L'ordinamento amministrativo inglese alla luce delle garanzie previste dalla CEDU - Sipotra

Pagina creata da Nicolo Negri
 
CONTINUA A LEGGERE
ISSN 1826-3534

           FOCUS HUMAN RIGHTS
             5 FEBBRAIO 2020

L’ordinamento amministrativo inglese
        alla luce delle garanzie
         previste dalla CEDU

                      2 Pangallozzi
        di Maria Cristina
     Assegnista di ricerca in Istituzioni di diritto pubblico
                 LUISS Guido Carli – Roma
L’ordinamento amministrativo inglese alla luce
         delle garanzie previste dalla CEDU *
                                  di Maria Cristina Pangallozzi
                           Assegnista di ricerca in Istituzioni di diritto pubblico
                                       LUISS Guido Carli – Roma

Abstract [It]: Le vicende che interessano il Regno Unito e i suoi rapporti con l’Unione Europea e le norme
convenzionali hanno offerto uno spunto di riflessione circa l’effettiva portata delle garanzie cedu in materia di
giusto processo e di effettività della tutela giurisdizionale nell’ordinamento britannico. Nel tentativo di
comprendere il rapporto tra piano sovranazionale e interno, pertanto, l’articolo si propone di esaminare la natura
dello hra e gli effetti sortiti dalla sua implementazione, sia in termini di garanzie procedimentali, sia in ottica di
sindacato rimesso al giudice nel giudizio di judicial review. Il fine è quello di valutare il grado di tutela
complessivamente garantita alle ragioni dei cittadini nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni.

Abstract [En]: Several events have been affecting United Kingdom and its relations with eu and echr rules so far.
Such circumstances have prompted the opportunity to think about the effective implementation of the guarantees
provided by the hra. Thus, in an attempt to understand relationships between the supranational and domestic
levels, the article aims to examine the nature of the hra and the effects arising from its incorporation, both in terms
of protection afforded by decision-making procedures and judicial review proceedings. The overall aim is to assess
the degree of protection provided to citizens’ rights vis-à-vis the public bodies.

Sommario: 1. Premessa. 2. La complessa natura e il dibattito sull’adozione dello Human Rights Act (hra). 3. La
normativa di recepimento e il suo rapporto con il diritto euro-convenzionale. 4. L’influenza della cedu sul diritto
amministrativo inglese: il canone dell’articolo 6§1. 5. L’ampliamento della nozione di «civil right» e il
riconoscimento di posizioni di diritto a fronte dell’esercizio del potere. 6. Indipendenza e imparzialità dell’autorità
decidente: il problema della natura ibrida dei tribunals. 7. Il rapporto tra potere giurisdizionale, discrezionalità e
merito: il canone della «full jurisdiction» nei procedimenti di judicial review. 8. Una nuova declinazione per l’illegality
e la contestualizzazione del canone di Wednesbury unreasonabless. 9. Quali sviluppi per le garanzie convenzionali del
giusto processo ed effettività della tutela giurisdizionale?

1. Premessa
La disciplina della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (cedu) vede la sua piena operatività
nell’ordinamento inglese solo all’indomani del recepimento delle previsioni convenzionali mediante
l’emanazione dello Human Rights Act (hra). Una «incorporazione» esito di travagliati passaggi politici e
altrettante applicazioni giurisprudenziali, dalla natura ancora discussa quanto alla sua concreta ed effettiva
realizzazione.
Per quel che riguarda il diritto amministrativo, gli studi finora condotti in materia hanno evidenziato a
più riprese come la cedu non prenda espressamente in considerazione la materia, benché sia stato

*   Articolo sottoposto a referaggio.

100                                             federalismi.it - ISSN 1826-3534                              |n. 3/2020
dimostrato come il diritto euro-convenzionale sia in grado di incidere, anche profondamente, all’interno
degli ordinamenti amministrativi nazionali che ne hanno recepito i principi1.
La norma di riferimento è quella di cui all’articolo 6§1 cedu, rispetto alla quale è stato osservato come le
garanzie ivi fissate non operino soltanto nel contesto civile e penale, ma anche in ambito amministrativo,
a fronte dell’ampio novero di situazioni giuridiche tutelate dalla medesima. Inoltre, di recente, è stato
segnalato come l’efficacia della disposizione si manifesti non solo nella fase processuale strettamente
intesa, ma nell’ambito di qualsiasi iter procedimentale genericamente considerato (decision making process),
in cui sia coinvolta una pubblica autorità. In tal senso, di conseguenza, le garanzie convenzionali sono
state ritenute applicabili anche al procedimento - e non solo al processo - amministrativo2.

1 Sull’influenza della CEDU in diritto amministrativo, i contributi nazionali che hanno affrontato il tema sono numerosi.
In particolare, si segnalano i primi rilievi di S. CASSESE, Le basi costituzionali, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto
amministrativo, p.te generale, vol. I, Milano, 2003, pp. 173 ss., qui 220 ss.; G. GRECO, La Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e il diritto amministrativo in Italia, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2000, pp. 25 ss.; M. INES, The Application of European
Convention on Human Rights in Italian Administrative Law, in Eur. Rev. Publ. Law, 2001, pp. 529 ss.
Più di recente, si vedano gli studi di M. ALLENA, Art. 6 CEDU. Procedimento e processo amministrativo, Napoli, 2012; ID.,
La rilevanza dell’art. 6, par. 1, CEDU per il procedimento e il processo amministrativo, op. cit., pp. 569 ss.; ID., L’art. 6 CEDU
come parametro di effettività della tutela procedi mentale e giudiziale all’interno degli Stati membri dell’Unione Europea, in Riv. it. dir.
pubbl. com., 2012, pp. 267 ss.; F. GOISIS, Garanzie procedimentali e Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo, in Dir.
proc. amm., 2009, pp. 1338 ss.; S. MIRATE, Giustizia amministrativa e Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’ «altro» diritto
europeo in Italia, Francia e Inghilterra, Napoli, 2007; F. APERIO BELLA, Tra procedimento e processo. Contributo allo studio delle
tutele nei confronti della pubblica amministrazione, Napoli, 2017, pp. 207 ss.; C. FELIZIANI, Giustizia amministrativa,
amministrazione e ordinamenti giuridici. Tra diritto nazionale, diritto dell’Unione europea e Cedu, Napoli, 2018; F. FOLLIERI, La
giurisdizione di legittimità e full jurisdiction. Le potenzialità del sindacato confutatorio, in B. Giliberti (a cura di), Il controllo di full
jurisdiction sui provvedimenti amministrativi, Napoli, 2019, pp. 243 ss In generale anche F. FRANCARIO – M.A. SANDULLI,
La sentenza ingiusta e i suoi rimedi, Napoli, 2018; M. SINISI, Il giusto processo amministrativo tra esigenze di celerità e garanzie di
effettività della tutela, Torino, 2017. In particolare, sulla questione dell’influenza che il diritto euro-convenzionale esercita
attraverso le disposizioni di cui all’art. 6§1 CEDU nei confronti tanto del processo, quanto del procedimento
amministrativo, si v. A. CARBONE, Il contraddittorio procedimentale. Ordinamento nazionale e diritto europeo-convenzionale,
Torino, 2016; ID., L’art. 6 CEDU e il giusto processo e procedimento amministrativo. Differenze applicative all’interno degli Stati
europei, in DPCE, 2019, pp. 2137 ss.
Dalla prospettiva dell’ordinamento anglosassone, tra gli altri, il riferimento è alle analisi condotte da D.J. HARRIS – M.
O’BOYLE – E.P. BATES – C.M. BUKLEY, Law of the European Convention on Human Rights, Oxford, 2009, pp. 201 ss.
e pp. 228 ss.; D. PANNICK – B. PANNICK, Human Rights Law and Practice, LexisNexis, 2009; F. G. JACOBS - R.C.A.
WHITE – C. OVEY, The European Convention on Human Rights, Oxford, 2010, pp. 242 ss.; J. GERARDS – J. FLEUREN
(a cura di), Implementation of the European Convention on Human Rights and of the judgements of the ECtHR in national case-law,
Intersentia, 2014; W.A. SCHABAS, The European Convention on Human Rights. A Commentary, Oxford, 2015.
2 È quanto statuito dalla Corte EDU a partire dal noto caso Le Compte, Van Leuven and De Meyere v. Belgium, 23 giugno

1981. In tale contesto, i giudici di Strasburgo sostengono che nell’ambito di controversie di diritto pubblico, le garanzie
stabilite dalla norma dovrebbero trovare applicazione già in sede di composizione degli interessi e quindi in ambito
procedimentale. Sul tema della rilevanza dell’art. 6§1 CEDU in ordine all’individuazione delle garanzie procedimentali
in favore dei singoli, si v. G. DELLA CANANEA, Al di là dei confini statuali. Principi generali del diritto pubblico globale,
Bologna, 2009; M. ALLENA, Garanzie procedimentali e giurisdizionali alla luce dell’art. 6 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, disponibile su www.giustamm.it; M. COCCONI, Il giusto procedimento
come banco di prova delle garanzie procedurali a livello europeo, in Riv. trim. dir. pubbl. comunit., 2010, pp. 1127 ss.; M. PACINI,
Diritti umani e amministrazioni pubbliche, Milano, Giuffrè, 2012, pp. 99 ss.; A. CARBONE, Il contraddittorio procedimentale, op.
cit.

101                                                    federalismi.it - ISSN 1826-3534                                         |n. 3/2020
Dall’entrata in vigore dello hra, la normativa convenzionale ha avuto profondi effetti sull’ordinamento
inglese, provocando significativi mutamenti e altrettanti contrasti all’interno del medesimo. È quindi nella
composizione tra le due opposte realtà che si inserisce la presente analisi, volta a evidenziare come tanto
nell’azione e nell’organizzazione, quanto nel sindacato del giudice sui provvedimenti adottati dalle
Pubbliche Amministrazioni, nel Regno Unito, debbano essere tenuti in considerazione due paradigmi. Il
primo, è quello costituito dai tradizionali principi e regole di diritto comune. Il secondo, è quello relativo
ai canoni richiesti dalla disciplina cedu ed elaborati, nella sua applicazione, dalla giurisprudenza della Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte edu).
Nel tentativo di comprendere il rapporto tra piano sovranazionale e interno, pertanto, si procederà ad
esaminare, in primo luogo, le previsioni dello hra, volte a coordinare le statuizioni sui diritti garantiti dalla
Convenzione con i principi di diritto comune, dando conto preliminarmente dello scenario che ne ha
permesso l’emanazione. In secondo luogo, si valuteranno gli effetti che l’entrata in vigore dello hra ha
avuto sull’ordinamento inglese, rendendo operativi in via diretta, in particolare, i canoni di cui all’articolo
6§1 cedu. Effetti che si manifestano con riferimento almeno a quattro aspetti: il novero delle posizioni
giuridiche tutelate; i caratteri dell’autorità decidente; il potere di sindacato del giudice sui provvedimenti
delle Pubbliche Amministrazioni; oltre che l’ampiezza ed incisività del medesimo sindacato.

2. La complessa natura e il dibattito sull’adozione dello Human Rights Act (hra)
Benché il Regno Unito sia stato uno dei primi Paesi a ratificare la cedu, è significativo come abbia
impiegato un tempo considerevolmente maggiore per far sì che i principi in essa contenuti fossero recepiti
nell’ordinamento interno3.

3 Il riferimento è al Regno Unito in generale, in quanto la disciplina dello HRA è operativa in Inghilterra, Scozia, Galles
e Irlanda del Nord. Tuttavia, si osserveranno con maggiore attenzione le conseguenze che la normativa ha sortito con
riferimento, in particolare, all’Inghilterra. Il Governo britannico ha ratificato la CEDU l’8 marzo 1951 e la stessa ha
iniziato a spiegare i propri effetti, quale trattato internazionale, su tutto il territorio del Regno Unito a partire dal 3
settembre 1953. Tuttavia, al momento della ratifica, non sono stati recepiti anche tutti i Protocolli allegati alla
Convenzione. In particolare, il riferimento è ai nn. 4, 7 e 12, contenenti diritti e garanzie considerati non coerenti (e
pertanto non trasponibili all’interno) con l’ordinamento nazionale. Cfr. Home Office White Paper, «Rights Brought Home:
The Human Rights Bill», October 1997; oltre che S. BESSON, The Reception Process in Ireland and United Kingdom, in H.
Keller e A. Stone, A Europe of Rights, Sweet & Maxwell, 2006, pp. 30 ss. Sull’importanza di prevedere una protezione dei
diritti convenzionali anche attraverso leggi ordinarie, contribuendo alla creazione di un’Europa più unita, si v. G.
MARSON, The United Kingdom’s Part in the Preparation of The European Convention on Human Rights, in International and
Comparative Law Quarterly, 48/1993, pp. 796 ss.; A.H. ROBERTSON – J.G. MERRILS, Human Rights in Europe, III ed.,
Manchester, 1993. Sulla politica internazionale e britannica relativa alla CEDU e alla sua implementazione negli
ordinamenti nazionali, si v. W.B. SIMPSON, Human Rights and the End of Empire - Britain and the Genesis of the European
Convention, Oxford University Press, 2001; R. BLACKBURN, The United Kingdom, in R. Blackburn, J. Polakiewicz (a cura
di), Fundamental Rights in Europe, the ECHR and its Member States, 1950-2000, Oxford University Press, 2001, pp. 935 ss.,
qui pp. 936-938.

102                                             federalismi.it - ISSN 1826-3534                              |n. 3/2020
Durante i primi anni dalla sua ratifica, inoltre, l’impatto della Convenzione sul diritto britannico si è
dimostrato abbastanza limitato. Infatti, l’operatività della disciplina in ambito nazionale restava rimessa
all’apprezzamento del giudice con riferimento alla singola controversia, fungendo da mero standard
interpretativo, eventualmente applicabile in via indiretta4.
Solo sul finire del secolo scorso, aumenta il numero di casi annui in cui i giudici britannici iniziano ad
applicare i principi di matrice convenzionale a scopo interpretativo (c.d. Convention compliant), tanto da
aver indotto la dottrina a ragionare già allora di una ‘incorporazione’ della cedu, sebbene «through the
back door»5. Tuttavia, la persistente assenza di un formale atto di recepimento della normativa
convenzionale, per lungo tempo, non ha permesso di risolvere problematiche di ambiguità e di carenza
nella tutela sul fronte dei diritti. Si trattava di necessità emergenti soprattutto nell’ambito delle
controversie nelle quali fosse in questione la legittimità dell’azione amministrativa6.
Anche per le ragioni finora sinteticamente richiamate, al legislatore inglese è allora parsa chiara la necessità
di dare concreto (e finalmente) seguito all’ingresso della cedu nell’ordinamento nazionale. Un fenomeno
quest’ultimo a cui però ha fatto seguito un lungo dibattito (per la verità, non ancora del tutto sopito) circa

4  Un rilievo che ha condotto ad evidenziare come, in sede di giudizio, sia i giudici che i difensori citassero la
giurisprudenza della Corte EDU più in ottica comparata (o per rafforzare la presunzione di conformità del diritto inglese
alla normativa convenzionale), che come disciplina in sé operante anche all’interno del contesto nazionale. Sul tema si
veda l’opinione espressa da S. BESSON, The Reception Process in Ireland and UK, in A Europe of Rights, op. cit., 48. In
particolare, laddove sostiene che «at times, lawyers would quote the ECtHR’s case law in their submissions, and judges
would apply principles analogous to those in the European Court’s judgements, but they did so usually to state the
conformity of British law with the Convention. Courts that invoked the ECtHR’s case law did so just as they did for
comparative law more generally, as they might cite a ruling of the US Supreme Court, for example». Dello stesso avviso
è Lord Nolann in R v Khan [1996] 3 All. E.R. 289, punto 302.
5 L’espressione è usata da F. KLUG – K. STARTER, Incorporation through the back door?, in Public Law, 1997, pp. 223 ss.;

M. BELOFF – Q.C. H. MOUNTFELD, Unconventional Behaviour? Judicial uses of the European Convention in England and
Wales, in European Human Rights Law Review, Issue 5, 1996; M. HUNT, Incorporation through the back door?, Hart Publishing,
1997, pp. 163. Sebbene tale ricostruzione di recepimento ‘indiretto’ della Convenzione sia stata ben presto smentita dai
dati relative all’influenza dei principi CEDU sull’interpretazione dei giudici a scopo decisionale, a causa di una (ancora)
persistente assenza di un connotato di vincolatività (binding) della Convenzione nel diritto interno, come successivamente
evidenziato da F. KLUG, Incorporation through the ‘front door’: the first year of the Human Rights Act, in Public Law, 2001, pp.
654 ss., qui p. 655. Tra i casi più rilevanti di interpretazione conforme alla Convenzione, si ricordano: R v Miah [1974] 1
WLR 683; R v Secretary of State for the Home Department ex parte Phansopkar [1976] 1 QB 606; Home Secretary ex parte Brind
[1991] 1 AC 696 dove, in particolare, si statuisce il dovere in capo ad ogni pubblica autorità di tenere conto della disciplina
convenzionale in sede interpretativa e di conformarvisi ove possibile. Il leading case per l’applicazione del modello di
giudizio interpretativo secondo Convenzione è il caso Derbyshire County Council v Times Newspapers [1992], 1 QB 770, Court
of Appeal e [1993] AC 534, House of Lords. Per quel che riguarda, poi, l’invocazione della Convenzione nell’ambito della
judicial discretion, il giudizio di riferimento è Attorney General v Guardian Newspapers (Spycatcher) [1987] 1 WLR 1287,
nell’ambito del quale il riferimento al diritto convenzionale è stato invocato a tutti i livelli di giudizio nel corso della
controversia.
6 Infatti, come è chiaramente espresso nel caso ex parte Brind [1991], 718: «While it was a duty to have regard to the

Convention, this did not entail a duty to fully apply the latter. As a result, Convention-compliant interpretation was
never extended to the exercise of discretionary powers conferred upon public bodies. The reverse would have involved
imputing to Parliament ‘an intention to import the Convention into domestic law through the back door when it has
quite clearly refrained from doing so by the front door’, by granting discretionary powers».

103                                              federalismi.it - ISSN 1826-3534                                 |n. 3/2020
la scelta del modello e dello strumento giuridico-normativo da impiegare per il recepimento della
disciplina convenzionale.
La questione ha riguardato, essenzialmente, la scelta tra l’adozione di un Bill of Rights, entro cui fissare le
classi di diritti ritenuti fondamentali per la tenuta dell’ordinamento giuridico e civile inglese, e una
soluzione, invece, meno ‘radicale’, comunque aggiornabile e formalmente non definitiva, come quella
data dall’emanazione di una legge ordinaria che disciplinasse la materia7.
Nonostante la scelta del percorso costituzionale intrapresa da altri ordinamenti europei, di tradizione pure
vicina a quella britannica (come, per esempio, l’Irlanda), l’opzione in favore dell’adozione di una Carta
che incorporasse i diritti della persona, già riconosciuti a livello internazionale, è stata reputata
«impossibile» per il Regno Unito8.
La querelle sul tema ha mostrato profili particolarmente complessi. Essa interseca, infatti, la risalente
alternativa tra i diversi modelli ordinamentali tipici delle tradizioni giuridiche anglosassoni ed europeo-
continentale. In particolare, è stato messo in luce come l’adozione di un atto o di una ‘carta’ a cui attribuire
una forza normativa preminente rispetto a qualsiasi altra fonte, avrebbe avuto l’effetto di condurre ad un

7 La questione della scelta relativa all’emanazione di una ‘carta dei diritti’ dal valore costituzionale per il Regno Unito è
parte di una discussione antica, che risale almeno già a due secoli fa, e scatenatasi all’indomani della pubblicazione del
testo di Tom Paine, «Rights of Man» (1791), in cui era integralmente riportato il testo della Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino, emanata in Francia a seguito della Rivoluzione. A partire dalla fine degli anni Sessanta del
secolo scorso, poi, numerose iniziative hanno di nuovo affrontato il tema. Il riferimento è, inizialmente, alla Selected
Committee on Bill of Rights, istituita dalla House of Lords nel 1977-78. Poi, durante il governo Thatcher si sono registrati
ulteriori tentativi per l’emanazione di un Bill of Rights e per l’incorporazione nello stesso dei diritti sanciti nella CEDU
(European Human Rights Convention Bill, 1983-84; The Human Rights and Fundamental Freedoms Bill, 1985-86; Human Rights
Bill, 1986-87). Successivamente, si ricordano i tentativi del Labour Party (sotto la guida di John Smith) orientati a
realizzare una radicale riforma costituzionale all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso. Una riforma da realizzare
attraverso un «two-stage approach», di cui la seconda iniziativa era proprio quella di procedere all’emanazione di una
Carta nazionale dei diritti fondamentali (National Bill of Rights), dal valore essenzialmente costituzionale. Tuttavia, lo
stesso partito, uscito vittorioso dalle elezioni del 1997, con alla guida Tony Blair, devia verso una soluzione più soft:
promette ancora una rinnovata attenzione alla protezione dei diritti umani, sia in ambito nazionale, che in politica estera,
ma non fa più menzione alla Carta dei diritti propugnata dal suo predecessore. La linea del «bringing rights home» è
delineata       nel      White      Paper       «Rights    Brought        Home»,    dell’ottobre     1997,       disponibile         su
https://assets.publishing.service.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/263526/rights.
pdf. Da ultimo, in favore dell’emanazione di un Bill of Rights, il riferimento è alle iniziative intraprese dal partito
conservatore a partire dal 2012. Più in generale, per una ricostruzione del background politico relativo al dibattito sulla
necessità di un Bill of Rights per il Regno Unito, si rimanda, tra gli altri a F. KLUG, A Bill of Rights: do we need one or do we
have one?, in LSE Law, Society and Economy Working Papers, 2/2007. Da ultimo, sulla necessità per il Regno Unito di dotarsi
di un Bill of Rights, cfr. R. BLACKBURN, The Idea of a British Bill of Rights, in Human Rights Law Journal, vol. 36, no. 7-12,
2017, pp. 241-480.
8 Per una disamina più approfondita del tema e delle ragioni di tale affermazione, si rimanda a R. BLACKBURN, The

Idea of a British Bill of Rights, op. cit., pp. 244. Per un’analisi del recepimento dei principi convenzionali nell’ordinamento
irlandese, da ultimo, si v. S. VACCARI, I riflessi dell’incorporazione della C.E.D.U. sul diritto amministrativo inglese, in Riv. trim.
dir. pubbl. com., 2019, pp. 95 ss.

104                                                 federalismi.it - ISSN 1826-3534                                     |n. 3/2020
inevitabile declassamento degli ordinary parliament enactments e sarebbe, di conseguenza, stata in grado di
contribuire ad alterare l’equilibrio nella suddivisione dei poteri dello Stato9.
Così, quale prodotto di decenni di dibattiti sul modello di recepimento della normativa cedu all’interno
dell’ordinamento britannico resta lo hra, legge ordinaria dello Stato, emanata al fine di recepire nel
contesto nazionale i diritti garantiti dalla disciplina convenzionale10.
Ad una attenta analisi, in realtà, lo hra pare un provvedimento molto vicino nella sostanza ad un vero e
proprio Bill of Rights, sebbene formalmente non ne abbia ottenuto la forza normativa. In particolare, la
natura di legge ordinaria (act of Parliament o statute law) ha due implicazioni: la prima, è data dalla precarietà
della disciplina, soggetta a possibile abrogazione da parte di qualsiasi legge successiva e di segno contrario
approvata dal Parlamento; la seconda, riguarda i limiti comunque posti al potere legislativo
nell’emanazione di leggi contrastanti con lo hra, talvolta particolarmente stringenti11.
Di qui la natura complessa dello hra, in ogni caso, considerato dall’orientamento maggioritario un atto di
«incorporazione», dall’intrinseco valore costituzionale; anche in ragione del fatto che i diritti della persona
convenzionalmente riconosciuti «are now also part of the constitutional identity of the United
Kingdom»12.

9 Concretamente, secondo la dottrina, una simile Carta avrebbe contribuito a scalfire due dei fondamenti posti a base
dell’ordinamento inglese. Dal momento che, per un verso, avrebbe aperto una crepa all’interno del principio della
parliamentary sovereignty, creando una prima norma scritta di rango costituzionale. Per altro verso, di conseguenza, avrebbe
comportato la creazione di una corte (sulla falsariga delle Corti costituzionali operanti in Paesi che adottano una
Costituzione scritta) idonea ad «invalidate any provisions in ordinary later statutes contrary to the human rights articles
in the Bill», così R. BLACKBURN, The Idea of a British Bill of Rights, op. cit., 244.
10 Un ‘act incorporativo’ è parsa la soluzione più celere, più semplice e meno politicamente controversa da adottare, è

quanto esplicitato nel Report of the House of Lords Select Committee on a Bill of Rights, in HL Paper 176, Session 1977-78, dal
quale emerge allo stesso tempo che lo HRA è stato in realtà concepito come prima iniziativa verso la redazione di un
successivo Bill of Rights, però non più emanato. Sulla questione si vedano, in particolare, le riflessioni di D. HOFFMANN
– J. ROWE, Human Rights in the UK. An Introduction to the Human Rights Act 1998, op. cit., p. 29; oltre che quelle di A.
FINLAY, The Human Rights Act: The Lord Chancellor’s Department’s Preparations for Implementations, in European Human Rights
Law Review, 4, 1999, pp. 512 ss.; LORD STEYN, The New Legal Landscape, in European Human Rights Law Review, 5, 2000,
pp. 549 ss.
11 Cfr. sez. 3(2), HRA.
12 Cfr. G. VAN BUEREN, Including the excluded: the case for an economic, social and cultural Human Rights Act, in Public Law,

2002, pp. 456 ss., qui p. 471. Della natura complessa e a tratti ambivalente dello HRA si è molto occupata la dottrina
britannica, assumendo a riguardo due distinte posizioni: da un lato, si è ritenuto che la legge emanata svolga una funzione
essenzialmente classificatoria e di catalogazione dei diritti garantiti dalla Convenzione, che sono così ‘incorporati’
nell’ordinamento interno, benché non sia loro conferito rango costituzionale (così, tra gli altri, S. BESSON, The Reception
Process in Ireland and UK, op. cit. e N. BAMFORTH, Same-sex Partnership: some comparative constitutional lessons, in European
Human Rights Law Review, 1/2007, pp. 47-65); dall’altro, si muove dalla considerazione per cui lo HRA non debba essere
considerato un atto di mera ‘incorporazione’, ma faccia espresso rimando – sebbene indirettamente – sia ai diritti sanciti
dal testo della Convenzione, sia alla giurisprudenza della Corte EDU che di quei diritti fa applicazione, pertanto possa
essere considerato alla stregua di un atto di recepimento, volto a dare applicazione in ambito nazionale alla normativa
internazionale (così, tra gli altri, R. CLAYTON – H. TOMLINSON, The Law of Human Rights, Oxford University Press,
2006 e già R. BLACKBURN, Towards Constitutional Bill of Rights for the United Kingdom, London, 1999). È prevalsa di fatto
la prima opinione, cioè quella che ha visto nello HRA un atto di ‘incorporazione’, piuttosto che di recepimento vero e
proprio della CEDU (cioè un Bill of Rights), del quale però condivide il profilo sostanziale. Dell’opinione per cui, in realtà,

105                                              federalismi.it - ISSN 1826-3534                                 |n. 3/2020
A prescindere dalle soluzioni adottate e dalla natura giuridica dell’atto emanato per dare forma concreta
alla tutela dei diritti convenzionali, due sono i dati rilevanti che emergono dall’incorporazione della cedu
via hra nell’ordinamento inglese.
Il primo, è quello che registra un plurimo ancoraggio della tutela delle situazioni giuridiche protette.
Infatti, le garanzie in questione trovano un fondamento sia nella disciplina europea, sia nei principi di
diritto comune, scolpiti nell’ordinamento interno. Una realtà che consente così l’azionabilità delle relative
garanzie non soltanto di fronte ai giudici di Strasburgo, ma anche in via diretta davanti alle corti di common
law, pur non senza limiti, comunque stabiliti dalla legge13. In questo senso si afferma che con l’entrata in
vigore dello hra anche nel Regno Unito la protezione delle garanzie cedu abbia trovato immediata validità
(immediate validity), diversamente da quanto accadeva in precedenza, quando lo scrutinio davanti alle corti
era possibile solo in via indiretta14.
Il secondo dato - che costituisce poi un corollario del primo - è quello che identifica un ruolo residuale
per i giudici di Strasburgo rispetto al regime precedente allo hra. Infatti, la possibilità di adire in via diretta

lo HRA sia assimilabile ad un Bill of Rights è chi intravede nell’iter previsto per l’emendamento dello stesso Act (c.d.
modello dello statutory instrument, s. 1, par. 1-4, HRA) un indice della sua natura super-primaria, mediante il quale è
possibile aggiungere nuovi diritti rispetto a quelli già tutelati in base alla legge. Un’osservazione ben evidenziata da F.
KLUG, A Bill of Rights: do we need one or do we have one?, op. cit.; R. WINTERMUTE, The Human Rights Act’s First Five
Years: too strong, too weak or just right?, in Kings College Law Journal, 17/2006, p. 209, che sostiene «if a country voluntarily
incorporates the exact wording of the Convention into its national law, the Convention ceased to be a European text
and becomes a national text, to which national courts are free to give a more generous interpretation».
13 Il riferimento è in particolare alla possibilità per i giudici di comminare una declaration of incompatibility della norma

interna violativa dei principi convenzionali e, solo con riferimento a determinati casi specificamente indicati, alla
possibilità di avviare una procedura di modifica della disciplina in sede parlamentale (c.d. power to take remedial action), cfr.
sezioni 3, 4, 7 e 10, HRA.
14 Nel contesto ordinamentale considerato risulta particolarmente importante marcare la differenza tra i concetti di

«immediata validità» (immediate validity) e «applicabilità diretta» (direct applicability) riferiti alla normativa convenzionale
secondo le previsioni nazionali. Infatti, al contrario di quanto accade nei Paesi che adottano un modello di ordinamento
c.d. monista, in quello del Regno Unito (per sua natura dualista) la ratifica di un trattato internazionale da parte dello
Stato non implica necessariamente la sua automatica vigenza (e la relativa vincolatività) nei confronti delle autorità
nazionali, compresa la magistratura. Pertanto, ai giudici nazionali inglesi, in sede di giudizio e laddove se ne faccia
questione, viene unicamente richiesto di «take account» della giurisprudenza europeo-convenzionale, ma non di
conformarvisi necessariamente in via obbligatoria, cfr. sez. 2, HRA. Sulla questione, si esprime così Lord Bingham nel
caso Ullah: «the duty of the national courts is to keep pace with Strasbourg jurisprudence as it evolves over time: no
more but certainly no less», cfr. R(Ullah) v SS Home Department [2004] UKHL, 25, par. 20. Sul tema anche R (Countryside
Alliance) v HM Attorney General [2006] EWCA Civ 817; R (Clift v SSHD) [2006] EWCA Civ 817. Sulla necessità che anche
i giudici nazionali si attengano alle garanzie e al grado di tutela offerto secondo le statuizioni della Corte di Strasburgo,
si v. R. MASTERMAN, Taking the Strasbourg Jurisprudence into Account: developing a ‘municipal’ law of human rights under the
HRA, in ICQL, vol. 54, ottobre 2005, p. 911; E. WICKS, Taking Account of Strasbourg? The British Judiciary’s Approach to
Interpreting Convention Rights, in European Public Law, vol. 11, issue 3, 2005. Più in generale, sulla dialettica
monismo/dualismo nel diritto amministrativo, si v. M.P. CHITI, Monismo e dualismo in diritto amministrativo: vero o falso
dilemma?, in Riv. trim. dir. pubbl., 2/2000, pp. 301 ss.

106                                               federalismi.it - ISSN 1826-3534                                 |n. 3/2020
le courts of common law, vede nell’invocazione della tutela sovranazionale solo un’extrema ratio, a fronte
dell’esperimento infruttuoso di quella interna15.
Pur valutando positivamente i rilievi appena citati, è stato comunque osservato da attenta dottrina che,
in realtà, sebbene l’intenzione del legislatore fosse quella di «give further effect to rights and freedoms
guaranteed under the European Convention on Human Rights», le garanzie previste dallo hra, sono volte
a realizzare, in effetti, un mero coordinamento tra i piani di tutela europeo e nazionale16.
In tal senso, sembrano emblematiche una serie di disposizioni contenute nel testo di legge. In primis, quella
che afferma la necessità per le corti e per i tribunali nazionali di «tenere in considerazione» le sentenze ed
ogni altro tipo di decisione proveniente dalla Corte edu, in ogni circostanza in cui la questione controversa
si collochi nell’ambito di operatività della Convenzione17. Ancora, la norma in base alla quale sia le
previsioni di legge ordinaria, sia i regolamenti secondari, debbano essere interpretati e attuati in
conformità con i diritti convenzionali «per quanto possibile»18. In caso contrario, la corte è chiamata a
dichiarare l’incompatibilità della norma nazionale, rendendola inoperante con riferimento alla
controversia in oggetto, ma comunque valida ed applicabile all’interno dell’ordinamento19.

15 In particolare, per approfondimenti sul tema, si v. M. ALLENA, L’art. 6 CEDU come parametro di effettività della tutela
procedi mentale e giudiziale all’interno degli Stati membri dell’Unione Europea, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2012, pp. 267 ss.
16 Per un’analisi dell’impatto e della disciplina dello HRA sull’ordinamento inglese, anche in relazione alle sue previsioni,

considerate singolarmente e in rapporto tra loro, si rinvia, per tutti, allo studio di S. MIRATE, Giustizia amministrativa e
Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’«altro» diritto europeo in Italia, Francia e Inghilterra, Napoli, 2007, pp. 99 ss.; si veda
anche A. CARBONE, Il contraddittorio procedimentale, op. cit., pp. 169 ss.
17 Cfr. s. 2(1), HRA, dove si prevede che «A court or tribunal determining a question which has arisen in connection

with a Convention right must take into account any (a) judgement, decision, declaration or advisory opinion of the
European Court of Human Rights, (b) opinion of the Commission given in a report adopted under Article 31 of the
Convention, (c) decision of the Commission in connection with Article 26 or 27(2) of the Convention, or (d) decision
of the Committee of Ministers taken under Article 46 of the Convention, whenever made or given, so far as, in the
opinion of the court or tribunal, it is relevant to the proceedings in which that question has arisen».
18 Cfr. s. 3(1), HRA, dove si afferma che «So far as it is possible to do so, primary legislation and subordinate legislation

must be read and given effect in a way in which is compatible with the Convention rights». In ogni caso, si precisa che
la normativa, sia primaria che secondaria, anche ove dichiaratamente incompatibile con le disposizioni convenzionali,
resta vigente in quanto non illegittima per il solo fatto di essere contrastante con la CEDU (s. 3(2), HRA).
19 Cfr. s. 4(2), HRA «If the court is satisfied that the provision is incompatible with a Convention right, it may take a

declaration of that incompatibility». La previsione generale appena citata ha poi modalità applicative diverse in relazione
al tipo di provvedimento normativo da dichiarare incompatibile (cfr. s. 4(1) e s. 4(4)). In sostanza, si tratta di una tutela
dichiarativa, raccordabile a quanto accade nel nostro ordinamento con riferimento alla declaratoria di incompatibilità (e
successiva disapplicazione) pronunciata nell’ambito di un contrasto tra diritto interno e diritto comunitario, ma non
anche tra il primo e la CEDU. È infatti proprio nell’impossibilità di poter disapplicare in via diretta la norma interna in
favore di quella convenzionale che la Corte costituzionale ha individuato la differenza sostanziale che esiste tra diritto
europeo e diritto euro-convenzionale (cfr. Corte cost. n. 348/2007, cons. dir. 3.3., poi ribadito in successive sentenze,
ex multis Corte cost. n. 348/2007, 239/2009, 311/2009, 31/2009, 93/2010, 1/2011, 113/2011). Sulla questione si
vedano, in particolare, i contributi di M. CARTABIA, L’universalità dei diritti umani nell’età dei «nuovi diritti», in Quad. cost.,
2009, pp. 537 ss.; G. MARTINICO, Il trattamento nazionale dei diritti europei: Cedu e diritto comunitario nell’applicazione dei giudici
nazionali, in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, pp. 691 ss.; I. CARLOTTO, I giudici comuni e gli obblighi internazionali dopo le sentenze
n. 348 e n. 349 della Corte costituzionale: un’analisi sul seguito della giurisprudenza, disponibile su
www.associazionedeicostituzionalisti.it. Per un’analisi delle dinamiche relative all’approccio dei giudici nazionali nei confronti
dell’applicazione della normativa CEDU in caso di contrasto con il diritto interno e i rapporti con la giurisprudenza

107                                                  federalismi.it - ISSN 1826-3534                                     |n. 3/2020
3. La normativa di recepimento e il suo rapporto con il diritto euro-convenzionale
Pure a fronte dell’adozione dello hra, dunque, sembra ancora permanere una certa ‘distanza’ tra la
disciplina interna e quella europea. Infatti, come ricordato, le corti e i tribunali nazionali sono chiamati,
in termini molto generici, a «tenere in considerazione» le interpretazioni rese dalla giurisprudenza di
Strasburgo e a conformarsi «per quanto possibile» ai parametri fissati dalla cedu20.
Le dinamiche del rapporto tra diritto interno ed euro-convenzionale si svolgono, pertanto, tutte attorno
alla vicenda relativa alla declaratoria di incompatibilità (declaration of incompatibility), che il giudice nazionale
è tenuto a rendere nel caso in cui si manifesti un aperto conflitto tra la norma interna e le disposizioni
convenzionali21. L’effetto di tale declaratoria è volto a provocare l’inoperatività della norma di legge
censurata rispetto alla controversia in esame, sebbene la stessa mantenga comunque la propria generale
validità e vigenza all’interno dell’ordinamento22. In sostanza, quanto accade in relazione alla declaratoria
di incompatibilità può essere accostato ad una disapplicazione della norma da parte del giudice con

costituzionale, da una prospettiva di diritto amministrativo, per tutti, si v. M. ALLENA, La rilevanza dell’art. 6 CEDU,
per il procedimento e il processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2012, pp. 569 ss., qui pp. 570 ss. In generale, per una riflessione
sui rapporti tra ordinamento interno e ordinamenti esterni o sovranazionali, rispetto al contesto nazionale, si v. S.
CASSESE, I tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine giuridico globale, Roma, 2009; mentre sul ruolo strumentale
della CEDU all’individuazione dei principi generali del diritto dell’Unione Europea, si v. S. VALAGUZZA, Riflessioni sul
primato attenuato del diritto CEDU e suoi suoi possibili sviluppi: prospettive interpretative per il giudizio amministrativo, in Riv. it. dir.
pubbl. com., 2008, pp. 1375 ss.
20 Il riferimento è rispettivamente alla s. 2(1), HRA, dove si prevede che «A court or tribunal determining a question

which has arisen in connection with a Convention right must take into account any (a) judgement, decision, declaration
or advisory opinion of the European Court of Human Rights, (b) opinion of the Commission given in a report adopted
under Article 31 of the Convention, (c) decision of the Commission in connection with Article 26 or 27(2) of the
Convention, or (d) decision of the Committee of Ministers taken under Article 46 of the Convention, whenever made
or given, so far as, in the opinion of the court or tribunal, it is relevant to the proceedings in which that question has
arisen»; e alla s. 3(1), HRA, dove si statuisce che «So far as it possibile to do so, primary legislation and subordinate
legislation must be read and given effect in a way which is compatible with the Convention rights».
21 Cfr. s. 4(2), HRA «If the court is satisfied that the provision is incompatible with a Convention right, it may take a

declaration of that incompatibility». La previsione generale appena citata poi ha modalità applicative diverse in relazione
al tipo di fonte normativa da dichiarare incompatibile. Infatti, qualora la norma contrastante con la CEDU sia una norma
di rango primario, la S.4(1) prevede la possibilità di dichiarare l’incompatibilità in via diretta (S. 4(2)). Nel caso in cui la
norma in questione sia, invece, di rango secondario, è fatto obbligo alla corte, preliminarmente, di verificare se il
contrasto possa comunque essere sanato attraverso l’applicazione di una norma di legislazione primaria, conforme questa
al diritto euro-convenzionale, cfr. S. 4(4) «If the court is satisfied that (a) the provision is incompatible with a Convention
right, and (b) that (disregarding any possibility of revocation) the primary legislation concerned prevents removal of
incompatibility, it may make a declaration of incompatibility». In chiusura di sezione, si ribadisce comunque che «A
declaration under this section (‘a declaration of incompatibility’) (a) does not affect the validity, continuing operation or
enforcement of the provision in respect of which it is given; and (b) it is not binding on the parties to the proceedings
in which it is made».
22 Cfr. 3(2), HRA, in cui si esplicita espressamente che «This section (a) applies to primary legislation and subordinate

legislation whenever enacted; (b) does not affect the validity, continuing operation or enforcement of any incompatible
primary legislation; and (c) does not affect the validity, continuing operation or enforcement of any incompatibile
subordinate legislation if (disregarding any possibility of revocation) primary legislation prevents removal of the
incompatibility».

108                                                    federalismi.it - ISSN 1826-3534                                        |n. 3/2020
riferimento al caso concreto. Effetto che nel nostro ordinamento trova un pari solo qualora si verifichi
un contrasto tra diritto interno e diritto comunitario e non anche tra il primo e la cedu23.
Sebbene la declaratoria di incompatibilità sia l’istituto che trova maggiore applicazione in caso di conflitti
tra norma interna e principi convenzionali nell’ordinamento britannico, è opportuno però ricordare che,
per una risoluzione in via definitiva dei contrasti tra i due piani, la legge prevede una soluzione diversa,
ma di più difficile attuazione da un punto di vista pratico. La norma è quella relativa al «power to take
remedial action», che si sostanzia nella possibilità di richiedere la modifica della legge contrastante con le
previsioni convenzionali, necessaria a superare il conflitto, attraverso l’avvio di una procedura di
emendamento in sede parlamentare. È chiaro, dunque, come quest’ultima opzione necessiti di un grado
di condivisione e di un livello di consapevolezza nelle scelte che non si manifestano così di frequente in
occasione di contrasti tra piano sovranazionale e ‘domestico’.24
A prescindere dalle ipotesi di conflitto, l’esame del rapporto tra normativa di recepimento e disciplina
euro-convenzionale riguarda anche e soprattutto l’ambito oggettivo di operatività delle previsioni dello
hra. In particolare, insieme alla tutela dichiarativa nei confronti di disposizioni di legge (primarie o
secondarie) contrastanti con i principi cedu, si prevede che i singoli possano trovare protezione anche nei
confronti di atti emanati da «public authorities», ove lesivi della propria posizione giuridica in quanto
contrastanti con i principi cedu25. In simili circostanze, infatti, detti atti sono sostanzialmente illegittimi

23 È infatti proprio l’impossibilità di poter disapplicare in via diretta la norma interna in favore di quella convenzionale
che la Corte individua, rappresenta l’essenziale differenza che sussiste tra il diritto europeo e quello europeo-
convenzionale. Infatti, «La Cedu non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme
direttamente applicabili negli Stati contraenti. Essa è configurabile come un trattato internazionale multilaterale […] da
cui derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma non l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano in un sistema
più vasto, da cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorità interne degli
Stati membri», cfr. Corte cost. n. 348/2007, cons. dir., punto 3.3., poi ribadito in successive sentenze, ex multis Corte
cost. n. 39/2008; n. 239/2009; n. 311/2009; n. 317/2009; n. 93/2010; n. 1/2011; n. 113/2011, Cfr. M. ALLENA, L’art.
6 CEDU come parametro di effettività della tutela procedimentale e giudiziale all’interno degli Stati membri dell’Unione Europea, op. cit.,
pp. 600. Tuttavia, a fronte dell’emanazione del Trattato di Lisbona e in base alle previsioni di cui all’art. 6 del TUE la
questione del rapporto tra ordinamenti nazionali, ordinamento europeo e disciplina convenzionale applicabile al diritto
interno degli Stati contraenti si è riproposta. Questione che è stata risolta considerando la CEDU solo come strumentale
all’individuazione dei principi generali del diritto dell’Unione Europea, cfr. S. VALAGUZZA, Riflessioni sul primato
attenuato del diritto CEDU e sui suoi possibili sviluppi: prospettive interpretative per il giudizio amministrativo, ult. cit.
24 Cfr. s. 19 HRA. Inoltre, è opportune ricordare che la possibilità di richiedere modifiche della legislazione interna

contrastante con quella convenzionale tramite un iter di riforma parlamentare è riconosciuta dalla legge ai soggetti che
avrebbero interesse a proporre appeal e non intendano farlo oppure abbiano visto scadere i termini per proporlo o ancora
vi abbiano rinunciato una volta proposto; oppure ad un Minister of the Crown o al consesso governativo nella forma del
Queen-in-council, cfr. s. 10(1)(a) e (b) HRA.
25 Cfr. s. 6(1) «It is unlawful for a public authority to act in a way in which is incompatible with a Convention right». Gli

unici casi in cui, pur in contrasto con la normativa convenzionale, le decisioni delle pubbliche autorità non possono
essere censurate come illegittime sono quelli in cui le stesse «could have not acted differently» oppure laddove siano il
prodotto dell’applicazione di normative di legge nazionali che non avrebbero potuto essere state interpretate altrimenti,
conformemente alla CEDU (cfr. s. 6(2) «if in the case of one or more provisions of, or made under, primary legislation
which cannot be read or given effect in a way in which is compatibile with the Convention rights, the authority was
acting so as to give effect of to enforce those provisions»).

109                                                   federalismi.it - ISSN 1826-3534                                      |n. 3/2020
(«unlawful») e pertanto censurabili di fronte alla corte o al tribunal competente. Tale opportunità è
garantita non solo a fronte del prodursi dell’efficacia lesiva dell’atto, ma anche in pendenza del
procedimento volto a emanarlo, e la relativa tutela può realizzarsi mediante gli strumenti dell’appeal,
dell’application for judicial review o con ogni altro mezzo previsto dalla legge26. In ogni caso, viene fatta salva
la possibilità per il soggetto «vittima» del provvedimento illegittimo di far valere comunque le proprie
pretese contro lo Stato di fronte alla Corte edu27.
Sull’effettiva portata della nozione di «public authority» ai fini dello hra si è poi specificamente soffermata
la dottrina, in ragione della sua genericità e nonostante la legge riporti, sotto forma di elenco, i soggetti
che siano da intendere come tali28. In particolare, da un lato, si è posto l’accento sul tipo di funzioni
esercitate quale discrimen della natura del soggetto29; dall’altro, si è evidenziato come la definizione sia stata
intenzionalmente lasciata vaga, di modo che le corti potessero riempirne il significato - anche
modificandolo, ove necessario - allineandosi di volta in volta con gli orientamenti della giurisprudenza di
Strasburgo30.
La questione si è dimostrata di non poco conto, alla luce delle problematiche generate dalla poca chiarezza
della nozione di «public authority», soprattutto circa lo spettro della tutela garantita dallo hra31. In

26 Come disposto dalla s. 7(1) HRA, infatti, «A person who claims that a public authority has acted (or proposes to act)
in a way in which is made unlawful by section 6(1) may (a) bring proceedings against the authority under this Act in the
appropriate court or tribunal, or (b) rely on the Convention right or rights concerned in any legal proceedings», come
esplicitato anche in s. 7(6)(b). Il termine entro cui i procedimenti citati devono essere attivati, eventualmente, è in genere
quello di un anno a partire dalla data in cui l’atto lesivo è stato emanato, con possibile allungamento del termine se
l’autorità giudiziaria lo ritenga necessario, a determinate circostanze, cfr. s. 7(5)(a) e (b). Con riferimento agli strumenti
di tutela, cfr. s. 9(1), HRA, «Proceedings under section 7(1)(a) in respect of a judicial act may be brought only (a) by
exercising a right of appeal; (b) on an application (in Scotland petition) for judicial review; or (c) in such other forum as
may be prescribed by rules».
27 Cfr. s. 7(7), HRA, dove si specifica la qualità e i presupposti che il soggetto ricorrente deve possedere per poter essere

riconosciuto come ‘parte lesa’ da un atto amministrativo illegittimo e poter adire la Corte Edu: «For the purposes of this
section, a person is a victim of an unlawful act only if he would be a victim for the purposes of Article 34 of the
Convention if proceedings were brought in the European Court of Human Rights in respect of that act».
28 Cfr. s. 6(3), HRA, «In this section ‘public authority’ includes (a) a court or a tribunal, and (b) any person certain of

whose functions are functions of public nature». Quel che è certo è che le Camere e il Parlamento intero, incluso qualsiasi
altro soggetto che (pure pubblico) svolga le sue funzioni con riferimento all’attività parlamentare è escluso dal novero
delle public authorities, come espressamente statuito nella norma. Inoltre, si specifica che «In relations to a particular act,
a person is not a public authority […] if the nature of the act is private», così in s. 6(5).
29 Cfr. H.W.R. WADE – C.F. FORSYTH, Administrative Law, Oxford University Press, 2009.
30 Così LORD LESTER – LORD PANNICK – J. HERBERG, Human Rights Law and Practice, III ed., 2009, p. 30;

opinione che si riscontra già anche nelle motivazioni rese dall’Home Secretary al momento dell’emanazione dell’atto, cfr.
Home Secretary, 314 HC Deb. 406, 432 del 17 giugno 1998, come riportato da N. BAMFORTH, The Application of the
Human Rights Act 1998 to Public Authorities and Private Bodies, in Cambridge Law Journal, Cambridge University Press, Vol.
58, no. 1, marzo 1999, pp. 159-170.
31 La questione è stata affrontata in quello che viene considerato il leading case in materia, ossia la controversia YL v.

Birmingham City Council [2007] UKHL 27, [2007] 3 WLR 112, per un’analisi critica della quale si vedano i contributi di M.
ELLIOTT, ‘Public’ and ‘Private’: defining the Scope of the Human Rights Act, in Cambridge Law Journal, Vol. 66, no. 3, novembre
2007, pp. 485 ss.; S. PALMER, Public, Private and The Human Rights Act 1998: An Ideological Divide, in Cambridge Law Journal,
Vol. 66, Issue 3, novembre 2007, pp. 559-573; ID., Public Functions and Private Services: A Gap in Human Rights Protection,

110                                              federalismi.it - ISSN 1826-3534                                 |n. 3/2020
particolare, il problema si è posto nella circostanza in cui, come spesso accade, una pubblica autorità
decida di affidare l’esercizio di un determinato compito pubblico ad un soggetto privato. Una realtà
spesso ricorrente nell’ambito dei servizi pubblici (c.d. fenomeno del c.d. contracting out, che interessa settori
come sanità; trasporti; etc.). In tal caso, pure se leso nei propri diritti convenzionalmente garantiti, si
dimostra non sempre agevole determinare se l’individuo possa agire a tutela della propria posizione
contro il soggetto privato (contractor), erogatore del servizio32.
Tuttavia, è stato sostenuto che la questione possa essere risolta guardando alle stesse disposizioni dello
hra. In particolare, dal momento che alla «public authority» in senso stretto (government departments, local
authorities, etc.), sono equiparati quei soggetti che, sebbene privati, siano titolari dell’esercizio di funzioni
pubbliche. Di conseguenza, anche la loro attività può essere oggetto di scrutinio alla luce dei parametri
convenzionali. Restano in ogni caso fuori dal sindacato ai fini cedu gli atti di natura esclusivamente
privata, prodotti dal contractor33.

4. L’influenza della cedu sul diritto amministrativo inglese: il canone dell’articolo 6§1
È stato osservato come la normativa cedu non prenda in considerazione il diritto amministrativo se non
in via mediata. Tuttavia, nonostante la mancanza di un rilievo espresso in favore della materia, è stato
comunque dimostrato come la stessa sia in grado di incidere, anche profondamente, in tale ambito
all’interno degli ordinamenti nazionali che ne hanno incorporato i principi34.

in International Journal of Constitutional Law, Vol. 6, Issue 3-4, luglio-ottobre 2008, 585-604; J. LANDAU, Functional Public
Authorities After YL, in Public Law (630), 2007.
32 Per una prospettiva sull’impatto che lo HRA ha avuto in materia di diritto privato, si v. D. HOFFMANN, The Impact

of The UK Human Rights Act on Private Law, Cambridge University Press, 2011.
33 Cfr. s. 6(3)(b) HRA, dove si prevede che il riferimento al concetto di «public authority» coinvolge tanto «a court or a

tribunal», quanto «any person certain of whose functions are functions of a public nature». In tema, si v. M.
SUPPERSTONE – J. COPPEL, Judicial Review after the Human Rights Act, in European Human Rights Law Review, 3, 1999,
pp. 301-329, qui p. 310, sostenendo che «In order to qualify as a public authority, a body must have one or more public
functions. Bodies which are obviously public authority, such as government departments and local authorities, must, by
definition, have public functions (otherwise their status would not be obvious)».
34 Con riferimento agli studi in materia, nel contesto nazionale, si rimanda ai già citati contributi di M. ALLENA, Art. 6

CEDU. Procedimento e processo amministrativo, op. cit.; ID., La rilevanza dell’art. 6, par. 1, CEDU per il procedimento e il processo
amministrativo, in Dir. proc. amm., 2012, pp. 569 ss.; ID., L’art. 6 CEDU come parametro di effettività della tutela procedi mentale e
giudiziale all’interno degli Stati membri dell’Unione Europea, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2012, pp. 267 ss.; F. GOISIS, Garanzie
procedimentali e Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo, in Dir. proc. amm., 2009, pp. 1338 ss.; S. MIRATE, Giustizia
amministrativa e Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’ «altro» diritto europeo in Italia, Francia e Inghilterra, Napoli, 2007; A.
CARBONE, Il contraddittorio procedimentale, op. cit.
Dalla prospettiva dell’ordinamento anglosassone, tra gli altri, il riferimento è agli studi di D.J. HARRIS – M. O’BOYLE
– E.P. BATES – C.M. BUKLEY, Law of the European Convention on Human Rights, Oxford, 2009, pp. 201 ss. e pp. 228 ss.;
F.G. JACOBS – R.C.A. WHITE – C. OVEY, The European Convention on Human Rights, Oxford, 2010, pp. 242 ss. Mentre,
per un commento critico circa l’effetto ‘rivoluzionario’, pure evidenziato da parte della dottrina, generato dal
recepimento dei principi CEDU nell’ordinamento inglese, con specifico riguardo al diritto amministrativo, si segnala il
contributo di S.A. DE SMITH, The reformation of English Administrative Law? “Rights”, rhetoric and reality, in Cambridge Law
Journal, 72(2), 2013, pp. 369 ss. Mentre favorevoli ad una lettura riformatrice del diritto amministrativo inglese alla luce

111                                                  federalismi.it - ISSN 1826-3534                                     |n. 3/2020
Puoi anche leggere