti.
     Lo spettacolo ammalia ancora oggi il viaggiatore. Una emozione che si ripete ogni
     giorno. E che spesso si ha voglia di condividere, come scriveva in modo appassiona-
     to Goethe, nel suo “Viaggio in Italia”: “Il lago di Perugia offre uno spettacolo di grande
     bellezza. Mi struggo dal desiderio di avere al mio fianco qualcuno dei miei”.
     Lo scrittore di fiabe Hans Christian Andersen (1805-1875), che forse proprio sulle rive
     del lago, a Passignano, trovò ispirazione per la storia de “Il brutto anatroccolo”, rac-
     contò lo stupore di un Trasimeno “illuminato dalla sera, come oro fiammeggiante fra
     le montagne azzurre”. E aggiunse: "Dall'alto e al di là delle distese di uliveti, ammira-
     vamo lo stesso incantevole paesaggio che si rifletteva negli occhi di Raffaello come
     aveva fatto in quelli di Augusto...”.
L’ambiente                                                                                 13

Il parco delle meraviglie

Fragile e bellissimo, come un ricamo, è anche il Parco del lago Trasimeno, una delle
zone umide più caratteristiche d’Europa per la presenza di specie botaniche, fauni-
stiche ed ittiche di rilevante significato. La porta di questa meraviglia della natura è
l'Oasi la Valle, a San Savino di Magione, accanto all'imbocco dell'emissario che porta
fino al Tevere le acque in eccesso del lago.
Un luogo privilegiato per studiare centinaia di specie migratorie: il rifugio di almeno
60mila uccelli di duecento specie diverse che qui si fermano a nidificare o svernare.
Due terzi sono folaghe: quelle nere si riconoscono da una macchia caratteristica
sulla fronte. Sembrano quasi passeggiare sulla superficie del lago, appena sopra le
vaste praterie di piante acquatiche che crescono sui bassi fondali. Gli svassi nuotano
veloci, poi si immergono per pescare. Insieme a loro, alzavole, moriglioni e germani
14                                                                          L’ambiente

     reali. Quando tira la tramontana, si concentrano nell'angolo sud est tra l'isola Polve-
     se e il promontorio di San Feliciano. Migliaia di esemplari di uccelli, si aggiungono
     ogni anno ai volatili che hanno scelto il loro stabile nido sulle rive del Trasimeno:
     morette, cavalieri d'Italia, aironi bianchi e cenerini e aironi rossi che nidificano tra i
     canneti. I cormorani si asciugano le ali al vento, sui margini dei canneti. Rapaci, come
     l'albanella minore e il biancone, cacciano d'estate. In autunno arrivano migliaia di
     storni e di rondini che si preparano alla migrazione annuale. Tra loro, anche qualche
     cicogna bianca insieme ai falchi pescatori. Molti passeriformi vengono marcati ogni
     anno con un anellino in una apposita stazione di inanellamento. Così si scopre che
     una cannaiola bigia che pesa meno di dodici grammi, sverna in Africa, a migliaia di
     chilometri dal cuore d'Italia. E che uno storno è arrivato fino in Russia, a duemila chi-
     lometri dal Trasimeno. Tanta meraviglia si può osservare con tutta la calma necessa-
     ria, grazie ad una struttura attrezzata per il birdwatching e le visite guidate, accessi-
     bili anche ai bambini in passeggino e alle persone diversamente abili.
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L’ambiente su misura

Spiagge, campeggi, agriturismo. E piccoli, accoglienti hotel nei centri abitati. La
vacanza sul lago riserva sorprese, non solo per gli amanti della vela, del windsurf e
della canoa. Il Trasimeno si può scoprire a piedi, in una miriade di sentieri attrezzati,
oppure a cavallo. E anche in bicicletta o in mountain bike lungo una affascinante
pista ciclabile che compie il periplo del bacino o attraverso decine di itinerari che si
snodano tra i paesi e le colline. C'è tempo anche per soste golose. Come quelle lungo
la Strada dell'Olio Dop Colli del Trasimeno per gustare un olio che nasce da una culti-
var particolare: la Dolce Agogia che, come spiega il nome, attenua la nota amara e
insieme piccante degli altri eccellenti oli dell'Umbria.
C’è anche il tempo per apprezzare una delle tipiche, numerose e caratteristiche
manifestazioni che ogni anno vengono riproposte nell’area, come, per citarne alcu-
ne, “Coloriamo i cieli” a Castiglione del Lago, “Congiura al Castello” a Magione, “Palio
16                                                                           L’ambiente

     delle Barche” a Passignano sul Trasimeno, “Ferragosto Toreggiano” a Tuoro sul Trasi-
     meno, “Palio dei Terzieri” a Città della Pieve, “la Corsa dei Carretti” a Paciano, “Fili in
     Trama” a Panicale, la “Sagra della Castagna” a Piegaro.
     Tanta bellezza non passa inosservata: negli ultimi anni decine di personaggi della
     cultura, della politica e dello spettacolo hanno scelto di vivere, almeno in alcuni
     periodi dell'anno su queste rive. A partire da George Lucas il produttore e regista
     americano, ideatore di Guerre Stellari e Indiana Jones, che ha comprato una villa
     sulla collina che domina Passignano. Fino a Mario Draghi, ex presidente della Bce
     che torna spesso a Città della Pieve, all'attore britannico Colin Firth, proprietario di
     un casale tra gli ulivi, e a Ed Sheeran, fenomeno della musica mondiale, innamorato
     di Paciano.
La storia
La storia                                                                                 19

Foto 1
         Personaggi, scorci, racconti

         I paesaggi del Perugino e di Raffaello

         Beato Angelico, Perugino, Raffaello, Leonardo: il paesaggio, reale o immaginario, del
         Trasimeno, ha percorso la storia dell'arte. La prima rappresentazione conosciuta del
         lago, secondo alcuni, compare nel 1430, nella predella di una Annunciazione del
         Beato Angelico destinata alla chiesa di San Domenico di Cortona: un trionfo di
         ariose colline quasi a corona delle acque e immerse in una nebbia leggera. Un altro,
         realistico panorama del Trasimeno, visto dal valico di Monte Colognola, emerge
         sullo sfondo di un affresco di Fiorenzo di Lorenzo, datato 1488 e conservato tra le
         tante meraviglie della Galleria Nazionale dell’Umbria.

         Il più importante e conosciuto tra i “figli del lago” è però Pietro Vannucci, detto “Il
         Perugino”. Il suo Trasimeno è una visione, idealizzata in altri lontani e sognanti
         paesaggi lacustri, come appare nel dipinto “L’ Adorazione dei Magi” (1504) che si può
         visitare nell'Oratorio di Santa Maria dei Bianchi di Città della Pieve (foto 1). Nel
         duomo di Città della Pieve, sua città natale, c'è anche un “Battesimo di Cristo" e una
         "Madonna in Gloria e Santi" insieme alla "Deposizione dalla Croce" esposta nella
         bella chiesa di Santa Maria dei Servi. Fontignano conserva invece un'altra “Madonna
         con Bambino”, dipinta nel 1522, appena un anno prima della morte. Panicale offre
         agli amanti dell'arte un altro suo capolavoro, “Il Martirio di San Sebastiano” (1505)
         con il martire che riceve le frecce quasi in estasi, con lo sguardo in cerca di Dio
         benedicente.
         Questa è l'Umbria, una terra dove ogni piccola chiesa è un tassello sorprendente e
         segreto di un grande museo diffuso.

         A Paciano, Francesco da Castel della Pieve, primo maestro del Perugino, dipinse
         nel 1452 una grande ed espressiva Crocifissione. Passeggiando tra i piccoli centri
         abitati si può scoprire anche l'arte di Giovan Battista Caporali (Perugia 1496-
         1560), allievo di Pietro Vannucci e del Signorelli. Non solo pittore ma anche
20                                                                           La storia

     architetto. Nel Santuario di Castel Rigone dipinse
     “ L' i n c o ro n a z i o n e d i M a r i a “. N e l l a c a p p e l l a
     dell'Ospedale di Castiglione del Lago si può scoprire
     il fascino intatto della sua “Madonna con la rosa“. La
     chiesa di San Michele Arcangelo di Panicale
     conserva “L’Adorazione dei Magi“. E a Paciano,
     sull'altare maggiore del tempio dedicato al
     Santissimo Salvatore, compare l'affresco “I l
     Salvatore tra San Pietro e San Giovanni Battista“.
     Ma nei primi anni del Cinquecento le rive del
     Trasimeno ispirarono anche il giovane Raffaello
     Sanzio, il “divin pittore” di Urbino. La conferma arriva
     se si osserva con cura il paesaggio di acque e di terre
     colto dall'alto del castello di Passignano che fa da
     sfondo alla “Madonna del Prato”, dipinta intorno al
     1505 e ora esposta al Kunsthistorisches Museum di
     Vienna (foto 2).
     Un altro disegno di Raffaello, con uno scorcio del “laco
     de Peroscia” che appare tra le colline, fu utilizzato da
     Domenico Alfani, in una pala dedicata alla “Sacra
     Famiglia” che gli fu richiesta per l’altare maggiore
     della chiesa perugina di San Simone al Carmine e che
     il pittore, vissuto a cavallo tra il Quattrocento e il
     Cinquecento, realizzò in collaborazione con Pompeo
     di Anselmo. Lo specchio azzurro del Trasimeno
     circondato dai monti appare anche in altre due sue                                       Foto 2
     opere realizzate nel santuario della Madonna dei Miracoli di Castel Rigone, una
     “Visitazione” e un altro affresco sulla navata.
     Una veduta singolare del castello di Paciano si può invece ancora ammirare in una
     tavola della Galleria Nazionale dell’Umbria: sulla cornice spicca la prestigiosa firma
     di Luca Signorelli. Forse più che del grande pittore di Cortona, fu però opera della
     sua bottega. Colpisce il realismo della rappresentazione. Non è più un Trasimeno
     idealizzato: le barche e le colline fanno da sfondo ai pescatori che nel giorno della
     festa, liberi dal lavoro, festeggiano al suono di una cornamusa. Intorno al Trasimeno
     si specchia anche gran parte della produzione artistica di Niccolò Circignani detto
     il Pomarancio, vissuto nella seconda metà del Cinquecento: dipinse affreschi
     mitologici nelle vaste sale del Palazzo Ducale della Corgna a Castiglion del Lago e
La storia                                                                                  21

Foto 3   lasciò opere in quasi tutte le chiese di Città della Pieve. C'è la sua traccia d'artista
         anche nel vicino santuario di Mongiovino insieme a quelle di Arrigo Van den
         Broeck, Johannes Wraghe e Giovan Battista Lombardelli.

         Arte moderna a cielo aperto

         Un altro lago, mistico e futurista, è evocato nell'ossessione paesaggistica
         dell'aeropittura di Gerardo Dottori. Quando era già un maestro riconosciuto,
         l'artista perugino provò a spiegare questo amore, nato negli anni dell'infanzia e
         dell'adolescenza: “Fui così preso da questa visione splendida che non l’ho più
         dimenticata, e nella maggioranza dei miei quadri è entrato come protagonista o
         come elemento secondario ma sempre presente, il mio bel Trasimeno”. Trasimeno
         come centro di ogni sogno e ogni ricordo, ombelico di ogni ispirazione: la passione
         di Gerardo Dottori si ritrova ancora nel ciclo di affreschi nella Sala del Consiglio nel
         Palazzo Comunale di Magione (foto 3), davanti alla famosa tavola raffigurante
         l’incontro tra Fra’ Giovanni da Pian di Carpine e il Gran Khan dei Mongoli. E in altre
         opere mirabili degli Anni Quaranta del Novecento: nella chiesa di San Cristoforo a
         Monte Sperello, con il dipinto dedicato al santo; dentro Santa Maria Annunziata a
22                                                                               La storia

     Montecolognola, con la cappella di Santa Lucia interamente affrescata. E nei dipinti
     a tema religioso nella chiesa magionese di San Giovanni Battista. Fino all'imponente
     dipinto murale di 84 mq realizzato a Tuoro, sulla superficie del catino absidale della
     Chiesa di Santa Maria Maddalena. Lo stesso Dottori considerò “La conversione della
     Maddalena” come il suo capolavoro: la scena della peccatrice redenta è collocata su
     un grande terrazzo da cui si domina il lago sottostante.

     Il percorso d'arte continua a Punta Navaccia di Tuoro in un museo particolare, nato
     all'aria aperta: Campo del Sole (foto 4). In un’area destinata a “verde pubblico attrez-
     zato”, proprio dove si aspettano i traghetti per le isole del lago, 28 artisti, di genera-
     zioni e paesi diversi, hanno esposto le loro opere: grandi colonne, in pietra serena,
     alte circa 4,5 metri per un diametro che varia tra i 70 e gli 80 cm, realizzate intorno a
     un monumento in arenaria scolpito da Pietro Cascella. Il cammino, a spirale, ricorda il
     “circolo di pietra” del sito neolitico inglese di Stonehenge. Così, nella quiete del lago,
     si passeggia in un luogo della memoria, tra alte colonne di “ricordo e meditazione”.

                                                                                                  Foto 4
La storia                                                                                      23

         Annibale e le altre storie

         La battaglia di Annibale. Il Trasimeno è un luogo dove ogni memoria sembra rie-
         mergere. A Villastrada, nei pressi di Castiglione del Lago, un gigantesco albero di
         ulivo di 2500 anni di età, è il muto testimone di grandi e piccole storie.
         L'ulivo millenario fu piantato intorno al V secolo avanti Cristo. Il tronco, tortuoso e
         imponente, misura più di 12 metri di circonferenza. E domina con la sua presenza gli
                                           altri alberi centenari, disposti tutt'attorno, quasi a
                                           volergli rendere omaggio.
                                           La pianta secolare aveva già salde radici all'alba del 21
                                           giugno del 217 a.C. quando a pochi chilometri di
                                           distanza, sulle colline di Sanguineto di Tuoro, Anniba-
                                           le, condottiero cartaginese, annientò l'esercito di
                                           Roma nella memorabile battaglia del Trasimeno.
                                           Nacque allora, tra quei fumi e nel crepitio dei fuochi, il
                                           mito di Annibale, il geniale ed enigmatico condottiero
                                           che una quindicina di anni dopo fu comunque
                                           costretto ad arrendersi alla potenza di Roma.

                                           Oggi i turisti possono rivivere il “Percorso storico-
                                           archeologico della Battaglia del Trasimeno” (foto 5) in
                                           tredici aree di sosta che ricostruiscono quello scontro
Foto 5                                     epocale e le intere vicende della seconda guerra puni-
                                           ca nell'affascinante scenario di un vero e proprio
         museo all'aperto. Nel Centro di Documentazione di Tuoro, vengono presentate, gra-
         zie agli ultimi studi geografici-storici e geofisici sul lago Trasimeno e ad un accurato
         studio delle fonti, dati scientifici che consentono di chiarire quale fu lo svolgimento e
         il teatro della battaglia. Vengono utilizzati allo scopo plastici, ricostruzioni video,
         filmati. E ogni anno, nel mese di agosto, cortei storici e rappresentazioni teatrali
         ricordano l'evento.

         Favolosi personaggi. Storie antiche, che il tempo non ha cancellato. Nemmeno nei
         nomi dei luoghi. Basta volgere lo sguardo a Castel Rigone, adagiato sulla cima del
         vicino Monterone, quasi a montare la guardia al panorama che abbraccia il grande
         lago. È l'antico Castrum Rigonis, il castello del barbaro Rigo, il luogotenente di Totila,
         il re degli Ostrogoti: nel 543 d. C. fece del paese il suo rifugio quando assediò Perugia
         per sette lunghi anni, fino alla resa per fame della città e al martirio del santo vescovo
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     Ercolano. Nella prima decade di agosto, ogni anno La Festa dei Barbari con il suo cor-
     teo storico, l'unico in Italia in costume gotico, rievoca la leggenda del feroce guerrie-
     ro che lo scorrere dei secoli ha reso familiare agli abitanti del paese.
     I segni della Storia riemergono anche seguendo le tracce dei signori della guerra: i
     capitani di ventura che nell'età medievale nacquero e trovarono rifugio tra Perugia e
     la Val di Chiana.
     Sulla facciata di un severo palazzo di Panicale sono ancora presenti gli stemmi di
     famiglia del terribile Boldrino: un gigante di più di due
     metri che pesava più di 130 kg, vissuto nella seconda
     metà del Trecento. Così amato dai suoi seguaci che
     anche dopo la morte, per tre anni, le sue soldatesche
     portarono in battaglia il cadavere imbalsamato dentro
     una bara. A Panicale, il pittore ottocentesco Marino Pier-
     vittori ha esaltato il momento di gloria del capitano di
     ventura nel sipario dipinto del piccolo ma splendido
     Teatro Caporali.
     Poco lontano, nel 1502, il Castello dei Cavalieri di Malta
     di Magione fu invece il teatro della celebre congiura
     contro Cesare Borgia detto il Valentino. Il complotto
     descritto da Niccolò Machiavelli ne “Il Principe” fu ordito
     dagli stessi capitani e alleati del figlio del papa. La ven-
     detta del duca fu spietata: i congiurati vennero strango-
     lati o costretti all'esilio.
                                                                                                  Foto 6
     A Castiglione del Lago e Città della Pieve, due maestosi
     palazzi progettati dall’architetto Galeazzo Alessi ricordano la figura di un altro formi-
     dabile guerriero: Ascanio della Corgna (1514-1571). Splendidi affreschi del Poma-
     rancio (foto 6 ) narrano le gesta di quello che fu a lungo considerato il più famoso spa-
     daccino del Cinquecento. Molto più che un signore della guerra, anche se si gettò
     con foga in tutti i conflitti della sua epoca cambiando bandiera spesso e volentieri.
     Ascanio fu anche un architetto, un raffinato umanista e mecenate. Ascanio ora è
     sepolto a Perugia, nella bella chiesa di San Francesco al Prato, proprio nei pressi della
     Porta Trasimena, costruita dagli Etruschi e aperta in direzione di quello che per secoli
     è stato ed è ancora oggi il “Laco de Peroscia”.

     Il giaciglio di San Francesco. È ancora vivo il ricordo del passaggio di San Francesco
     a Isola Maggiore. Nella biografia ufficiale del santo di Assisi, la “Vita Prima” di Tomma-
     so da Celano, è scritto: “Fece una quaresima in una isola del lago di Perugia, dove
La storia                                                                                      25

         digiunò 40 dì e 40 notti, e non mangiò più che un mezzo pane”. A ricordo
         dell'avvenimento vennero costruiti una chiesa e un convento e, su un masso, tuttora
         visibile, si narra ci siano le sue orme.
         Nei pressi di Castel Rigone si può ancora visitare una grande pietra che si dice sia
         stata il giaciglio del santo, seppure soltanto per una notte. A Laviano, un villaggio
         poco lontano da Castiglione del Lago, nel 1247 nacque invece Santa Margherita da
         Cortona, considerata la vera figlia spirituale di San Francesco.

                                        Il primo esploratore dell’impero dei mongoli. Un altro
                                        francescano, Giovanni da Pian del Carpine (l'attuale
                                        Magione) fu il primo europeo a visitare l'impero cinese
                                        e a descrivere gli usi dei Mongoli ben 27 anni prima del
                                        famoso viaggio di Marco Polo. Giovanni partì da Lione,
                                        in Francia, nel 1245 quando già aveva 65 anni. Dopo un
                                        viaggio durato due anni segnato da incredibili peripe-
                                        zie, consegnò al Gran Khan una lettera di papa Innocen-
                                        zo IV. Il resoconto della sua avventura aprì uno squarcio
                                        su un mondo lontanissimo e sconosciuto (foto 7 - Palaz-
                                        zo comunale di Magione).

                                         L’uomo che volava sulle acque. Meno nota è un'altra
                                         storia che ebbe il lago come teatro: quella del perugino
                                         Giovan Battista Danti, nato nel 1478, che sperimentò
Foto 7
                                         il volo umano librato prima di Leonardo da Vinci.
         Costruì grandi ali ferme con pelli, penne e ferri. Voleva sfruttare il favore del vento e le
         correnti ascensionali, come fanno oggi gli alianti o i deltaplani. La prima volta, assi-
         stito da un suo servitore, si lanciò da una altura dell'Isola Maggiore.
         Usava l’acqua del Trasimeno come pista di atterraggio. I suoi concittadini lo sopran-
         nominarono Dedalo, come il personaggio mitologico che accompagnava il volo del
         figlio Icaro. Ma Giovan Battista poi volò davvero, nel febbraio del 1498, davanti a una
         folla enorme, accorsa a Perugia per festeggiare il matrimonio di Pantasilea Baglioni
         con il celebre capitano di ventura Bartolomeo d'Alviano: imbracato nelle grandi ali di
         sua invenzione, volteggiò, per qualche minuto sui tetti della città dalla piazza centra-
         le della città fino alla Sapienza Nuova. Lo tradì la rottura della giuntura di un'ala:
         rovinò al suolo ma gli andò comunque bene. Si spezzò solo una gamba. Ma da allora
         rinunciò per sempre al suo sogno sovrumano.
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     Storie d’amore tra le isole e le rive. Una passione oltre la morte fu quella che nel
     primo Novecento unì il nobile possidente on. Guido Pompilj, impegnato con tutte
     le sue forze contro chi voleva prosciugare il lago e sua moglie, la poetessa di origine
     armena Vittoria Aganoor, una donna dal fascino magnetico con amicizie nei circoli
     intellettuali di tutta Europa. Vittoria morì, stroncata da un male incurabile. E Guido,
     sopraffatto dal dolore, si uccise il giorno stesso della scomparsa dell'amatissima
     moglie. Di Vittoria rimangono appassionate lettere e poesie delicate. In suo onore,
     dal 1998 il Comune di Magione organizza il Festival delle Corrispondenze, dedicato
     agli scambi epistolari di uomini e donne che hanno fatto la storia.

     La meraviglia dei castelli

     Specchio d'acqua al confine di mondi vicini e diversi: Antichi Umbri, Etruschi, Roma-
     ni. Popoli nemici, ma destinati a mescolarsi fino a fondersi in una civiltà comune.
     Nel VI secolo le acque del grande lago distavano appena una manciata di chilometri

                                                                                               Foto 8
La storia                                                                                      27

         dal cosiddetto “corridoio bizantino”, un territorio controllato dai Romani d'Oriente
         che attraversava le terre dei Longobardi tagliando in due parti la Penisola. La lunga e
         stretta striscia di terra univa due grandi capitali, Roma e Ravenna e assicurava i colle-
         gamenti tra il Tirreno e l'Adriatico.
         In quegli anni e lungo tutti i dieci secoli che chiamiamo Medioevo, il territorio peru-
         gino fu vegliato da più di duecento castelli. Molti svettano ancora, tra il verde delle
         colline e nel cuore dei piccoli centri abitati. Per scoprirli può bastare anche un giorno,
                                                            dall'alba al tramonto: il percorso, cir-
                                                            colare, costeggia il lago in senso ora-
                                                            rio, seguendo l'orologio di storie che
                                                            sembrano infinite.
                                                            Si parte da Vaiano, vicino Castiglione
                                                            del Lago, proprio sul crinale che sepa-
                                                            ra la Valdichiana dall'Umbria. Da lì pas-
                                                            sava l'unica strada di collegamento tra
                                                            Chiusi e Cortona. Una terra a lungo
                                                            contesa tra Siena e Perugia. E un confi-
                                                            ne precario, da difendere e sorveglia-
                                                            re. Così, l'una davanti all'altra, come
                                                            duellanti di pietra, a un centinaio di
                                                            metri di distanza, due torri doganali si
                                                            fronteggiano ancora in aperta campa-
                                                            gna. I senesi a mo' di sfida e per
                                                            mostrare i muscoli chiamarono il loro
Foto 9                                                      fortino “Beccatiquesto”. A meno di un
         anno di distanza, i perugini risposero con la costruzione di un altro torrione, chiama-
         to, per ripicca “Beccatiquestaltro”. La sfida silenziosa tra le due torri trecentesche sem-
         bra continuare ancora oggi.
         Una storia singolare, immortalata anche da Leonardo da Vinci nella “Veduta a volo
         d’uccello della Valdichiana”, una mappa disegnata fra il 1502 ed il 1503 e ora conser-
         vata negli archivi della Royal Library del castello di Windsor.
         A Castiglione del Lago, sul promontorio calcareo che anticamente costituiva la
         quarta isola del Trasimeno, è rimasta pressoché intatta la Rocca del Leone con le sue
         imponenti torri angolari, le tre porte del castello (Fiorentina, Senese e Perugina) e il
         mastio centrale a forma di triangolo, alto più di 20 metri. Un camminamento (foto 8)
         collega ancora il castello con il rinascimentale Palazzo dei Duchi della Corgna, oggi
         sede del Comune.
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     A pochi chilometri, su una altura ad occidente di Tuoro, tra gli ulivi e in posizione
     dominante, appare l'intatta cinta muraria della fortezza di Montegualandro. La stra-
     da che costeggia il lago conduce in fretta su un'altra altura: la fatica dell'ascesa è però
     ripagata dallo spettacolare panorama e dalla visione curiosa della millenaria torre di
     Vernazzano, che pende su un burrone, così inclinata che sembra precipitare nel
     vuoto. Di fronte, lo sguardo del viaggiatore corre all'Isola Maggiore e al castello
     Guglielmi (foto 9), il sogno neogotico di un marchese che sul finire dell'Ottocento
     volle edificare sui resti di un convento e di una chiesa francescana una costruzione
     fiabesca ispirata al castello di Neuschwanstein di re Ludwig II di Baviera. Il maniero
     porta ancora il nome di Villa Isabella, pegno romantico dell'amore di Guglielmi per la
     sua giovane moglie.
     A Passignano, passaggio obbligato fra Perugia e Arezzo, una poderosa fortezza lon-
     gobarda sovrasta ancora il centro storico (foto 10). Dal terrazzo posto in cima alla
     Torre della Rocca il panorama del lago è abbagliante. Sotto e tutto intorno, viuzze,
     ripide scalinate, altre torri, due porte ogivali e i resti di altri due castelli con la bella
     Torre dell'Orologio proprio al centro del paese.
     Il viaggio nel tempo continua davanti alla torre mozza di Torricella, alla superba
                                                                                                     Foto 10
La storia                                                                                     29

Foto 11

          rocca di Montecolognola e a Castel Rigone, posto all'incrocio cruciale di tre vallate:
          Trasimeno, Tevere e Niccone.
          A Magione, "La Badia", per secoli casa e luogo di sosta di papi, principi e sovrani, ha
          finito per dare il nome al borgo di Pian di Carpine: il castello dei Cavalieri di Malta in
          origine era solo un ospizio, utile al ristoro dei pellegrini medievali diretti a Roma o in
          Terrasanta attraverso la via Francigena. All'inizio del Duecento vi si insediarono i
          Cavalieri Templari. Nel Quattrocento fu ricostruito per intero. Con la sua rocca a pian-
          ta quadrata, i torrioni circolari e un cortile interno a logge sovrapposte su tre lati, è
          ancora oggi uno dei castelli più belli dell'Umbria. Un'altra torre, alta trenta metri,
          quella dei Lambardi (foto 11), sovrasta il centro abitato: dall'alto si gode il meraviglio-
          so panorama di tutta la vallata. E si possono avvistare altri palazzi, da Monte del Lago,
          antico villaggio di pescatori arroccato su una collina, fino alla rocca delle cinque torri
          dell'Isola Polvese.
          Sulla strada che porta a San Feliciano appaiono le fascinose rovine del castello di
          Zocco, edificato su un convento del Duecento. Insieme alla Rocca del Leone di Casti-
          glione del Lago era considerato il più importante castello del Trasimeno. I perugini lo
          fortificarono nel Quattrocento. Della struttura originale resta ben poco: alcuni tor-
          rioni, la porta ogivale e la cappella adibita a fienile. Poco oltre, appare l'alta torre
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     triangolare della fortezza di San Savino, un paese cresciuto intorno all'anno Mille
     vicino a un monastero.
     Il nostro “tour dei castelli” si conclude pochi chilometri oltre, davanti la Badia di
     Sant'Arcangelo, per secoli proprietà del potente monastero perugino di San Pie-
     tro. Nel XV secolo briganti e malandrini fecero del paese un rifugio serale per le
     loro scorribande intorno a una locanda chiamata, non a caso, Hosteriaccia. Ma poi
     il centro abitato rifiorì grazie a dei migranti del nord Europa che reduci da un Giu-
     bileo, decisero di fermarsi a vivere sulle rive del lago per coltivare fertilissimi terre-
     ni che erano stati abbandonati.

     La cintura delle torri

     Le antiche torri riemergono nell'anfiteatro naturale disegnato dalle colline. Domina-
     no la pianura sottostante da alture una volta strategiche: Monte Ruffiano, Monte
     Città di Fallera, Mongiovino, Montalera, Monte Melino, Monte Sperello. A sud, intor-
     no alla strada tra Perugia e Città della Pieve, un'altra cintura di rocche avvolge il gran-
     de lago: la fortezza longobarda di Gaiche; l'elegante Castiglion Fosco, a guardia della
     Valle del Nestore; il piccolo borgo fortificato di Oro; Greppolischieto, maniero
     dell'anno Mille; l’abbazia di S. Benedetto a Pietrafitta o “dei Sette Frati” per via di sette
     martiri figli di Santa Felicita e poi il paese medievale di Cibottola con la cinta muraria
     quasi intatta e un misterioso cunicolo lungo mezzo chilometro che dal cuore della
     fortezza fuoriesce a metà di una collina.
     Tra boschi, vigne e oliveti una volta svettava sicuro anche il castello di Piegaro, il
     borgo dei mastri vetrai del duomo di Orvieto. La vicina Paciano è abbellita ancora da
     splendidi torrioni uniti da seicento metri di mura insieme alla Torre d'Orlando che fa
     ancora da sentinella alla strada che porta fino alla severa fortezza di Panicale.
     Un'altra ripidissima salita conduce alla piccola collina di Agello, paese natale di San
     Pietro Vincioli, l'abate, fondatore del monastero benedettino di Perugia che ancora
     porta il suo nome. Un proverbio contadino recita: “Agello brutto si vede dappertut-
     to”. Dall'alto del torrione trecentesco, a 30 km in linea d'aria dal capoluogo, grazie ai
     segnali dei fuochi, il capoluogo poteva controllare un territorio strategico per la sua
     economia. Castrum Agelli, “granaio di Perugia”, per via delle sue ricche campagne.
La tradizione della pesca
La tradizione della pesca                                                                      33

Le tecniche di pesca

Pescare nell’antichità

La pesca in questo grande lago ad acque basse ha profonde e solide radici. La
navigazione con imbarcazioni scavate su tronchi d’albero è documentata già dal
Neolitico antico, VI millennio a.C.. Sempre al Neolitico si riferiscono i tre piccoli ami in
selce di pregevole fattura rinvenuti nel corso dell’Ottocento, che sono custoditi al
Museo archeologico di Arezzo e al Rivers Museum di Oxford. Un amo doppio in
rame, da ritenere un prototipo di strumenti poi realizzati in bronzo, tipici dell’età del
bronzo finale (1200-1000 a.C.) nonché alcuni ami e un ago in bronzo di epoca
romana, rinvenuti a seguito di scavi e dragaggi, sono custoditi presso il Museo della
pesca e del Lago Trasimeno di S. Feliciano.
La varietà delle forme dei pesi in terracotta, emersa a seguito di scavi e dragaggi
lungo le rive del lago e delle isole, non ha uguali nelle zone umide italiane indagate.
Questi manufatti venivano utilizzati per appesantire le reti da posta (forme ad
anello, lenticolari, cilindriche, discoidali e a goccia) e quelle a strascico (forme
cilindriche e trapezoidali).
Al Trasimeno erano presenti pescatori professionisti già alla fine dell’età del bronzo
quando si pescava utilizzando reti con pesi di fogge ormai standardizzate.

La cristianizzazione e la pesca dei tori

Durante il processo di cristianizzazione delle province romane maturarono cambia-
menti nel regime alimentare della popolazione. Il consumo maggiore di pesce, con-
centrato nel periodo quaresimale, rese necessario adottare nuove soluzioni.
Già in epoca imperiale Oppiano ed Eliano, scrittori greci, segnalano l’utilizzo di fasci-
ne di giunco e di canne, trattenute al fondo da grosse pietre, per attirare i pesci e
pescarli poi lì attorno con la lenza. Al Trasimeno, nel corso dell’Alto Medioevo, ripren-
dendo queste osservazioni, viene affinata una tecnica che dominerà l’economia
peschereccia per molti secoli. Gli impianti, costruiti su fondali di pochi metri, a poche
34                                                     La tradizione della pesca

                                                                                                    Foto 12
     centinaia di metri dalle rive sottovento rispetto alla tramontana, sono costituiti da
     grandi cumuli subacquei di fascine di quercia, detti “tuori” o “tori” (foto 12).

     Il primo documento, in cui questa tecnica di pesca è menzionata, è un atto di dona-
     zione dell’ottobre 1074, data in cui la fase sperimentale è da tempo superata ed i “to-
     ri” hanno già dimensioni considerevoli. La pesca iniziava il primo di novembre e si
     concludeva il sabato santo.
     I “tori” vengono disposti all’incrocio di rette ortogonali prese a vista incolonnando
     riferimenti sulla terraferma, per poter essere facilmente rinvenibili, essendo, come si
     è detto, completamente sommersi. All’interno di questi mucchi di fasci, negli anfratti
     tra le fronde, i pesci cercano riparo dai rigori dell’inverno. Catturarli richiede un’in-
     tera giornata di lavoro massacrante. L’equipaggio è composto da un capo barca e 8
     uomini di fatica. Utilizzano un grande barcone da carico (la nave) e un’imbarcazione
     di stazza inferiore (il navigiolo). Rinvenuto il “toro” da pescare, i pescatori lo circonda-
     no con grandi reti di canapa a maglie molto strette appese, con dei ganci di ferro, ad
La tradizione della pesca                                                                        35

                                           una palizzata circolare di pali infissi nel fondale. Fanno
                                           scendere il lembo inferiore della rete sul fondo del
                                           lago e con delle funi lo assicurano a una seconda
                                           palizzata costruita con lunghe pertiche all’interno
                                           della prima. A questo punto il “toro” è chiuso e gli uomi-
                                           ni tolgono dal fondo tutti i rami e le fascine. I pescatori
                                           spaventano i pesci per allontanarli dalla parte centra-
                                           le, tirano a sé le funi, sollevano fuori dall’acqua anche il
                                           lembo sommerso delle reti e lo agganciano ai pali
                                           interni. Si crea così una grande borsa circolare che con-
                                           tiene tutti i pesci. Ora occorre penetrare con la nave
                                           all’interno dello spazio d’acqua compreso tra le paliz-
                                           zate, raccogliere la rete, costringere il pesce in uno
                                           spazio sempre più ristretto e recuperarlo.

                                           L’età comunale e pontificia.
                                           Equilibrio tra sfruttamento e tutela delle
                                           risorse lacustri

                                          I “frutti delle acque del lago”, ovvero, i pesci, gli uccelli,
                                          le piante palustri…, garantivano introiti notevoli al
                                          bilancio del Comune di Perugia prima e dello Stato
                                          Pontificio poi.
                                          Nella Fontana Maggiore (1276-1278) vediamo rap-
                                          presentate la “Signora del Chiugi” e la “Signora del
                                          Lago” (foto 13), i veri pilastri dell’economia della città
                                          medievale. La cura estrema dell’ambiente lacustre,
Foto 13                                   compresi i boschi che lo cingono, le regole severe
          imposte dagli statuti e dagli atti di appalto (le cedole) garantiscono per secoli la pro-
          duttività di queste acque, regolando i tempi e i modi della pesca con pause tassative
          nei periodi di riproduzione e di primo accrescimento delle varie specie ittiche.
36                                                    La tradizione della pesca

     Oltre alla pesca dei “tori” un’altra tecnica di cattura con impianti fissi, soprattutto
     delle anguille, è quella delle arèlle, documentata dalla seconda metà del sec. XIII. Il
     luogo eletto è l’insenatura sud-orientale del lago, la Valle, in cui sono presenti folti
     canneti. Un centinaio di concessionari, nei loro appezzamenti, tagliano ampi canali
     perpendicolari alla riva (i cainoni), dove dispongono, al riparo dal vento, in lunghe
     sequenze, labirinti di canne palustri intrecciate, che conducono il pesce in trappole
     coniche di rete di canapa (tofe d’arèlla e martavèlle).

     Nel corso del secondo decennio del sec. XV i livelli del lago crescono sensibilmente.
     Nel 1421-1422 viene realizzato un emissario per favorire il deflusso delle acque. Il
     cunicolo ha una portata ridotta, è pieno di curve e strettoie e non riesce a svolgere al
     meglio la sua funzione occludendosi continuamente. Pescare con i “tori” diventa
     difficile. I pali, le reti, i barconi, i mucchi di fascine…, vengono sovradimensionati e
     gli impianti, ridotti di numero, vengono avvicinati a riva. La pesca dei “tori” viene
     abbandonata dopo la grandissima piena conosciuta dal lago tra la fine del sec. XVI e
     l’inizio del XVII di cui resta un segno nell’abitato di Passignano.

     Per rispondere a queste difficoltà viene introdotta una nuova tecnica con impianti
     fissi dedicata alla cattura della specie più abbondante, la lasca. Della pesca dei pòrti
     dà notizia il letterato laghigiano Matteo dall’Isola Maggiore nel suo poema epico
     Trasimenide del 1537. Egli li descrive come strutture a forma di pettine, composte da
     corridoi d’acqua affiancati a corridoi di fascine di quercia ed erica dove il pesce sem-
     pre in inverno cerca riparo. I fasci sono contenuti da palizzate di tronchi e pietre. Il
     tutto è appoggiato a riva.

     Almeno a partire dalla seconda metà del Settecento l’impianto si evolve. Dalla strut-
     tura a pettine si passa ad un corridoio singolo, diviso in due porzioni. La parte più
     produttiva è il porto vero e proprio. Posto sui fondali più alti, viene pescato con i bar-
     coni e le grandi reti di canapa fornite dall’Amministrazione del Lago che ne riceve in
     cambio metà del pescato (foto 14). I grandi possidenti investono su queste strutture
     che rendono più di un podere.
La tradizione della pesca   37

       Foto 14
38                                                       La tradizione della pesca

     Almeno dalla prima metà del Quattrocento al Trasimeno si pesca con una grande
     rete a strascico, il górro. Viene tirata nei tratti di riva liberi dalla vegetazione, alla foce
     dei fossi. Coloro che a riva recuperano le funi si aiutano con un canto ritmato di cui si
     è tramandata la memoria (foto 15). Questa pesca è rimasta in uso fino agli anni Trenta
     del secolo scorso.

     Foto 15
La tradizione della pesca                                                                      39

I pescatori

I pescatori hanno imparato a conoscere il lago, ad amarlo e a temerlo. Hanno appreso a
leggere i segni premonitori del vento, come quelli del cambiamento del tempo; sanno
costruire barche, navigare e orientarsi; hanno affinato tecniche di pesca che sfidano il
tempo. La categoria dei pescatori di professione ha avuto un ruolo importante
garantendo fino ad un recente passato un'accurata manutenzione delle sponde
lacustri, zone elette per la riproduzione del pesce. Con il coraggio delle idee occorre oggi
ripensare alla salute del Trasimeno come ad un investimento produttivo per aumentare
la pescosità di queste acque e tenere insieme natura e cultura, tradizione, innovazione e
sviluppo occupazionale. (E. Gambini)

I borghi lacustri del Trasimeno sono sempre stati caratterizzati dalla pesca e dalla
figura del pescatore: la pesca costituisce infatti l’identità stessa dei borghi, nati
laddove questo antico mestiere assicurava il sostentamento di numerose famiglie.
Ma spesso, specie a partire dalla seconda metà del novecento, la scelta non è stata
dettata solo da motivi economici, ma dal voler inseguire una definita visione della
vita, collegata al lavoro all’aria aperta, ma soprattutto alla libertà, al lavoro non
sottoposto a regole e vincoli come quello subordinato.

Ed è la passione per questo lavoro e per questa modalità di vita che fa superare tutte
le fatiche, l’aleatorietà del reddito, la solitudine, la perenne competizione tra gli
stessi pescatori e la continua sfida con gli elementi naturali come il vento, la pioggia
e la nebbia. Una professione che continua, con ritmi e cadenze che sembrano
scontrarsi con i moderni e frenetici stili di vita. Un comparto produttivo, infatti che,
pur non avendo i numeri dei primi anni ’60 del novecento, in cui vi erano circa 500
pescatori professionisti, interessa circa 40 pescatori con un avvicinamento
all’attività anche di giovani, non necessariamente figli di pescatori.
Pescatore il cui ruolo, a motivo delle profonde conoscenze della natura del lago,
acquisite o tramandate, e della mutata attenzione verso l’ambiente e la sostenibilità,
si è evoluto diventando quello di vero custode e sorvegliante della salute del lago.
Ma il ruolo e le vite dei pescatori sarebbero state più dure senza la presenza delle
40                                                    La tradizione della pesca

     cooperative di pescatori, oggi quelle di San
     Feliciano e di Panicarola, vero punto di riferimen-
     to per chi voglia approfondire la conoscenza e le
     tradizioni del mondo della pesca nel lago
     Trasimeno.
     Nel 2018, la “Cooperativa Pescatori del Trasime-
     no” di San Feliciano ha festeggiato il suo 90° anni-
     versario ed in tale occasione è stato pubblicato
     un apposito ed interessante volume, edito da
     Morlacchi e scritto da Claudio Marinelli ed
     Ermanno Gambini, che, come intesta appunto la
     prefazione, è un vero spaccato sui “valori e il sapo-
     re di una storia” del lago. La Cooperativa Pescato-
     ri del Trasimeno lavora sul modello esemplare
     della filiera corta. Il pescato arriva freschissimo
                                                                                                 Foto 16
     nel laboratorio di San Feliciano: in poche ore il pesce fresco viene eviscerato, raschia-
     to, filettato, se è il caso affumicato e quindi congelato e confezionato in recipienti
     ermetici prima di essere stoccato nei moderni magazzini. Dalla rete alla tavola, dal
     pescatore al consumatore. In poche ore. L'impresa dà lavoro, di fatto, a quasi duecen-
     to persone e ogni giorno mette in moto una economia circolare, “naturale” e sosteni-
     bile, alimentata dalla innovazione e dalla conoscenza dei prodotti.
     Grazie all’insostituibile ruolo delle cooperative il pesce del lago Trasimeno, ed il lago
     nel suo complesso, sta vivendo una fase di sviluppo e valorizzazione, migliorando di
     conseguenza le condizioni economiche e la qualità della vita dei pescatori ed offren-
     do ai giovani opportunità di lavoro. Cooperative quindi quali unici soggetti in grado
     di gestire non solo le varie operazioni di tipo burocratico ma, consapevoli del fatto
     che la pesca fa parte di una filiera più ampia e complessa, l’intero processo di moder-
     nizzazione di un settore che, pur non recidendo il suo legame con la tradizione, sta
     vivendo profonde trasformazioni. Quindi un ruolo fondamentale nell’evoluzione e
     nel riconoscimento del ruolo del pescatore del lago Trasimeno, non solo in termini di
     produttività ma anche in termini sociali quale categoria di sostegno nel campo
     dell’occupazione, dell’alimentazione, dell’ambiente, del turismo e della cultura.
     Al Museo della pesca e del Lago Trasimeno di San Feliciano (foto 16) è possibile cono-
     scere le caratteristiche geo-fisiche e geografico-storiche di questo antichissimo
     lago, insieme alla lingua e alla cultura materiale dei suoi pescatori, un vero spaccato
     del rapporto tra l’uomo ed il lago.
Il pesce del lago Trasimeno
Il pesce del lago Trasimeno                                                                      43

Pesce per papi,
principi e popolani
A San Feliciano fino a qualche decennio fa, al calar del sole, gli uomini, le donne e i bambi-
ni ancora lavoravano per “strigà le réti”: lo strumento quotidiano del pescatore prendeva
forma in fretta grazie alla canapa macerata sull'acqua e a “ l'aco”, l'apposito ago che insie-
me allo “nnòlbo”, un pezzo di cannuccia, serviva a far sì che le maglie venissero tutte della
stessa lunghezza. Con le altre piante palustri si costruivano le corde e le ceste dove, oggi
come allora, al ritorno delle barche, guizzano ancora persici trota, latterini, persici reali,
carpe, anguille, tinche e lucci. (F. Fioravanti)

Sono molte le specie di pesce presenti nelle acque del Lago Trasimeno. Ma all’appello
manca la lasca, scomparsa negli Anni Sessanta del Novecento. Eppure una volta era il
pesce del lago per eccellenza. Pieno di lische ma facile da catturare. Una parola così
presente nella vita di tutti i giorni da essere utilizzata in vari modi di dire del dialetto
perugino. Ancora oggi, per descrivere di un tizio dai riflessi appannati, reduce da una
sbornia o addirittura innamorato, a Perugia si dice: “C'ha ‘na lasca...”. Per descrivere un
forte schiaffo o un cazzotto si dice anche "prendere una lasca". E dagli anni Settanta "la
Lasca del Lago" è pure un famoso dolce alle mandorle, a forma di pesciolino, inventato
dalla storica pasticciera perugina Carla Schucani.
Nel Medioevo quintali di lasche invadevano i mercati del pesce di Perugia, dell'Umbria
e della Toscana e arrivavano fino ad Ancona dove facevano concorrenza anche al
pesce di mare.
Il pesce serviva alle tavole degli umili ma anche agli intrighi della politica. Quello pre-
giato veniva inviato dai priori, con regolarità ai cardinali, agli ambasciatori e ai pontefi-
ci romani, interessati protettori della città di Perugia.
Nel 1342, la pesca sul Trasimeno era stata regolamentata con precise disposizioni,
riportate nel quarto libro dello Statuto del Comune di Perugia. Norme severe negava-
no la pesca agli abitanti di Cortona, prevedevano il divieto di gettare le reti dal 1mag-
gio al 29 settembre, precisi spazi di pesca per ogni paese, la presenza continua di guar-
die per punire i trasgressori e la disposizione di ripopolare il lago, ogni anno, con
10.000 anguille. Anche perché le pregiate carni del pesce di lago, grasse e saporite,
44                                                   Il pesce del lago Trasimeno

                                                              venivano consumate in grandi
                                                              quantità: cucinate allo spiedo, alla
                                                              griglia o in umido, comparivano
                                                              quasi ogni giorno, sia fresche che
                                                              affumicate, sulle altolocate tavole
                                                              di papi, principi, nobili e condottie-
                                                              ri. Nei registri del convento della
                                                              Santissima Annunziata, la chiesa
                                                              del cuore dei fiorentini, annotazioni
                                                              vergate agli inizi del Quattrocento,
                                                              ci informano invece sugli acquisti di
                                                              enormi partite di pregiate tinche
                                                              del “lago di Perugia” per le cene lus-
                                                              suose con le quali, ogni 25 marzo,
     veniva festeggiato il capodanno fiorentino. Per altre tavole, quelle popolari, sia a Peru-
     gia che nelle altre città dell'Italia centrale, il Trasimeno, grande e prezioso serbatoio di
     cibo, rappresentava una vera e propria assicurazione contro lo spettro della fame. Una
     scultura della meravigliosa Fontana Maggiore rappresenta la città come una matrona
     dallo sguardo fiero rivolto verso l'orizzonte: accanto ha una cornucopia, simbolo del
     grande potere economico e politico raggiunto da Perugia nella seconda metà del Due-
     cento. Ai suoi fianchi, i territori sottomessi: la signora di Chiusi che porta il grano e quel-
     la del Trasimeno, la "Domina laci" raffigurata nell'atto di offrire alla città le lasche e le
     tinche che mostra sul grembo.
     Fazio degli Umberti, nel Trecento, con i suoi versi, cantava la città operosa: "E traver-
     sammo per veder Perugia / Il suo contado un ricco lago serra /Il qual è si fornito di buon
     pescie / Ch’assai ne manda fuor de la sua terra".
     Pio V nel 1566 emanò un altro “Regolamento per il Lago” nel quale previde delle gabel-
     le per il pesce pescato ma esentò dalla tassa i frati minori di Isola Maggiore. Birri e
     gabellieri, i pubblici ufficiali incaricati delle riscossioni, inseguivano di continuo i tanti
     contrabbandieri. Una regola era tassativa: il pesce doveva essere inviato soltanto a
     Perugia per poi essere smerciato verso altre eventuali destinazioni.
     Ai Priori, signori della città, spettavano di diritto, ogni anno, 300 libbre di pesce, tra
     tinche e lucci. Il Tesoriere, alto magistrato perugino, riservava per sé altre 200 libbre di
     pescato.
     Trenta some al giorno arrivavano ogni giorno in città. Nel “mare di Perugia” ogni anno
     si pescavano più di 25mila quintali di pesce. Anche perché tra i quaranta giorni della
     Quaresima e gli altri giorni di vigilia, per almeno 120 giorni all'anno l'unica alternativa
Il pesce del lago Trasimeno                                                                    45

al digiuno era il consumo di pesce.
Soma dopo soma, ogni giorno di mercato, il pesce del Trasimeno arrivava a Perugia.
Un traffico ininterrotto: la cosiddetta “via del pesce” partiva da Porta Trasimena, una
delle sette porte di accesso all'antica città etrusca, proprio all'inizio di Via dei Priori,
appena sotto l'acropoli cittadina.
L'originale arco a tutto sesto diventò ogivale nel XIV secolo. E in alto, oltre alla croce,
sulla bella porta spuntò un sagittario vicino a una specie di mezzaluna: era il rilievo di
una umile e spinosa lasca, omaggio imperituro al pesce tipico del Trasimeno. Così
amato dai perugini da diventare quasi un simbolo della città, un patrimonio collettivo.
La lasca identificava, “tout court” gli abitanti dell'Augusta Perusia. Gli esempi letterari
non mancano.
Sacchetti in un breve racconto del suo “Trecentonovelle” composto alla fine del XIV
secolo, parla di un pittore, Buonamico di Cristoforo, detto Buffalmacco, che era stato
incaricato dal governo di Perugia di dipingere l’immagine di S.Ercolano, patrono della
città, su una parete di una piazza cittadina.
I perugini criticavano l'eccessiva lentezza con la quale quell'artista forestiero portava
avanti il lavoro. Così Buffalmacco pensò di vendicarsi delle offese nemmeno tanto vela-
te e incoronò la figura del santo “non d’alloro, come i poeti, non di diadema, come i santi,
non di corona d’oro, come li re”, ma con una ghirlanda di lasche, “delle maggiori che mai
uscissino del lago”.
Il pesce del lago Trasimeno                                                              47

Le specie ittiche

Un insieme di saperi, un insieme di natura, cultura e tradizione, che, unitamente alla
qualità delle acque, garantisce un prodotto di qualità, eccellente da gustare in abbi-
namento con i vini doc e gli oli dop del territorio.
Il lago Trasimeno, anche a motivo delle acque poco profonde e ricche di sali minerali,
è, infatti, molto ricco di vita, sia animale sia vegetale.
Per quanto concerne la fauna ittica, caratterizzata dalla presenza di specie indigene
e non, con momenti di espansione di alcune specie e contrazioni/estinzioni di altre,
si riportano alcuni dei protagonisti più eccellenti.
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